Terrorismo

  • Chi trarrà vantaggio dall’attentato a Mosca?

    Putin, costretto dalle prove ad ammettere che il tragico attentato di Mosca è stato compiuto da terroristi islamici, insiste nel cercare responsabilità di Kiev e dei paesi occidentali, additandoli come i mandanti e gli addestratori, per giustificare il fallimento dei suoi servizi di sicurezza e crearsi un ‘alibi’ per intensificare i barbari attacchi contro i civili ucraini.

    Lo zar sostiene, e sarebbe ridicolo se invece non fosse tragico, che l’Ucraina avrebbe un beneficio dalla strage di Mosca! Quale sarebbe questo beneficio? Non è stato un attacco contro una struttura militare, contro lo stesso Cremlino, contro chi tiene detenuti i dissidenti ma un eccidio di civili che porterà nuove repressioni in Russia e ancora maggiore violenza militare, bombe, morti e feriti in Ucraina.

    Il cui prodest vede solo due ipotesi, quella ovvia e ufficializzata di una nuova azione dell’Isis K, che ha già ripetutamente preso di mira la Russia e che vuole, come ogni organizzazione terrorista, colpire nel mucchio e diramare il terrore, o quella di un attentato cresciuto all’interno dell’apparato per giustificare le prossime nefandezze e crudeltà di Putin.

    In effetti l’unico che trarrà vero beneficio dalle morti e dai feriti è lo stesso presidente che, come in altre occasioni simili, chiamerà tutti ad una maggiore coesione per difendere la madre Russia, spazzerà via quei dissidenti che hanno avuto il coraggio di opporsi il giorno delle elezioni, additerà l’Occidente come il nemico numero uno e chiederà di seguirlo senza protestare nella distruzione dell’Ucraina.

    Ormai sappiamo bene che ogni dichiarazione di Putin è una falsità, che mente sapendo di mentire e che dalle sue menzogne costruisce le sue verità, conosciamo da tempo i sistemi di controinformazione e manipolazione dell’apparato del Cremlino e sappiamo altrettanto bene che la sete di sangue e di potere del nuovo zar è immensa, perciò prepariamoci.

  • Cosa si aspettava Hamas dal tremendo atto del 7 ottobre?

    Nessuno è in grado di dire oggi come sarà la Gaza del futuro e la stessa incertezza riguarda la Cisgiordania. È risaputo che dentro il governo di Netanyahu ci sono personaggi e forze politiche che ambiscono all’assorbimento di tutti questi territori dentro lo Stato di Israele ma, anche se ciò dovesse (improbabilmente) avvenire, resta la domanda su cosa sarà dei milioni di palestinesi che oggi abitano quelle zone. Il desiderio dei fanatici religiosi e dei super-nazionalisti israeliani è quello di tenerli fuori dai futuri confini ma questa possibilità sembra irrealistica. Giordania ed Egitto, i due Stati confinanti che, in teoria, dovrebbero accoglierli hanno già dichiarato in modo inequivocabile che non se ne parla nemmeno. Il loro atteggiamento è più che comprensibile poiché non si tratta di qualche centinaio d persone ma di milioni: un popolo con una propria identità e un odio sempre più condiviso e radicale contro gli occupanti delle loro terre.  È ovvio che costoro rappresenterebbero un enorme fattore di instabilità interna ed esterna per entrambi i Paesi ospitanti. La Giordania ha già un problema con la grande quantità di palestinesi che vivono dentro i suoi confini e, a prescindere da possibili (forse probabili) sentimenti affettivi, il fatto che il re di Giordania abbia scelto come sposa proprio una palestinese suona un po’ come quando gli antichi sovrani sposavano le figlie del re di un Paese potenzialmente nemico proprio per farselo amico. In Egitto non stanno molto meglio. Se, come ipotizzano alcuni fanatici a Tel Aviv, tutti i palestinesi fossero confinati nel semi-desertico Sinai da lì rilancerebbero le loro battaglie, esattamente come hanno fatto assieme a Hezbollah in Libano. Con l’aggravante che, di là dalla retorica, il governo egiziano ha tutto l’interesse, economico e politico, ad avere buoni rapporti con i governi di Israele e non diventare la base di partenza per un nuovo conflitto.

