Terrorismo

  • Donato Barack Obama alla Casa Bianca, ora il Kenya dona tutto il resto alla Cina

    Innalzare le relazioni bilaterali ad un “nuovo livello”, con l’obiettivo di creare una comunità Cina-Africa “adatta a tutte le turbolenze” di fronte al “caos” internazionale. È questa l’ambizione riaffermata dal presidente cinese Xi Jinping e dall’omologo keniota William Ruto in occasione del loro incontro avvenuto a Pechino, durante una visita di Stato di cinque giorni del leader keniota, la prima in Cina dal suo insediamento tre anni fa. Una visita che sancisce il rafforzamento dei legami strategici ed economici tra i due Paesi, in un momento in cui sia Pechino che Nairobi stanno cercando di rivedere le loro alleanze di fronte alla minaccia della guerra commerciale scatenata dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

    L’incontro tra Xi e Ruto ha inoltre costituito l’occasione per stipulare 20 accordi di cooperazione incentrati sui progetti legati alla Nuova via della seta e sui settori alta tecnologia, cultura, media, economia e commercio. Nella loro dichiarazione congiunta diffusa al termine dell’incontro, entrambi i leader hanno affermato di essere “impegnati a infondere maggiore stabilità nel mondo con la certezza della solidarietà e della cooperazione tra Cina e Africa”, allo scopo di salvaguardare gli “interessi comuni dei Paesi in via di sviluppo” e di difendere il sistema multilaterale, attraverso una “globalizzazione economica inclusiva”.

    I due leader hanno ribadito la volontà di mantenere fitti scambi al vertice, di consolidare la cooperazione a tutti i livelli, di “sostenersi fermamente a vicenda” su questioni che riguardano i rispettivi interessi e di “opporsi con decisione alle ingerenze e alle pressioni esterne” e hanno convenuto di rafforzare la cooperazione in vari ambiti – infrastrutture, commercio, digitalizzazione, salute, istruzione, finanza ed economia verde – e di incentivare un ulteriore allineamento della Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri) cinese alla Vision 2030 del Kenya.

    Pechino e Nairobi si sono dette pronte ad approfondire ulteriormente gli scambi anche nel campo della sicurezza, con particolare attenzione alla lotta al terrorismo, al narcotraffico e ai crimini transnazionali. “Le parti – recita la nota congiunta – negozieranno attivamente e firmeranno un memorandum d’intesa sulla cooperazione tra le rispettive forze dell’ordine, stabiliranno meccanismi di collaborazione” e “rafforzeranno gli scambi in settori quali la formazione del personale, l’industria e il commercio correlati alla difesa, la lotta al terrorismo, le esercitazioni e l’addestramento congiunti”.

    A livello multilaterale, Cina e Kenya sostengono “la riforma necessaria e il rafforzamento delle istituzioni delle Nazioni Unite, incluso il Consiglio di sicurezza”, per aumentare la rappresentanza dell’Africa e degli altri Paesi in via di sviluppo. “In risposta ad una situazione internazionale di caos e cambiamenti interconnessi, è necessario promuovere una governance globale basata sulla consultazione, sulla costruzione congiunta e sulla condivisione, plasmare un ordine internazionale più giusto e ragionevole, abbandonare risolutamente la legge della giungla e opporsi all’egemonia, alla politica di potenza e a tutte le forme di unilateralismo e protezionismo”, sottolinea il documento.

    Relativamente alla situazione africana, sia Pechino che Nairobi “invitano la comunità internazionale a sostenere gli sforzi dei Paesi del continente e di organizzazioni regionali come l’Unione africana per risolvere autonomamente i problemi africani in modo africano. La Cina sostiene fermamente l’Unione africana nella promozione dell’unità tra i Paesi del continente, nella risposta attiva alle problematiche connesse alla sicurezza regionale e nella mediazione di conflitti e controversie regionali”. I colloqui tra Xi e Ruto, conclude la nota, si sono svolti in “un’atmosfera franca e cordiale”, che ha incentivato un “approfondito scambio di opinioni sulle relazioni bilaterali, sui rapporti Cina-Africa nel quadro della nuova situazione (internazionale), così come su questioni internazionali e regionali di comune interesse”. La visita del presidente keniota viene definita nel documento “un completo successo”.

    Parlando al termine dell’incontro, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che la Cina è pronta a lavorare con il Kenya per favorire lo sviluppo delle relazioni di Pechino con il continente e a rafforzare la solidarietà e la cooperazione nel Sud globale. “Cina e Kenya dovrebbero continuare a sostenersi fermamente a vicenda nella salvaguardia della sovranità nazionale, della sicurezza e degli interessi di sviluppo, sostenersi fermamente a vicenda nell’esplorazione di percorsi di sviluppo adatti alle loro condizioni nazionali, approfondire gli scambi di esperienze nella governance statale e divenire compagni di viaggio e veri amici sulla strada della modernizzazione”, ha detto Xi.

