Terrorismo

  • Inutili oggi i se ed i ma

    In un giorno Hamas, il 7 ottobre, ha ucciso 1400 persone in Israele, donne stuprate ed uccise con bambini, vecchi, uomini che stavano facendo  la loro vita.
    In 35 giorni di guerra Israele ha ucciso, secondo i dati, da verificare, diffusi da Hamas, circa 10.000 persone, una parte di queste sono miliziani e dirigenti di Hamas.
    Se Israele avesse applicato i sistemi di Hamas, non con la crudeltà dei terroristi ma con più energiche azioni di guerra, seguendo i numeri e le percentuali del 7 ottobre, i morti sarebbero stati quasi 50.000, ma sembra che nessuno faccia qualche calcolo.
    Se Hamas non avesse attaccato ed ucciso i civili israeliani non ci sarebbero stati, nella striscia di Gaza, né morti né la distruzione di gran parte della città.
    Se Hamas non avesse impedito ai civili di scappare non ci sarebbero stati tante vittime civili, se Hamas non avesse costruito i tunnel sotto case, scuole, ospedali non ci sarebbero stati così sanguinosi bombardamenti, se avesse fatto riparare i civili, come ha fatto l’amministrazione Ucraina, le vittime sarebbero molte meno.
    Se i palestinesi di Gaza, o almeno una parte di loro, si fosse ribellata al dominio di Hamas, che li ha fatti vivere nella miseria utilizzando gli aiuti economici per armarsi sempre di più invece che per far vivere meglio la popolazione, avesse denunciato e almeno tentato di impedire la costruzione dei tunnel e dei depositi delle armi sotto gli ospedali e le case.
    Se Hamas con i suoi alleati, a partire dall’Iran, avessero riconosciuto lo Stato di Israele.
    Se, se, inutili oggi i se ed i ma, la realtà è quella che è: Hamas è responsabile per quanto ha fatto il 7 ottobre e per le conseguenze che ne sono derivate nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania, Israele ha il diritto di difendersi ed il dovere di cercare di difendere anche quella popolazione civile palestinese che Hamas usa come scudi umani mentre Abu Mazen aveva ed ha il dovere di condannare Hamas se vuole impedire che altri morti insanguino la Cisgiordania, oltre la striscia di Gaza.

    La realtà è che Hamas sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto, Hamas è stata la lunga mano utilizzata per realizzare un disegno più ampio che ha un duplice obiettivo: 1)cercare di distruggere per sempre lo Stato di Israele, 2) tentare di unire il più possibile la parte integralista del mondo arabo-mussulmano per mettere in minoranza i governi moderati e lanciare una sfida a tutto campo all’Occidente.
    Ci sono in gioco valori fondamentali come la libertà, i diritti umani, il rispetto delle culture e interessi di potere ed economici di grande portata.

    L’Islam integralista con aspirazioni egemoniche è presente in molti paesi, dall’Asia all’Africa, e sue cellule terroriste vivono e ramificano in occidente supportate dalla mancanza di visione di molti governi e dalla ingenuità di chi parla di pace senza accettare che, per mantenere la pace, bisogna rispettare regole e territori.
    In questa che sta diventando una guerra a tutto campo vi sono  anche chiare responsabilità della Russia, della Cina e dell’Onu diventata da anni un organismo pletorico incapace di difendere i principi  del diritto internazionale anche al proprio interno, come si è visto già dalla guerra in Ucraina.
    Comincino a pensare a questo coloro che sfilano senza accorgersi che anche le bandiere della pace sono ormai insanguinate dai distinguo tra i morti dell’una o dell’altra parte.

  • Risposte necessarie e condivise

    Sono passati più di 600 giorni dall’attacco di Putin all’Ucraina e la guerra continua con efferata crudeltà, da parte russa, con dispiego di mezzi ed uomini.

    Più di un terzo del territorio Ucraino è inagibile, devastato dalle bombe e minato dai soldati russi per rallentare l’avanzata dell’esercito di Kiev che con coraggio continua a difendere la propria terra.

    Non solo il grano ucraino non può liberamente partire verso quei paesi che ne hanno necessità per sopravvivere ma non può essere coltivato come un tempo, le terre coltivabili sono in parte distrutte e ci vorranno anni per bonificarle, mentre lo spettro della fame aleggia su gran parte del mondo e si moltiplicano le aree di conflitto.

