L’attenzione che politica e stampa dedicano ai dazi alla Cina sta portando a trascurare il fatto che la maggior parte degli investimenti di Pechino in Europa non è rivolta alla realizzazione di infrastrutture ma ad acquisizioni che consentano al Paese asiatico di prendere possesso di tecnologie e know-how di cui non dispone. Sebbene la Cina si stia aprendo ad investimenti e acquisizioni sul proprio territorio da parte occidentale, il piatto della bilancia delle acquisizioni pende decisamente a favore di Pechino.
Mentre è sempre più padrona dell’Africa, la Cina ha rafforzato la sua presenza in Europa soprattutto nei Paesi dell’Europa orientale, provocando timori di ulteriori frammentazioni all’interno dei Paesi che aderiscono all’Unione europea che fino ad ora non appaiono essere ben presenti alla stessa Commissione europea. Nel 2017, poco dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, Xi Jinping si presentò al World Economic Forum come il nuovo alfiere del libero mercato, ma dietro la difesa di quel libero scambio che invece gli Usa di Trump appaiono ripudiare in nome dell’America first si coglie sempre più il timore che Pechino stia utilizzano la libertà degli scambi come strumento egemonico e di espansione, nell’ottica della tutela anzitutto dei propri interessi piuttosto che della promozione del benessere di tutti tramite la globalizzazione.
In questo contesto, anche l’attuale governo italiano appare ben poco consapevole dei rischi che possono prospettarsi e che devono comunque essere tenuti in conto come possibili. A dispetto del sovranismo di cui si fa portavoce, l’attuale maggioranza ha in più occasioni strizzato l’occhio a Mr Ping (come Luigi Di Maio ebbe a dire del presidente cinese Xi Jinping in occasione di una sua visita nella Repubblica Popolare) dimostrando di non saper cogliere quanto la politica commerciale sia uno strumento della politica tout court e delle relazioni internazionali.