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  • Gli italiani leggono le news sempre più online

    Una fotografia in chiaroscuro, tra crescita continua di dispositivi digitali e del web, declino della carta stampata e bisogno di sicurezze nell’informazione, èquella che offre il 18/o rapporto Censis sulla comunicazione, intitolato ‘I media delle crisi’ (la pandemia e la guerra, ndr) presentato a Roma.

    Venendo ai numeri, resta stabile nel 2022 il pubblico della televisione, guardata dal 95,1% degli italiani, con il forte rialzo della tv via internet (web tv e smart tv arrivano al 52,8%, +10,9% in un anno) e il boom della mobile tv, passata dall’1% di spettatori nel 2007 al 34% di oggi. I radioascoltatori sono il 79,9% degli italiani, stabili da un anno all’altro, con la fruizione attraverso lo smartphone sempre più rilevante (29,2%, +5,4% in un anno).

    Tra le voci negative del rapporto, realizzato con la collaborazione di Intesa SanPaolo, Mediaset, Rai, Tv2000 e Windtre, il continuo declino dei media a stampa: i quotidiani cartacei venduti in edicola, che nel 2007 erano letti dal 67% degli italiani, si sono ridotti al 25,4% nel 2022. Si registra ancora una limatura dei lettori dei settimanali (-1,6%) e dei mensili (-0,6%). Gli utenti dei quotidiani online invece sono il 33% degli italiani (+4,7% in un anno) mentre il 58,1% (+4,3%) utilizza i siti web d’informazione generici. Dopo un breve arresto del calo di lettori di libri nel 2021, gli italiani che oggi leggono libri cartacei sono il 42,7% del totale (-0,9% rispetto allo scorso anno e -16,9% rispetto al 2007). La flessione è parzialmente compensata dall’aumento dei lettori di e-book, pari al 13,4% degli italiani (+2,3%). La spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio crollo (-37,7% rispetto al 2007).

    Tra il 2021 e il 2022 c’è un forte aumento dell’impiego di internet (88% di utenza, +4,5%), mostrando una perfetta sovrapposizione con quanti utilizzano gli smartphone (l’88,0%: +4,7%). Lievitano all’82,4% gli utenti dei social network (+5,8% in un anno). Tra i giovani (14-29 anni) cresce l’impiego delle piattaforme online: il 93,4% usa WhatsApp, l’83,3% YouTube, l’80,9% Instagram. C’è un forte incremento dei giovani utenti di TikTok (54,5%), Spotify (51,8%) e Telegram (37,2%). In flessione, invece, Facebook (51,4%) e Twitter (20,1%). Tra il 2007 (l’ultimo anno prima della grande crisi del 2008) e il 2021, la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico ha segnato un vero e proprio boom (+572,0%) e quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori è più che raddoppiata (+138,9%).

    I media “considerati più affidabili nell’ultimo anno sono nell’ordine, radio, tv e carta stampata; mentre all’ultimo posto ci sono i social network – spiega Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis -. Fare un forte ricorso ai media digitali non vuole dire attribuirgli un alto grado di credibilità”. Rispetto però al modo in cui sono stati raccontati pandemia e guerra in Ucraina, “scende il livello di fiducia verso i media tradizionali, mentre sale quello verso i social». Ad esempio “quasi il 72% degli utenti della tv ha critiche per come sono stati affrontati questi temi”. Inoltre Il 60,1% degli italiani ritiene legittimo il ricorso a una qualche forma di censura: in particolare, per il 29,4% non dovrebbero essere diffuse le fake news accertate; per il 15,7% le opinioni intenzionalmente manipolatorie e propagandistiche; per il 15% i pareri espressi da persone senza competenze per parlare. Al contrario, per il 39,9% non è mai giustificata alcuna forma di censura. “Questo sulla censura è l’elemento meno atteso – commenta il presidente del Censis Giuseppe De Rita – significa che le persone hanno bisogno di sicurezza. Se non c’è questa si va incontro a un degrado crescente dell’informazione”.