    Lo zar ha cominciato una nuova chiamata alle armi indirizzata alle donne e trova fiato, alla stagnazione della sua campagna criminale, nella guerra che Hamas ha portato in Israele dichiarandosi mediatore per liberare gli ostaggi.

    Basta prendere la cartina geografica per capire da dove parte il grandioso progetto dello zar di ridare al mondo un nuovo ordine, politico, economico, militare, in sintesi un nuovo potere.

    La sempre più stretta amicizia con l’imperatore cinese, l’antico rapporto con il dittatore siriano, la nuova liaison con  Kim Jong-Un con l’arrivo in Russia di armi coreane, i buoni rapporti con Erdogan, che in modo funambolico cerca di giocare una sua partita di peso bilanciandosi tra Nato, Occidente ed il ruolo di mediatore e islamico apparentemente moderato, Libia, dove Putin  ha come riferimento il generale Haftar, vari stati africani, dove le milizie già di Prigozhin supportano vecchi dittatori e nuovi golpisti, e Iran dove il regime di Raisi gli fornisce droni a non finire. Né si devono dimenticare i rapporti con un certo numero di paesi dell’America Latina ed altre varie amicizie, più o meno palesi, in varie parti del mondo, compresi i paesi occidentali, lo stesso Orban mina la coesione europea a favore di Kiev.

    Nello stesso tempo il pericolo evidente di un allargamento del conflitto mediorientale può distrarre, in parte, l’attenzione occidentale dalla guerra in Ucraina e l’altrettanto grave pericolo del ritorno del terrorismo in Europa costringe ad un dispiego di mezzi e risorse per la sicurezza interna.

    Da queste brevi considerazioni dovrebbe nascere in tutti, specialmente nelle forze politiche e nei media, la necessità di concentrarsi su quanto è veramente preoccupante.

    Vi è ora, più che mai, la necessità di risposte condivise e ponderate, sembra invece che, come in altre occasioni, per altro di minor pericolo, troppi concentrino dichiarazioni ed azioni su presunti e pretestuosi interessi di parte, non si guardi, perciò, con stupore alla disaffezione al voto della maggioranza degli elettori.

  • Adesso è tutto chiaro

    Dopo le dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite Guterres è chiaro il motivo per il quale le Nazioni Unite da tempo non contano più nulla e non ottengono risultati, anzi aggravano i problemi.

    Se da un lato è giusto e doveroso preoccuparsi per i civili palestinesi, quelli che non sono complici e correi di Hamas, è improvvido, sbagliato, pericoloso, è una negazione di quanto Israele ha subito, pronunciare le parole che Guterres ha detto alle Nazioni Unite, parole che di fatto giustificano gli eccidi, le torture, le violenze perpetrate da Hamas il 7 ottobre.

    La richiesta di dimissioni di un uomo che di fatto ha reso le Nazioni Unite un organismo inutile ed imbelle e che, con le ultime dichiarazioni, fa da sponda al terrorismo non solo è legittima ma necessaria.

  • Due più due

    Putin si reca dal presidente cinese lanciando un messaggio criptico: ”Il piano cinese per la pace può essere un buon punto di partenza”, peccato che nessun altro, oltre a loro due, lo conosca e che tutti invece conosciamo molti degli interessi comuni che legano i due paesi, interessi che ovviamente non corrispondono ai diritti del popolo ucraino.

    Dopo le stragi di Hamas Il presidente cinese ha annunciato al mondo arabo la sua vicinanza ed il suo sostegno alla causa palestinese.

    Abu Mazen proclama che i palestinesi non sono Hamas, ma i palestinesi di Gaza hanno scelto Hamas già dal lontano 2007.

    Hamas ha usato i soldi della cooperazione internazionale per armarsi sempre di più senza migliorare di un millimetro la vita degli abitanti della striscia di Gaza, ha come obiettivo principale la distruzione di Israele, ha condotto in modo militare un’operazione terrorista di violenza inaudita, che ha portato alle morte, per ora accertata, di più di 1300 cittadini israeliani, migliaia di feriti, almeno 200 ostaggi, e ben sapendo che ci sarebbe stata una violenta e legittima reazione da parte di Israele.

