Grecia

  • Sfilata di moda davanti alle rovine ateniesi al British Museum innesca un caso diplomatico

    La Grecia ha espresso reiterate proteste per una sfilata che si è tenuta il 18 febbraio a Londra, in occasione della Settimana della moda, dinnanzi ai fregi del Partenone di Atene custoditi al British Museum. Il designer Erdem Moralioglu ha scelto l’imponente cornice della sala espositiva di queste prestigiose opere d’antiquariato per presentare la sua nuova collezione di marchi di moda, ispirati alla cantante greca Maria Callas. “Organizzando una sfilata di moda nella sala espositiva dove sono esposti i fregi del Partenone, il British Museum, ancora una volta, dimostra di non avere rispetto per i capolavori dello scultore Fidia”, ha dichiarato la ministra della Cultura greca, Lina Mendoni, in un comunicato. “I responsabili del British Museum svalutano e insultano non solo il monumento, ma anche i valori universali che rappresenta. Le condizioni di esposizione delle sculture nella Galleria Duveen si stanno deteriorando di giorno in giorno. È tempo che questo reperto di architettura rubato e il lavoro maltrattato tornino a risplendere sotto la luce dell’Attica”, ha aggiunto la ministra.

    La Grecia chiede da decenni la restituzione di questo fregio di 75 metri staccato dal Partenone, che è uno dei pezzi centrali esposti al British Museum. Le autorità di Londra, tuttavia, sostengono che le sculture furono “acquisite legalmente” nel 1802 dal diplomatico britannico Lord Elgin, che le vendette al British Museum. La Grecia sostiene, invece, che furono oggetto di “saccheggi” mentre il Paese era sotto il dominio ottomano. L’ultimo capitolo dello scontro fra Londra e Atene ha avuto luogo lo scorso novembre quando l’incontro bilaterale previsto a Londra tra il primo ministro Rishi Sunak e l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, è stato annullato dal capo del governo britannico in seguito a una dichiarazione rilasciata dal premier ellenico all’emittente radiotelevisiva “Bbc” relativa proprio alla restituzione dei fregi del Partenone.

  • Peccati madornali e abusi peccaminosi

    Pochi amano sentir parlare dei peccati che amano commettere.

    William Shakespeare; da “Pericle, il principe di Tiro”


    Non si sa con certezza se l’intero testo del dramma Pericle, il principe di Tiro sia stato scritto solo dal grande scrittore tra il 1607 ed il 1608. Ma tutti concordano però che tranne, forse, i due primi atti, il dramma è stato comunque attribuito a lui, a William Shakespeare. La trama dell’opera è stata trattata già nell’antichità greca e poi in quella latina. Anche altri autori, prima di Shakespeare, hanno scritto sullo stesso tema. Pericle, il principe di Tiro rappresenta un intreccio di diversi eventi drammatici e tragici che coinvolgono i personaggi del dramma. Pericle compreso. Tutto però prende via da un terribile, madornale peccato: quello dei rapporti incestuosi tra Antioco, re di Antiochia, e la sua bellissima ed unica figlia. Rapporti peccaminosi che il re faceva di tutto perchè nessuno venisse a conoscenza. Non volendo però che si pensasse ad un suo impedimento a sua figlia di sposarsi, aveva trovato anche la soluzione. Un indovinello. Sì, un indovinello, che chiunque pretendesse la mano di sua figlia, il nome della quale non ci viene mai detto, avrebbe dovuto trovare prima la giusta risposta. Si doveva, perciò, trovare un enigma nascosto nelle seguenti frasi: “Mi trasporta un delitto; mi cibo delle carni di mia madre; cerco un fratello mio, figlio di mia madre, marito di mia moglie e non lo trovo”. Un indovinello veramente difficile da capire. E chi sbagliava veniva subito ucciso. Nessuno però era riuscito a trovare la risposta, finché alla corte di Antioco arrivò Pericle, il principe di Tiro. Egli, dotato di intelligenza e di vasta cultura ed attratto dalla bellezza della figlia di Antioco, riuscì a capire l’enigma di quell’indovinello e diede la risposta ad Antioco. Il re però, molto turbato, negò che fosse quella giusta, ma diede a Pericle un mese di tempo per ripensare. Un stratagemma per farlo uccidere subito dopo, essendo il principe di Tiro l’unica persona che conosceva il suo terribile segreto. Segreto che, nel subconscio di Antioco, era diventato anche un tremendo e continuo incubo. Nel frattempo Pericle, avvisato dei crudeli piani del re, scappa e si salva, dando però inizio alle tante sue peripezie. Ma poi, dopo molti difficili e sofferti anni, anche per Pericle arrivano i giorni felici, avendo trovato finalmente la moglie e la figlia.

