Terrorismo

  • Eliminata una dozzina di Al-Shabaab, Mogadiscio annulla le elezioni nell’Oltregiuba

    Almeno 12 membri del gruppo jihadista somalo degli al Shabaab, di cui tre comandanti, sono morti in un raid aereo avvenuto nell’area di Haway, vicino alla città di Sablale, nella regione del Basso Scebeli. Lo riferiscono fonti citate dal sito d’informazione somalo “Garowe online”, secondo cui i comandanti stavano tenendo una riunione operativa al momento dell’attacco, presumibilmente pianificando un attacco terroristico.

    Sablale, situata a circa 200 chilometri dalla capitale Mogadiscio, è considerato un centro di comando chiave per le operazioni di al Shabaab nella regione meridionale. Non è chiaro chi abbia effettuato il raid, tuttavia il Comando degli Stati Uniti per l’Africa (Africom) compie frequenti attacchi simili.

    Il gruppo jihadista somalo ha perso ampie fasce di regioni rurali centrali e meridionali a seguito di una recente operazione dell’Esercito nazionale somalo (Sna), con l’aiuto degli alleati (tra cui gli Usa). L’esercito è attualmente coinvolto in operazioni attive nelle regioni centrali e meridionali.

    Sempre nella fascia meridionale del Paese, il governo federale della Somalia non ha riconosciuto l’esito delle elezioni del 24 novembre nell’Oltregiuba, che hanno visto la rielezione del presidente uscente Ahmed Islam Mohamed alias “Madobe”, dichiarando il voto illegale e in violazione della Costituzione del Paese. In un duro comunicato pubblicato al termine di una riunione di gabinetto presieduta dal primo ministro Hamza Abdi Barre, il governo ha inoltre accusato annunciato di aver incaricato il Procuratore generale di presentare un’azione legale contro Madobe presso la Corte suprema. “Il nostro impegno per lo stato di diritto è risoluto. Le azioni intraprese oggi riflettono la nostra determinazione a sostenere i principi democratici e ad assicurare che tutti i processi elettorali siano condotti in conformità con la legge”, ha affermato il premier Barre in conferenza stampa.

    Ahmed Islam Mohamed alias “Madobe” è stato rieletto presidente dello Stato dell’Oltregiuba, in Somalia, al termine di contestate rielezioni regionali tenute oggi. Lo ha annunciato la Commissione elettorale statale, precisando che il presidente uscente è stato rieletto per un secondo mandato con 55 voti sui 75 totali espressi dal parlamento regionale. Altri due candidati, Abubakar Abdi Hassan e Faisal Abdi Matan, hanno ricevuto rispettivamente quattro e 16 voti. Entrambi hanno riconosciuto la sconfitta e si sono congratulati con il vincitore, che guiderà lo Stato regionale per altri cinque anni. “Sono pronto a lavorare con il presidente eletto dell’Oltregiuba Ahmed Madobe”, ha affermato Abdi Hassan, mentre Abdi Matan ha affermato che “il risultato delle elezioni è stato giusto”. Le elezioni si sono tenute oggi nella capitale regionale Chisimaio. Madobe ha pronunciato un duro discorso di insediamento, nel quale ha ribadito la necessità che all’interno dello Stato prevalga lo spirito di riconciliazione, sottolineando che dal 2013 la sua amministrazione ha dovuto affrontare una seria opposizione che ha incluso la violenza armata.

    I toni più duri sono stati usati nei confronti dell’amministrazione federale di Mogadiscio, con la quale Madobe è ai ferri corti per la riforma costituzionale voluta dal presidente Hassan Sheikh Mohamud e per le tensioni dovute alla presenza delle truppe etiopi nella regione di Ghedo (che fa parte del territorio dell’Oltregiuba): da una parte il governo federale ne chiede il ritiro, vista la disputa con Addis Abeba sul controverso memorandum d’intesa siglato con il Somaliland, dall’altro Madobe ne chiede la permanenza in quanto ritenute cruciali nel contrasto al terrorismo. “Non riconosco l’Etiopia o il Kenya, né mi interessa nessun altro. Nell’Oltregiuba non c’è nessun altro presidente al di fuori di me. Non ci sono forze di sicurezza qui, tranne le forze dell’Oltregiuba, e nessuno oserà disturbare la stabilità di Chisimaio sotto la mia sorveglianza”, ha dichiarato Madobe. Il presidente eletto ha quindi accusato il governo federale di aver schierato le sue truppe a Raaskambooni nel tentativo di destabilizzare la regione e distogliere l’attenzione dalla guerra contro il gruppo jihadista al Shabaab, come fatto nel 2013 sotto il primo mandato dello stesso presidente Mohamud. “Questo non accadrà mai più”, ha giurato, avvertendo che le forze regionali annienteranno qualsiasi minaccia da parte del governo federale. “L’Oltregiuba è l’Oltregiuba e non ci sarà mai nessun’altra amministrazione in questo Stato tranne la mia”, ha aggiunto Madobe.