    L’Isis ha proclamato la Jihad, il che non è una novità visto che non l’aveva mai ritirata, e nei paesi occidentali stanno ricominciando gli attentati, documenti e volantini del cosiddetto stato islamico sono stati ritrovati dai soldati israeliani nei luoghi delle stragi.

    Gli hezbollah si uniscono alla guerra contro Israele mentre i paesi musulmani più moderati, anche se carenti di democrazia sostanziale, rischiano rivolte interne da parte dei fratelli musulmani.

    L’Iran gioca le sue carte per ottenere via libera per l’atomica e ancor maggiore peso nell’area o per scatenare una guerra non solo contro Israele o altri paesi musulmani nemici da sempre, ma anche per dare una svolta alle proteste interne che continuano e l’amicizia, la collaborazione tra Iran e Hamas è nota da sempre.

    Non ci sarebbe da stupirsi se ricominciassero, con più violenza, anche le azioni degli al Shabaab non solo nel corno d’Africa ma in tutti quei paesi africani nei quali i governi sono impegnati a combattere  il terrorismo.

    Molti paesi africani hanno al loro interno guerre e sommosse nelle quali la mano della Russia è presente, anche dopo la scomparsa di Prigozhin, mentre la Cina tiene in pugno altri paesi del continente africano per gli enormi prestiti fatti e che questi non avranno mai modo di restituire, i gravi problemi del continente africano rientrano nello scenario di un conflitto che rischia di essere sempre più esteso.

    La Russia con la battaglia del grano sta portando alla fame paesi africani musulmani le cui democrazie agli albori si sono dimostrare  troppo fragili.

    L’attenzione dei media da alcuni giorni si è spostata quasi completamente dalla guerra in Ucraina con il rischio che l’opinione pubblica se ne disinteressi e che possano crescere le più o meno palesi simpatie di alcuni per Putin e per il suo progetto, condiviso con il presidente cinese e non solo, di un nuovo ordine mondiale.

    Non è un mistero la convinzione, che troppi hanno, che i sistemi autoritari funzionino meglio delle democrazie, democrazie che rischiano quando metà della popolazione non si reca al voto.

    La reazione di Israele, se sarà portata avanti fino alla distruzione, almeno di gran parte di Hamas, rischia di scatenare un altro conflitto senza precedenti, se si fermerà Israele rischia la propria esistenza e il rischio è anche del mondo occidentale che non potrà più pensare di vivere in pace come negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale.

    Sono solo alcune considerazioni, molte altre se ne potrebbero fare, esaminando gli errori degli uni e degli altri e la debolezza, la quasi inesistenza, da tempo, delle Nazioni Unite ma lasciamo questo lavoro ai tanti che in televisione parlano, spesso a ruota libera, mentre abbiamo, anche in questi giorni, visto bruciare in piazza le bandiere di Israele e gridare morte ai sionisti.

    La sofferenza dei civili palestinesi sotto le bombe, che doveva portare a più tempestivi aiuti umanitari, non deve lasciare indifferenti ma non può farci dimenticare che Hamas usa i civili come scudi umani mentre continua a lanciare missili su Israele, due errori non fanno mai una ragione, ciascuno si prenda  responsabilità e conseguenze
    Vogliamo solo ricordare che 1) è difficile fare i fluire maggiormente la diplomazia dopo che la si è ignorata per anni basandoci invece su qualche  improvvido Twitter, 2) se si vuole salvare Gaza bisogna eliminare Hamas, 3) se si vuole fermare la guerra Abu Mazen e i paesi arabi devono subito riconoscere Israele, solo con il pieno riconoscimento di Israele, e a seguire dello stato palestinese, si potrà sperare di costruire un Medio Oriente che guardi al futuro e continuare nelle azioni necessarie a distruggere il terrorismo. Resta fermo il fatto che Gerusalemme è la culla delle tre religioni monoteiste.

    In sintesi due più due non fanno quattro se chi conta ha obiettivi diversi dalla pace.

  • Hamas e Israele: chi ha davvero interesse alla pace?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta apparso su notiziegeopolitiche.net

    Dopo la sanguinosa carneficina perpetrata da Hamas dentro il territorio di Israele, gli israeliani sono assetati di sangue e nessun governo, né quello al potere prima dell’attacco né quello attuale di unità nazionale, potrà permettersi di tornare alla situazione precedente o limitarsi a una vittoria di facciata contro Hamas.