    “…Pochi amano sentir parlare dei peccati che amano commettere” scriveva Shakespeare nel suo dramma. E si riferiva al madornale peccato commesso da Antioco, quello dei rapporti incestuosi con sua figlia. Mettendo così in evidenza e stigmatizzando, tra l’altro, l’immoralità dei peccati. E di peccati, anche più gravi e tremendi di quello di Antioco, si commettono in tutte le parti del mondo. Anche in Albania. Ma se colui che commette peccati è proprio il primo ministro e se i peccati cadono non su una sola persona, ma su una moltitudine di persone e sul Paese stesso, allora i peccati diventano ben più gravi, perché tutto si fa abusando, in modo peccaminoso, del potere conferito [per modo di dire]. I fatti accaduti e che stanno accadendo, anche in queste ultimissime settimane, testimonierebbero che il primo ministro albanese sia realmente immerso in un pantano di madornali peccati contro gli interessi dello Stato, dei cittadini e della cosa pubblica. Peccati commessi soltanto per dei suoi interessi personali. Ragion per cui non ci dovrebbero essere dei dubbi: il peccato di Antioco, bensì tremendo, è minore se paragonato con quelli commessi consapevolmente dal primo ministro albanese e/o da chi per lui, soltanto durante queste ultimissime settimane. Sì, perché, tra l’altro, la cessione di territori marini del Paese alla Grecia, nonché la cessione, in “concessione”, di altri territori strategici a degli sceicchi arabi soltanto per degli occulti interessi e per delle convenienze personali, non possono essere che dei terribili peccati, severamente condannabili. Il nostro lettore deve sapere che, da secoli ormai, gli albanesi considerano e chiamano il loro Paese la “Madreterra” o la “Terramadre”. Perché lo considerano, in modo naturale e viscerale, proprio come una madre. Dimostrando così il più alto rispetto per il loro Paese e per la Madrepatria. Il primo ministro albanese però, dopo aver spezzettato il territorio del Paese, vende, a suo profitto, proprio parti del corpo della madre. Così facendo “…si ciba delle carni di mia madre”, come diceva Antioco nel suo indovinello.

    Circa due settimane fa a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, un folto gruppo di persone molto altolocate e vicine al primo ministro albanese è stato filmato durante una lussuosa cena in uno dei più noti ristoranti della città. Parte del gruppo erano alcuni ministri vicini al primo ministro, degli alti funzionari pubblici ed il suo fedele consigliere speciale, nonché uno dei più noti imprenditori albanesi, dei giornalisti ed altri. Bisogna sottolineare un “piccolo particolare” però: erano tutti albanesi. Il video con delle immagini di quella cena, girato dai dipendenti del ristorante, come prassi, appena divulgato ha generato subito scalpore e grande indignazione pubblica in Albania. In quei giorni però intere e vaste aree del Paese erano sommerse dalle inondazioni, mentre il primo ministro si trovava a discutere e consentire degli accordi peccaminosi con il presidente turco ed il primo ministro greco. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò durante le due ultime settimane. All’indomani della diffusione del video, che hanno cercato invano di cancellare dalla rete, la propaganda governativa, trovata completamente impreparata e presa alla sprovvista, ha cercato di “spiegare” che si trattava di una cena offerta da un noto sceicco arabo alla fine di un grande ed importante accordo che lui aveva firmato con l’Albania! Cena però dove non si vedeva ombra, né dello sceicco e neanche di altri suoi collaboratori. A niente sono servite tutte le “acrobazie” della propaganda e di alcuni partecipanti alla “peccaminosa cena”. In realtà, per lo sceicco arabo c’era molto da festeggiare, eccome! Perché, con alcuni accordi lui era riuscito ad avere, a lungo tempo, in “concessione” il porto di Durazzo, che è il più grande porto dell’Albania ed un ingresso strategico ed importante verso i Balcani. Ma oltre all’accordo sul porto di Durazzo, il sceicco arabo ha avuto in “concessione” anche altre aree importanti sulla costa ionica ed all’interno dell’Albania. Accordi ormai “consolidati” anche legalmente, dopo l’approvazione di una legge, il 3 dicembre scorso dal Parlamento, in clamorosa violazione delle leggi in vigore. Non solo, ma in piena violazione anche con quanto previsto dall’Accordo di Stabilizzazione e Associazione dell’Albania con l’Unione europea. Un accordo, quello con lo sceicco, che sancisce l’illecita cessione di territori dell’Albania! Le cattive lingue dicono che anche il primo ministro albanese ha avuto quanto ha voluto in cambio. Ma, ovviamente, non quello che ha detto dopo la sua visita, il 26 novembre scorso, negli Emirati Arabi Uniti! Lui sa anche il perché!