    Gina Nieri, consigliere di amministrazione Mediaset, è “convinta che i media tradizionali, percepiti come di riferimento, offrano ancora un ambito di confidenza perché sono un ambiente regolamentato, dove c’è una cultura della sicurezza”. Sul web, invece “la profilazione degli utenti favorisce l’esposizione delle persone alle fake news – spiega il direttore Marketing Rai Vincenzo Nepote – Penetrare con un’informazione più equilibrata a volte è difficile. Bisogna riuscire a creare un dialogo”.

  • In attesa di Giustizia: il giudizio del TVibunale

    Il suicidio di un ragazzo è già, di per sé, un evento altamente drammatico quali che ne siano le ragioni e  non si è ancora compreso perché si sia suicidato – ormai più di un anno fa – il giovane innamoratosi perdutamente “on line” di un falso profilo femminile messo, viceversa, in rete da un uomo di sessantaquattro anni, né perché costui lo abbia fatto: forse un  cervellotico gioco d’amore, un tentativo di truffa finito male, un passatempo  idiota? Sta di fatto che, al di là dello squallore di fondo ed in mancanza di altri elementi da cui dedurre la prova di un’istigazione a togliersi la vita (che, esaminata tutta la “corrispondenza” tra i due) pare non vi siano, quell’uomo avrebbe dovuto rispondere di un reato minore: sostituzione di persona.

    Ma è stato proprio quello squallore di fondo a suscitare morbose curiosità  mettendo in moto la macchina della giustizia mediatica, pronta ad enfatizzare la vicenda per offrire un tributo alla divinità pagana dello share. Ore ed ore al giorno a chattare, oltre ottomila struggenti messaggi con una sedicente Irene Martini conclusi dalla impiccagione di un giovanotto, la cui rete sociale era evidentemente molto debole, non possono liquidarsi con l’incriminazione per un reatuccio…e allora parte la caccia volta ad infiorettare il tutto mettendo alla gogna e citando in giudizio davanti al tribunale della TV il reprobo di turno. Che certamente nascondeva qualcosa di oscuro nella sua personalità, ma non è dato accertare se quella morte fosse il fine che si proponeva.

    Braccato e linciato in favore di telecamera dai giornalisti de “Le Iene” (è il caso di dire: tanto nomine nullum paret  ossequium) il successivo suicidio anche di quest’uomo dovrebbe, più che porre interrogativi, segnare semplicemente un punto di non ritorno. Dovrebbe, perché questo non accadrà. Se ne parla, sì, con qualche sommessa riflessione, tanto sarà uno sporcaccione, un di meno: il massimo che si è ottenuto è un intervento dell’editore che naturalmente difende il modo di fare giornalismo della sua trasmissione concludendo che il suicidio disperato della preda dei cronisti è qualcosa che “non deve più succedere”, che  è successa perché “capita di andare oltre ciò che è editorialmente giusto”. Conclude, infine, con un autorevole monito: “dire basta ad un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti. Ma il punto è come viene fatto, servono attenzione e sensibilità, non è facile …dico che quella cosa lì non mi è piaciuta”.

    “Quella cosa lì”, come la chiama Piersilvio Berlusconi, è invece la cifra e la ragione stessa di quel giornalismo e se qualcuno che viene esposto al linciaggio si suicida è questione eventuale. C’è chi riesce a sopravvivere e chi no, presunto responsabile o innocente che sia.

    E in cosa consiste questo “certo tipo di giornalismo”, rinunciando al quale cadremmo nelle tenebre più profonde della inciviltà? Va bene la prima parte: raccogliere notizie, riscontrarle, rendere pubbliche le testimonianze raccolte, sollecitare l’attenzione dell’autorità giudiziaria, ma il veleno è in coda e arriva dopo, ed è la presa al laccio del presunto colpevole per offrire quella spettacolarizzazione che alimenta l’interesse per l’inchiesta. E quel momento è lo sputtanamento: chi sia un colpevole, quanto sia colpevole, come e perché sia colpevole, lo decide una redazione e ne demanda il giudizio al TVibunale.