    Tuttavia, una invasione di terra con l’obiettivo di “eliminare del tutto” Hamas prospetta danni molto più gravi di quanto la rabbia dei primi momenti avrebbe suggerito. Si verificherà una catastrofe umanitaria, morale e strategica. La striscia di Gaza è un’entità con la densità di popolazione tra le più alte al mondo e Gaza city è abitata da più di un milione di persone. Anche chi volesse andarsene prima dell’invasione non saprebbe realmente dove recarsi (il valico di Rafah con l’Egitto resta chiuso e gli ospedali e le maggiori infrastrutture si trovano solo nella capitale). Di certo l’ingresso di migliaia di soldati israeliani non sarà accolto con giubilo dalla popolazione locale e ciò che sarà più probabile è un combattimento casa per casa.  Ci saranno cecchini, attentatori suicidi e esplosivi improvvisati. Le vittime non potranno che essere migliaia e, se pur tra loro ci saranno militanti del gruppo terrorista, la maggior parte dei morti sarà tra i cittadini inermi. Ciò rafforzerà ancora di più i sentimenti anti israeliani in tutte le popolazioni arabe del medio oriente e nessun governo locale, nemmeno il più moderato, avrà il coraggio di ostacolare o di scoraggiare le manifestazioni.

    In un mio altro articolo del maggio 2021 sostenevo che lo status quo di allora fosse l’unica soluzione possibile anche se non l’ottimale. Purtroppo oggi anche quell’ipotesi non sembra più percorribile e Hamas è il primo a non volerlo sperando che un possibile allargamento del conflitto porti veramente alla distruzione (o al drastico ridimensionamento) di Israele.

    La situazione e le conseguenze che potrebbero derivarne è molto delicata e pericolosa, non solo per gli israeliani ma anche per tutto il mondo occidentale. Ciò nonostante, io non ho alcun dubbio: voglio che Israele esista e prosperi e trovo che noi europei non abbiamo scelta alternativa. Io sto con Israele.

    *Già deputato è analista politico ed esperto di relazioni e commercio internazionali

  • L’unica soluzione? Il riconoscimento dei due Stati, Israele e Palestina

    Lo si dice da anni, lo si ripete in ogni occasione di conflitto o di azioni terroriste, una litania che rischierebbe di diventare patetica se non esprimesse una sacrosanta verità negata, nei fatti, da molti di quelli che la pronunciano.

    E’ il mondo arabo, o almeno la maggior parte di esso, nel suo complesso e nelle sue diverse forme organizzative, che ha negato ai palestinesi il loro diritto a vivere in uno stato indipendente e riconosciuto nel momento nel quale, per decenni, si è rifiutato di riconoscere Israele.
    Anche l’Occidente ha le sue colpe nel non avere fatto comprendere al mondo arabo moderato i pericoli di lasciare nel limbo del non riconoscimento sia Israele che i palestinesi, nel non aver controllato come si usavano i molti soldi inviati come aiuti umanitari, nel non avere portato fino in fondo la guerra al terrorismo, nel non avere approntato in Europa regole comuni per l’immigrazione e per il rispetto delle regole e delle leggi europee.
    I più o meno recenti accordi di Abramo, i quali seguono altri tentativi di accordi siglati e disattesi, che sembravano aprire finalmente la strada per arrivare al riconoscimento di Israele e di conseguenza della Palestina, sono stati sabotati nel sangue che Hamas ha scientemente, e con inaudita ferocia, versato in Israele nel tentativo di fare imboccare a tutti una strada senza ritorno.
    Hamas pur avendo usato i soldi degli aiuti umanitari, che arrivavano da gran parte del mondo, Europa in testa, per dotarsi di nuove armi e di fabbriche per incrementare il suo arsenale di  guerra, invece che per dare migliori condizioni di vita ai palestinesi, non avrebbe potuto preparare un piano così efferato e preciso se non avesse avuto a monte il fattivo sostegno di altre potenti realtà, non soltanto dell’Iran.
    L’Iran, messo in difficoltà dalle proteste interne, nell’ultimo anno diventate più evidenti e ormai all’attenzione mondiale, non poteva aspettare oltre visti i colloqui e le intese che si andavano costruendo anche  tra Arabia Saudita ed Israele.
    Stabilizzare il Medio Oriente creando condizioni di civile convivenza, di sicurezza per Israele e di maggiore benessere per i palestinesi, non era e non è un obiettivo né degli islamisti radicali, né del terrorismo islamista, sia esso al Qaeda o  Isis, ma neppure di quelle  potenze che, negli ultimi anni, stanno cercando di creare sinergie per dare vita ad un nuovo sistema mondiale sia politico che economico.
    Gli incontri tra Putin e il presidente cinese, la guerra che lo zar ha scatenato contro l’Ucraina, la sempre più forte penetrazione in vari paesi africani sia da parte cinese che russa, anche se con metodi diversi, fanno parte di un ampio disegno che vede nell’attacco ad Israele, senza pari per violenza ed capacità organizzativa, un nuovo spaventoso scenario nel quale tutti possono restare coinvolti ma solo alcuni hanno l’arma, che potrebbe diventare vincente, del ricatto e del terrore.
    Siamo tutti consapevoli che nei bombardamenti su Gaza soffriranno migliaia di civili che perderanno la casa se non la vita, ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che da Gaza continuano a piovere missili su Israele, assediata anche dagli Hezbollah e non solo.
    Siamo consapevoli che Israele non può, come nessuno stato può, che reagire con estrema fermezza alla mattanza fatta dai terroristi di Hamas perché non può ignorare il disegno, che esiste da sempre, di distruggerla e che la chiamata alla jihad è un pericolo per tutto il mondo, non lo può ignorare Israele e non lo possiamo ignorare noi.