    Proprio negli stessi giorni che a Dubai si consumava la “cena peccaminosa”, il primo ministro albanese, dopo aver finito la sua “fruttuosa visita” in Turchia, di cui il nostro lettore è stato informato, è andato in Grecia. L’anfitrione, il primo ministro greco, lo ha invitato ad una “cena privata” a casa sua! Non si sa di cosa abbiano parlato e su cosa si siano accordati loro due. Si sa però che il 19 gennaio scorso il Parlamento greco ha approvato l’allargamento, con 12 miglia, del suo confine marino a scapito dell’Albania. Si tratta di un altro scandaloso accordo fatto in gran segreto per l’opinione pubblica albanese. Si sa però che il primo ministro albanese ha ceduto “privatamente” vaste superfici marine e sottomarine alla Grecia. Anche in questo caso, lui sa il perché!

    Chi scrive queste righe tornerà di nuovo su questi due argomenti importanti, convinto che altri particolari  usciranno durante le prossime settimane e mesi. Egli è altrettanto convinto però che il primo ministro e i suoi faranno di tutto per offuscare questi scandali. Anche perché sono veramente pochi quelli che amano sentir parlare dei peccati che, loro stessi, amano commettere.

  • Mare nostrum

    L’uomo troppo compiacente che accorda tutto
    per tutto avere, é ruinato dalla propria facilità.

    Confucio

    La ben nota denominazione Mare Nostrum è stata coniata ed usata già dagli antichi romani per indicare il mare Mediterraneo. Un mare sul quale si affacciano molti paesi e si incrociano molti interessi, soprattutto economici. E quando si tratta di interessi economici e di contenziosi tra paesi sono sempre presenti anche degli attriti di vario genere. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi ne è un’eloquente testimonianza.

    A fine luglio scorso sono ricominciati di nuovo gli attriti tra la Grecia e la Turchia dovuti a delle reciproche rivendicazioni su determinate aree marine intorno a delle isole sul Mediterraneo. Aree che sia la Grecia che la Turchia pretendono di essere parte integrante delle proprie zone economiche esclusive. Dopo che la Turchia ha avviato l’esplorazione in mare per delle risorse di gas naturale è stata immediata la reazione ufficiale da parte della Grecia. Da sottolineare che il diritto della sovranità in questi casi viene definito dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1982 sulla legge dei mari (UNCLOS), nota anche come la Convenzione di Montego Bay. Convenzione che ancora non è stata riconosciuta dalla Turchia però. Sono state tante e dure le dichiarazioni delle massime autorità dei due paesi. Ma vista l’evoluzione della situazione non sono mancate neanche le dichiarazioni delle massime autorità delle cancellerie europee e quella statunitense. E finalmente sembra che ci sia un svolta positiva. Il presidente turco, dopo aver fatto il “duro” fino a pochi giorni fa, la sera di sabato scorso ha fatto un passo indietro. Lui ha dichiarato che la Turchia cercherà di risolvere il contenzioso con la Grecia “con saggezza e in maniera civile”. Finalmente lui ha rinunciato alle maniere dure e all’uso della forza, come dichiarava convinto dal luglio scorso e fino a pochi giorni fa. Dando così, secondo il presidente turco “…più spazio alla diplomazia, per risolvere i problemi con il dialogo, con il quale tutti ne escono vincitori”.