    Oltre ad aprire ad un aumento delle importazioni di prodotti kenioti di alta qualità, la Cina punta a collaborare con Nairobi per mantenere una regolare comunicazione a livello politico, promuovere la connettività e il commercio sostenibile, esplorare flussi finanziari diversificati e contribuire al rafforzamento della Nuova via della seta. La Cina, ha aggiunto Xi, “non causa problemi, ma non ne ha paura” ed è pronta a collaborare con altri Paesi per rispondere alle problematiche nel panorama internazionale. Alludendo alla politica daziaria del presidente statunitense Donald Trump, Xi ha detto che “non ci sono vincitori nelle guerre commerciali e tariffarie”, e ha sottolineato la propensione di Pechino a “collaborare con altri Paesi del mondo per rispondere alle diverse problematiche attraverso l’unità e la cooperazione, salvaguardando i propri diritti e interessi legittimi, le regole del commercio internazionale e l’equità e la giustizia internazionali”.

    Il presidente Ruto, da parte sua, si è detto convinto che l’attuale guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina potrebbe sancire la fine del vecchio ordine mondiale, attesa da tempo. Parlando nel corso di una conferenza pubblica tenuta presso l’Università di Pechino, Ruto ha aggiunto che un nuovo sistema commerciale mondiale dovrebbe tenere conto delle attuali realtà di una struttura economica globale ingiusta guidata dalle potenze occidentali, in cui le nazioni sottosviluppate, comprese quelle africane, sono svantaggiate. “L’architettura finanziaria e di sicurezza nata dalle ceneri di quel conflitto ha ampiamente favorito il Nord del mondo a spese del Sud del mondo, con l’esclusione di tutti gli altri”, ha lamentato Ruto, che ha partecipato a una tavola rotonda tra investitori di Kenya e Cina, durante la quale sono stati siglati sette accordi con aziende cinesi allo scopo di investire in nuovi progetti di sviluppo nella più grande economia dell’Africa orientale. Il leader keniota ha inoltre esortato sia Nairobi che Pechino a intensificare la loro campagna per promuovere la causa del Sud del mondo sulla scena internazionale, insistendo sulla riforma delle istituzioni globali “per renderle più rappresentative ed efficienti”. Ruto ha quindi descritto le aziende cinesi come la forza trainante della crescita economica del Kenya nel corso degli anni attraverso gli investimenti.

    Tra gli accordi firmati alla presenza dei due leader, degni di nota sono il memorandum d’intesa sull’economia blu, la pesca e gli affari marittimi, che allinea il Kenya all’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) sui sussidi alla pesca, e il protocollo d’intesa sulla cooperazione scientifica e tecnologica per promuovere partnership nella ricerca, nell’innovazione e nei progressi tecnologici. Il fulcro della cooperazione tra Pechino e Nairobi è però il settore delle infrastrutture, con il Kenya che beneficerà di progetti chiave nell’ambito della Nuova Via della Seta (Bri). Tra questi rientrano l’estensione delle fasi 2B e 2C della ferrovia a scartamento standard (Sgr), il raddoppio dell’autostrada Rironi-Mau Summit e 15 strade rurali finanziate dalla Banca di sviluppo cinese (Cdb). Sono inclusi anche i finanziamenti per il raddoppio della tangenziale nord, il raddoppio della Kiambu Road alla tangenziale nord, la costruzione del ponte Nithi, il finanziamento del sistema intelligente di gestione del traffico (Itms) e l’ampliamento delle strade cittadine di Eldoret. Inoltre, un accordo sulle leggi ferroviarie, sulle infrastrutture, sugli standard operativi e sul trasporto multimodale getta le basi per una moderna rete ferroviaria che collega persone e mercati in tutta la regione. È incluso anche un accordo quadro per la fase III del sistema di trasporto intelligente di Nairobi e per il miglioramento degli incroci cittadini, per contribuire a ridurre la congestione del traffico e migliorare la mobilità urbana. Da segnalare infine accordi nei settori della sanità, delle risorse idriche, dell’istruzione professionale, della cooperazione culturale, dello scambio e la diffusione di notizie, della formazione, del commercio elettronico, della produzione sostenibile, dell’agroalimentare, della sostenibilità ambientale, del cyberspazio, dell’intelligenza artificiale, delle procedure di immigrazione e sui visti e della prevenzione della tratta di esseri umani.

    Quello in corso è il terzo viaggio che il presidente Ruto effettua in Cina dal suo insediamento, avvenuto nel settembre 2022, ma si tratta della prima visita di Stato in assoluto che compie a Pechino. In precedenza il leader keniota aveva infatti partecipato al Terzo Forum sulla Via della Seta, nell’ottobre 2023, e al Forum sulla cooperazione Cina-Africa, nel settembre 2024. Una visita, quella di Ruto, che avviene sulla scia dei dazi del 10% applicati dal presidente statunitense Donald Trump su tutte le esportazioni keniote verso gli Stati Uniti, che hanno accelerato il tentativo da parte di Nairobi di diversificare i propri partner commerciali. Tra questi, la Cina riveste un interesse fondamentale, dal momento che Pechino occupa attualmente il primo posto nella lista. Secondo l’Amministrazione generale delle dogane (Adg) di Pechino, nei primi tre mesi dell’anno gli scambi di merci tra i due Paesi sono aumentati dell’11,9% su base annua, raggiungendo i 16,13 miliardi di yuan (circa 2,24 miliardi di dollari), segnando il sesto trimestre consecutivo di crescita. Secondo i dati doganali, nello stesso periodo le esportazioni cinesi verso il Kenya hanno registrato un aumento annuo dell’11,8%, mentre le importazioni dal Kenya sono aumentate del 13,2%.

