Tasse

  • Fmi: quel sottile e comune senso di inadeguatezza

    Secondo il Fmi l’Italia, che si trova all’interno di una crisi industriale ed economica senza precedenti (26 flessioni consecutive della produzione industriale; nel solo nel Veneto risultano mille le aziende in crisi), la soluzione da adottare sarebbe “Italia elimini flat tax e aggiorni valori catastali…provvedimenti migliorerebbero equità fiscale…”. La flat tax rappresenta una invenzione politica frutto di una scarsa preparazione e competenza economica, in quanto parte dall’azzeramento totale del principio relativo all’”utilità marginale decrescente del denaro”, sul quale si basa la progressività delle aliquote, e utilizzato dai principali sistemi fiscali.

    La tassa piatta, in pratica, potrebbe essere definita come una infantile semplificazione di un vero e condivisibile obiettivo, rappresentato dalla volontà di una reale riduzione della pressione fiscale. Questa dovrebbe, invece, venire perseguita attraverso la rimodulazione delle aliquote ed una riduzione della loro progressività preferibile ad una semplificazione rappresentata dall’adozione della flat tax.

    Nell’appello del Fondo Monetario Internazionale si fa anche riferimento, confermando anch’esso un approccio infantile, alla revisione degli estimi catastali indicato come il mezzo per il conseguimento di una maggiore equità fiscale. Sembra incredibile come l’incremento della spesa pubblica rappresenti la solita panacea adottata ad ogni livello istituzionale, attraverso la quale tutti si dimostrano convinti di aumentare i servizi forniti e contemporaneamente garantire una maggiore equità fiscale.

    Una teoria economica smentita clamorosamente dall’andamento delle retribuzioni in Italia, le negli ultimi trent’anni alla costante crescita esponenziale dalla spesa pubblica ha fatto riscontro una diminuzione del reddito e della qualità dei servizi disponibili in Italia.

    Sembra incredibile come, ancora oggi, ci si dimentichi come la spesa pubblica italiana, secondo gli ultimi rilevamenti, per quanto riguarda la propria efficienza, cioè i servizi erogati in rapporto ai costi ed agli obbiettivi istituzionali (fornire servizi alle fasce di popolazioni meno abbienti) risulti al novantasettesimo posto nella classifica mondiale.

    Questa inefficienza, di conseguenza, dimostra non solo come venga tradita la sua funzione originale, ma addirittura la si rende un fattore di iniquità fiscale, soprattutto sociale, proprio in ragione della propria inefficienza.

    Come logica conseguenza appare evidente come ad ogni crescita della sua dotazione finanziaria non può che corrispondere un aumento della disparità tra le diverse fasce sociali.

    In questo contesto, allora, il pensiero di un premio Nobel diventa chiarificatore: “Se l’Italia si regge ancora è grazie all’evasione fiscale, che sottrae risorse alla macchina parassitaria dello Stato per indirizzarle in attività produttive” (Milton Friedman, Premio Nobel per l’economia 1976).

    Questo non significa assolutamente sostenere l’evasione fiscale ma dimostrare di comprendere la complessità della materia fiscale e le molteplici diverse complessità le quali ovviamente non possono essere superate né con l’aumento della pressione fiscale, con conseguente spesa pubblica, né tantomeno attraverso l’adozione di un flat tax.

    Ancora una volta il prodotto intellettuale di questi organismi internazionali delude fortemente, in ragione soprattutto di una mancanza di capacità di analisi delle complessità che li rende in questo molto simili alle analisi politiche relative alle soluzioni fiscali per raggiungere una maggiore equità.

    La lotta all’evasione fiscale rappresenta il solito argomento utilizzato dalla classe politica tanto di destra quanto di sinistra con l’obiettivo di giustificare una spesa pubblica assolutamente inefficiente esprimendo quel sottile senso di inadeguatezza comune anche al Fmi.

  • Panem et circenses

    Evidentemente la percezione della realtà economica e politica si dimostra spesso espressione di sensibilità contrapposte in particolare modo sulle posizioni sociali.

    A livello governativo le venticinque flessioni consecutive della produzione industriale non suscitano ancora oggi alcuna reazione politica, tantomeno strategica o fiscale, come se venisse considerata fisiologica di un periodo di difficoltà più generale. Prova ne sia che il governo già alle prime indicazioni negative relative all’andamento industriale ha comunque aumentato di 17 punti l’Iva, riportandola da 5% a 22%, oltre ad avere annullato gli sconti sulle accise dei carburanti introdotte dal governo Draghi.

    Successivamente, di fronte all’esplosione dei costi energetici che nel 2024 hanno costretto 1,2 milioni di famiglie a vedersi aumentata del +80% la bolletta energetica, il governo ha stanziato 3 miliardi come bonus energetico ma destinato a dei precisi profili sociali (reddito/composizione familiare), di fatto una implicita ammissione di mancanza di determinazione nell’adozione di una politica anticiclica.