    Inchieste che si alimentano di rimproverabilità solo ipotizzata: sono la riprovazione, la indignazione popolare tossica, che funzionano nel senso di  creare ascolti, il tutto alimentato dalla cultura della intolleranza e del sospetto. Che inchiesta sarebbe, del resto, se si dovesse stanare un colpevole vero, cioè accertato come tale in un giudizio? È il sospetto che ci inferocisce, è l’idea di avere stanato e dato in pasto ai guardoni un bastardo. Mostratelo, si celebrino tutti i rituali di degradazione proponendo in diretta in che modo si giustifica, balbetta, e suda un po’ come Arnaldo Forlani, trent’anni fa al processo “ENIMONT”: in fondo Mani Pulite fu la madre di qualsiasi sovversione dei parametri costituzionali e di elementari  sentimenti di umanità e, le sentenze non sono in nome del popolo italiano ma a furor di popolo, schiumando rabbia e sbavando.

    Il Tribunale mediatico esercita così la sua giustizia ed infligge le sue sanzioni senza tanti inutili orpelli come quell’altra, celebrata da giudici e avvocati, che è una legalità soporifera, formalistica.

    Panem et circenses, gladiatori contro leoni, questi sono gli spettacoli graditi e l’unica giustizia che funziona, quella – appunto – a furor di popolo. Ci scappa il morto? Pazienza, “quella cosa lì non ci è piaciuta”: tutto sommato è solo  la fine della vita di un essere umano.

  • In attesa di Giustizia: silenzio stampa

    Il Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi ha approvato il decreto legislativo che recepisce la Direttiva Europea sulla presunzione di innocenza che, tra le altre cose, impone notevoli restrizioni alle modalità di comunicazione delle autorità giudiziarie con lo scopo di impedire la formazione nell’opinione pubblica di pregiudizi nei confronti di chi sia sottoposto ad un processo senza che vi sia ancora stata una sentenza.  La notizia ha avuto un’eco modesta, sebbene faccia con un’altra – altrettanto recente – che conferma la bontà del provvedimento normativo: il proscioglimento di numerosi giornalisti querelati per diffamazione avendo osato commentare in termini negativi un singolare accadimento del 2015.

    Qualcuno ricorderà la vicenda legata al video del furgone del muratore accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio che risultò essere una ricostruzione confezionata dai Carabinieri concordata con la Procura e realizzata per “esigenze di comunicazione”, come ammesso dal Comandante del Raggruppamento di Parma, Giampiero Lago, nel corso dell’interrogatorio da parte dei difensori di Massimo Bossetti.

    In due parole, un falso marchiano che – soprattutto sui giudici popolari, poteva avere influenza; e questa vicenda ha anche almeno un’altra sorta di “parente lontano” in quella del bazooka piazzato nel 2010 davanti alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria per minacciare l’allora Capo dell’Ufficio, Giuseppe Pignatone. Ai giornalisti, in conferenza stampa, ne fu mostrato uno salvo poi ammettere che non era quello effettivamente trovato (che nessuno ha pubblicamente mai visto).

    In due parole: la nuova legge proibisce i processi mediatici, poiché creati con prove non vagliate da nessuno e di origine incerta se non decisamente opaca ed attraverso i quali si tende a prefigurare l’esito di un processo vero e proprio. Parliamo di un’informazione giudiziaria ridotta ad acritico cagnolino da riporto di chi, per dirla con Leonardo Sciascia, amorevolmente accompagna le notizie fin sulla porta del proprio ufficio facendovi meritare bassissima considerazione.

    Considerazione che in certi casi, se possibile,  è ancor più bassa: sul giornale di Travaglio – tanto per fare un esempio che non stupirà – è di recente stato pubblicato, movimento per movimento, l’estratto conto di Matteo Renzi tratto da una informativa della Guardia di Finanza…per il primo che commenta che è giusto così e che Renzi se lo merita “perché va in Arabia” è in palio un cartonato a grandezza naturale dell’indimenticabile Ministro Danilo Toninelli e per i primi dieci che farfuglieranno qualcosa dell’affossamento del d.d.l. Zan il cartonato sarà pure autografato.