    Il Kenya è un Paese chiave della Bri, l’ambizioso piano che mira a collegare Africa, Asia ed Europa attraverso imponenti progetti infrastrutturali ed energetici. La Cina ha già finanziato miliardi di dollari per la costruzione di strade, porti e una ferrovia keniota che collega la città costiera di Mombasa alla capitale Nairobi. Cina e Kenya hanno ampliato notevolmente la cooperazione in diversi settori sin dall’instaurazione delle relazioni diplomatiche, avvenuta più di sessant’anni fa. Nel 2017, i loro legami sono diventati un partenariato strategico di cooperazione globale. Oggi la Cina è il principale partner commerciale del Kenya e la principale fonte delle sue importazioni, mentre il Kenya è il principale partner commerciale della Cina nell’Africa orientale. All’inizio della sua presidenza Ruto aveva privilegiato i legami con l’Occidente, e in particolare con gli Stati Uniti, rispetto alla Cina, venendo ricevuto alla Casa Bianca nel maggio 2024 dall’allora presidente Joe Biden, che in quell’occasione annunciò il conferimento al Kenya dello status di “alleato primario non membro della Nato”, assegnato ai Paesi che hanno una cooperazione militare privilegiata con gli Usa, pur non partecipando ad alleanze come la Nato. Tuttavia, dopo l’entrata in carica di Donald Trump, i dazi statunitensi e la riduzione degli aiuti Usa hanno spinto Nairobi a cercare nuovi mercati e investimenti da Pechino.

  • Nuova spy story di Albert de Bonnet, nell’Africa degli Al-Shabaab

    Ospite, sempre tramite la sua ‘portavoce’ Cristiana Muscardini, del Centro Internazionale di Brera a Milano presieduto da Stefano Carluccio, nell’ambito del ciclo di incontri ‘I salotti dell’intelligence’ moderati da Andrea Vento, Albert De Bonnet ha fatto sapere che sta per ultimare un ulteriore romanzo, di nuovo una spy story ovviamente, ambientato in Africa, in quella parte del Continente Nero in cui imperversano i terroristi islamisti di Al-Shabaab.

    La sua prima opera letteraria, ‘Operazione Pig’, ha intanto dato vita a un dibattito, anche grazie alla presenza  all’incontro di un esperto di intelligence come Giuliano Tavaroli, a un dibattito su ciò che fiction non è, ovvero il problema delle armi non-convenzionali, le armi Nbc (nucleari, biologiche e chimiche), in uno scenario geopolitico già di suo tutt’altro che rasserenante.

    Nata dal desiderio di far capire, senza poter ovviamente descrivere troppo esplicitamente, cosa c’è dietro le apparenze, come ha spiegato Muscardini, la ‘danza delle spie’ descritta da De Bonnet in ‘Operazione Pig’ ha il pregio, secondo Tavaroli, di mostrare la ‘banalità del pericolo’. Il reclutamento di estremisti islamici, ha raccontato Tavaroli per fornire un esempio concreto di banalità del pericolo e del rischio che esso venga sottovalutato o ignorato proprio perché apparentemente irrilevante, opera oggi attraverso il settore del gaming on line, tanto innocente all’apparenza quanto ricco di possibili target da fidelizzare (450 milioni di utenti).

    Nel frattempo, i servizi segreti dei vari Paesi continuano a non dialogare tra di loro – i capi delle strutture di intelligence italiana e francese si sono visti insieme l’ultima volta nel 1981 ha ricordato Vento -, Bruxelles pullula di spie cinesi e russe quanto l’Africa mentre i parlamentari europei – ha ricordato l’ex eurodeputata Muscardini – brillano come poveretti disposti a vendersi per un tozzo di pane (4000 euro, che per il loro incarico è nulla) alla prima lobby disposta a investire su di loro i (dopo lo scandalo delle sospette tangenti da Qatar e Marocco, è spuntato il caso dell’occhio di riguardo verso la corporation di tlc cinese Huawei) e un’intelligence europea che affianchi la costituenda difesa europea per la quale la Ue conta di mettere sul piatto 800 milioni appare una chimera a Tavaroli, con buona pace di Putin e Trump che intanto preparano la Yalta del XXI secolo (come da titolo del libro dell’ex diplomatico Sergio Vento, padre di Andrea, il XX secolo non è mai finito).