    Considerata la situazione attuale, ci sarebbe da domandarsi perché l’ha fatto e cosa si aspettava Hamas dal tremendo atto disgustoso del 7 ottobre. Solo per ingenuità si può immaginare che Hamas con quell’azione sperasse poi di distruggere Israele sul campo di battaglia e i dirigenti di questo gruppo terroristico sono tutto salvo che ingenui. Gli obiettivi veri erano almeno tre e, considerato il susseguirsi degli eventi, li ha raggiunti tutti. Ecco le ragioni che hanno spinto Hamas ad agire proprio in quel momento e in quel modo truce dopo essersi preparato a farlo per lungo tempo:

    • Gli accordi di Abramo cui avevano già aderito Emirati Arabi e Bahrein stavano per estendersi anche all’Arabia Saudita. Grazie all’azione diplomatica iniziata da Jared Kushner (genero di Donald Trump), i colloqui in questa direzione continuavano da alcuni mesi e tutti gli osservatori si aspettavano potessero concludersi abbastanza a breve. L’Arabia Saudita è pur sempre un Paese politico di riferimento per molti Stati arabi e la riapertura di questi rapporti economici e politici con Israele avrebbero cambiato radicalmente gli equilibri in tutto il Medio Oriente. A Mohamed Bin Salman servivano i capitali e il know how israeliano per dare una ulteriore spinta al suo progetto avveniristico Vision 2030 e per Israele avrebbero rappresentato un grande successo diplomatico. Certamente, nell’intesa si sarebbero spese parole di facciata per lo status futuro dei palestinesi ma era chiaro a tutti che, dopo la firma, il futuro di questi ultimi sarebbe stato segnato negativamente e, forse, per sempre. Chi, assieme a loro, ci avrebbe rimesso pesantemente era il nemico più pericoloso che Israele ha attualmente e cioè l’Iran. Una alleanza tra Riad e Tel Aviv avrebbe accentuato l’isolamento di Teheran anche in barba all’accordo sottoscritto pochi mesi orsono con la mediazione cinese e la riapertura dei rapporti diplomatici. I fatti del 7 ottobre e ciò che ne è seguito hanno messo una pietra molto pesante sulla strada di quel negoziato.
    • Tutti i sondaggi svolti tra i palestinesi di Gaza e di Cisgiordania prima del 7 ottobre attestavano che l’impopolarità sia di Hamas sia della Autorità Nazionale Palestinese era in costante aumento. Nel frattempo, sempre più coloni israeliani occupavano abusivamente con le armi nuovi territori appartenuti a contadini palestinesi in Cisgiordania, alimentando in loro una sensazione di rabbia e di impotenza. Il disumano attacco del 7 ottobre è apparso a tutti i palestinesi che nutrivano odio per gli occupanti e per il governo di Tel Aviv che li legittimava come una doverosa punizione e una giusta vendetta. Ogni sondaggio effettuato dopo quella data presso gli stessi soggetti ha mostrato che, mentre l’Autorità continua a perdere consenso, Hamas lo ha riguadagnato in grande misura.
    • La reazione spropositata e tragica di Israele era stata, in una certa misura, preventivata dai capi del gruppo terrorista ma, proprio in vista di quella reazione, erano stati presi quel centinaio di ostaggi che dovevano servire a obbligare Tel Aviv ad una qualche trattativa, o almeno a contenere la dimensione della ritorsione. Il fatto che l’esercito israeliano abbia invece ricevuto l’ordine di agire con tutti i mezzi e senza alcun riguardo per la popolazione civile ha causato quello che, seppur impropriamente, qualcuno arriva a definire come genocidio. A questo proposito va considerato che i guerriglieri terroristi sono mischiati tra la popolazione civile e che strutture teoricamente intoccabili quali scuole, moschee e sedi della UNRWA sono stati usati, in superficie o nei loro sotterranei, quali basi logistiche. Tuttavia, il risultato che sta sotto gli occhi di tutto il mondo è che decine di migliaia di civili, molti dei quali magari perfino ostili ad Hamas, sono rimasti uccisi sotto i bombardamenti più o meno indiscriminati. È duro affermarlo ma è evidente che, con il loro solito cinismo, i capi di Hamas traggono vantaggio da questa carneficina. Infatti, dopo ogni nuovo bombardamento o scontro a fuoco i responsabili delle relazioni pubbliche di Hamas e la sodale Al Jazeera si precipitano ad offrire al mondo e ai giornalisti stranieri (nessuno di loro è autorizzato ad essere presente) cifre, magari gonfiate, delle vittime civili. Se, come posso dare per certo, il terzo obiettivo di Hamas era quello di attirare l’attenzione e la simpatia mondiale verso la causa del popolo palestinese e suscitare una incontenibile indignazione contro gli israeliani il risultato voluto è stato raggiunto. Nonostante gli americani (e i loro alleati) critichino le “esagerazioni” israeliane nessun governo amico osa condividere formalmente le condanne indirizzate all’ONU contro Tel Aviv. Ciò che vale per alcuni governi non vale però per la maggior parte della popolazione mondiale e cortei e manifestazioni di solidarietà verso i palestinesi sono sempre più numerose e partecipate in Europa, negli Stati Uniti e in tutto il mondo arabo. È evidente ad ogni osservatore che una componente tra i manifestanti lo fa per puro e mai sopito antisemitismo ma la motivazione formale di tutti è quella più utile ad Hamas e cioè la condanna dell’aggressione degli “ebrei” contro una popolazione araba indifesa.