    Viceversa si sono mantenuti tutti quei bonus “ad omnibus” (elettrodomestici, psicologo etc) i quali hanno solo il vantaggio di favorire un singolo settore a discapito di tutti gli altri, non presi in alcuna considerazione.

    Le aziende, intanto, hanno visto esplodere i costi energetici nel 2024 del +40% e di un ulteriore +15% per il primo trimestre 2025.

    In questo contesto Arera (Autorità di regolazione energia e reti) ha già anticipato come per il 2026 ci sarà un ulteriore aumento del costo energetico per famiglie ed imprese (+1,2%) oltre l’andamento delle quotazioni alla borsa di Amsterdam. Un fattore che determinerà una ulteriore perdita di competitività per le imprese italiane ed una caduta ulteriore della qualità di vita delle famiglie.

    Quindi, in oltre due anni, la insostenibilità dei costi energetici ha determinato ed amplificato il crollo della produzione industriale nel settore autoveicoli tornata a livello del 1956 (456.000 auto in ulteriore diminuzione nel primo trimestre 2025). Contemporaneamente in Spagna risulta raddoppiato fino ad un milione il numero di auto prodotte proprio grazie ad un corso energetico inferiore del -53% rispetto a quello italiano.

    In altre parole, la politica energetica si dimostra un fattore moltiplicatore aggiuntivo delle continue flessioni di produzione industriale, determinate anche dalla situazione internazionale problematica.

    In un simile contesto andrebbero completamente riviste le priorità della spesa pubblica il cui primo obiettivo dovrebbe essere quello di assicurare le migliori condizioni di competitività alle imprese e di serenità alle famiglie attraverso una riduzione sostanziale dei costi energetici. Una considerazione che non sembra interessare il governo in carica, tanto è vero che in piena crisi energetica destina cinque miliardi per la realizzazione di nuovi stadi. Miliardi i quali, uniti ai tre miliardi già stanziati per i bonus energetici, raggiungerebbero la cifra di 8 miliardi che vennero utilizzati dal governo Draghi per ridurre l’Iva di 17 punti applicata ai costi energetici, delineando in questo modo un orizzonte di speranza per le imprese e le famiglie.

    Quindi, se, come diceva Einstein, “non è possibile risolvere un problema con lo stesso livello di pensiero che sta creando il problema”, mai come ora sarebbe necessario, per non dire vitale, cambiare appunto gli obiettivi dell’azione governativa. Tralasciando, se non altro nell’immediato, faraonici progetti (ponte sullo Stretto) le cui ricadute economiche ed occupazionali risultano poco chiare allo stesso ministro, e viceversa privilegiare la destinazione di risorse economiche al perseguimento di una politica energetica che assicuri un futuro di competitività alle imprese e di serenità alle famiglie.

  • Ora purtroppo sono tre le genesi inflattive

    L’inflazione rappresenta un detestabile fenomeno economico attraverso il quale la maggior parte dei lavoratori a reddito fisso, per il quale è impossibile adeguare immediatamente le proprie retribuzioni all’aumento del costo della vita, vede diminuire il proprio potere di acquisto a causa dell’aumento dei prezzi al consumo.

    A questa definizione, tuttavia, se ne dovrebbe aggiungere un’altra sempre in relazione alla nascita del fenomeno inflattivo e relativo e più specificatamente alla propria genesi, cioè se esogena o endogena (*).

    Quando l’inflazione trova la propria origine in un eccesso della domanda, come espressione di un’economia in forte crescita, produce un aumento dei prezzi che viene combattuto attraverso l’aumento del tasso di interesse con l’obiettivo di raffreddare appunto il surplus di domanda (1.genesi endogena).

    Tuttavia in Europa e specialmente in Italia l’inflazione presenta una origine assolutamente diversa, in quanto si è generata e sempre più rafforzata già immediatamente dopo il covid, dalla esponenziale crescita dei costi energetici come di tutti i prodotti di prima necessità, in particolare quelli alimentari (2.causa esogena).

    In questo secondo scenario economico, allora, anche la strategia monetaria che si traduce nel classico aumento dei tassi di interesse non riesce ad ottenere alcun raffreddamento della spirale inflattiva. Anzi, paradossalmente, non fa che accrescere gli effetti della crisi generati appunto da un’inflazione di natura esogena.

    Viceversa se si intendesse veramente attenuare gli effetti disastrosi dell’inflazione l’unica opzione sul campo rimarrebbe quella di introdurre una diminuzione delle accise sul carburanti e dell’IVA applicata alle bollette energetiche, le quali determinerebbero l’immediato beneficio di accrescere, magari minima misura, il potere d’acquisto o quanto meno di fermarne l’erosione.

    Viceversa, l’idea presentata dal vice ministro Durigon, cioè di un adeguamento automatico delle retribuzioni al tasso di inflazione, non fa che aggiungere una terza origine inflattiva che in questo caso si potrebbe definire istituzionale (3.governativa).