    Il voto si è svolto in un clima di forti tensioni, dopo che sabato scorso pesanti combattimenti sono scoppiati nella capitale regionale, Chisimaio, dove le forze di sicurezza dell’Oltregiuba si sono scontrate con le truppe fedeli a un candidato presidenziale dell’opposizione, Ilyas Beddel Gabose, che sfidava il leader statale Ahmed Madobe in vista delle elezioni cruciali previste per domani, 25 novembre. Gli scontri, riferiscono fonti citate dal quotidiano “Somali Guardian”, sono scoppiati dopo che a Gabose è stato negato l’ingresso in un hotel dove erano in corso i preparativi per le elezioni. Le tensioni sono rapidamente aumentate quando una delle sue guardie del corpo è stata uccisa, innescando un violento scambio di colpi di arma da fuoco. Si segnalano vittime da entrambe le parti, anche se il bilancio esatto rimane poco chiaro. Gabose, le cui forze si sono scontrate con le truppe regionali dell’Oltregiuba, ha annunciato la sua candidatura a presidente regionale solo pochi giorni fa ed è membro del Senato della Somalia.

    Il ministro della Sicurezza somalo Abdullahi Sheikh Ismail Fartag ha condannato le violenze a Chisimaio, accusando il presidente uscente Madobe di esacerbare le tensioni nella regione e di aver deliberatamente portato il Paese verso un collasso totale, trasformandosi in un conflitto ancora più devastante. “Ciò dimostra che Ahmed è determinato a provocare una guerra civile tra le comunità fraterne che vivono nell’Oltregiuba”, ha detto. Ciò è avvenuto solo pochi giorni dopo che il primo ministro somalo Hamza Abdi Barre, ex alleato di Madobe, ha accusato il suo ex amico di aver tentato di rovesciare il suo governo e lo ha messo in guardia dall’utilizzare le forze di sicurezza per alimentare la violenza nel tentativo di assicurarsi la rielezione, dichiarando che tali azioni sarebbero state considerate un reato penale. In un chiaro segno di crescenti tensioni tra l’Oltregiuba e il governo federale, Mogadiscio ha recentemente bloccato tutti i voli dalla capitale alla città di Dolow, nella regione di Ghedo, come forma di rappresaglia contro le autorità dell’Oltregiuba per l’arresto di sei ufficiali dell’esercito in rotta verso Elwak. Inoltre, Mogadiscio ha schierato truppe e armi a Elwak, nell’evidente tentativo di estromettere l’amministrazione allineata al presidente Madobe dalle città chiave di Ghedo.

  • Attacco di Boko Haram in Ciad

    Il gruppo jihadista Boko Haram ha lanciato un attacco contro l’esercito ciadiano nella regione del lago Ciad, provocando “una quarantina di morti”. Lo ha annunciato la presidenza del Ciad in un comunicato stampa. Il presidente di transizione Mahamat Idriss Deby Itno si è recato sul posto questa mattina e “ha dato il via all’operazione Haskanite per inseguire e rintracciare gli aggressori fino alle loro ultime trincee”, riferisce la stessa nota. Secondo fonti non ufficiali, nell’attacco sarebbero stati uccisi più di 100 soldati. Secondo fonti militari, l’attacco è avvenuto domenica intorno alle 21 contro la posizione dell’esercito ciadiano a Barkaram, a 10 chilometri dal confine nigeriano. I soldati ciadiani sono spesso presi di mira dagli attacchi di Boko Haram nella regione del lago Ciad, una vasta distesa di acqua e paludi punteggiata da isolotti a ovest, che ospita i combattenti del gruppo Boko Haram o del suo ramo dissidente dello Stato islamico nell’Africa occidentale (Iswap).