    Il 5 agosto scorso la Turchia, però, ha firmato con la Libia un accordo per delimitare le proprie zone economiche esclusive. Accordo che urta ed è incompatibile con quanto prevede l’accordo, tuttora in vigore, tra la Grecia e la Turchia. Ma anche la Grecia, nel frattempo, il 6 agosto scorso, ha firmato un simile accordo con l’Egitto, che delinea le rispettive zone economiche esclusive. Secondo fonti diplomatiche, quest’ultimo accordo mira a contenere proprio le ambizioni della Turchia in quelle aree del Mediterraneo. Un altro accordo che riguarda le zone economiche esclusive tra i paesi del Mediterraneo è stato firmato tra l’Italia e la Grecia il 9 giugno scorso. Un accordo che è stato considerato come “storico” in Grecia, forse anche perché si stavano già preparando ad affrontare quanto è poi successo soltanto circa un mese dopo con la Turchia. Come parte integrante del sopracitato accordo tra la Grecia e l’Italia c’è anche una clausola secondo la quale si prevede la possibilità di continuare la linea del confine marino sia verso il nord che verso il sud “con altri Stati vicini”. E, tutto sommato, si tratterebbe dell’Albania a nord e della Libia e Malta a sud.

    Durante queste ultime settimane si sono riattivate anche le rivendicazioni della Grecia sulla delimitazione del confine marino con l’Albania. Un contenzioso che continua da una decina d’anni e che, guarda caso, è stato riaperto proprio adesso, in questo periodo carico di attriti e di accordi per le zone economiche esclusive e la delimitazione dei confini marini tra diversi paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

    Il 26 agosto scorso il primo ministro greco ha dichiarato, durante una seduta del Parlamento, che il suo governo presenterà un disegno di legge che poi, approvato dal parlamento, permetterebbe l’allargamento del confine marino occidentale della Grecia nel mare Ionio da 6 a 12 miglia marine. Il che significherebbe la riduzione, in egual misura, del confine marino dell’Albania, dove sono state immediate e forti le reazioni. Anche perché si tratta di un argomento che ha generato non pochi attriti tra le forze politiche in Albania, soprattutto in quest’ultimo decennio.

    Il confine marino tra la Grecia e l’Albania è stato definito dalle grandi potenze con il Protocollo di Firenze del 27 gennaio 1925. Poi, in seguito, il 30 luglio 1926 a Parigi, la Conferenza degli Ambasciatori delle grandi potenze ha sancito definitivamente tutti i confini tra l’Albania e la Grecia. Quella presa dalla Conferenza degli Ambasciatori, era ed è tuttora una decisione obbligatoria per i due paesi. Anche perché adesso, sia la Grecia che l’Albania sono paesi che hanno ufficialmente riconosciuto la sopracitata Convenzione di Montego Bay del 1982 sui mari. Da sottolineare che tra la Grecia e l’Albania il 27 aprile 2009 è stato firmato un Accordo per la “Delimitazione delle loro rispettive zone della piattaforma continentale sottomarina e delle altre zone marine, che a loro appartengono in base al diritto internazionale”. Accordo quello che è stato fortemente contrastato allora dall’opposizione capeggiata dall’attuale primo ministro albanese. La questione finì poi alla Corte Costituzionale, la quale, il 15 aprile 2010, decretò l’anticostituzionalità dell’Accordo e proclamò la sua nullità. Chi scrive queste righe, durante l’autunno del 2018, ha trattato l’argomento in diversi articoli, tra i quagli anche Perfidie e mercanteggiamenti balcanici; 22 ottobre 2018 e Accordi peccaminosi; 29 ottobre 2018.