    Conte, Schlein e quant’altri si preoccupano più dell’esegesi del Manifesto di Ventotene più di quel che è l’Europa come storicamente si è realizzata e come concretamente oggi si trova sullo scacchiere globale non hanno trovato cittadinanza nel dibattito e le cifre emerse nel dibattito spiegano da sole perché non abbiano avuto cittadinanza nella discussione. L’Italia spende circa un miliardo di euro per i suoi 007, il Regno Unito 3,5 miliardi di sterline per il solo centro di comando delle sue barbe finte, gli Usa tra i 70 e i 100 miliardi di verdoni (che è in proporzione ben più di quanto maggiore sia il Pil statunitense rispetto a quello italiano). Senza contare – ha ricordato Tavaroli – che le intercettazioni disposte dalla magistratura in seguito alla vicenda di Abu Omar, il predicatore islamico catturato dalla Cia a Milano a suo tempo, hanno certo dissuaso i colleghi degli altri servizi dal sentirsi con i colleghi della penisola e che il buonismo verso gli immigranti che è praticato non solo da Bergoglio ma anche da chi ha retto quello Stato che sta dall’altra parte del Tevere ha reso invisa l’Italia a buona parte dell’Europa, non fosse altro che per il fatto che quattro di  cinque estremisti che hanno compiuto attentati in Europa negli ultimi anni in Europa hanno messo piede passando da quel Paese che dai tempi di Aldo Moro e del suo celebre Lodo ha barattato impunità agli estremisti in cambio di nessun attentato sotto le Alpi.

    Visto quel che c’è da constatare nella realtà a guardarsi intorno, secondo quanto emerso nel dibattito meneghino, leggersi quel che De Bonnet ha pubblicato e pubblicherà più che a trattenere il fiato forse serve a tirare un respiro di sollievo.

  • La Tunisia proroga per l’intero 2025 lo stato d’emergenza antiterrorismo

    In Tunisia lo stato d’emergenza per i rischi legati al terrorismo è stato prorogato fino alla fine del 2025, in virtù del decreto numero 74 del 29 gennaio 2025, pubblicato in Gazzetta ufficiale. Una misura introdotta per la prima volta nel 2015 a seguito degli attentati che hanno preso di mira un autobus della guardia presidenziale in Avenue Mohamed V a Tunisi, un gruppo di turisti a Sousse e al museo del Bardo, e da allora regolarmente estesa. Lo scorso dicembre lo stato d’emergenza era stato prorogato per un mese. La sera del 24 gennaio scorso, una persona si è data fuoco e ha aggredito alcuni membri delle forze di sicurezza di stanza nei pressi della Grande Sinagoga di Tunisi, in via Lafayette. L’operazione si è conclusa con la morte dell’uomo e il ferimento di un secondo agente di polizia che ha poi aperto il fuoco per proteggere il collega, rimasto ferito per le ustioni ed è stato trasportato in ospedale. Il ministero dell’Interno di Tunisi non ha parlato di attacco terroristico, ma bensì di “incidente”, affermando che a darsi alle fiamme sarebbe stato un tunisino con problemi di salute mentale. L’ultimo vero e proprio attentato nel Paese nordafricano risale al maggio 2023, quando diverse persone sono state uccise e ferite in un attacco a una sinagoga nella località turistica di Djerba, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Almeno due attacchi con coltello sono stati registrati nel 2022 che hanno avuto come target agenti di sicurezza o civili. Operazioni delle forze di sicurezza contro organizzazioni terroristiche hanno luogo regolarmente nei governatorati di Kasserine, Le Kef, Jendouba, Beja e Sidi Bouzid, ma rimane il rischio di attentati anche in altre zone del paese, compresa la capitale.

    Il 26 dicembre 2024, un poliziotto è rimasto ferito in modo grave a Moknine, governatorato nordorientale di Monastir, durante un’operazione di sicurezza. Secondo fonti giudiziarie, il giovane fratello di un ricercato, classificato come terrorista, ha accoltellato l’agente durante il tentativo di arresto. Il 20 dicembre un’altra operazione antiterrorismo è stata condotta invece dalla Guardia nazionale tunisina, che ha catturato due soggetti considerati elementi di spicco di organizzazioni estremiste. A Douz, nella regione meridionale di Kebili, le unità speciali hanno catturato un uomo ricercato dalle autorità giudiziarie di Tunisi. L’arrestato, condannato in contumacia a 52 anni di carcere, era accusato di far parte di un’organizzazione estremista. Altri due individui, invece, sono stati arrestati a Kasserine il 12 dicembre 2024 per aver sostenuto pubblicamente gruppi terroristici e per aver incitato alla violenza dopo la caduta di Bashar Al Assad in Siria. Le autorità hanno agito in seguito a indagini di intelligence. Secondo il portavoce dei tribunali di Kasserine, Imed Laamari, le due persone arrestate inneggiavano a gruppi terroristici come Al Qaeda, auspicando che lo scenario in Siria con l’ascesa di Hayat Tahrir Al Sham, possa ripetersi in Tunisia e Algeria. L’azione della polizia e della Guardia nazionale, in collaborazione con le forze armate, si inserisce in un contesto più ampio di lotta al terrorismo, che vede la Tunisia impegnata in prima linea con il sostegno dei suoi partners regionali come Italia e Stati Uniti.

    Trentadue minori tunisini sono stati coinvolti in attività terroristiche, reclutati e radicalizzati attraverso la rete nel 2024, come ha riferito il tenente colonnello Mohamed Lazhar Khelifi, a capo delle operazioni tecniche della direzione antiterrorismo della Guardia nazionale. Secondo il tenente colonnello Khelifi, i terroristi sfruttano i social media per reclutare e indottrinare i più giovani, trasformandoli in potenziali minacce. E’ stata anche smantellata una rete criminale che operava all’interno di aziende locali. Il brigadiere generale Houssem Eddine Jebabli, portavoce della gendarmeria tunisina, ha confermato che il gruppo era coinvolto in attività di phishing su larga scala e in altre frodi informatiche. Le indagini, ancora in corso, hanno portato alla luce legami con movimenti sociali e tensioni interne al Paese, equiparabili ad “attività terroristiche”. Gli inquirenti hanno anche accertato altri reati, tra cui l’intercettazione di chiamate internazionali che normalmente transiterebbero attraverso le reti nazionali. In particolare, sarebbe stato scoperto un reato elettronico che ha causato un malfunzionamento durante i pagamenti a distanza (Tpe) e i trasferimenti di denaro, senza lasciare traccia nel trattamento e consentendo così l’appropriazione indebita di ingenti somme.