    L’insurrezione di Boko Haram è iniziata nel 2009 in Nigeria – dove da allora ha provocato 40 mila morti e più di due milioni di sfollati – prima di diffondersi ai Paesi vicini. Nel marzo 2020 i combattenti del gruppo jihadista hanno condotto una sanguinosa offensiva contro un’importante base ciadiana nella penisola di Bohoma, provocando un centinaio di morti, le perdite più pesanti mai registrate dall’esercito ciadiano. In risposta, il governo ha lanciato l’operazione nota come “la rabbia di Bohoma” contro gli insorti jihadisti. Nel giugno 2024 l’Ufficio internazionale per le migrazioni (Oim) ha registrato più di 220 mila sfollati nella provincia ciadiana del lago Ciad a causa degli attacchi di gruppi armati.

  • 7 ottobre: troppi

    Troppi gli Stati, le persone che non hanno mai condannato la strage del 7 ottobre, denunciato il terrorismo di Hamas

    Troppi gli ostaggi uccisi e troppi quelli ancora nelle mani dei terroristi

    Troppi i tunnel che anche dal Libano mettono in pericolo la vita degli israeliani

    Troppi i morti, troppi gli sfollati di una guerra che non solo Israele porta avanti in modo sempre più violento e che ormai colpisce nel mucchio i civili

    Troppi i terroristi ancora attivi e capaci di altre stragi oggi e domani

    Troppi finti santoni in Iran alimentati dall’odio verso Israele e verso qualunque concetto di pace e libertà

    Troppi gli armamenti in possesso di Hezbollah, degli Houthi, di Hamas e troppi gli aiuti ufficiali ed ufficiosi sui quali possono contare

    Troppi i proclami, gli inviti al cessate il fuoco, dei leader di tante nazioni, fatti con la consapevolezza della loro inutilità, dell’estrema debolezza che hanno di fronte al reale pericolo, per lo Stato di Israele, di essere attaccato e distrutto se lascia ancora spazio ai suoi nemici, da sempre decisi ad annientarlo

    Troppi i silenzi che ci sono stati nel passato di fronte ad una situazione che ogni giorno peggiorava, che ci sono stati prima e dopo il 7 ottobre da parte di tanti occidentali, per non parlare di dittatori, come russi e cinesi, che con l’Iran hanno interessi comuni specie in tema di armi, di violenza, di libertà negate

    Troppi gli attacchi agli ebrei che anche in Europa rendono lo stato di allerta sempre più alto

    Troppi i violenti, fiancheggiatori di fatto dei terroristi, che sfilano nei cortei delle nostre democrazie sempre più deboli e confuse

    Troppi gli esponenti del mondo musulmano ed orientale che si nascondono dietro il silenzio nell’attesa di capire come andrà a finire

    La parola Pace è una delle più belle parole quando significa dignità nei fatti, convivenza civile, giustizia, rispetto delle regole internazionali, libertà e sicurezza

    La parola Pace è una delle più inutili quando è pronunciata senza programmi seri, volontà sincere per raggiungerla

    La parola Pace è una delle più abusate quando non si sa cosa altro dire, cosa proporre e la si usa strumentalmente

    La parola Pace diventa una presa in giro, un vilipendio proprio alla pace quando si vuole ottenere la sconfitta dell’aggredito ed il trionfo dell’aggressore

  • Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, questo verso di Cesare Pavese rappresenta plasticamente quello che sta accadendo nella nostra vita in questo travagliato momento.

    Gli occhi di una madre che uccide i suoi neonati

    Gli occhi di un figlio che uccide i suoi genitori

    Gli occhi di un adolescente che uccide una sconosciuta per sapere cosa si prova ad uccidere

    Gli occhi della mafia o della ‘ndrangheta che uccidono anche chi non c’entra niente con le loro aspirazioni di vendetta

    Gli occhi dei fidanzati, compagni, mariti che uccidono le donne

    Gli occhi dei terroristi che da anni seminano stragi

    Gli occhi degli assassini del 7 ottobre in Israele

    Gli occhi dei soldati che uccidono anche innocenti per cercare di evitare altre morti ed altre stragi

    Gli occhi di Putin e dei tanti criminali dittatori che avvelenano e distruggono libertà e speranze

    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, intorno a noi come lontano da noi ci sono gli occhi del male e saperli riconoscere non è facile perché la disperazione e la morte arrivano anche da occhi che non vediamo, gli occhi dei social che si insinuano nel nostro privato, studiano, sollecitano violenza, creano mostri là dove erano inizialmente solo persone che avevo forse solo bisogno di aiuto per guarire dall’oscurità.