    Tornando agli ultimi sviluppi, e in seguito alle dichiarazioni del primo ministro della Grecia il 26 agosto scorso in Parlamento, ha reagito anche il primo ministro albanese. Quest’ultimo ha considerato come “molto corretta” la dichiarazione del suo omologo. Mentre le forti reazioni in Albania il primo ministro albanese le considerava come mosse “dall’ignoranza” e usate “come argomento di tradimento del nostro governo”. Perché, secondo lui, la Grecia sta “esercitando un diritto” che deriva dalla Convenzione di Montego Bay del 1982. Negando “stranamente” però, anche il diritto della parte lesa, e cioè l’Albania, di opporsi. Il che non è per niente vero, Convenzione di Montego Bay alla mano. Come al solito, una sua “interpretazione creativa” quella del primo ministro albanese. Poi in seguito lui stesso ha fatto dietro front e ha parlato di negoziati tra le parti e anche, addirittura, di portare il caso presso un tribunale internazionale. Impensabile fino a pochi giorni fa! Chissà perché?! E chissà se è per puro caso che ciò accade proprio dopo una “cena tra amici” con il presidente turco, alcuni giorni fa. Ma nel frattempo anche quest’ultimo ha cambiato l’atteggiamento nei confronti del contenzioso con la Grecia!

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri argomenti da analizzare, in modo che il nostro lettore possa comprendere meglio quanto sta accadendo in queste settimane tra diversi paesi del Mare Nostrum, soprattutto tra la Grecia e l’Albania. Ricorda però che durante un forum internazionale ad Atene, il 16 settembre scorso, la ministra firmataria del sopracitato Accordo del 27 aprile 2009 tra la Grecia e l’Albania, che è anche la sorella dell’attuale primo ministro greco, ha accusato direttamente il primo ministro albanese, anche lui presente, di essere stato “convinto” nel 2009 proprio da Erdogan, a portare il caso alla Corte Costituzionale, per poi annullarlo. Chi scrive queste righe pensa che, come scriveva Confucio, l’uomo troppo compiacente, che accorda tutto per tutto avere, è ruinato dalla propria facilità. Primo ministro albanese compreso.

  • Berlino accoglierà 1500 migranti dai campi in fiamme della Grecia

    La Germania accoglierà 1.553 migranti da cinque isole greche dopo gli incendi che hanno devastato il campo di accoglienza di Moria, sull’isola di Lesbo, lasciando migliaia senza riparo e nella disperazione più totale. Si tratta di 408 famiglie con bambini che hanno già ottenuto lo status di rifugiato in Grecia, ma che potrebbero anche non provenire dal campo di Moria. A questi si aggiungono 150 minori non accompagnati provenienti invece tutti da Moria e la cui accoglienza era stata annunciata la scorsa settimana dal governo tedesco in una misura condivisa con altri 10 Paesi europei.

    L’annuncio ufficiale di Berlino è arrivato dal vicecancelliere Olaf Scholz dopo la decisione presa dalla cancelliera Angela Merkel in accordo con il ministro dell’Interno Horst Seehofer. “Garantiamo che 1.553 familiari già riconosciuti come rifugiati dalle autorità greche lasceranno le isole” del Mar Egeo per la Germania, ha confermato Scholz. La Francia ha accettato di accogliere 150 minori dal campo di Moria mentre altri Paesi dell’Ue ne prenderanno 100.

    Nel frattempo, il ministro greco della Protezione Civile, Michalis Chrysohoidis, ha annunciato l’arresto di sei migranti sospettati di aver appiccato le fiamme a Lesbo: “Cinque giovani stranieri sono stati arrestati. Si cerca un sesto che è stato identificato”. Gli arresti, ha spiegato poi, “screditano l’ipotesi che ad appiccare il fuoco al campo sia stato un gruppo di estremisti”.

    Circa 800 degli oltre 12mila migranti e rifugiati fuggiti dall’inferno di Moria la scorsa settimana sono stati trasferiti in un nuovo campo, situato a tre chilometri dal porto di Mitilene, capoluogo di Lesbo. Ma la stragrande maggioranza dorme ancora in strada o sui marciapiedi mentre diverse organizzazioni umanitarie cercano di assisterli: l’Unhcr ha già fornito 600 tende familiari, bagni chimici e postazioni per lavare le mani. Le autorità greche affermano che 21 persone nel nuovo campo sono risultate positive al coronavirus e sono state poste in isolamento nel sito temporaneo di Kara Tepe, vicino al campo devastato dal rogo.