    Dopo la feroce azione del 7 ottobre e indipendentemente dai sentimenti di simpatia per un partito o l’altro tutti gli israeliani furono, contemporaneamente, indignati e impauriti ed è stato quindi facile formare un governo di emergenza che comprendesse quasi tutte le forze politiche di Tel Aviv. Sarebbe stato difficile, nei giorni immediatamente successivi al tragico evento, opporsi a un qualche atto che suonasse come pesante ritorsione e tuttavia i risultati ottenuti fino ad oggi dimostrano che le decisioni prese si sono rivelate un tragico errore. Neanche la metà dei guerriglieri di Hamas sono stati identificati e messi fuori combattimento, i combattimenti a Gaza continuano tuttora, dal Libano (seppur senza passare un certo limite) sono ricominciati i lanci di razzi e perfino nel non vicino Yemen gli Houthi stanno contribuendo ad allargare il conflitto colpendo le navi che vorrebbero transitare verso il Canale di Suez. Che dietro gli Houthi ci siano gli iraniani è scontato, ma lo fanno nascondendo le mani poiché né all’Iran né agli Stati Uniti conviene dichiarare una guerra aperta, almeno fino ad ora. Gli iraniani, pur dichiarando sostegno ai palestinesi, non ammettono nessun loro coinvolgimento diretto e anche gli americani ed i britannici giustificano i loro attacchi contro le basi missilistiche e dei droni degli Houthi come semplici come atti di difesa.

    Col senno di poi è certamente più facile ragionare, ma che il tipo di reazione israeliana si stia rivelando un errore per loro e una vittoria per Hamas è qualcosa che non si può negare.  In altre parole, comunque finisca il conflitto, chi sta realmente vincendo al momento questa guerra non è l’esercito israeliano. Forse possiamo affermare che sarebbe stato più opportuna un altro tipo di reazione. Magari un atto simbolico contro le postazioni missilistiche di Hamas già conosciute, un sostegno internazionale per la liberazione immediata degli ostaggi e, nel tempo, qualcosa di simile a ciò che fu fatto dai sevizi segreti israeliani dopo l’attentato di Monaco durante le olimpiadi: una identificazione sicura dei vertici dell’organizzazione terroristica e l’eliminazione fisica di tutti loro.

    Purtroppo, del senno di poi …

  • 550 chilometri di tunnel sotto Gaza

    Una rete di tunnel impressionante con una galleria capace di far passare un’auto o un’altra estesa quanto tre campi di calcio e collocata sotto un ospedale. La maestria di Hamas nel costruire la sua difesa sotterranea ha impressionato l’esercito israeliano che ha documentato con video e fotografie lo straordinario dedalo che da tempo era considerato una grave minaccia per loro a Gaza anche prima della guerra in corso. A lasciare esterrefatti i funzionari israeliani sono state la quantità, la qualità e la profondità dei tunnel scavati da Hamas. E se fino a dicembre si stimava che la rete si estendesse per circa 400 chilometri, gli alti funzionari della difesa israeliana, interpellati dal New York Times, parlano adesso di uno spazio compreso tra i 550 e i 700 chilometri con 5700 pozzi di accesso. Il tutto costruito sotto un territorio che nel suo punto più lungo misura appena 40 chilometri.

    Hamas usa i tunnel come basi militari e arsenali, per spostamenti delle forze e per proteggere i comandanti. Un documento del 2022 mostrava che Hamas aveva stanziato un milione di dollari per le porte dei tunnel, i laboratori sotterranei e altre spese nel solo territorio di Khan Younis, dove, stando a fonti dell’intelligence israeliana, i tunnel si estendono per circa 160 chilometri.