  • Rapporto Onu: gli Houthi dello Yemen sostengono Al Qaeda nel Corno d’Africa

    Secondo un rapporto predisposto dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite sullo Yemen, 537 pagine che coprono il periodo dall’1 settembre 2023 al 31 luglio 2024, gli Houthi e Al-Qaeda hanno concordato di mettere da parte le loro divergenze e concentrarsi sull’indebolimento del governo yemenita trasferendo armi, coordinando gli attacchi alle forze governative yemenite, cooperando per contrabbandare armi nello Yemen, condividendo informazioni di intelligence e fornendo rifugio ai combattenti dell’altro.

    La milizia Houthi dello Yemen, che ha guadagnato milioni di dollari tramite la pirateria marittima, ha armato i militanti di Al-Qaeda, ha fornito loro un rifugio e ha facilitato gli attacchi alle aree controllate dal governo yemenita. “Quella opportunistica alleanza è caratterizzata dalla cooperazione in materia di sicurezza e intelligence, offrendo rifugi sicuri per i rispettivi membri, rafforzando le rispettive roccaforti e coordinando gli sforzi per colpire le forze del governo”, si legge nel rapporto, nel quale si evidenzia anche che gli Houthi hanno anche rilasciato combattenti di Al-Qaeda incarcerati condannati per terrorismo e fornito ad Al-Qaeda droni e razzi.“Dall’inizio del 2024, i due gruppi hanno coordinato le operazioni direttamente. Hanno concordato che gli Houthi avrebbero trasferito quattro veicoli aerei senza equipaggio, nonché razzi termici e dispositivi esplosivi, e che gli Houthi avrebbero fornito addestramento ai combattenti di AQAP (Al-Qaeda nella penisola arabica)”.

    Il rapporto descrive anche Hezbollah come “uno dei più importanti” sostenitori degli Houthi nello Yemen, tramite assistenza nel processo decisionale, nel supporto militare sul campo attraverso l’uso e l’assemblaggio di armi e tecniche di combattimento, aumentando le loro entrate finanziarie, tecniche di reclutamento e lavaggio del cervello e gestendo la propaganda mediatica degli Houthi.

    Gli esperti delle Nazioni Unite hanno anche accusato gli Houthi di reclutare e sfruttare i migranti etiopi, che arrivano nel paese a migliaia ogni anno, per combattere al loro fianco contro il governo yemenita, facilitando al contempo il traffico di droga. Il governo yemenita, così come gruppi per i diritti umani locali e internazionali, hanno precedentemente affermato che gli Houthi hanno reclutato migliaia di migranti africani per combattere il governo yemenita.

  • Eliminata una dozzina di Al-Shabaab, Mogadiscio annulla le elezioni nell’Oltregiuba

    Almeno 12 membri del gruppo jihadista somalo degli al Shabaab, di cui tre comandanti, sono morti in un raid aereo avvenuto nell’area di Haway, vicino alla città di Sablale, nella regione del Basso Scebeli. Lo riferiscono fonti citate dal sito d’informazione somalo “Garowe online”, secondo cui i comandanti stavano tenendo una riunione operativa al momento dell’attacco, presumibilmente pianificando un attacco terroristico.

    Sablale, situata a circa 200 chilometri dalla capitale Mogadiscio, è considerato un centro di comando chiave per le operazioni di al Shabaab nella regione meridionale. Non è chiaro chi abbia effettuato il raid, tuttavia il Comando degli Stati Uniti per l’Africa (Africom) compie frequenti attacchi simili.

    Il gruppo jihadista somalo ha perso ampie fasce di regioni rurali centrali e meridionali a seguito di una recente operazione dell’Esercito nazionale somalo (Sna), con l’aiuto degli alleati (tra cui gli Usa). L’esercito è attualmente coinvolto in operazioni attive nelle regioni centrali e meridionali.

    Sempre nella fascia meridionale del Paese, il governo federale della Somalia non ha riconosciuto l’esito delle elezioni del 24 novembre nell’Oltregiuba, che hanno visto la rielezione del presidente uscente Ahmed Islam Mohamed alias “Madobe”, dichiarando il voto illegale e in violazione della Costituzione del Paese. In un duro comunicato pubblicato al termine di una riunione di gabinetto presieduta dal primo ministro Hamza Abdi Barre, il governo ha inoltre accusato annunciato di aver incaricato il Procuratore generale di presentare un’azione legale contro Madobe presso la Corte suprema. “Il nostro impegno per lo stato di diritto è risoluto. Le azioni intraprese oggi riflettono la nostra determinazione a sostenere i principi democratici e ad assicurare che tutti i processi elettorali siano condotti in conformità con la legge”, ha affermato il premier Barre in conferenza stampa.