  • La Ue investe 21,4 milioni di euro in armi al Kenya per estirpare Al-Shaabab

    L’Unione europea sta inviando aiuti militari per un totale di 21,4 milioni di euro alle Forze di difesa del Kenya (Kds), con l’obiettivo di rafforzare la risposta dell’esercito locale ai jihadisti di Al Shabaab. Lo riferisce “The East African”, spiegando che in una nota del Consiglio europeo si precisa che il supporto offerto alle Kdf sarà destinato a sfide interne ed esterne al Paese, attingendo per la prima volta alle risorse dell’Eu Peace Facility, un fondo creato nel 2021 dall’Unione europea per sostenere le iniziative di sicurezza dei Paesi partner in Africa. L’assistenza fornita contribuirà anche a rendere più sicure le frontiere ed a rafforzare le operazioni contro Al Shabaab lungo il confine con la Somalia, si legge nella nota, in cui si precisa che gli aiuti forniti riguarderanno tanto l’equipaggiamento quanto la formazione tecnica ed altri servizi logistici. Da questo punto di vista, le unità combattenti di fanteria dell’esercito del Kenya riceveranno anche veicoli aerei senza pilota tattici, intercettatori e disturbatori di frequenze jammer, sistemi per sconfiggere ordigni esplosivi improvvisati, oltre che fuoristrada, veicoli tattici di tipo militare e una postazione medica mobile. Gli aiuti stanziati includono anche il sostegno alle unità navali della Marina del Kenya, le cui truppe riceveranno occhiali per la visione notturna, giubbotti di salvataggio e altri dispositivi di protezione individuale. L’Ue è stata uno dei sostenitori della forza uscente della Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis), alla quale le Kdf hanno partecipato negli ultimi dieci anni. Tuttavia, di recente l’Ue e altri donatori hanno ridotto alcuni stanziamenti di bilancio per la missione, citando una molteplicità di sfide alla sicurezza nel continente. Gli aiuti di Bruxelles si inseriscono, infine, sul filo del patto di dialogo strategico concluso a giugno del 2021 fra Ue e Kenya, accordo in cui le due parti hanno concordato di impegnarsi per l’attuazione bilaterale delle disposizioni sul commercio e sulla cooperazione economica e per lo sviluppo dell’accordo di partenariato economico (Ape) con la Comunità dell’Africa Orientale (Eac).

  • Chi trarrà vantaggio dall’attentato a Mosca?

    Putin, costretto dalle prove ad ammettere che il tragico attentato di Mosca è stato compiuto da terroristi islamici, insiste nel cercare responsabilità di Kiev e dei paesi occidentali, additandoli come i mandanti e gli addestratori, per giustificare il fallimento dei suoi servizi di sicurezza e crearsi un ‘alibi’ per intensificare i barbari attacchi contro i civili ucraini.

    Lo zar sostiene, e sarebbe ridicolo se invece non fosse tragico, che l’Ucraina avrebbe un beneficio dalla strage di Mosca! Quale sarebbe questo beneficio? Non è stato un attacco contro una struttura militare, contro lo stesso Cremlino, contro chi tiene detenuti i dissidenti ma un eccidio di civili che porterà nuove repressioni in Russia e ancora maggiore violenza militare, bombe, morti e feriti in Ucraina.

    Il cui prodest vede solo due ipotesi, quella ovvia e ufficializzata di una nuova azione dell’Isis K, che ha già ripetutamente preso di mira la Russia e che vuole, come ogni organizzazione terrorista, colpire nel mucchio e diramare il terrore, o quella di un attentato cresciuto all’interno dell’apparato per giustificare le prossime nefandezze e crudeltà di Putin.

    In effetti l’unico che trarrà vero beneficio dalle morti e dai feriti è lo stesso presidente che, come in altre occasioni simili, chiamerà tutti ad una maggiore coesione per difendere la madre Russia, spazzerà via quei dissidenti che hanno avuto il coraggio di opporsi il giorno delle elezioni, additerà l’Occidente come il nemico numero uno e chiederà di seguirlo senza protestare nella distruzione dell’Ucraina.

    Ormai sappiamo bene che ogni dichiarazione di Putin è una falsità, che mente sapendo di mentire e che dalle sue menzogne costruisce le sue verità, conosciamo da tempo i sistemi di controinformazione e manipolazione dell’apparato del Cremlino e sappiamo altrettanto bene che la sete di sangue e di potere del nuovo zar è immensa, perciò prepariamoci.