    In un rapporto del 2015 si parla di una spesa di più di 3 milioni di dollari che Hamas aveva affrontato per realizzare tunnel in tutta la Striscia di Gaza, molti dei quali edificati sotto infrastrutture civili e luoghi sensibili come scuole e ospedali. I tunnel sarebbero stati costruiti con modalità diverse: quelli per i comandanti sarebbero più profondi e confortevoli perché sono ipotizzati periodi di soggiorno più lunghi, e gli altri, utilizzati dagli agenti, meno profondi e più essenziali.

  • Italiani in Africa, terrorismo, Cina, catena alimentare nella presentazione a Milano di ‘Safari’ di Cristiana Muscardini

    Si è svolta a Milano, alla Fabbrica del Vapore, la presentazione di Safari, l’ultimo libro di Cristiana Muscardini intervistata dal giornalista Andrea Vento.

    Molte le domande fatte dal numeroso pubblico interessato anche ad approfondire i ruoli che Onu ed Unione Europea hanno giocato o non giocato rispetto ai problemi dell’immigrazione ed alle situazioni drammatiche che vivono gli abitanti di alcuni paesi africani per le carestie, la mancanza di acqua e per le guerre ed il terrorismo. Proprio sul problema terrorismo sia l’autrice che Vento hanno parlato del Corno d’Africa e della sempre difficile situazione in Somalia per gli al Shabaab che hanno portato il terrorismo in Kenya con numerosi e sanguinosi attentati.

    Nel libro sono rappresentati alcuni italiani che, nel dopoguerra, si erano trasferiti in Africa, trovando qui le più diverse esperienze ed avventure, partendo dai Mao Mao e dalla guerra di indipendenza in Kenya, l’autrice affronta anche i temi della catena alimentare, del bracconaggio, dello sterminio di rinoceronti ed elefanti, della necessità di convivenza tra animali selvatici e agricoltura essendo, entrambi, fonte di lavoro e miglioramento di vita.

    La Muscardini, sollecitata dalle puntuali e incalzanti domande di Andrea Vento, ha ricordato che così come gli europei, con tante esperienze comuni, sono diversi, per molti aspetti, da uno Stato all’altro così non si può parlare del continente africano senza conoscere le differenze che esistono tra i suoi paesi dal punto religioso, delle esperienze coloniali, della diversità delle ricchezze naturali e per la presenza, sempre più forte e a volte fonte di problemi complessi, della Cina e della Russia, che in Africa ha schierato anche i miliziani della Wagner, differenze che dovrebbero portare valutazioni geopolitiche più ampie rispetto a quelle fatte fino ad ora dall’Europa.

    Tra gli intervenuti lo scultore Stefano Soddu, Claudio Benedetti direttore generale di Federchimica, gli On. Dario Rivolta e Gabriele Pagliuzzi e l’On. Paolo Pillitteri, già sindaco di Milano.

  • Inutili oggi i se ed i ma

    In un giorno Hamas, il 7 ottobre, ha ucciso 1400 persone in Israele, donne stuprate ed uccise con bambini, vecchi, uomini che stavano facendo  la loro vita.
    In 35 giorni di guerra Israele ha ucciso, secondo i dati, da verificare, diffusi da Hamas, circa 10.000 persone, una parte di queste sono miliziani e dirigenti di Hamas.
    Se Israele avesse applicato i sistemi di Hamas, non con la crudeltà dei terroristi ma con più energiche azioni di guerra, seguendo i numeri e le percentuali del 7 ottobre, i morti sarebbero stati quasi 50.000, ma sembra che nessuno faccia qualche calcolo.
    Se Hamas non avesse attaccato ed ucciso i civili israeliani non ci sarebbero stati, nella striscia di Gaza, né morti né la distruzione di gran parte della città.
    Se Hamas non avesse impedito ai civili di scappare non ci sarebbero stati tante vittime civili, se Hamas non avesse costruito i tunnel sotto case, scuole, ospedali non ci sarebbero stati così sanguinosi bombardamenti, se avesse fatto riparare i civili, come ha fatto l’amministrazione Ucraina, le vittime sarebbero molte meno.
    Se i palestinesi di Gaza, o almeno una parte di loro, si fosse ribellata al dominio di Hamas, che li ha fatti vivere nella miseria utilizzando gli aiuti economici per armarsi sempre di più invece che per far vivere meglio la popolazione, avesse denunciato e almeno tentato di impedire la costruzione dei tunnel e dei depositi delle armi sotto gli ospedali e le case.
    Se Hamas con i suoi alleati, a partire dall’Iran, avessero riconosciuto lo Stato di Israele.
    Se, se, inutili oggi i se ed i ma, la realtà è quella che è: Hamas è responsabile per quanto ha fatto il 7 ottobre e per le conseguenze che ne sono derivate nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania, Israele ha il diritto di difendersi ed il dovere di cercare di difendere anche quella popolazione civile palestinese che Hamas usa come scudi umani mentre Abu Mazen aveva ed ha il dovere di condannare Hamas se vuole impedire che altri morti insanguino la Cisgiordania, oltre la striscia di Gaza.