    Questo adeguamento automatico, una versione post moderna e digitale della scala mobile degli anni 70/80, avrebbe inoltre il grande vantaggio per il governo di mantenere inalterata la propria politica fiscale (2025 pressione fiscale al 50,6% +1,3%) ma soprattutto di fornire nuova linfa al Fiscal drag e quindi addirittura di aumentare le entrate fiscali sic et nunc. Oltre ovviamente a liberarlo ancora una volta dalla responsabilità di introdurre una decente politica di sgravi fiscali finalizzata all’attenuazione degli effetti della spirale inflattva, paradossalmente ora in parte dallo stesso governo generata.

    In più, in questo modo il governo scaricherebbe interamente sulle aziende e sulle famiglie ogni adeguamento causato dai fenomeni inflattivi, le cui cause fino a ieri erano identificabili ai punti 2 e 3, ai quali ora si aggiunge anche la genesi governativa (3).

    Il paradosso della sintesi inflattiva determinata dai punti 2 e 3 viene tristemente rappresentato dalla certezza di un periodo di recessione economica e di una contemporanea riduzione dei consumi ma da una crescita delle entrate fiscali grazie alla strategia a favore del mantenimento della crescita dell’inflazione (punto 3) espressa dal governo in carica e preferita alla invece responsabile diminuzione della pressione fiscale.

    (*)  https://www.ilpattosociale.it/attualita/le-due-diverse-genesi-inflattive/ (2022)

  • Recupero record di evasione fiscale nel 2024: 26,3 miliardi

    Ammontano a 26,3 miliardi di euro le somme confluite nelle casse dello Stato nel 2024 grazie all’attività di recupero dell’evasione fiscale svolta da Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate-Riscossione: 1,6 miliardi in più rispetto al 2023 (+6,5%). È il risultato – riferisce una nota – più alto di sempre. A questa cifra vanno aggiunti altri 7,1 miliardi di recuperi non erariali conseguiti da Agenzia delle entrate-Riscossione per conto di altri Enti. Complessivamente l’attività delle due Agenzie ha dunque consentito di riportare nelle casse dello Stato 33,4 miliardi di euro, 2 miliardi in più rispetto all’anno precedente.

    Aumentano anche le somme versate spontaneamente dai cittadini: il gettito relativo ai principali tributi gestiti dall’Agenzia delle Entrate ha raggiunto i 587 miliardi di euro, in crescita di 43 miliardi rispetto al 2023 (+8%). Sono alcuni dei dati presentati dal direttore dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, Vincenzo Carbone, durante la conferenza stampa di presentazione dei risultati raggiunti nel 2024. All’evento ha preso parte il viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo.

    I 26,3 miliardi di recupero dell’evasione fiscale provengono principalmente (per l’87%) da attività ordinarie, che hanno consentito di incassare 22,8 miliardi di euro. Di questi, 12,6 miliardi sono stati versati dai contribuenti dopo aver ricevuto un atto dell’Agenzia delle entrate; 5,7 miliardi a seguito di una cartella e 4,5 miliardi sono frutto delle attività di promozione della compliance. Gli incassi da misure straordinarie, sempre riferiti all’Agenzia delle entrate (rottamazione delle cartelle e pagamenti residui derivanti dalla definizione delle liti pendenti e dalla vecchia pace fiscale), ammontano a 3,5 miliardi, con una flessione di oltre il 30% rispetto al 2023. Agenzia delle entrate-Riscossione ha complessivamente incassato 16 miliardi di euro (+8%), di cui 10,6 miliardi da attività ordinarie e 5,4 da misure straordinarie. Con riguardo agli enti affidatari, 8,9 miliardi sono stati riscossi per conto dell’Agenzia delle entrate; 3,8 miliardi per l’Inps; 1 miliardo per i Comuni e i restanti per altri enti (Regioni, Casse di previdenza, ministeri, Inail, ecc). Rispetto invece alle fasce di debito, il 57 per cento delle somme (oltre 9 miliardi) sono state versate da contribuenti con debiti superiori a 100 mila euro.

    Volano i rimborsi fiscali: nel 2024 hanno toccato i 24,2 miliardi di euro, con un aumento di quasi due miliardi. Nel dettaglio poco meno di 21 miliardi sono andati al settore produttivo, mentre alle famiglie sono andati oltre 3 miliardi. Quanto all’attività di assistenza, le due Agenzie hanno erogato in tutto 20 milioni di servizi ai contribuenti, di cui 5,7 al telefono, 5,3 in ufficio e i restanti tramite gli altri canali (videochiamata, pec, altri servizi online). Nel corso dell’anno, inoltre, si è consolidata l’offerta di informazioni fiscali: il canale WhatsApp istituzionale, che fornisce notizie e contenuti d’interesse sette giorni su sette, con i suoi oltre 800mila iscritti è il più seguito della Pubblica amministrazione e tra i primi a livello nazionale. Risultati positivi anche dalle attività anti-frode svolte dal fisco: attraverso analisi di rischio e controlli preventivi, lo scorso anno l’Agenzia delle entrate ha assicurato minori spese a carico del bilancio dello Stato per 5,8 miliardi di euro tra crediti fittizi, indebite compensazioni e rimborsi Iva non spettanti. Inoltre, in attuazione delle norme introdotte per contrastare il fenomeno delle cosiddette partite Iva “apri e chiudi”, l’Agenzia ne ha cessate d’ufficio quasi 6mila. Al contempo, le Entrate hanno fornito assistenza e consulenza specializzata alle imprese: 25 le risposte fornite nell’ambito dell’interpello nuovi investimenti, che si prevede porteranno circa 1.400 nuovi posti di lavoro. L’anno scorso, infine, il numero delle imprese che sono state ammesse al regime di cooperative compliance è cresciuto di circa il 30 per cento. Attualmente sono 142, con un imponibile complessivo “presidiato” dall’Agenzia che sfiora i 45 miliardi di euro.