    Poco spazio, invece ha avuto la notizia che un creativo P.M. lodigiano aveva trovato il tempo di indagare Mattia Maestri – meglio noto come Paziente Uno – per epidemia colposa, anche se non era certamente il primo contagiato dal Covid 19, anche se non aveva violato nessun protocollo di prevenzione ma era stato dimesso dal pronto soccorso e rimandato a casa prima di un definitivo ricovero. Anche se del Coronavirus fino al 21 febbraio 2020 nessuno al di fuori di Palazzo Chigi sapeva niente sebbene – anche questo nel silenzio stampa – già da fine gennaio fosse stato proclamato lo stato di emergenza; così come nulla più si sa della inchiesta della Procura di Bergamo che lambiva molto da vicino Giuseppe Conte & C. per identiche possibili, e forse più sostenibili, imputazioni.

    Informazione troppo spesso ad corrente alternata a seconda di chi indaghi, e chi sia indagato e perché.

    Per Maestri, all’incubo del contagio e della sottoposizione a terapie totalmente sperimentali (fortunatamente andate a buon fine) si è aggiunto, sino alla recente archiviazione, il tormento di essere inquisito da qualcuno che ha ritenuto negligenza penalmente rilevante tornare a casa perché così deciso dai sanitari a fronte di sintomi di una malattia sconosciuta ma equivocabili con quelli di altre patologie note. Fantasia al potere (giudiziario), e così è se vi pare.

  • Adolescenti e serie tv

    Si intitola Adolescenti e serie tvPerché piacciono e come influenzano la visione del mondo il webinar gratuito e aperto a chiunque voglia partecipare, con la prof.ssa Stefania Garassini, che si svolgerà mercoledì 20 ottobre alle ore 21.

    Dal giorno successivo la registrazione integrale dell’evento sarà disponibile ma riservata agli iscritti a Schola Palatina. Per iscriversi basta cliccare sul seguente link: https://www.scholapalatina.it/courses/incontro-con-stefania-garassini/?utm_source=ActiveCampaign&utm_medium=email&utm_content=%5BWebinar+gratuito+con+Stefania+Garassini+-+20+ottobre+2021+-+ore+21&utm_campaign=SP+-+webinar09-+20%2F10%2F2021+%23LINKCORRETTO-+12+ottobre

    Stefania Garassini è giornalista, docente universitaria e mamma di tre figlie. È autrice di “Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)” (Ares, 2019), curatrice di “Clicco quindi educo. Genitori e figli nell’era dei social network” (ETS 2018) oltre che di altre pubblicazioni che indagano il rapporto tra media digitali, educazione e cultura. Scrive per il quotidiano Avvenire e per il mensile Domus. È presidente della sezione milanese di Aiart, associazione nazionale che promuove l’uso consapevole dei media. Insegna Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica di Milano. È responsabile editoriale del sito www.orientaserie.it, realizzato da Aiart in collaborazione con il Corecom Lombardia e il Master in International Screenwriting and Production dell’Universita’ Cattolica di Milano. Il sito ospita recensioni di serie tv evidenziandone gli aspetti educativi ed è rivolto in particolare a genitori e insegnanti.

  • Francia e Italia spingono per ridurre la proiezione di film e serie tv inglesi nella Ue

    Dalla guerra delle sogliole a ‘The crown’. L’Unione europea si prepara a sferrare un attacco alla Gran Bretagna sul fronte dell’intrattenimento. Secondo un documento che circola a Bruxelles e di cui il Guardian ha preso visione in esclusiva, su iniziativa della Francia alcuni Paesi membri – tra cui l’Italia – intendono approfittare della Brexit per ridurre la presenza di film e serie tv di produzione britannica da piattaforme on demand come Amazon e Netflix perché considerata “sproporzionata”.

    La notizia appare ferale non solo per i milioni di appassionati tanto di serie mainstream come ‘Bridgerton’ quanto di piccoli capolavori stile ‘Fleabag’ ma soprattutto per il settore. Il Regno Unito è infatti il più grande produttore europeo di programmi cinematografici e televisivi e, solo nel 2019-20, ha guadagnato 490 milioni di sterline dalla vendita di diritti internazionali a canali e piattaforme in Europa. Un dominio non soltanto economico ma anche culturale che Bruxelles, dopo la Brexit, vede come una minaccia. Da qui l’idea di approfittare di una revisione delle cosiddette ‘quote Ue’ per limitare l’influenza della Gran Bretagna su un mercato cresciuto moltissimo durante la pandemia di Covid. In base alla direttiva Ue in materia di servizi audiovisivi, infatti, almeno il 30% dei titoli su piattaforme di video on demand come Netflix e Amazon deve essere destinato ai contenuti europei. Una percentuale che la Francia vorrebbe alzare al 60% inserendo l’obbligo di destinare almeno il 15% dei fatturati delle piattaforme alla creazione di opere europee. Da queste quote, sostengono i promotori dell’iniziativa, devono essere esclusi i prodotti ‘made in the Uk’.