    Né si possono ignorare le manifestazioni che sono state tenute in vari paesi, Italia compresa, a favore dei palestinesi, di Hamas ed inneggianti la distruzione di Israele. Legittimo, anzi giusto chiedere attenzione per i civili palestinesi, per la loro salvezza, barbaro non avere pietà e rispetto per le persone, i bambini trucidati da Hamas.

    I tanti, Cina compresa, che chiedono, con più o meno arroganza e mistificando le realtà, che gli israeliani non entrino a Gaza perché non chiedono ad Hamas di cessare il lancio di razzi contro Israele? Perché non condannano, senza se e senza ma, quello che Hamas ha fatto ad Israele e contro gli stessi palestinesi?

    Chiedere pace bruciando le bandiere di Israele e non condannando il terrorismo è la strada per ancora più odio e guerra.

    La doppia verità è sempre menzogna e l’arma del terrore deve essere distrutta perché tutti possano aspirare ad un mondo nel quale diritti umani, libertà e sicurezza non siano soltanto parole.

  • Difendere Israele e l’Ucraina imperativo per tentare di garantire il futuro di chi crede nella civiltà

    Dopo gli orrori di Bucha  e dei troppi luoghi ove si è accanita la crudeltà e l’efferatezza di alcuni reparti russi, nella criminale guerra di Putin, ecco ora gli orrori che gli islamisti hanno commesso in Israele, trucidando persone inermi e decine e decine di bambini, alcuni di questi, secondo le notizie apparse su diversi media, sono stati sgozzati e decapitati.

    Difficile trovare parole idonee per condannare questo orrore, difficile pensare in modo razionale, non farsi prendere dall’odio.

    Chiedere giustizia sembra ormai inutile perché di fronte al terrore, ad uomini che non hanno remore del dichiararsi terroristi o di comportarsi come tali, di farsi saltare in aria o di mandare a sicura morte altri uomini incuranti di ogni principio comune, di ogni pietà e rispetto, le leggi, le associazioni internazionali sembrano non avere più capacità di intervento, oltre alle solite dichiarazioni.

    Gli antichi dicevano “se vuoi la pace prepara la guerra” e tutto il nostro difficile tentativo, protrattosi nei secoli, per arrivare a una società che riconoscesse la civiltà come bene comune deve riportarci a considerare quella frase, purtroppo, ancora attuale.

    Difendere Israele come difendere l’Ucraina sono imperativi per tentare di garantire il nostro futuro di italiani, di europei, di donne e uomini che credono nella civiltà.

    Il terrore non ci deve impaurire e piegare, non ci sono né se né quando la stessa civiltà è messa in serio pericolo: in poche ore siamo tornati indietro nel tempo prima in Ucraina ed ora in Israele.