  • La reciprocity statunitense ed il dumping fiscale europeo

    Le reazioni dei vertici europei alla possibile imposizione dei dazi sull’export europeo promessa dalla presidenza Trump esprimono una ingiustificabile ipocrisia in quanto andrebbe ricordato come il termine meno compreso all’interno della nuova strategia statunitense risulti, ancora oggi, sicuramente la “reciprocity”.

    L’amministrazione statunitense ha intenzione di imporre il medesimo trattamento fiscale riservato dalle istituzioni europee alle merci americane nel mercato europeo. In questo senso va ricordato come l’import statunitense di auto europee sia gravato da una tassa del 2,5%. Viceversa l’import di autoveicoli statunitensi nel mercato europeo è soggette ad un dazio al 10% (4 volte superiore a quello americano) oltre all’Iva la quale mediamente in Europa si attesta al 21%.

    Al di là della evidente diversità dei due regimi fiscali, statunitense ed europeo, e quindi in ragione del fatto che l’Iva sia una tassazione sconosciuta negli Stati Uniti, tuttavia la somma complessiva del “ricarico fiscale” in Europa si attesta complessivamente ad un +31%, più di 12 volte di quanto imposto dagli Stati Uniti sull’import europeo. Va poi ricordato che, anche se l’Iva venga calcolata su tutti i prodotti presenti sul mercato europeo, per quanto riguarda i prodotti destinati all’export questi si avvalgono dell’esenzione IVA.

    I prodotti europei, quindi, godono di un vantaggio competitivo fiscale del 21% (esenzione Iva), al quale nel settore autovetture va sommato il 10% come dazio imposto dall’Europa, mentre risultano soggetti ad una aliquota del 2,5% imposta dagli Stati Uniti.

    Come logica conseguenza, all’interno dei flussi commerciali tra Stati Uniti ed Unione Europea, l’export europeo verso gli Usa si avvantaggia di un regime fiscale calcolabile come un vero e proprio dumping fiscale del -28,5% (*). Ecco quindi giustificata, anche in termini percentuali, la volontà da parte dell’amministrazione statunitense nel ristabilire, ispirandosi appunto ad un concetto di reciprocity, un equilibrio fiscale nei flussi commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea.

    L’Europa certamente è cresciuta grazie alle indubbie eccellenze nei settori più disparati, dal Made in Italy all’Automotive tedesco, creando così dei flussi commerciali raddoppiati nell’ultimo decennio, e che complessivamente rappresentano quasi il 30% del commercio mondiale di beni e servizi e il 43% del PIL mondiale, fino a raggiungere nel 2023 1.500 Mld di euro.

    Questi flussi, tuttavia, sono stati influenzati da un dumping fiscale europeo che ora viene considerato insostenibile dall’amministrazione Usa.

    Il libero mercato si basa su di una accettabile reciprocity fiscale la quale permette che a concorrenza diventi il solo valore aggiunto e non il frutto di un dumping fiscale.

    (*) Dumping fiscale risultante dalla differenza tra la somma tra Iva e dazio, per esempio per le auto, (21+10=31%) e l’imposizione fiscale statunitense sull’import europeo (2,5%): 28,5%.

  • L’illusione fiscale

    Tanto il governo Draghi quanto il governo Meloni hanno enfatizzato l’effetto economico della politica governativa la quale avrebbe destinato, a loro dire, 9/10 mld di risorse pubbliche nel taglio del cuneo fiscale. Esattamente come con il governo precedente i dati reali relativi all’impatto di questa strategia fiscale in relazione al reddito disponibile risultano controversi e per molti casi decisamente imbarazzanti.

    In termini generali queste manovre si dimostrano essenzialmente come una semplice operazione di natura politica e mediatica, in quanto non va dimenticato come ogni “riduzione del cuneo fiscale” viene accompagnata da una completa e radicale revisione delle tax expenditures.

    L’effetto combinato di tale rivisitazione fiscale si manifesta con la neutralizzazione degli effetti economici reali della riduzione del cuneo fiscale per le diverse fasce di reddito,  in più i vantaggi risultano risibili in rapporto alle dotazioni di finanza pubblica dichiarate. Soprattutto emerge evidente come questa grande operazione di “finanza pubblica” ad “esclusivo interesse dei lavoratori” alla fine si dimostra per lo Stato una semplice operazione a costo zero ma con un impatto mediatico ed elettorale molto forte.

