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Un errore dismettere Poste italiane a fine legislatura

La decisione del ministero dell’Economia e delle Finanze di cedere ulteriori quote di Poste Italiane è assolutamente deprecabile per due motivi.
Anzitutto Poste Italiane continua, pur con tutte le modifiche e le problematiche degli ultimi anni, ad essere una presenza sul territorio particolarmente utile e necessaria nelle zone agricole e in quelle svantaggiate dal punto di vista geografico. Tuttora l’ufficio postale, con i vari nuovi servizi, consente anche alle persone che hanno una ridotta possibilità di movimento con mezzi privati o pubblici di poter usufruire di un sistema bancario, di un abbonamento telefonico, della consegna di pacchi, della ricezione di vaglia e via dicendo. L’ulteriore cessione di quote, che ovviamente potrebbero essere acquisite da investitori stranieri, rischierebbe di cancellare gran parte di questi servizi perché, è ovvio, nella logica del profitto, spesso fine a se stesso, potrebbero essere tagliate molte sedi proprio nei paesi più piccoli, nelle aree collinari e di montagna.
Il secondo motivo è strettamente contingente: non spetta infatti a un governo che fra due mesi sarà cambiato, probabilmente in modo radicale, dal voto del 4 marzo, il compito e il diritto di alienare una parte del patrimonio pubblico.

Su questo tema condividiamo le dichiarazioni dell’On. Giorgia Meloni di FdI.
In verità, nei programmi elettorali, se i partiti guardassero all’interesse del Paese e non al proprio, vi dovrebbe essere anche una proposta di legge per vietare ai governi, a fine mandato (e almeno a 6 mesi dalle elezioni), di prendere decisioni che portano ad alienare il patrimonio dello Stato e comunque a prendere decisioni che modificano in misura grave l’assetto del Paese.

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