    Le risposte, anche le più cruente, al terrorismo ed alla violenza contro civili, contro bambini, non sono solo giustificate ma necessarie perché le belve umane sono le più sanguinarie e pericolose che esistono e solo rendendole inoffensive, definitivamente, il mondo ritroverà quella civiltà che loro stanno tentando di sopprimere.

  • Israele, Ucraina, le guerre del terrore e nessuno si salva da solo

    La nuova guerra alla quale è chiamato Israele, dopo gli attacchi terroristici di questi giorni, mette in evidenza una serie di aspetti.

    I sistemi di sicurezza, benché ultramoderni e sofisticati, non mettono al riparo da incursioni di terroristi che non hanno alcuna considerazione della propria vita e perciò sono pronti a tutto, come già in altre occasioni avevamo visto.

    Le guerre oggi si avvalgono contemporaneamente di sistemi altamente tecnologici come di quelli  tradizionali mentre strumenti che, normalmente, sono utilizzati per divertimento e sport diventano armi di distruzione come i deltaplani ed i droni.

    Le armi possono essere di diversa efficacia letale ma dietro di esse devono esserci uomini disposti a morire per raggiungere lo scopo, o costretti a morire perché i loro capi lo raggiungano, quanto sta avvenendo in Ucraina, in Israele o in alcuni paesi africani, quanto è avvenuto in Afganistan, dimostra chiaramente che l’arma più letale resta l’uomo, sia quando si fa esplodere sia quando impone agli altri di marciare verso la morte.

    Queste guerre hanno dimostrato e dimostrano che se non si è capaci di preparare la propria difesa ogni paese può essere attaccato e la sua sopravvivenza è messa a rischio.

    Alcuni capi di stato e di governo preferiscono usare ogni disponibilità economica per migliorare sempre più gli armamenti, reclutare disperati, spendere per gli addestramenti piuttosto che dare alle proprie popolazioni i mezzi per vivere più dignitosamente, in questo modo ottengono il duplice risultato di avere sempre persone disperate da reclutare e da aizzare contro fantomatici avversari esterni.

    Il recente tentativo di trovare finalmente un accordo, come quello a suo tempo raggiunto con l’Egitto, tra Israele e l’Arabia Saudita ha scatenato, specie da parte dell’Iran, la decisione di attaccare, tramite i palestinesi, Israele ritenendo, erroneamente, che in questo momento fosse più debole per alcune spaccature interne.

    Certamente i servizi di sicurezza, spionaggio e controspionaggio, di Israele hanno dimostrato di non essere all’altezza della loro fama, infatti l’attacco che Israele ha subito è stato programmato con dovizia di mezzi e ha dimostrato grande capacità di penetrazione frutto di studi meticolosi e di organizzazione precisa.
    Non è sicuramente stata all’oscuro di tutto Mosca che importa dall’Iran armi e droni e che spera che l’Occidente, specie gli Stati Uniti, si distragga dalla guerra criminale che Putin ha portato in Ucraina per occuparsi invece di quanto sta avvenendo in Medio Oriente.

    Non è da escludere che si possa avere anche un ritorno alla strategia degli attentati in vari altri paesi, la stessa uccisione in Egitto di due turisti israeliani può essere l’inizio, da parte dei terroristi che si annidano ovunque, di una nuova stagione del terrore.

    Le guerre che sono ormai, dichiarate o meno, in mezzo mondo ci sembrano spesso lontane e a volte guardiamo le notizie che arrivano da vari fronti con occhi distaccati, poi ci si trova in mezzo e capiamo cosa  vuol dire doversi  rifugiare sotto terra e sentire le bombe che ci esplodono sulla testa, come è successo ai molti turisti italiani che sono in questi giorni in Israele.

    Quando qualcuno pensa di lasciare che gli ucraini se la sbrighino senza il nostro aiuto, perché noi vogliamo la pace o non vogliamo fare nuovi sacrifici per altri, pensiamo a come potrebbe cambiare la nostra vita se fossimo lasciati soli sotto il fuoco nemico, sotto le bombe o sotto il ricatto economico di un altro paese.