    Nel frattempo, solo nel 2023, lo Stato italiano si è trovato maggiorata la propria dotazione finanziaria di oltre 24 miliardi grazie al Fiscal drag, alla quale va aggiunta una cifra molto simile (23 miliardi) proveniente dalla lotta all’evasione fiscale.

    Una semplice somma aritmetica dimostra come risultino quasi cinquanta (47 per la precisione) i miliardi di entrate extra alle quali andrebbero aggiunti anche i risparmi nei costi di servizio al debito pubblico conseguenti ai tassi di interesse decrescenti. Di questa dotazione finanziaria non si trova alcuna traccia all’interno delle leggi finanziarie del governo in carica.

    Tenendo comunque in conto come  una quota di tali risorse aggiuntive sia obbligatoriamente destinata al riequilibrio del rapporto debito/Pil come inevitabile conseguenza della approvazione del nuovo patto di stabilità, rimane ingiustificabile la continua crescita del debito pubblico (2981 miliardi) contemporaneamente all’aumento della spesa pubblica alla quale fa riscontro un continuo aumento della pressione fiscale.

    Viceversa, in rapporto ad una strategia fiscale che volesse riconoscere un immediato e verificabile ristoro per i lavoratori italiani, basterebbe considerare come un decimo di questa dotazione finanziaria aggiuntiva sarebbe stato sufficiente per mantenere lo sconto fiscale sulle accise dei carburanti. Questo, per cominciare, si sarebbe dimostrato un aiuto vitale soprattutto per le  fasce economiche più deboli, in considerazione anche del fatto che la cilindrata media in Italia delle automobili è di 1.524 cc, e quindi l’applicazione inversa del principio dell’utilità marginale decrescente  porterebbe un vantaggio immediato e tangibile per le fasce di reddito più basse.

    In più se per una volta un governo italiano intendesse adottare una politica assolutamente Innovativa e quindi anticipatrice delle problematiche anche solo per il breve termine, si potrebbe adottare. in previsione dell’aumento del 30% delle bollette energetiche nel 2025, la medesima riduzione dell’IVA dal 22 al 5% adottata  dal governo Draghi.

    Quella manovra ebbe un impatto sui conti dello Stato nel 2022 per circa 16 miliardi ma che ora invece  necessiterebbe di  risorse inferiori agli 8 miliardi in quanto il prezzo di riferimento del gas attuale, sul quale andrebbe calcolata la riduzione percentuale di 17 punti di IVA,  risulta inferiore del 55% rispetto a quello del 2022.

    Viceversa, si continua ad adottare la medesima politica della illusione fiscale.

  • Canada announces new border rules following Trump tariff threat

    Canada has promised to implement a set of sweeping new security measures along the country’s US border, including strengthened surveillance and a joint “strike force” to target transnational organised crime.

    The pledge follows a threat from President-elect Donald Trump to impose, when he takes office in January, a 25% tariff on Canadian goods if the country does not secure its shared border to the flow of irregular migrants and illegal drugs.

    Economists say such tariffs could strike a blow to Canada’s economy.

    Announcing details of the plan, Canada’s minister of finance and intergovernmental affairs said the federal government would devote C$1.3bn ($900m; £700m) to the plan.

    The measures “will secure our border against the flow of illegal drugs and irregular migration while ensuring the free flow of people and goods that are at the core of North America’s prosperity”, Minister Dominic LeBlanc said on Tuesday.

    The five pillars of the plan cover the disruption of the fentanyl trade, new tools for law enforcement, enhanced coordination with US law enforcement, increased information sharing and limiting traffic at the border.

    They include a proposed aerial surveillance task force, including helicopters, drones and mobile surveillance towers between ports of entry.

    The government is also giving the Canada Border Service Agency funds to train new dog teams to find illegal drugs, and new detection tools for high-risk ports of entry.

    And LeBlanc provided further detail on the so-called “joint strike force” for Canadian and US authorities, saying it would include “support in operational surges, dedicated synthetic drug units, expanded combined forces, special enforcement units, binational integrated enforcement teams, and new operational capacity and infrastructure”.

    The new plan appears to correspond to the concerns publicly disclosed by Trump in recent weeks: the flow of fentanyl and undocumented immigrants into the US.

    The number of crossings at the US-Canada border is significantly lower than at the southern border, according to US Border Patrol data on migrant encounters, as is the amount of fentanyl seized.

    Mexico is also facing a 25% tariff threat.

    LeBlanc said he and other officials had a “preliminary” conversation with Trump’s incoming “border tsar” Tom Homan about the new plan.

    “I’m in encouraged by that conversation,” he said.

    LeBlanc was present at a meeting last month between Prime Minister Justin Trudeau and Trump at Mar-a-Lago, a trip reportedly meant to head-off the levy.