    La realtà è che Hamas sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto, Hamas è stata la lunga mano utilizzata per realizzare un disegno più ampio che ha un duplice obiettivo: 1)cercare di distruggere per sempre lo Stato di Israele, 2) tentare di unire il più possibile la parte integralista del mondo arabo-mussulmano per mettere in minoranza i governi moderati e lanciare una sfida a tutto campo all’Occidente.
    Ci sono in gioco valori fondamentali come la libertà, i diritti umani, il rispetto delle culture e interessi di potere ed economici di grande portata.

    L’Islam integralista con aspirazioni egemoniche è presente in molti paesi, dall’Asia all’Africa, e sue cellule terroriste vivono e ramificano in occidente supportate dalla mancanza di visione di molti governi e dalla ingenuità di chi parla di pace senza accettare che, per mantenere la pace, bisogna rispettare regole e territori.
    In questa che sta diventando una guerra a tutto campo vi sono  anche chiare responsabilità della Russia, della Cina e dell’Onu diventata da anni un organismo pletorico incapace di difendere i principi  del diritto internazionale anche al proprio interno, come si è visto già dalla guerra in Ucraina.
    Comincino a pensare a questo coloro che sfilano senza accorgersi che anche le bandiere della pace sono ormai insanguinate dai distinguo tra i morti dell’una o dell’altra parte.

  • Risposte necessarie e condivise

    Sono passati più di 600 giorni dall’attacco di Putin all’Ucraina e la guerra continua con efferata crudeltà, da parte russa, con dispiego di mezzi ed uomini.

    Più di un terzo del territorio Ucraino è inagibile, devastato dalle bombe e minato dai soldati russi per rallentare l’avanzata dell’esercito di Kiev che con coraggio continua a difendere la propria terra.

    Non solo il grano ucraino non può liberamente partire verso quei paesi che ne hanno necessità per sopravvivere ma non può essere coltivato come un tempo, le terre coltivabili sono in parte distrutte e ci vorranno anni per bonificarle, mentre lo spettro della fame aleggia su gran parte del mondo e si moltiplicano le aree di conflitto.

    Lo zar ha cominciato una nuova chiamata alle armi indirizzata alle donne e trova fiato, alla stagnazione della sua campagna criminale, nella guerra che Hamas ha portato in Israele dichiarandosi mediatore per liberare gli ostaggi.

    Basta prendere la cartina geografica per capire da dove parte il grandioso progetto dello zar di ridare al mondo un nuovo ordine, politico, economico, militare, in sintesi un nuovo potere.

    La sempre più stretta amicizia con l’imperatore cinese, l’antico rapporto con il dittatore siriano, la nuova liaison con  Kim Jong-Un con l’arrivo in Russia di armi coreane, i buoni rapporti con Erdogan, che in modo funambolico cerca di giocare una sua partita di peso bilanciandosi tra Nato, Occidente ed il ruolo di mediatore e islamico apparentemente moderato, Libia, dove Putin  ha come riferimento il generale Haftar, vari stati africani, dove le milizie già di Prigozhin supportano vecchi dittatori e nuovi golpisti, e Iran dove il regime di Raisi gli fornisce droni a non finire. Né si devono dimenticare i rapporti con un certo numero di paesi dell’America Latina ed altre varie amicizie, più o meno palesi, in varie parti del mondo, compresi i paesi occidentali, lo stesso Orban mina la coesione europea a favore di Kiev.

    Nello stesso tempo il pericolo evidente di un allargamento del conflitto mediorientale può distrarre, in parte, l’attenzione occidentale dalla guerra in Ucraina e l’altrettanto grave pericolo del ritorno del terrorismo in Europa costringe ad un dispiego di mezzi e risorse per la sicurezza interna.

    Da queste brevi considerazioni dovrebbe nascere in tutti, specialmente nelle forze politiche e nei media, la necessità di concentrarsi su quanto è veramente preoccupante.