    Ahmed Islam Mohamed alias “Madobe” è stato rieletto presidente dello Stato dell’Oltregiuba, in Somalia, al termine di contestate rielezioni regionali tenute oggi. Lo ha annunciato la Commissione elettorale statale, precisando che il presidente uscente è stato rieletto per un secondo mandato con 55 voti sui 75 totali espressi dal parlamento regionale. Altri due candidati, Abubakar Abdi Hassan e Faisal Abdi Matan, hanno ricevuto rispettivamente quattro e 16 voti. Entrambi hanno riconosciuto la sconfitta e si sono congratulati con il vincitore, che guiderà lo Stato regionale per altri cinque anni. “Sono pronto a lavorare con il presidente eletto dell’Oltregiuba Ahmed Madobe”, ha affermato Abdi Hassan, mentre Abdi Matan ha affermato che “il risultato delle elezioni è stato giusto”. Le elezioni si sono tenute oggi nella capitale regionale Chisimaio. Madobe ha pronunciato un duro discorso di insediamento, nel quale ha ribadito la necessità che all’interno dello Stato prevalga lo spirito di riconciliazione, sottolineando che dal 2013 la sua amministrazione ha dovuto affrontare una seria opposizione che ha incluso la violenza armata.

    I toni più duri sono stati usati nei confronti dell’amministrazione federale di Mogadiscio, con la quale Madobe è ai ferri corti per la riforma costituzionale voluta dal presidente Hassan Sheikh Mohamud e per le tensioni dovute alla presenza delle truppe etiopi nella regione di Ghedo (che fa parte del territorio dell’Oltregiuba): da una parte il governo federale ne chiede il ritiro, vista la disputa con Addis Abeba sul controverso memorandum d’intesa siglato con il Somaliland, dall’altro Madobe ne chiede la permanenza in quanto ritenute cruciali nel contrasto al terrorismo. “Non riconosco l’Etiopia o il Kenya, né mi interessa nessun altro. Nell’Oltregiuba non c’è nessun altro presidente al di fuori di me. Non ci sono forze di sicurezza qui, tranne le forze dell’Oltregiuba, e nessuno oserà disturbare la stabilità di Chisimaio sotto la mia sorveglianza”, ha dichiarato Madobe. Il presidente eletto ha quindi accusato il governo federale di aver schierato le sue truppe a Raaskambooni nel tentativo di destabilizzare la regione e distogliere l’attenzione dalla guerra contro il gruppo jihadista al Shabaab, come fatto nel 2013 sotto il primo mandato dello stesso presidente Mohamud. “Questo non accadrà mai più”, ha giurato, avvertendo che le forze regionali annienteranno qualsiasi minaccia da parte del governo federale. “L’Oltregiuba è l’Oltregiuba e non ci sarà mai nessun’altra amministrazione in questo Stato tranne la mia”, ha aggiunto Madobe.

    Il voto si è svolto in un clima di forti tensioni, dopo che sabato scorso pesanti combattimenti sono scoppiati nella capitale regionale, Chisimaio, dove le forze di sicurezza dell’Oltregiuba si sono scontrate con le truppe fedeli a un candidato presidenziale dell’opposizione, Ilyas Beddel Gabose, che sfidava il leader statale Ahmed Madobe in vista delle elezioni cruciali previste per domani, 25 novembre. Gli scontri, riferiscono fonti citate dal quotidiano “Somali Guardian”, sono scoppiati dopo che a Gabose è stato negato l’ingresso in un hotel dove erano in corso i preparativi per le elezioni. Le tensioni sono rapidamente aumentate quando una delle sue guardie del corpo è stata uccisa, innescando un violento scambio di colpi di arma da fuoco. Si segnalano vittime da entrambe le parti, anche se il bilancio esatto rimane poco chiaro. Gabose, le cui forze si sono scontrate con le truppe regionali dell’Oltregiuba, ha annunciato la sua candidatura a presidente regionale solo pochi giorni fa ed è membro del Senato della Somalia.

    Il ministro della Sicurezza somalo Abdullahi Sheikh Ismail Fartag ha condannato le violenze a Chisimaio, accusando il presidente uscente Madobe di esacerbare le tensioni nella regione e di aver deliberatamente portato il Paese verso un collasso totale, trasformandosi in un conflitto ancora più devastante. “Ciò dimostra che Ahmed è determinato a provocare una guerra civile tra le comunità fraterne che vivono nell’Oltregiuba”, ha detto. Ciò è avvenuto solo pochi giorni dopo che il primo ministro somalo Hamza Abdi Barre, ex alleato di Madobe, ha accusato il suo ex amico di aver tentato di rovesciare il suo governo e lo ha messo in guardia dall’utilizzare le forze di sicurezza per alimentare la violenza nel tentativo di assicurarsi la rielezione, dichiarando che tali azioni sarebbero state considerate un reato penale. In un chiaro segno di crescenti tensioni tra l’Oltregiuba e il governo federale, Mogadiscio ha recentemente bloccato tutti i voli dalla capitale alla città di Dolow, nella regione di Ghedo, come forma di rappresaglia contro le autorità dell’Oltregiuba per l’arresto di sei ufficiali dell’esercito in rotta verso Elwak. Inoltre, Mogadiscio ha schierato truppe e armi a Elwak, nell’evidente tentativo di estromettere l’amministrazione allineata al presidente Madobe dalle città chiave di Ghedo.