    The announcement comes on LeBlanc’s first day as Canada’s finance minister.

    The longtime ally to Trudeau was hastily sworn in on Monday after the surprise resignation of Chrystia Freeland, who served as both finance minister and deputy prime minister.

    Freeland quit her posts with a scathing open letter to Trudeau in which she outlined disagreements she had with him on spending and “the best path forward for Canada”.

    Her abrupt exit from cabinet has put additional strain on Trudeau’s weakened minority government.

    On Tuesday, in a speech to party faithful at a Liberal holiday event, a defiant Trudeau said there are “always tough days and big challenges” in politics.

    “But this team doesn’t hold the record for the longest minority in Canadian history because we shy away from these moments, we put in the work, whether it’s easy or hard”.

  • Barcellona e Madrid verso l’intesa sull’autonomia fiscale della Catalogna

    Dopo oltre due mesi di complesse trattative, il leader socialista catalano Salvador Illa fa un passo decisivo verso la presidenza della regione, in cambio di un radicale cambiamento del sistema di finanziamento da parte del governo centrale spagnolo. Il pre-accordo raggiunto tra il Partito socialista catalano (Psc) e Sinistra repubblicana di Catalogna (Erc) prevede, infatti, che la regione esca dal sistema tributario comune e che l’Agenzia fiscale catalana gestisca, regoli, riscuota e ispezioni tutte le imposte (a partire da quella sulle persone fisiche). L’intesa dovrà ora ottenere il via libera dalla base del partito indipendentista attraverso una consultazione online. Il governo spagnolo di Pedro Sanchez ha dovuto dunque accettare una delle richieste storiche avanzate da Erc, pur di sbloccare l’investitura di Illa, che sembrava sul punto di arenarsi, con lo spettro della convocazione di nuove elezioni dopo quelle del 12 maggio scorso.

    L’esecutivo di Madrid ha celebrato l’accordo con Erc come un “trionfo del dialogo e della politica”, nonostante alcuni esperti parlino di “una grave violazione del principio di solidarietà”. Il patto sarà articolato attraverso la commissione bilaterale tra la Catalogna e lo Stato, i cui accordi saranno trasferiti alla commissione mista per gli affari economici per l’approvazione finale. L’Agenzia fiscale catalana assumerà “progressivamente” le competenze e la Generalitat catalana sarà dotata anche di “una maggiore capacità fiscale”. Il calendario dell’introduzione della riforma inizierà con la campagna di imposta sul reddito delle persone fisiche del 2025 ed in seguito si inizierà ad implementare il sistema di riscossione dell’Iva, la tassa sulle Piccole e medie imprese (Pmi) e gli affitti turistici. Il pre-accordo presuppone che la Catalogna, dopo la riscossione, versi due contributi annuali allo Stato: uno per pagare i servizi dell’amministrazione centrale in Catalogna e l’altro per solidarietà con il resto delle regioni. Entrambi gli importi dovrebbero essere negoziati bilateralmente.

    In concreto, il testo dell’intesa spiega che la regione “deve gestire, riscuotere, liquidare e controllare tutte le imposte che gravano sulla Catalogna e aumentare in modo sostanziale la sua capacità normativa in coordinamento con lo Stato e l’Unione Europea”. Il documento di 24 pagine si sofferma anche sulla “tesoreria catalana”: per attuare questo nuovo modello, “è essenziale che lo sviluppo della tesoreria catalana sia una priorità per il prossimo governo della Catalogna, con l’obiettivo di raggiungere la piena autonomia nella raccolta, gestione, liquidazione e ispezione di tutte le imposte” generate nel territorio regionale. Con l’obiettivo di implementare questo nuovo sistema di finanziamento singolare per la Catalogna, durante il primo semestre del 2025 l’accordo dovrà essere formalizzato nella commissione bilaterale tra il governo regionale e quello centrale. Gli obiettivi sono la progressiva assunzione, da parte dell’Agenzia fiscale della Catalogna, della gestione, della riscossione, della liquidazione, dell’ispezione e della disponibilità di tutte le imposte sostenute in Catalogna, insieme all’aumento sostanziale, da parte della Catalogna, della sua capacità di regolamentazione fiscale in coordinamento con lo Stato e l’Unione Europea.