  • Cosa si aspettava Hamas dal tremendo atto del 7 ottobre?

    Nessuno è in grado di dire oggi come sarà la Gaza del futuro e la stessa incertezza riguarda la Cisgiordania. È risaputo che dentro il governo di Netanyahu ci sono personaggi e forze politiche che ambiscono all’assorbimento di tutti questi territori dentro lo Stato di Israele ma, anche se ciò dovesse (improbabilmente) avvenire, resta la domanda su cosa sarà dei milioni di palestinesi che oggi abitano quelle zone. Il desiderio dei fanatici religiosi e dei super-nazionalisti israeliani è quello di tenerli fuori dai futuri confini ma questa possibilità sembra irrealistica. Giordania ed Egitto, i due Stati confinanti che, in teoria, dovrebbero accoglierli hanno già dichiarato in modo inequivocabile che non se ne parla nemmeno. Il loro atteggiamento è più che comprensibile poiché non si tratta di qualche centinaio d persone ma di milioni: un popolo con una propria identità e un odio sempre più condiviso e radicale contro gli occupanti delle loro terre.  È ovvio che costoro rappresenterebbero un enorme fattore di instabilità interna ed esterna per entrambi i Paesi ospitanti. La Giordania ha già un problema con la grande quantità di palestinesi che vivono dentro i suoi confini e, a prescindere da possibili (forse probabili) sentimenti affettivi, il fatto che il re di Giordania abbia scelto come sposa proprio una palestinese suona un po’ come quando gli antichi sovrani sposavano le figlie del re di un Paese potenzialmente nemico proprio per farselo amico. In Egitto non stanno molto meglio. Se, come ipotizzano alcuni fanatici a Tel Aviv, tutti i palestinesi fossero confinati nel semi-desertico Sinai da lì rilancerebbero le loro battaglie, esattamente come hanno fatto assieme a Hezbollah in Libano. Con l’aggravante che, di là dalla retorica, il governo egiziano ha tutto l’interesse, economico e politico, ad avere buoni rapporti con i governi di Israele e non diventare la base di partenza per un nuovo conflitto.

    Considerata la situazione attuale, ci sarebbe da domandarsi perché l’ha fatto e cosa si aspettava Hamas dal tremendo atto disgustoso del 7 ottobre. Solo per ingenuità si può immaginare che Hamas con quell’azione sperasse poi di distruggere Israele sul campo di battaglia e i dirigenti di questo gruppo terroristico sono tutto salvo che ingenui. Gli obiettivi veri erano almeno tre e, considerato il susseguirsi degli eventi, li ha raggiunti tutti. Ecco le ragioni che hanno spinto Hamas ad agire proprio in quel momento e in quel modo truce dopo essersi preparato a farlo per lungo tempo:

    • Gli accordi di Abramo cui avevano già aderito Emirati Arabi e Bahrein stavano per estendersi anche all’Arabia Saudita. Grazie all’azione diplomatica iniziata da Jared Kushner (genero di Donald Trump), i colloqui in questa direzione continuavano da alcuni mesi e tutti gli osservatori si aspettavano potessero concludersi abbastanza a breve. L’Arabia Saudita è pur sempre un Paese politico di riferimento per molti Stati arabi e la riapertura di questi rapporti economici e politici con Israele avrebbero cambiato radicalmente gli equilibri in tutto il Medio Oriente. A Mohamed Bin Salman servivano i capitali e il know how israeliano per dare una ulteriore spinta al suo progetto avveniristico Vision 2030 e per Israele avrebbero rappresentato un grande successo diplomatico. Certamente, nell’intesa si sarebbero spese parole di facciata per lo status futuro dei palestinesi ma era chiaro a tutti che, dopo la firma, il futuro di questi ultimi sarebbe stato segnato negativamente e, forse, per sempre. Chi, assieme a loro, ci avrebbe rimesso pesantemente era il nemico più pericoloso che Israele ha attualmente e cioè l’Iran. Una alleanza tra Riad e Tel Aviv avrebbe accentuato l’isolamento di Teheran anche in barba all’accordo sottoscritto pochi mesi orsono con la mediazione cinese e la riapertura dei rapporti diplomatici. I fatti del 7 ottobre e ciò che ne è seguito hanno messo una pietra molto pesante sulla strada di quel negoziato.
    • Tutti i sondaggi svolti tra i palestinesi di Gaza e di Cisgiordania prima del 7 ottobre attestavano che l’impopolarità sia di Hamas sia della Autorità Nazionale Palestinese era in costante aumento. Nel frattempo, sempre più coloni israeliani occupavano abusivamente con le armi nuovi territori appartenuti a contadini palestinesi in Cisgiordania, alimentando in loro una sensazione di rabbia e di impotenza. Il disumano attacco del 7 ottobre è apparso a tutti i palestinesi che nutrivano odio per gli occupanti e per il governo di Tel Aviv che li legittimava come una doverosa punizione e una giusta vendetta. Ogni sondaggio effettuato dopo quella data presso gli stessi soggetti ha mostrato che, mentre l’Autorità continua a perdere consenso, Hamas lo ha riguadagnato in grande misura.
    • La reazione spropositata e tragica di Israele era stata, in una certa misura, preventivata dai capi del gruppo terrorista ma, proprio in vista di quella reazione, erano stati presi quel centinaio di ostaggi che dovevano servire a obbligare Tel Aviv ad una qualche trattativa, o almeno a contenere la dimensione della ritorsione. Il fatto che l’esercito israeliano abbia invece ricevuto l’ordine di agire con tutti i mezzi e senza alcun riguardo per la popolazione civile ha causato quello che, seppur impropriamente, qualcuno arriva a definire come genocidio. A questo proposito va considerato che i guerriglieri terroristi sono mischiati tra la popolazione civile e che strutture teoricamente intoccabili quali scuole, moschee e sedi della UNRWA sono stati usati, in superficie o nei loro sotterranei, quali basi logistiche. Tuttavia, il risultato che sta sotto gli occhi di tutto il mondo è che decine di migliaia di civili, molti dei quali magari perfino ostili ad Hamas, sono rimasti uccisi sotto i bombardamenti più o meno indiscriminati. È duro affermarlo ma è evidente che, con il loro solito cinismo, i capi di Hamas traggono vantaggio da questa carneficina. Infatti, dopo ogni nuovo bombardamento o scontro a fuoco i responsabili delle relazioni pubbliche di Hamas e la sodale Al Jazeera si precipitano ad offrire al mondo e ai giornalisti stranieri (nessuno di loro è autorizzato ad essere presente) cifre, magari gonfiate, delle vittime civili. Se, come posso dare per certo, il terzo obiettivo di Hamas era quello di attirare l’attenzione e la simpatia mondiale verso la causa del popolo palestinese e suscitare una incontenibile indignazione contro gli israeliani il risultato voluto è stato raggiunto. Nonostante gli americani (e i loro alleati) critichino le “esagerazioni” israeliane nessun governo amico osa condividere formalmente le condanne indirizzate all’ONU contro Tel Aviv. Ciò che vale per alcuni governi non vale però per la maggior parte della popolazione mondiale e cortei e manifestazioni di solidarietà verso i palestinesi sono sempre più numerose e partecipate in Europa, negli Stati Uniti e in tutto il mondo arabo. È evidente ad ogni osservatore che una componente tra i manifestanti lo fa per puro e mai sopito antisemitismo ma la motivazione formale di tutti è quella più utile ad Hamas e cioè la condanna dell’aggressione degli “ebrei” contro una popolazione araba indifesa.

    Dopo la feroce azione del 7 ottobre e indipendentemente dai sentimenti di simpatia per un partito o l’altro tutti gli israeliani furono, contemporaneamente, indignati e impauriti ed è stato quindi facile formare un governo di emergenza che comprendesse quasi tutte le forze politiche di Tel Aviv. Sarebbe stato difficile, nei giorni immediatamente successivi al tragico evento, opporsi a un qualche atto che suonasse come pesante ritorsione e tuttavia i risultati ottenuti fino ad oggi dimostrano che le decisioni prese si sono rivelate un tragico errore. Neanche la metà dei guerriglieri di Hamas sono stati identificati e messi fuori combattimento, i combattimenti a Gaza continuano tuttora, dal Libano (seppur senza passare un certo limite) sono ricominciati i lanci di razzi e perfino nel non vicino Yemen gli Houthi stanno contribuendo ad allargare il conflitto colpendo le navi che vorrebbero transitare verso il Canale di Suez. Che dietro gli Houthi ci siano gli iraniani è scontato, ma lo fanno nascondendo le mani poiché né all’Iran né agli Stati Uniti conviene dichiarare una guerra aperta, almeno fino ad ora. Gli iraniani, pur dichiarando sostegno ai palestinesi, non ammettono nessun loro coinvolgimento diretto e anche gli americani ed i britannici giustificano i loro attacchi contro le basi missilistiche e dei droni degli Houthi come semplici come atti di difesa.