    Intanto, il ministro per la Protezione Civile ha annunciato che l’isola di Lesbo sarà svuotata dai rifugiati entro la Pasqua del prossimo anno. “Se ne andranno tutti”, ha assicurato Chrysochoidis. “Dei circa 12.000 rifugiati prevedo che 6.000 verranno trasferiti sulla terraferma entro Natale e il resto entro Pasqua. La gente di quest’isola ne ha passate tante. Sono stati molto pazienti”, ha aggiunto. Moria “era il campo della vergogna”, ha ammesso il ministro. “Adesso appartiene alla storia. Sarà ripulito e sostituito dagli uliveti”.

     

  • Coronavirus: per la Germania necessaria l’unione economica, per la Grecia no a supervisioni da parte dell’UE

    Il presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble, in un articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), ha invitato gli Stati membri dell’UE a trovare il “coraggio” di trasformare la zona euro in ‘unione economica’, per rispondere ai bisogni della crisi senza precedenti che si è venuta a creare per gli effetti del Coronavirus. Il presidente del parlamento tedesco ha sostenuto che se l’UE avesse istituito un fondo monetario “prevalente” durante la crisi greca del 2010 oggi sicuramente si sarebbe stati tutti un passo avanti. L’UE infatti ha competenza sulla politica monetaria ma la politica economica è invece una responsabilità nazionale.

    E mentre Schäuble si appella ad un rafforzamento dell’unione economica c’è chi, come il primo ministro greco Mitsotakis, rifiuta il monitoraggio dell’UE nelle operazioni economiche di aiuto per il coronavirus. In un’intervista rilasciata al Financial Times affermato che dopo la crisi “i greci sono maturati molto” e che il paese vuole fare le sue riforme. Non sosterrà perciò il ritorno della supervisione rigorosa e impopolare imposta al suo paese dalla “troika” di funzionari dell’UE, della Banca centrale europea (BCE) e del Fondo monetario internazionale (FMI) come avvenne durante la crisi del debito nazionale. La Grecia farà le sue riforme, una revisione semestrale della performance economica condotta dalla Commissione europea è stata sufficiente e non sono ste necessarie ulteriori rigide condizioni.

  • Per il Primo Ministro greco è l’UE che deve decidere sui protocolli sanitari per far ripartire il turismo

    Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis in una intervista rilasciata alla CNN ha dichiarato che deve essere l’UE a decidere sui protocolli sanitari per consentire al settore turistico di ricominciare presto, poiché i paesi del sud Europa stanno lottando per salvare le loro economie dalle conseguenze della crisi causata dal Coronavirus. Mitsotakis ipotizza come data di ripartenza della stagione e del possibile arrivo possibile di turisti in Grecia il 1 ° luglio e nel paese si stanno perciò già rimboccando le maniche perché ciò avvenga. Ovviamente, come suggerisce, è necessario che le compagnie aeree facciano la loro parte sottoponendo i passeggeri a controlli mirati – tampone o altro sistema che possa rilevare la presenza del virus– sia alla partenza del volo che all’arrivo. Protocolli sanitari severi certo ma sicuramente applicabili e da concordare a livello europeo.

    E il premier invita a recarsi in Grecia dove, malgrado il distanziamento sociale e i bar probabilmente chiusi, le bellezze offrono sempre un valido motivo per una vacanza. Naturalmente se la pandemia si sarà affievolita.

    Il paese sta sviluppando un piano in tre punti per riaprirsi al turismo, poiché il settore rappresenta quasi il 20% del PIL della Grecia. Il Primo Ministro ha affermato che sebbene il paese si affidi al turismo solo in parte la crisi potrebbe però deteriorarsi se il Paese non si aprirà affatto agli stranieri.

  • Ciao Salsiccia!

    Nel 2014, dopo anni spesi a lottare contro ogni violenza, ha lasciato tranquillamente il nostro mondo Loukanikos (Λουκάνικος) che in greco significa “salsiccia”. Questo era il soprannome che gli avevano dato le persone per le strade di Atene.