    “All’indomani della Brexit è necessario rivalutare la presenza del Regno Unito”, si legge nel documento intitolato ‘La presenza sproporzionata di contenuti britannici nella quota di video on demand europei e gli effetti sulla circolazione e promozione di diverse opere europee’. E ancora, “l’elevata disponibilità di contenuti britannici sui servizi di video on demand, nonché i privilegi concessi dalla definizione di ‘opere europee’, possono comportare una presenza sproporzionata di contenuti britannici e ostacolare una maggiore varietà di contenuti europei, (anche da Paesi più piccoli o lingue meno parlate)”.

    Un portavoce di Downing Street interpellato dal Guardian ha replicato che le produzioni britanniche continuano ad avere il diritto allo status di ‘contenuto europeo’, anche dopo l’uscita dall’Ue, in quanto “il Regno Unito appartiene ancora alla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera del Consiglio d’Europa”. Ma tant’è, la guerra è lanciata. La revisione delle quote è prevista fra tre anni ma l’iniziativa anti-Londra potrebbe subire un’accelerazione a gennaio, quando la Francia assumerà la presenza di turno dell’Ue, sostengono fonti europee, e potrà contare sul sostegno di Italia, Spagna, Grecia e Austria che hanno aderito all’iniziativa. Intanto la Commissione europea ha già avviato uno studio sui rischi che una programmazione di stampo “britannico” comporta per la “diversità culturale” dell’Ue. Una mossa che, secondo fonti diplomatiche, sarebbe un primo passo verso la limitazione dei privilegi per film e serie del Regno Unito.

  • Coronavirus, Muscardini a Franceschini e Foa: basta solo film obsoleti, la tv trasmetta film più recenti per dare un po’ di distrazione alle famiglie e alle persone sole

    “Dare un supporto di svago alle famiglie numerose, che spesso, specie nelle città, vivono in appartamenti piccoli e sentono di più il peso della forzata convivenza, ed alle persone che vivono sole deve essere compito della televisione che, in molti casi, è l’unico strumento di comunicazione, con l’esterno, e di intrattenimento. Da qui la necessità di trasmettere film più recenti rispetto a quelli molto datati che continuano ad essere messi in onda da un canale all’altro”. E quanto chiede l’on. Cristiana Muscardini al ministro Franceschini, al presidente Rai e a quelli delle più importanti reti private, Mediaset e LA7. “Chiuse le sale cinematografiche, che non riapriranno molto presto, si facciano accordi con le case di distribuzione per offrire agli italiani la visione di film recenti cercando così, anche in minima parte, di alleviare le lunghe serate in casa”.

  • Cesare Cadeo, un gentiluomo dal sorriso mai scalfito dalle delusioni

    Nella Basilica di Sant’Ambrogio centinaia di persone hanno dato l’ultimo saluto a Cesare Cadeo ricordando un uomo passato attraverso successi e delusioni con lo stesso sorriso. Molti i successi e molte le delusioni e le amarezze che non lo hanno mai sconfitto né portato a ripiegarsi su se stesso.

    Cesare era gentile e determinato, buono e combattivo, vulcano di idee, pensieri ed azioni, leale nell’amicizia e gentiluomo nel comportamento. Le parole che il figlio gli ha dedicato in chiesa lo hanno sicuramente raggiunto anche nell’aldilà facendogli sentire tutto l’affetto e la stima che durante la vita ha saputo conquistarsi.

    In questi giorni gli sono stati dedicati tanti momenti in trasmissioni televisive e tanti articoli sui giornali ricordandolo come uomo di successo in televisione e nello spettacolo e l’affetto sincero di tante persone ha riconfermato la validità del suo impegno non solo per iniziative culturali, sportive e politiche ma anche per le piccole umane vicende di chi lo ha conosciuto.