    Vi è ora, più che mai, la necessità di risposte condivise e ponderate, sembra invece che, come in altre occasioni, per altro di minor pericolo, troppi concentrino dichiarazioni ed azioni su presunti e pretestuosi interessi di parte, non si guardi, perciò, con stupore alla disaffezione al voto della maggioranza degli elettori.

  • Adesso è tutto chiaro

    Dopo le dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite Guterres è chiaro il motivo per il quale le Nazioni Unite da tempo non contano più nulla e non ottengono risultati, anzi aggravano i problemi.

    Se da un lato è giusto e doveroso preoccuparsi per i civili palestinesi, quelli che non sono complici e correi di Hamas, è improvvido, sbagliato, pericoloso, è una negazione di quanto Israele ha subito, pronunciare le parole che Guterres ha detto alle Nazioni Unite, parole che di fatto giustificano gli eccidi, le torture, le violenze perpetrate da Hamas il 7 ottobre.

    La richiesta di dimissioni di un uomo che di fatto ha reso le Nazioni Unite un organismo inutile ed imbelle e che, con le ultime dichiarazioni, fa da sponda al terrorismo non solo è legittima ma necessaria.

  • Due più due

    Putin si reca dal presidente cinese lanciando un messaggio criptico: ”Il piano cinese per la pace può essere un buon punto di partenza”, peccato che nessun altro, oltre a loro due, lo conosca e che tutti invece conosciamo molti degli interessi comuni che legano i due paesi, interessi che ovviamente non corrispondono ai diritti del popolo ucraino.

    Dopo le stragi di Hamas Il presidente cinese ha annunciato al mondo arabo la sua vicinanza ed il suo sostegno alla causa palestinese.

    Abu Mazen proclama che i palestinesi non sono Hamas, ma i palestinesi di Gaza hanno scelto Hamas già dal lontano 2007.

    Hamas ha usato i soldi della cooperazione internazionale per armarsi sempre di più senza migliorare di un millimetro la vita degli abitanti della striscia di Gaza, ha come obiettivo principale la distruzione di Israele, ha condotto in modo militare un’operazione terrorista di violenza inaudita, che ha portato alle morte, per ora accertata, di più di 1300 cittadini israeliani, migliaia di feriti, almeno 200 ostaggi, e ben sapendo che ci sarebbe stata una violenta e legittima reazione da parte di Israele.

    L’Isis ha proclamato la Jihad, il che non è una novità visto che non l’aveva mai ritirata, e nei paesi occidentali stanno ricominciando gli attentati, documenti e volantini del cosiddetto stato islamico sono stati ritrovati dai soldati israeliani nei luoghi delle stragi.

    Gli hezbollah si uniscono alla guerra contro Israele mentre i paesi musulmani più moderati, anche se carenti di democrazia sostanziale, rischiano rivolte interne da parte dei fratelli musulmani.

    L’Iran gioca le sue carte per ottenere via libera per l’atomica e ancor maggiore peso nell’area o per scatenare una guerra non solo contro Israele o altri paesi musulmani nemici da sempre, ma anche per dare una svolta alle proteste interne che continuano e l’amicizia, la collaborazione tra Iran e Hamas è nota da sempre.

    Non ci sarebbe da stupirsi se ricominciassero, con più violenza, anche le azioni degli al Shabaab non solo nel corno d’Africa ma in tutti quei paesi africani nei quali i governi sono impegnati a combattere  il terrorismo.

    Molti paesi africani hanno al loro interno guerre e sommosse nelle quali la mano della Russia è presente, anche dopo la scomparsa di Prigozhin, mentre la Cina tiene in pugno altri paesi del continente africano per gli enormi prestiti fatti e che questi non avranno mai modo di restituire, i gravi problemi del continente africano rientrano nello scenario di un conflitto che rischia di essere sempre più esteso.

    La Russia con la battaglia del grano sta portando alla fame paesi africani musulmani le cui democrazie agli albori si sono dimostrare  troppo fragili.

    L’attenzione dei media da alcuni giorni si è spostata quasi completamente dalla guerra in Ucraina con il rischio che l’opinione pubblica se ne disinteressi e che possano crescere le più o meno palesi simpatie di alcuni per Putin e per il suo progetto, condiviso con il presidente cinese e non solo, di un nuovo ordine mondiale.

    Non è un mistero la convinzione, che troppi hanno, che i sistemi autoritari funzionino meglio delle democrazie, democrazie che rischiano quando metà della popolazione non si reca al voto.