    Col senno di poi è certamente più facile ragionare, ma che il tipo di reazione israeliana si stia rivelando un errore per loro e una vittoria per Hamas è qualcosa che non si può negare.  In altre parole, comunque finisca il conflitto, chi sta realmente vincendo al momento questa guerra non è l’esercito israeliano. Forse possiamo affermare che sarebbe stato più opportuna un altro tipo di reazione. Magari un atto simbolico contro le postazioni missilistiche di Hamas già conosciute, un sostegno internazionale per la liberazione immediata degli ostaggi e, nel tempo, qualcosa di simile a ciò che fu fatto dai sevizi segreti israeliani dopo l’attentato di Monaco durante le olimpiadi: una identificazione sicura dei vertici dell’organizzazione terroristica e l’eliminazione fisica di tutti loro.

    Purtroppo, del senno di poi …

  • 550 chilometri di tunnel sotto Gaza

    Una rete di tunnel impressionante con una galleria capace di far passare un’auto o un’altra estesa quanto tre campi di calcio e collocata sotto un ospedale. La maestria di Hamas nel costruire la sua difesa sotterranea ha impressionato l’esercito israeliano che ha documentato con video e fotografie lo straordinario dedalo che da tempo era considerato una grave minaccia per loro a Gaza anche prima della guerra in corso. A lasciare esterrefatti i funzionari israeliani sono state la quantità, la qualità e la profondità dei tunnel scavati da Hamas. E se fino a dicembre si stimava che la rete si estendesse per circa 400 chilometri, gli alti funzionari della difesa israeliana, interpellati dal New York Times, parlano adesso di uno spazio compreso tra i 550 e i 700 chilometri con 5700 pozzi di accesso. Il tutto costruito sotto un territorio che nel suo punto più lungo misura appena 40 chilometri.

    Hamas usa i tunnel come basi militari e arsenali, per spostamenti delle forze e per proteggere i comandanti. Un documento del 2022 mostrava che Hamas aveva stanziato un milione di dollari per le porte dei tunnel, i laboratori sotterranei e altre spese nel solo territorio di Khan Younis, dove, stando a fonti dell’intelligence israeliana, i tunnel si estendono per circa 160 chilometri.

    In un rapporto del 2015 si parla di una spesa di più di 3 milioni di dollari che Hamas aveva affrontato per realizzare tunnel in tutta la Striscia di Gaza, molti dei quali edificati sotto infrastrutture civili e luoghi sensibili come scuole e ospedali. I tunnel sarebbero stati costruiti con modalità diverse: quelli per i comandanti sarebbero più profondi e confortevoli perché sono ipotizzati periodi di soggiorno più lunghi, e gli altri, utilizzati dagli agenti, meno profondi e più essenziali.

  • Italiani in Africa, terrorismo, Cina, catena alimentare nella presentazione a Milano di ‘Safari’ di Cristiana Muscardini

    Si è svolta a Milano, alla Fabbrica del Vapore, la presentazione di Safari, l’ultimo libro di Cristiana Muscardini intervistata dal giornalista Andrea Vento.

    Molte le domande fatte dal numeroso pubblico interessato anche ad approfondire i ruoli che Onu ed Unione Europea hanno giocato o non giocato rispetto ai problemi dell’immigrazione ed alle situazioni drammatiche che vivono gli abitanti di alcuni paesi africani per le carestie, la mancanza di acqua e per le guerre ed il terrorismo. Proprio sul problema terrorismo sia l’autrice che Vento hanno parlato del Corno d’Africa e della sempre difficile situazione in Somalia per gli al Shabaab che hanno portato il terrorismo in Kenya con numerosi e sanguinosi attentati.

    Nel libro sono rappresentati alcuni italiani che, nel dopoguerra, si erano trasferiti in Africa, trovando qui le più diverse esperienze ed avventure, partendo dai Mao Mao e dalla guerra di indipendenza in Kenya, l’autrice affronta anche i temi della catena alimentare, del bracconaggio, dello sterminio di rinoceronti ed elefanti, della necessità di convivenza tra animali selvatici e agricoltura essendo, entrambi, fonte di lavoro e miglioramento di vita.