    Voglio ricordarlo nelle mattine di sole all’Università Statale di Milano quando il nostro desiderio di gioventù si scontrava con manifestazioni violente che a tanti hanno tolto il tempo per essere ragazzi normali. La vita ci porta su strade che da studenti non avremmo immaginato e nella vita di tutti coloro che hanno conosciuto Cesare è rimasto e rimarrà il ricordo del suo sorriso, fatto anche con gli occhi, un sorriso buono e in alcune occasioni un po’ sarcastico.

  • Solidarietà a Vittorio Brumotti, l’inviato di ‘Striscia la Notizia’ aggredito a Trani

    Ancora un’aggressione, questa volta a Trani, per l’inviato di Striscia la Notizia, Vittorio Brumotti. Il ciclista era nella cittadina pugliese con il suo operatore per realizzare un servizio su una delle piazze di spaccio quando, dopo essere caduto in una imboscata, è stato aggredito riportando un trauma cranico e diversi ematomi. Le condizioni comunque non sono gravi.

    Già l’anno scorso Vittorio Brumotti è stato aggredito più volte, a febbraio, infatti, durante un servizio al quartiere Zen di Palermo, qualcuno ha sparato alla sua auto e lanciato oggetti. Un episodio simile è accaduto a dicembre a Roma, nel quartiere San Basilio, dove è stato costretto a fuggire dopo che un uomo incappucciato ha rincorso la troupe lanciando mattoni verso il furgone. In quell’occasione qualcuno sparò anche dei colpi d’arma da fuoco in aria.

    All’inviato di Striscia, oltre ad esprimere solidarietà incoraggiandolo a continuare con i suoi servizi di denuncia, facciamo i migliori auguri di pronta guarigione.

  • Da porta a porta

    In molte occasioni gli uomini sono stati truffati da altri uomini…

    Bruno Vespa

    “24 ore da televisione a televisione e da giornale a giornale”. Così scriveva il primo ministro albanese l’indomani di un strano e insolito soggiorno in Italia. Lui è partito dall’Albania il 5 marzo scorso, prendendo il volo per arrivare a Roma. Ma non per qualche incontro ufficiale con i suoi omologhi. E neanche per partecipare a qualche vertice o conferenza internazionale. No. Lui è uscito dall’edificio del Parlamento, messo in stato d’assedio e circondato da ingenti forze di polizia e speciali, perché i cittadini stavano protestando di nuovo contro il malgoverno, e si è diretto in fretta e furia verso l’aeroporto per prendere il volo verso Roma. Degli abili e facoltosi “amici intermediari” gli avevano procurato alcuni spazi televisivi, per “togliere il fango dall’immagine dell’Albania”, come ha detto lui. Chissà però chi ha buttato quel fango addosso all’Albania…

    Sia per protocollo che per usanza un capo di Stato, oppure un primo ministro, tranne in rari casi imprevisti e/o di una determinata gravità, viene intervistato dai media nel suo paese. Salvo il caso in cui quella massima autorità statale non si trovi in un altro paese per cause ufficiali. Nonostante siano di due stature ben diverse, ma così è stato anche con il presidente Macron, intervistato precedentemente a Parigi da Fabio Fazio per la sua trasmissione “Che tempo che fa”, andata in onda il 3 marzo scorso. E così è stato sempre. Però il caso del precipitoso spostamento a Roma del primo ministro albanese diventa ancora può scandaloso perché la prima e la più importante apparizione televisiva è stata programmata e trasmessa in un insolito periodo, scarsamente seguito dal pubblico televisivo. Ospite di Bruno Vespa a “Porta a porta”, al primo ministro era riservata l’ultima parte della trasmissione, dopo mezzanotte. Il solo fatto di aver accettato un simile accordo e trattamento per niente dignitoso denuncia la grande difficoltà personale in cui lui si trova. Ma ad ognuno quello che realmente si merita!