  • Attacco di Boko Haram in Ciad

    Il gruppo jihadista Boko Haram ha lanciato un attacco contro l’esercito ciadiano nella regione del lago Ciad, provocando “una quarantina di morti”. Lo ha annunciato la presidenza del Ciad in un comunicato stampa. Il presidente di transizione Mahamat Idriss Deby Itno si è recato sul posto questa mattina e “ha dato il via all’operazione Haskanite per inseguire e rintracciare gli aggressori fino alle loro ultime trincee”, riferisce la stessa nota. Secondo fonti non ufficiali, nell’attacco sarebbero stati uccisi più di 100 soldati. Secondo fonti militari, l’attacco è avvenuto domenica intorno alle 21 contro la posizione dell’esercito ciadiano a Barkaram, a 10 chilometri dal confine nigeriano. I soldati ciadiani sono spesso presi di mira dagli attacchi di Boko Haram nella regione del lago Ciad, una vasta distesa di acqua e paludi punteggiata da isolotti a ovest, che ospita i combattenti del gruppo Boko Haram o del suo ramo dissidente dello Stato islamico nell’Africa occidentale (Iswap).

    L’insurrezione di Boko Haram è iniziata nel 2009 in Nigeria – dove da allora ha provocato 40 mila morti e più di due milioni di sfollati – prima di diffondersi ai Paesi vicini. Nel marzo 2020 i combattenti del gruppo jihadista hanno condotto una sanguinosa offensiva contro un’importante base ciadiana nella penisola di Bohoma, provocando un centinaio di morti, le perdite più pesanti mai registrate dall’esercito ciadiano. In risposta, il governo ha lanciato l’operazione nota come “la rabbia di Bohoma” contro gli insorti jihadisti. Nel giugno 2024 l’Ufficio internazionale per le migrazioni (Oim) ha registrato più di 220 mila sfollati nella provincia ciadiana del lago Ciad a causa degli attacchi di gruppi armati.

  • 7 ottobre: troppi

    Troppi gli Stati, le persone che non hanno mai condannato la strage del 7 ottobre, denunciato il terrorismo di Hamas

    Troppi gli ostaggi uccisi e troppi quelli ancora nelle mani dei terroristi

    Troppi i tunnel che anche dal Libano mettono in pericolo la vita degli israeliani

    Troppi i morti, troppi gli sfollati di una guerra che non solo Israele porta avanti in modo sempre più violento e che ormai colpisce nel mucchio i civili

    Troppi i terroristi ancora attivi e capaci di altre stragi oggi e domani

    Troppi finti santoni in Iran alimentati dall’odio verso Israele e verso qualunque concetto di pace e libertà

    Troppi gli armamenti in possesso di Hezbollah, degli Houthi, di Hamas e troppi gli aiuti ufficiali ed ufficiosi sui quali possono contare

    Troppi i proclami, gli inviti al cessate il fuoco, dei leader di tante nazioni, fatti con la consapevolezza della loro inutilità, dell’estrema debolezza che hanno di fronte al reale pericolo, per lo Stato di Israele, di essere attaccato e distrutto se lascia ancora spazio ai suoi nemici, da sempre decisi ad annientarlo

    Troppi i silenzi che ci sono stati nel passato di fronte ad una situazione che ogni giorno peggiorava, che ci sono stati prima e dopo il 7 ottobre da parte di tanti occidentali, per non parlare di dittatori, come russi e cinesi, che con l’Iran hanno interessi comuni specie in tema di armi, di violenza, di libertà negate

    Troppi gli attacchi agli ebrei che anche in Europa rendono lo stato di allerta sempre più alto

    Troppi i violenti, fiancheggiatori di fatto dei terroristi, che sfilano nei cortei delle nostre democrazie sempre più deboli e confuse

    Troppi gli esponenti del mondo musulmano ed orientale che si nascondono dietro il silenzio nell’attesa di capire come andrà a finire

    La parola Pace è una delle più belle parole quando significa dignità nei fatti, convivenza civile, giustizia, rispetto delle regole internazionali, libertà e sicurezza

    La parola Pace è una delle più inutili quando è pronunciata senza programmi seri, volontà sincere per raggiungerla

    La parola Pace è una delle più abusate quando non si sa cosa altro dire, cosa proporre e la si usa strumentalmente

    La parola Pace diventa una presa in giro, un vilipendio proprio alla pace quando si vuole ottenere la sconfitta dell’aggredito ed il trionfo dell’aggressore

  • Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, questo verso di Cesare Pavese rappresenta plasticamente quello che sta accadendo nella nostra vita in questo travagliato momento.