    Facciamo un passo indietro. Siamo nel maggio 2010. A causa di un debito pubblico divenuto insostenibile, i paesi dell’Eurozona e il Fondo Monetario Internazionale approvano un prestito alla Grecia da 110 miliardi di euro, subordinato, però, alla realizzazione di severe misure di austerità. È il caos sociale. Le enormi perdite di posti di lavoro e gli ingenti tagli alla previdenza sociale trasformano la rabbia e l’indignazione pubblica in proteste di piazza, spesso anche cruente. E Louk (altro suo soprannome) era sempre lì, seppur non appartenendo a nessun partito politico o fazione di lotta, nessuno lo avesse convocato. Ai cortei ci arrivava da solo mettendosi in prima linea, sempre dalla parte dei più indifesi. Questo era il suo principio di lotta.

    Nel settembre 2011 l’episodio che lo rese un amatissimo eroe popolare a tal punto che la rivista Time lo indicò come una delle personalità più importanti di quell’anno. Durante l’ennesima manifestazione, diversi poliziotti in borghese iniziarono a caricare violentemente altri poliziotti in divisa perché questi ultimi, stavano protestando contro la forte riduzione dello stipendio. Dopo qualche momento di esitazione, fra lo stupore dei presenti, Louk si gettò nella mischia per prendere le difese dei poliziotti in divisa contro i quali, solo pochi giorni prima, aveva ugualmente protestato per come stavano trattando alcuni studenti in corteo. Louk era fatto così. Soffriva nel vedere tanto dolore e non riusciva a sopportare la violenza di esseri umani contro altri esseri umani, indipendentemente dalle loro ragioni.

    Molte notti, benché avesse un posto fisso dove dormire, lo si poteva incontrare a vagare solitario e pensieroso per le vie della città o in Piazza Syntagma dove si trova il Parlamento Ellenico.

    Migliaia sono le foto che lo ritraggono con il suo fularino rosso al collo mentre protesta fra le sassaiole e i lacrimogeni della polizia. E, a detta del suo medico, è stata proprio la frequente inalazione di quei gas lacrimogeni e di altri prodotti chimici utilizzati durante i disordini a cui ha partecipato, che ne hanno compromesso irrimediabilmente la salute. Louk ci ha lasciati il 9 ottobre del 2014, all’età di dieci anni.

    Sì all’età di 10 anni!

    Perché Louk era un cane. Un bellissimo cane randagio.

    Più amico degli uomini, certamente, di quanto molti uomini oggi riescono ad essere fra di loro.

    Un giornale greco, l’Avgi, pochi giorni dopo la sua morte, ha scritto che Louk è stato sepolto all’ombra di un grande albero su una collina nel centro della città. Grazie, Salsiccia! Riposa in pace, ovunque tu sia.

     

  • I deputati europei sollecitano l’evacuazione degli hotspot sulle isole greche per fermare la diffusione di COVID-19

    L’isola di Lesbo ha confermato il suo primo caso COVID-19 e i deputati europei chiedono alla Commissione europea di evacuare i campi migratori, i cosiddetti “hotspot”, sulle isole greche, poiché sia ​​le pessime condizioni igieniche che di vita potrebbero trasformare la crisi umanitaria in un pubblico problema di salute.

    Gli hotspot sovraffollati, che attualmente ospitano migliaia di migranti, superando il limite numerico consentito, rendono impossibile qualsiasi misura per arginare il virus, come l’isolamento e il distanziamento sociale.

    In una lettera inviata al commissario per la gestione delle crisi Janez Lenarčič, il presidente del Comitato per le libertà civili Juan Fernando López Aguilar del gruppo di socialisti al Parlamento europeo, ha esortato la Commissione a procedere con “l’evacuazione preventiva dei gruppi più vulnerabili nel campi nelle isole greche”.

    L’eurodeputato spagnolo ha chiesto il coordinamento di una “risposta europea comune”, prima che la situazione diventi “ingestibile” e si rischi un aumento delle vittime. Ha inoltre sottolineato che, poiché le strutture di terapia intensiva di Lesbo sono estremamente limitate e le attrezzature sanitarie necessarie non sono attualmente disponibili, la Commissione deve aumentare le sue risorse finanziarie per la fornitura di cure mediche.