    Che il primo ministro si trovi in una situazione grave, istituzionalmente e personalmente parlando, ormai lo sanno tutti. Sia in Albania che nelle cancellerie europee ed oltreoceano. Una situazione maturata giorno per giorno e da alcuni anni ormai. E non poteva essere altrimenti. Perché lui, consapevolmente aveva fatto la sua scelta, mentre chiedeva, nel 2013, il suo primo mandato come primo ministro. Aveva scelto di mentire spudoratamente con tutte le sue promesse elettorali allora per ingannare gli albanesi. Promesse mai mantenute in seguito. E per giustificare le precedenti inventava altre bugie e altre promesse, regolarmente mai mantenute, entrando così in un grave circolo vizioso. Aveva scelto di collaborare e condividere il potere con la criminalità organizzata, in cambio di voti, di tanti voti che gli hanno permesso, sia nel 2013, ma soprattutto nel 2017 di avere/riavere il mandato. Fatto dimostrato senza ambiguità le scorse settimane da alcune indagini dei media internazionali, compresa una, trasmessa a metà febbraio dal TG2 della RAI. Il primo ministro albanese aveva scelto di guadagnare miliardi per poi usarli per mantenere il potere, senza badare agli scandali, alla corruzione, al riciclaggio del denaro sporco e a tanto altro. Lo dimostra anche il rapporto ufficiale per il 2018 del Moneyval (Comitato degli esperti del Consiglio d’Europa per la valutazione delle misure anti-riciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo). In quel rapporto si scrive che “l’Albania è stata messa sotto sorveglianza intensiva”. Per poi analizzare tutto e di nuovo nella sessione plenaria del 2019 di Moneyval. E non poteva essere altrimenti in un paese in cui si valuta che circa un terzo del PIL proviene dal traffico illecito delle droghe. E dove il 79% degli albanesi tra i 15 e i 29 anni vuol lasciare per sempre il paese, secondo un rapporto Gallup dell’autunno 2018. E sono state proprio le consapevoli scelte del primo ministro a portarlo, inevitabilmente, in simili grosse difficoltà istituzionali e personali. Ragion per cui adesso, disperatamente, cerca di aggrapparsi a qualsiasi opportunità. Anche ad uno spazio televisivo dopo mezzanotte a “Porta a porta”.

    Tornando alla trasmissione di Vespa del 5 marzo scorso, oltre alla tarda ora dell’intervista, ha attirato l’attenzione anche la scelta degli ospiti. Erano in tre. Un giornalista italiano che molto probabilmente sapeva ben poco di quello che succede veramente in Albania e che, più della realtà albanese, parlò della Russia e dell’Iran. Poi c’era un imprenditore italiano che opera in Albania, con un modesto giro d’affari dichiarato e che forse vorrebbe avere il “sostegno” del primo ministro, se non c’è l’ha già, per aumentare il suo tornaconto. Poi, la ciliegina sulla torta, c’era anche un amico personale del primo ministro. Amico che procura al primo ministro, come ha dichiarato quest’ultimo, dei voli personali su aerei privati! (In casi simili, alcuni ministri e/o primi ministri europei hanno rassegnato le loro dimissioni.). Gli ospiti, almeno gli ultimi due, erano lì semplicemente per fare delle sviolinate al primo ministro in cerca di supporto. Come mai non era stato invitato nessuno che non la pensava come lui?! Rispettando così tutti i canoni del serio giornalismo in casi del genere. E, come se non bastasse tutto ciò, coloro che hanno la responsabilità della trasmissione “Porta a porta” hanno censurato anche un’intervista del capo dell’opposizione albanese, precedentemente registrata a Tirana e prevista come l’unica voce contraria. Lo ha denunciato quest’ultimo, evidenziando anche che l’accordo con la redazione è stato per un determinato spazio televisivo che, inspiegabilmente, è stato censurato e accorciato in seguito per circa il 40% del suo contenuto. Tutto ciò mentre i cittadini italiani pagano il canone RAI e, tra l’altro, hanno il diritto di pretendere come mai vengano fatte scelte del genere dagli autori della trasmissione “Porta a porta”.