    La reazione di Israele, se sarà portata avanti fino alla distruzione, almeno di gran parte di Hamas, rischia di scatenare un altro conflitto senza precedenti, se si fermerà Israele rischia la propria esistenza e il rischio è anche del mondo occidentale che non potrà più pensare di vivere in pace come negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale.

    Sono solo alcune considerazioni, molte altre se ne potrebbero fare, esaminando gli errori degli uni e degli altri e la debolezza, la quasi inesistenza, da tempo, delle Nazioni Unite ma lasciamo questo lavoro ai tanti che in televisione parlano, spesso a ruota libera, mentre abbiamo, anche in questi giorni, visto bruciare in piazza le bandiere di Israele e gridare morte ai sionisti.

    La sofferenza dei civili palestinesi sotto le bombe, che doveva portare a più tempestivi aiuti umanitari, non deve lasciare indifferenti ma non può farci dimenticare che Hamas usa i civili come scudi umani mentre continua a lanciare missili su Israele, due errori non fanno mai una ragione, ciascuno si prenda  responsabilità e conseguenze
    Vogliamo solo ricordare che 1) è difficile fare i fluire maggiormente la diplomazia dopo che la si è ignorata per anni basandoci invece su qualche  improvvido Twitter, 2) se si vuole salvare Gaza bisogna eliminare Hamas, 3) se si vuole fermare la guerra Abu Mazen e i paesi arabi devono subito riconoscere Israele, solo con il pieno riconoscimento di Israele, e a seguire dello stato palestinese, si potrà sperare di costruire un Medio Oriente che guardi al futuro e continuare nelle azioni necessarie a distruggere il terrorismo. Resta fermo il fatto che Gerusalemme è la culla delle tre religioni monoteiste.

    In sintesi due più due non fanno quattro se chi conta ha obiettivi diversi dalla pace.

  • Hamas e Israele: chi ha davvero interesse alla pace?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta apparso su notiziegeopolitiche.net

    Dopo la sanguinosa carneficina perpetrata da Hamas dentro il territorio di Israele, gli israeliani sono assetati di sangue e nessun governo, né quello al potere prima dell’attacco né quello attuale di unità nazionale, potrà permettersi di tornare alla situazione precedente o limitarsi a una vittoria di facciata contro Hamas.

    Tuttavia, una invasione di terra con l’obiettivo di “eliminare del tutto” Hamas prospetta danni molto più gravi di quanto la rabbia dei primi momenti avrebbe suggerito. Si verificherà una catastrofe umanitaria, morale e strategica. La striscia di Gaza è un’entità con la densità di popolazione tra le più alte al mondo e Gaza city è abitata da più di un milione di persone. Anche chi volesse andarsene prima dell’invasione non saprebbe realmente dove recarsi (il valico di Rafah con l’Egitto resta chiuso e gli ospedali e le maggiori infrastrutture si trovano solo nella capitale). Di certo l’ingresso di migliaia di soldati israeliani non sarà accolto con giubilo dalla popolazione locale e ciò che sarà più probabile è un combattimento casa per casa.  Ci saranno cecchini, attentatori suicidi e esplosivi improvvisati. Le vittime non potranno che essere migliaia e, se pur tra loro ci saranno militanti del gruppo terrorista, la maggior parte dei morti sarà tra i cittadini inermi. Ciò rafforzerà ancora di più i sentimenti anti israeliani in tutte le popolazioni arabe del medio oriente e nessun governo locale, nemmeno il più moderato, avrà il coraggio di ostacolare o di scoraggiare le manifestazioni.

    In un mio altro articolo del maggio 2021 sostenevo che lo status quo di allora fosse l’unica soluzione possibile anche se non l’ottimale. Purtroppo oggi anche quell’ipotesi non sembra più percorribile e Hamas è il primo a non volerlo sperando che un possibile allargamento del conflitto porti veramente alla distruzione (o al drastico ridimensionamento) di Israele.

    La situazione e le conseguenze che potrebbero derivarne è molto delicata e pericolosa, non solo per gli israeliani ma anche per tutto il mondo occidentale. Ciò nonostante, io non ho alcun dubbio: voglio che Israele esista e prosperi e trovo che noi europei non abbiamo scelta alternativa. Io sto con Israele.

    *Già deputato è analista politico ed esperto di relazioni e commercio internazionali

  • L’unica soluzione? Il riconoscimento dei due Stati, Israele e Palestina

    Lo si dice da anni, lo si ripete in ogni occasione di conflitto o di azioni terroriste, una litania che rischierebbe di diventare patetica se non esprimesse una sacrosanta verità negata, nei fatti, da molti di quelli che la pronunciano.