    La pace è un obiettivo che va raggiunto per il bene comune ma ricordiamo tutti che non vi può essere pace, civile convivenza, se non si rispettano le leggi internazionali, se chi inizia una guerra ha come obiettivo la pulizia etnica o culturale, l’annientamento di ogni diritto, l’uccisione indiscriminata di civili.

    Nessuno si salva da solo, nessuno si salva se il terrore vince, nessuno si salva senza la capacità di prevedere e di conseguenza di prepararsi.

  • Le forze somale prendono il controllo delle aree lasciate libere dalle truppe dell’Unione Africana

    Le forze somale hanno assunto responsabilità di sicurezza in cinque dei sei settori in cui sono state dispiegate le truppe dell’Unione Africana (UA).

    Il ministero della Difesa ha detto di aver apprezzato i “sacrifici” compiuti negli anni dalla missione dell’UA e dai paesi che avevano fornito soldati: Burundi, Gibuti, Etiopia, Kenya e Uganda.

    La dichiarazione è arrivata dopo il previsto ritiro di 2.000 soldati dell’UA il 30 giugno.

    La maggior parte delle basi militari finora consegnate si trovano nella regione del Basso Shabelle ed erano gestite dal contingente burundese della missione.

    Altri 3.000 soldati dell’UA dovrebbero partire entro la fine di settembre, con l’intera forza che dovrebbe lasciare la Somalia entro la fine del 2024.

    L’UA aiuta il fragile governo somalo a combattere il gruppo militante islamista al-Shabab dal 2007.

  • Ancora una strage degli al Shabaab ma il Kenya è sempre più determinato nella guerra contro il terrorismo islamista

    A coloro che pensavano che il terrorismo islamista si fosse acquietato accontentandosi, come nel caso degli al Shabaab, di continuare a colpire e mietere vittime solo in Somalia, ha violentemente risposto la realtà: nelle ultime ore i terroristi somali, ben noti per le molte stragi ed assassini che hanno compiuto anche in Kenya, hanno nuovamente colpito ed ucciso proprio nella repubblica africana che solo pochi giorni fa aveva siglato un importante accordo con l’Unione Europea.

    Cinque fino ad ora le vittime accertate, sgozzate e decapitate, tutti civili.

    L’efferata violenza è una delle tante che gli al Shabaab hanno compiuto contro un paese che da anni è in prima fila per cercare di supportare il governo somalo e ripristinare l’ordine a Mogadiscio sostenendo la fragile presidenza, eletta nel modo più democratico possibile, in un paese dove ormai, da decenni, il terrorismo è padrone pressoché incontrastato.

    Il governo keniota, nonostante i molti attentati subiti sul suo territorio, non si è tirato indietro continuando a offrire aiuto militare alle istituzioni somale, il Kenya soffre da anni le conseguenze della guerra che i terroristi jihadisti stanno portando in varie parti dell’Africa, ora sotto l’insegna di al Qaeda ora sotto quelle dell’Isis.

    Ricordiamo, perché la memoria a volte non aiuta, alcuni dei più sanguinosi attentati subiti dal Kenya (sparatoria al centro commerciale Westgate settembre 2013; strage all’Università di Garissa il 2 aprile 2015; attacchi di Mombasa il 28 novembre 2002 contro un hotel di proprietà israeliana e un aereo appartenente ad Arkia Airlines).

    Non si deve inoltre dimenticare che in Kenya vi è a Dadaab il più grande campo profughi che vede rifugiati decine di migliaia di somali scappati dalla tragica situazione del loro paese afflitto, oltre che da sanguinosi scontri tra le forze del terrore e le forze governative, da una persistente carestia che rende la popolazione sempre più affamata e disperata.

    Il Kenya, giustamente considerato tra i paesi più evoluti ed affidabili dell’Africa, ha siglato, nei giorni scorsi, un importante accordo di partenariato economico con l’Unione Europea che promuoverà gli scambi di merci e creerà nuove opportunità economiche per le imprese e gli esportatori kenyoti, aprirà il mercato dell’UE ai prodotti kenyoti e incentiverà gli investimenti dell’UE in Kenya. Anche questo ha certamente reso ancora più violenti ed aggressivi gli al Shabaab che vedono nell’accordo un altro importante tassello per rendere il Kenya più forte e l’Africa più libera e stabile anche dal punto di vista economico.

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