    L’intesa ha provocato l’immediata reazione del Partito popolare (Pp), che ha parlato esplicitamente di “corruzione politica ed economica”. Il portavoce del Pp al Congresso dei deputati Miguel Tellado ha dichiarato che se venisse confermata si tratterebbe di “un errore storico” da parte dei socialisti. Sarebbe un attacco al resto delle comunità autonome, rompendo il multilateralismo e optando per il bilateralismo solo con alcune”, ha attaccato Tellado. Forti critiche sono state espresse anche dall’Associazione del corpo superiore degli ispettori fiscali dello Stato (Ihe) che ha diffuso, prima che si conoscessero i dettagli del pre-accordo, un duro comunicato nel quale si evidenzia che la presunta “indipendenza fiscale” concessa è una “barbarie” con “terribili conseguenze” per tutti gli spagnoli, minacciando di portare questa “rottura” in tribunale. Gli ispettori fiscali hanno manifestato il loro “rifiuto totale e assoluto” di questo “modello di finanziamento à la carte per la Catalogna, sotto il riconoscimento fallace di una singolarità storica che mira a rompere con i principi stabiliti nella Costituzione” e che “non rappresenta la maggioranza sociale”, dal momento che il potere fiscale corrisponde allo Stato. La Ihe ha evidenziato che “si romperebbe il coordinamento del sistema fiscale con il conseguente aumento delle frodi” e dei costi per tutti i cittadini “in modo inutile e inefficiente”, e si perderebbe, inoltre, “la stragrande maggioranza dei servizi forniti dallo Stato”.

  • Le regole per spendere meno in sanità grazie alle detrazioni fiscali

    Nelle dichiarazioni dei redditi precompilate, messe a disposizione dall’Agenzia delle Entrate dal 30 aprile, sono confluiti circa 1 miliardo e 300 milioni di dati: la parte più consistente riguarda le spese mediche e sanitarie, che i contribuenti possono utilizzare per ridurre l’imposta da versare.

    I costi per la salute sostenuti durante tutto il 2023, infatti, se inseriti nel modello 730/2024, da inviare entro la scadenza del 30 settembre, danno diritto a una detrazione IRPEF pari al 19 per cento.

    Per beneficiare dello sconto d’imposta regolato dall’articolo 15 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, però, bisogna tenere conto di alcune regole ed eccezioni.

    Nella versione pronta all’uso della dichiarazione dei redditi l’Agenzia delle Entrate indica già le informazioni sulle spese sanitarie in suo possesso.

    Ma sia per chi usa la precompilata che per chi sceglie la via ordinaria è utile conoscere le istruzioni per calcolare la detrazione spettante, ovvero l’agevolazione che agisce sul calcolo dell’imposta dovuta riducendone il suo valore e che è diversa dalla deduzione, grazie alla quale si riduce, invece, la base imponibile su cui viene calcolata l’imposta.

    Quali sono le spese mediche detraibili tramite modello 730/2024?

    Prima di entrare più nel dettaglio delle spese sanitarie detraibili, bisogna chiarire che l’agevolazione è accessibile soltanto nel caso in cui l’importo speso nell’arco del 2023 sia superiore a 129,11 euro.

    Si tratta della cifra prevista per la cosiddetta franchigia che consiste in una somma di fatto esclusa dall’applicazione della detrazione.

    Nel calcolo dei costi sostenuti possono essere incluse le seguenti voci:

    – prestazioni rese da un medico generico (comprese le prestazioni rese per visite e cure di medicina omeopatica);

    • acquisto di medicinali da banco e/o con ricetta medica (anche omeopatici);
    • prestazioni specialistiche;
    • prestazioni chirurgiche;
    • analisi, indagini radioscopiche, ricerche e applicazioni, terapie;
    • ricoveri collegati a una operazione chirurgica o a degenze;
    • acquisto o affitto di protesi sanitarie;
    • spese relative all’acquisto o all’affitto di dispositivi medici (ad esempio apparecchio per aerosol o per la misurazione della pressione sanguigna), ma dallo scontrino o dalla fattura deve risultare il soggetto che sostiene la spesa e la descrizione del dispositivo medico che deve essere contrassegnato dalla marcatura CE;
    • spese relative al trapianto di organi;
    • cure termali (escluse le spese di viaggio e soggiorno).

    E inoltre sono detraibili, anche senza una specifica prescrizione da parte di un medico ma con una dettagliata documentazione, gli importi pagati per l’assistenza infermieristica e riabilitativa (come ad esempio fisioterapia, kinesiterapia, laserterapia) e per le prestazioni rese da personale con le caratteristiche che seguono:

    • in possesso della qualifica professionale di addetto all’assistenza di base o di operatore tecnico assistenziale esclusivamente dedicato all’assistenza diretta della persona;
    • di coordinamento delle attività assistenziali di nucleo;
    • con la qualifica di educatore professionale;
    • addetto ad attività di animazione e/o di terapia occupazionale.

    In linea generale anche i ticket pagati sono detraibili, se le spese appena elencate sono state sostenute nell’ambito del Servizio sanitario nazionale.

    La cifra su cui calcolare lo sconto IRPEF può includere anche i costi sostenuti per i familiari fiscalmente a carico e, in alcuni casi, nell’interesse di familiari non a carico, come per le spese sanitarie per patologie che danno diritto all’esenzione dal ticket sanitario.

    Anche chi si cura all’estero, inoltre, può beneficiare delle agevolazioni fiscali con le stesse regole.

    Detrazione spese mediche nel modello 730/2024: le istruzioni da seguire

    Chiarite quali sono le spese sanitarie detraibili tramite modello 730/2024, è necessario passare a rassegna alcune regole che per i costi legati alla salute prevedono delle eccezioni.