    Gli occhi di una madre che uccide i suoi neonati

    Gli occhi di un figlio che uccide i suoi genitori

    Gli occhi di un adolescente che uccide una sconosciuta per sapere cosa si prova ad uccidere

    Gli occhi della mafia o della ‘ndrangheta che uccidono anche chi non c’entra niente con le loro aspirazioni di vendetta

    Gli occhi dei fidanzati, compagni, mariti che uccidono le donne

    Gli occhi dei terroristi che da anni seminano stragi

    Gli occhi degli assassini del 7 ottobre in Israele

    Gli occhi dei soldati che uccidono anche innocenti per cercare di evitare altre morti ed altre stragi

    Gli occhi di Putin e dei tanti criminali dittatori che avvelenano e distruggono libertà e speranze

    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, intorno a noi come lontano da noi ci sono gli occhi del male e saperli riconoscere non è facile perché la disperazione e la morte arrivano anche da occhi che non vediamo, gli occhi dei social che si insinuano nel nostro privato, studiano, sollecitano violenza, creano mostri là dove erano inizialmente solo persone che avevo forse solo bisogno di aiuto per guarire dall’oscurità.

  • La Ue investe 21,4 milioni di euro in armi al Kenya per estirpare Al-Shaabab

    L’Unione europea sta inviando aiuti militari per un totale di 21,4 milioni di euro alle Forze di difesa del Kenya (Kds), con l’obiettivo di rafforzare la risposta dell’esercito locale ai jihadisti di Al Shabaab. Lo riferisce “The East African”, spiegando che in una nota del Consiglio europeo si precisa che il supporto offerto alle Kdf sarà destinato a sfide interne ed esterne al Paese, attingendo per la prima volta alle risorse dell’Eu Peace Facility, un fondo creato nel 2021 dall’Unione europea per sostenere le iniziative di sicurezza dei Paesi partner in Africa. L’assistenza fornita contribuirà anche a rendere più sicure le frontiere ed a rafforzare le operazioni contro Al Shabaab lungo il confine con la Somalia, si legge nella nota, in cui si precisa che gli aiuti forniti riguarderanno tanto l’equipaggiamento quanto la formazione tecnica ed altri servizi logistici. Da questo punto di vista, le unità combattenti di fanteria dell’esercito del Kenya riceveranno anche veicoli aerei senza pilota tattici, intercettatori e disturbatori di frequenze jammer, sistemi per sconfiggere ordigni esplosivi improvvisati, oltre che fuoristrada, veicoli tattici di tipo militare e una postazione medica mobile. Gli aiuti stanziati includono anche il sostegno alle unità navali della Marina del Kenya, le cui truppe riceveranno occhiali per la visione notturna, giubbotti di salvataggio e altri dispositivi di protezione individuale. L’Ue è stata uno dei sostenitori della forza uscente della Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis), alla quale le Kdf hanno partecipato negli ultimi dieci anni. Tuttavia, di recente l’Ue e altri donatori hanno ridotto alcuni stanziamenti di bilancio per la missione, citando una molteplicità di sfide alla sicurezza nel continente. Gli aiuti di Bruxelles si inseriscono, infine, sul filo del patto di dialogo strategico concluso a giugno del 2021 fra Ue e Kenya, accordo in cui le due parti hanno concordato di impegnarsi per l’attuazione bilaterale delle disposizioni sul commercio e sulla cooperazione economica e per lo sviluppo dell’accordo di partenariato economico (Ape) con la Comunità dell’Africa Orientale (Eac).

  • Chi trarrà vantaggio dall’attentato a Mosca?

    Putin, costretto dalle prove ad ammettere che il tragico attentato di Mosca è stato compiuto da terroristi islamici, insiste nel cercare responsabilità di Kiev e dei paesi occidentali, additandoli come i mandanti e gli addestratori, per giustificare il fallimento dei suoi servizi di sicurezza e crearsi un ‘alibi’ per intensificare i barbari attacchi contro i civili ucraini.

    Lo zar sostiene, e sarebbe ridicolo se invece non fosse tragico, che l’Ucraina avrebbe un beneficio dalla strage di Mosca! Quale sarebbe questo beneficio? Non è stato un attacco contro una struttura militare, contro lo stesso Cremlino, contro chi tiene detenuti i dissidenti ma un eccidio di civili che porterà nuove repressioni in Russia e ancora maggiore violenza militare, bombe, morti e feriti in Ucraina.

    Il cui prodest vede solo due ipotesi, quella ovvia e ufficializzata di una nuova azione dell’Isis K, che ha già ripetutamente preso di mira la Russia e che vuole, come ogni organizzazione terrorista, colpire nel mucchio e diramare il terrore, o quella di un attentato cresciuto all’interno dell’apparato per giustificare le prossime nefandezze e crudeltà di Putin.

    In effetti l’unico che trarrà vero beneficio dalle morti e dai feriti è lo stesso presidente che, come in altre occasioni simili, chiamerà tutti ad una maggiore coesione per difendere la madre Russia, spazzerà via quei dissidenti che hanno avuto il coraggio di opporsi il giorno delle elezioni, additerà l’Occidente come il nemico numero uno e chiederà di seguirlo senza protestare nella distruzione dell’Ucraina.

    Ormai sappiamo bene che ogni dichiarazione di Putin è una falsità, che mente sapendo di mentire e che dalle sue menzogne costruisce le sue verità, conosciamo da tempo i sistemi di controinformazione e manipolazione dell’apparato del Cremlino e sappiamo altrettanto bene che la sete di sangue e di potere del nuovo zar è immensa, perciò prepariamoci.

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