    La Muscardini, sollecitata dalle puntuali e incalzanti domande di Andrea Vento, ha ricordato che così come gli europei, con tante esperienze comuni, sono diversi, per molti aspetti, da uno Stato all’altro così non si può parlare del continente africano senza conoscere le differenze che esistono tra i suoi paesi dal punto religioso, delle esperienze coloniali, della diversità delle ricchezze naturali e per la presenza, sempre più forte e a volte fonte di problemi complessi, della Cina e della Russia, che in Africa ha schierato anche i miliziani della Wagner, differenze che dovrebbero portare valutazioni geopolitiche più ampie rispetto a quelle fatte fino ad ora dall’Europa.

    Tra gli intervenuti lo scultore Stefano Soddu, Claudio Benedetti direttore generale di Federchimica, gli On. Dario Rivolta e Gabriele Pagliuzzi e l’On. Paolo Pillitteri, già sindaco di Milano.

  • Inutili oggi i se ed i ma

    In un giorno Hamas, il 7 ottobre, ha ucciso 1400 persone in Israele, donne stuprate ed uccise con bambini, vecchi, uomini che stavano facendo  la loro vita.
    In 35 giorni di guerra Israele ha ucciso, secondo i dati, da verificare, diffusi da Hamas, circa 10.000 persone, una parte di queste sono miliziani e dirigenti di Hamas.
    Se Israele avesse applicato i sistemi di Hamas, non con la crudeltà dei terroristi ma con più energiche azioni di guerra, seguendo i numeri e le percentuali del 7 ottobre, i morti sarebbero stati quasi 50.000, ma sembra che nessuno faccia qualche calcolo.
    Se Hamas non avesse attaccato ed ucciso i civili israeliani non ci sarebbero stati, nella striscia di Gaza, né morti né la distruzione di gran parte della città.
    Se Hamas non avesse impedito ai civili di scappare non ci sarebbero stati tante vittime civili, se Hamas non avesse costruito i tunnel sotto case, scuole, ospedali non ci sarebbero stati così sanguinosi bombardamenti, se avesse fatto riparare i civili, come ha fatto l’amministrazione Ucraina, le vittime sarebbero molte meno.
    Se i palestinesi di Gaza, o almeno una parte di loro, si fosse ribellata al dominio di Hamas, che li ha fatti vivere nella miseria utilizzando gli aiuti economici per armarsi sempre di più invece che per far vivere meglio la popolazione, avesse denunciato e almeno tentato di impedire la costruzione dei tunnel e dei depositi delle armi sotto gli ospedali e le case.
    Se Hamas con i suoi alleati, a partire dall’Iran, avessero riconosciuto lo Stato di Israele.
    Se, se, inutili oggi i se ed i ma, la realtà è quella che è: Hamas è responsabile per quanto ha fatto il 7 ottobre e per le conseguenze che ne sono derivate nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania, Israele ha il diritto di difendersi ed il dovere di cercare di difendere anche quella popolazione civile palestinese che Hamas usa come scudi umani mentre Abu Mazen aveva ed ha il dovere di condannare Hamas se vuole impedire che altri morti insanguino la Cisgiordania, oltre la striscia di Gaza.

    La realtà è che Hamas sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto, Hamas è stata la lunga mano utilizzata per realizzare un disegno più ampio che ha un duplice obiettivo: 1)cercare di distruggere per sempre lo Stato di Israele, 2) tentare di unire il più possibile la parte integralista del mondo arabo-mussulmano per mettere in minoranza i governi moderati e lanciare una sfida a tutto campo all’Occidente.
    Ci sono in gioco valori fondamentali come la libertà, i diritti umani, il rispetto delle culture e interessi di potere ed economici di grande portata.

    L’Islam integralista con aspirazioni egemoniche è presente in molti paesi, dall’Asia all’Africa, e sue cellule terroriste vivono e ramificano in occidente supportate dalla mancanza di visione di molti governi e dalla ingenuità di chi parla di pace senza accettare che, per mantenere la pace, bisogna rispettare regole e territori.
    In questa che sta diventando una guerra a tutto campo vi sono  anche chiare responsabilità della Russia, della Cina e dell’Onu diventata da anni un organismo pletorico incapace di difendere i principi  del diritto internazionale anche al proprio interno, come si è visto già dalla guerra in Ucraina.
    Comincino a pensare a questo coloro che sfilano senza accorgersi che anche le bandiere della pace sono ormai insanguinate dai distinguo tra i morti dell’una o dell’altra parte.

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