    Il 17 marzo, il Ministero della migrazione e dell’asilo della Grecia ha annunciato misure di protezione per prevenire un focolaio di COVID-19 nei centri di accoglienza e identificazione (RIC) delle isole per richiedenti asilo e migranti. Questi includono la sospensione di 14 giorni delle visite, comprese quelle di agenzie e organizzazioni che forniscono servizi essenziali, di attività ricreative ed educative all’interno dei campi e la limitazione dei movimenti non essenziali, sia all’interno che all’esterno dell’hotspot.

    Si stima che oltre 42.000 richiedenti asilo vivano nei campi dei migranti, di cui 26.000 sono al riparo nell’hotspot di Moria. Poiché quest’ultimo è stato progettato per ospitare 3.000 persone, i migranti si trovano già in una situazione di salute precaria a causa delle condizioni di vita disastrose.

     

  • Frontex pronta ad attivarsi alle frontiere marittime della Grecia

    L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) ha concordato di schierare una Squadra di intervento rapido (RABIT) alle frontiere marittime della Grecia nell’Egeo, in seguito alla richiesta del governo greco di un secondo intervento rapido da parte dell’Agenzia, questa volta però verso le sue frontiere esterne. Adesso occorre ridistribuire i funzionari di altre operazioni per fornire assistenza immediata. Le due parti stanno lavorando per finalizzare i dettagli del piano e, una volta concordato, Frontex chiederà agli Stati membri dell’UE e ai paesi associati Schengen di fornire immediatamente guardie di frontiera e altro personale competente entro 5 giorni e attrezzature entro 10 giorni.

    Dal 2021 Frontex disporrà di un proprio personale che assisterà gli Stati membri dell’UE nelle questioni relative alle frontiere.

     

  • Anche i marmi del Partenone di Atene nelle trattative sull’implementazione della Brexit

    Anche la cultura finisce al centro del confronto post-Brexit fra Regno Unito ed Europa. In particolare la questione che da tempo divide Londra e Atene: la restituzione dei marmi del Partenone, conservati da oltre duecento anni al British Museum nella capitale britannica.

    La stampa anglosassone ha rilanciato allarmata la notizia di una bozza di intesa redatta dai diplomatici di Bruxelles in vista delle trattative post-divorzio che devono aprirsi a marzo e nella quale è contenuta una clausola a protezione di “oggetti culturali rimossi illegalmente nei loro Paesi di origine”. E’ in particolare il Times che sottolinea come i colloqui sull’accordo commerciale potrebbero essere utilizzati dal governo greco per portare avanti la causa della restituzione, sempre sentita come motivo di orgoglio nazionale. Immediatamente a Londra si è pensato a un modo per riaprire la vecchia diatriba legale ellenico-britannica e il governo conservatore del premier Boris Johnson ha ‘alzato le barricate’ a scanso di ogni equivoco.

    Un portavoce di Downing Street si è affrettato a precisare che la bozza è ancora in fase di definizione e soprattutto ha escluso che i celebri marmi recuperati da Lord Elgin all’inizio del 1800 possano rientrare all’interno delle trattative con l’Ue. Anche fonti diplomatiche di Bruxelles hanno confermato che la clausola non riguarderebbe i tesori artistici arrivati dalla Grecia, ma è rivolta a contrastare il commercio illegale di antichità.

    Le opere – di cui Atene chiede di tornare in possesso dal 1981, quando era ministro della Cultura l’attrice Melina Mercouri – sono 15 metope, 56 bassorilievi di marmo e 12 statue (quasi l’intero frontone Ovest del tempio), oltre a una delle sei cariatidi del tempietto dell’Eretteo. I marmi, che ornavano il tempio di Athena Parthenos (vergine), gioiello architettonico del V secolo a.C., furono asportati e trafugati fra il 1802 e il 1811 da Lord Thomas Bruce Elgin, allora ambasciatore britannico presso la Sublime Porta, e venduti al British Museum nel 1816 per 35mila sterline oro dell’epoca.

    L’istituzione museale di Londra ha sempre ribadito il suo diritto di possedere le opere al centro della diatriba. Diatriba che ha avuto una serie di capitoli: Atene ha prima tentato le vie legali, per poi concentrarsi su un’offensiva più politica e diplomatica. La Gran Bretagna ha sempre risposto con un secco ‘no’ alle richieste di restituzione in arrivo dalla Grecia e la sua posizione è difficile che cambi in particolare dopo il divorzio dall’Ue.

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