    E’ il mondo arabo, o almeno la maggior parte di esso, nel suo complesso e nelle sue diverse forme organizzative, che ha negato ai palestinesi il loro diritto a vivere in uno stato indipendente e riconosciuto nel momento nel quale, per decenni, si è rifiutato di riconoscere Israele.
    Anche l’Occidente ha le sue colpe nel non avere fatto comprendere al mondo arabo moderato i pericoli di lasciare nel limbo del non riconoscimento sia Israele che i palestinesi, nel non aver controllato come si usavano i molti soldi inviati come aiuti umanitari, nel non avere portato fino in fondo la guerra al terrorismo, nel non avere approntato in Europa regole comuni per l’immigrazione e per il rispetto delle regole e delle leggi europee.
    I più o meno recenti accordi di Abramo, i quali seguono altri tentativi di accordi siglati e disattesi, che sembravano aprire finalmente la strada per arrivare al riconoscimento di Israele e di conseguenza della Palestina, sono stati sabotati nel sangue che Hamas ha scientemente, e con inaudita ferocia, versato in Israele nel tentativo di fare imboccare a tutti una strada senza ritorno.
    Hamas pur avendo usato i soldi degli aiuti umanitari, che arrivavano da gran parte del mondo, Europa in testa, per dotarsi di nuove armi e di fabbriche per incrementare il suo arsenale di  guerra, invece che per dare migliori condizioni di vita ai palestinesi, non avrebbe potuto preparare un piano così efferato e preciso se non avesse avuto a monte il fattivo sostegno di altre potenti realtà, non soltanto dell’Iran.
    L’Iran, messo in difficoltà dalle proteste interne, nell’ultimo anno diventate più evidenti e ormai all’attenzione mondiale, non poteva aspettare oltre visti i colloqui e le intese che si andavano costruendo anche  tra Arabia Saudita ed Israele.
    Stabilizzare il Medio Oriente creando condizioni di civile convivenza, di sicurezza per Israele e di maggiore benessere per i palestinesi, non era e non è un obiettivo né degli islamisti radicali, né del terrorismo islamista, sia esso al Qaeda o  Isis, ma neppure di quelle  potenze che, negli ultimi anni, stanno cercando di creare sinergie per dare vita ad un nuovo sistema mondiale sia politico che economico.
    Gli incontri tra Putin e il presidente cinese, la guerra che lo zar ha scatenato contro l’Ucraina, la sempre più forte penetrazione in vari paesi africani sia da parte cinese che russa, anche se con metodi diversi, fanno parte di un ampio disegno che vede nell’attacco ad Israele, senza pari per violenza ed capacità organizzativa, un nuovo spaventoso scenario nel quale tutti possono restare coinvolti ma solo alcuni hanno l’arma, che potrebbe diventare vincente, del ricatto e del terrore.
    Siamo tutti consapevoli che nei bombardamenti su Gaza soffriranno migliaia di civili che perderanno la casa se non la vita, ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che da Gaza continuano a piovere missili su Israele, assediata anche dagli Hezbollah e non solo.
    Siamo consapevoli che Israele non può, come nessuno stato può, che reagire con estrema fermezza alla mattanza fatta dai terroristi di Hamas perché non può ignorare il disegno, che esiste da sempre, di distruggerla e che la chiamata alla jihad è un pericolo per tutto il mondo, non lo può ignorare Israele e non lo possiamo ignorare noi.

    Né si possono ignorare le manifestazioni che sono state tenute in vari paesi, Italia compresa, a favore dei palestinesi, di Hamas ed inneggianti la distruzione di Israele. Legittimo, anzi giusto chiedere attenzione per i civili palestinesi, per la loro salvezza, barbaro non avere pietà e rispetto per le persone, i bambini trucidati da Hamas.

    I tanti, Cina compresa, che chiedono, con più o meno arroganza e mistificando le realtà, che gli israeliani non entrino a Gaza perché non chiedono ad Hamas di cessare il lancio di razzi contro Israele? Perché non condannano, senza se e senza ma, quello che Hamas ha fatto ad Israele e contro gli stessi palestinesi?

    Chiedere pace bruciando le bandiere di Israele e non condannando il terrorismo è la strada per ancora più odio e guerra.

    La doppia verità è sempre menzogna e l’arma del terrore deve essere distrutta perché tutti possano aspirare ad un mondo nel quale diritti umani, libertà e sicurezza non siano soltanto parole.

Pulsante per tornare all'inizio