    Prima di tutto l’obbligo generalizzato di tracciabilità dei pagamenti per accedere agli sconti IRPEF non si applica del tutto in ambito sanitario.

    L’acquisto di medicinali e dispositivi medici e le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche e quelle private accreditate al Servizio sanitario nazionale danno diritto allo sconto IRPEF anche in caso di pagamento in contanti.

    Allo stesso modo alle spese sanitarie non si applica il meccanismo di riduzione progressiva delle detrazioni fino all’azzeramento in presenza di redditi superiori a 240.000 euro, che scatta per coloro che hanno redditi superiori a 120.000 euro.

    Ricapitolando, in linea generale per calcolare in che misura le spese mediche riducono l’imposta da versare bisogna considerare i seguenti aspetti:

    • la tipologia di costi sostenuti per la salute;
    • le modalità di pagamento, considerando regole ed eccezioni;
    • l’importo totale, che deve superare la franchigia di 129,11 euro.

    L’importo delle spese sanitarie che danno diritto a una detrazione IRPEF del 19 per cento tramite il modello 730/2024 devono essere inserite, o per chi usa la precompilata e non si è opposto all’utilizzo dei dati risultare già inserite, nel Quadro E – Oneri e Spese.

    A supporto degli importi indicati, i contribuenti devono avere cura di conservare anche una serie di documenti con relativa traduzione, se i costi sono stati sostenuti all’estero, ma nessun controllo documentale è previsto per chi accetta la versione precompilata senza modificare quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate.

  • L’insostenibile pesantezza della pressione fiscale

    “Più si aumentano le aliquote e meno le imposte rendono; per ottenere il rendimento bisogna invece diminuire le aliquote”, Luigi Einaudi

    A questo pensiero illuminato del più grande Presidente della Repubblica va aggiunto come egli fosse anche convinto che con la stessa moltiplicazione delle imposte, avendo queste sempre un costo, diminuisse l’efficienza del sistema fiscale complessivo.

    La classe politica italiana, viceversa, da oltre trent’anni anni utilizza la leva fiscale semplicemente con l’unico obiettivo di fornire le risorse necessarie ad una spesa pubblica assolutamente impazzita ed ingestibile, troppo spesso espressione di interessi lobbistici o di gruppi di interesse. La giustificazione sempre addotta per giustificare questa deriva e la contemporanea esplosione della pressione fiscale rimane quella relativa al mancato apporto finanziario legato alla quota di reddito evaso.

    Andrebbe ricordato come questa quota evasa abbia una minima incidenza con 80 miliardi di imponibile su di una spesa pubblica che sta arrivando ai 1.100 miliardi e si dimostra, quindi, un argomento più politico che economico in quanto assolutamente irrisoria nella sua entità, rappresentando meno del 5% della spesa complessiva.

    La leva, o la clava fiscale, rappresenta, quindi, l’estrema ratio, la quale consente ad una classe politica assolutamente irresponsabile di continuare ad aumentare la spesa pubblica in virtù di un ipotetico benessere per la collettività. Un concetto alquanto infantile in quanto l’effetto della realizzazione di un’opera pubblica, non venendo più realizzata da un’azienda ma arrivando da un general contractor il quale poi, a sua volta, attraverso la catena di subappalti, trasferisce a caduta ad aziende specifiche che gli assicurano i minimi costi. Di conseguenza lo stesso aumento della occupazione risulterebbe assolutamente irrisorio e a tempo determinato.

    Il raggiungimento, come il superamento, del 50% della aliquota fiscale nel nostro Paese rappresenta uno scandalo senza precedenti anche in prospettiva della continua e costante riduzione della spesa pubblica dedicata, per esempio, al sistema sanitario nazionale.

    Questa deriva economico-fiscale meriterebbe un approfondimento sulla capacità ed onestà intellettuale di chi ha gestito tanto la spesa quanto la pressione fiscale negli ultimi anni a partire dal 2011, quando il debito pubblico segnava 1987 mld mentre ora ha raggiunto i 2867 mld.

    Appare evidente come la leva fiscale e la stessa spesa pubblica e il debito che ne consegue rappresentino l’espressione di una forma di potere assolutamente svincolata dai suoi effetti per la popolazione, come ampiamente ho anticipato quasi otto anni addietro (*).

    Riportare la spesa pubblica, e la sua prima sorgente che la rifornisce, cioè la pressione fiscale, all’interno di un rapporto di valutazione costi/benefici rappresenta la prima scelta per tentare di rientrare all’interno di un sistema democratico che abbia come obiettivo la crescita dell’intero Paese.

    Nel caso contrario con questa aliquota (50,3%) lo Stato diventa semplicemente un predatore di risorse finalizzate al conseguimento di obiettivi politici ed etici, spesso espressione di deliri ideologici, e comunque sempre molto lontani dal concetto istituzionale di benessere collettivo.

    (*)  Novembre 2018 La vera diarchia https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

Pulsante per tornare all'inizio