    Il primo ministro poi, l’indomani, ha proseguito con alcune altre e simili interviste televisive. Con un solo obiettivo: curare e migliorare la sua immagine personale, facendo finta di “curare l’immagine rovinata dell’Albania”. Mentendo di nuovo da noto e recidivo imbroglione qual è, ha cercato di dare la colpa a tutti riguardo alla grave e precipitosa realtà in cui si trova attualmente l’Albania. Intanto il vero responsabile, almeno istituzionalmente, è proprio lui, il primo ministro. Trovandosi ormai di fronte ad un crescente malcontento popolare, espresso pubblicamente negli ultimi mesi dalle continue e massicce proteste, tuttora in corso. La prossima prevista per il 16 marzo prossimo. Sono proprio queste proteste che dimostrano meglio delle parole del primo ministro e delle sviolinate degli ospiti dopo mezzanotte a “Porta a Porta” del 5 marzo scorso, la vera, vissuta e sofferta realtà albanese.

    Chi scrive queste righe vuole sinceramente credere che Vespa abbia fatto tutto ciò in buona fede e che sia stato vittima di disguidi e di inganni, avendo subito, come lui stesso aveva detto precedentemente e per altre ragioni. E cioè che “In molte occasioni gli uomini sono stati truffati da altri uomini…”. Anche da coloro che, come il primo ministro albanese, bussano porta a porta e cercano di ingannare gli altri. Tutti gli altri. A tutti vale l’ammonimento di Cicerone “Farsi ingannare una volta è scocciante, due sciocco, tre turpe”.

  • L’UE finanzia con 300 milioni le PMI italiane dei settori culturali e creativi

    L’Unione Europea supporterà le imprese dei settori culturali e creativi attraverso la CCS Guarantee Facility gestita dal FEI. L’intervento, per la prima volta in Italia e realizzato grazie ad una nuova iniziativa lanciata in collaborazione con CDP nella sua qualità di Istituto Nazionale di Promozione, svilupperà un portafoglio di contro-garanzie in favore del Fondo PMI per un valore di €200 milioni, incrementandone fortemente la capacità operativa. Le PMI attive nei settori culturali e creativi otterranno in questo modo finanziamenti fino a €300 milioni.

    L’iniziativa promuove la concessione di nuovi finanziamenti alle imprese operative in numerosi settori, tra i quali cinema, TV, editoria e architettura. Nei prossimi sei mesi si stima che circa 900 imprese potranno accedere ai finanziamenti garantiti. Complessivamente, l’iniziativa punta a raggiungere circa 3.500 PMI nei prossimi due anni, che, grazie all’intervento di contro-garanzia, riceveranno finanziamenti per circa €300 milioni.

    Si tratta dell’operazione più rilevante, in termini di accesso al credito, mai realizzata all’interno del programma europeo “Europa Creativa” e per questo Mariya Gabriel, Commissario per Economia e Società Digitali, e Tibor Navracsics, Commissario per Istruzione, Cultura, Giovani e Sport, ne sottolineano tutta l’importanza: “I settori creativo-culturali rappresentano un ponte tra l’arte, il business e la tecnologia. Aiutare questi operatori economici a crescere e a stimolarne la creatività è tra i principali punti d’attenzione della Commissione Europea. Questo accordo di garanzia aiuta a colmare il financing gap che penalizza questi settori ed avrà importanti benefici sociali ed economici”.

    L’accesso al credito delle imprese operanti nei settori culturali e creativi può essere difficoltoso, principalmente in ragione della natura immateriale dei loro asset e delle loro garanzie, della ridotta dimensione del mercato, dell’instabilità della domanda, e della mancanza di esperienza da parte dei finanziatori nel saper soddisfare le specifiche esigenze di tali controparti. Quest’accordo si inserisce nel perimetro della “Piattaforma di risk-sharing per le PMI” strutturata da CDP in cooperazione con il FEI, nell’ambito delle iniziative sviluppate attraverso il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici del Piano Juncker.

    Le PMI operanti nei settori culturali e creativi che intendono ricorrere alla garanzia del Fondo PMI per finanziare nuovi investimenti o per esigenze di capitale circolante, possono rivolgersi alla propria banca o al proprio Confidi. Sarà la banca o il Confidi a richiedere l’intervento del Fondo PMI, il cui esito viene fornito mediamente entro una settimana lavorativa. Per maggiori informazioni, consultare: www.fondidigaranzia.it

    Fonte: Comunicato stampa della Commissione europea del 3 settembre 2018

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