Il costo dell’ignoranza
Come abbiamo già precedentemente rilevato le previsioni di crescita del governo Gentiloni si sono miseramente schiantate contro il muro dell’economia reale che porta tale crescita al 1,1% rispetto al 1,4 previsto al governo Gentiloni e da Confindustria.
Di fronte a questa pericolosa deriva economico-finanziaria il governo attuale invece è completamente strabico occupandosi di TAV, TAP, no-vax invece di pensare al castello economico finanziario che sta crollando.
Il buy back rappresenta, in ambito finanziario, per un’azienda privata quotata un’azione finalizzata o a sostenere la caduta del valore del proprio titolo oppure in un’azienda particolarmente sana il modo di investire il proprio cash flow in modo da strutturarla finanziariamente. Quindi il buy-back rappresenta una scelta finalizzata al mantenimento o all’esaltazione del valore azionario e quindi patrimoniale dell’azienda stessa.
Quando però si entra nel mondo finanziario dei titoli del debito sovrano i valori e soprattutto gli obiettivi possono risultare addirittura invertiti. Risulta infatti passata praticamente inosservata una nota del Financial Times il quale ha sottolineato come ancora oggi sia stata riacquistata dal Ministero del Tesoro una quota di titoli del debito pubblico pari a un miliardo. Peraltro un’operazione già avvenuta nel recente passato. In altre parole, l’organo emittente, cioè il Ministero del Tesoro, non avendo riscontrato nessun interesse neppure con tassi in rialzo da parte del mercato finanziario, stesso si è visto costretto a riacquistare quello che lui stesso aveva emesso. Ci si trova di conseguenza nella medesima situazione degli anni ‘80 nella quale, in preda ad un’inflazione del 20% lo Stato italiano emetteva titoli di Stato non per rinnovare i titoli del debito pubblico in scadenza ma semplicemente per pagare gli interessi sul debito tanto l’inflazione bruciava ricchezza nel giro di un unico anno.
Ora la situazione risulta ancora più grave perché il mercato, che come sempre cerca operazioni che assicurino marginalità, non trova conveniente investire risorse finanziarie in un titolo che pur avendo rendimenti superiori presenta un “rischio stato” molto più elevato rispetto anche a quello della Grecia.
Quindi, mentre negli anni ‘80 l’inflazione stessa giustificava l’emissione di titoli per pagare gli interessi ora il nostro paese si trova nella situazione nella quale i titoli vengono riacquistati dall’organo emittente, cioè il Ministero del Tesoro, perché non riscontrano nessun interesse da parte degli operatori finanziari in quanto non considerati sicuri (e stiamo parlando di debito sovrano quindi di un debito statale).
In questo contesto di assoluta sfiducia nei confronti della politica economica dell’attuale governo questo dovrebbe rappresentare l’argomento base in prospettiva della definizione del Def che prevede già 25 miliardi come minimo (ricordo quando fossi inascoltato già a febbraio quando parlavo di 30 miliardi necessari) per neutralizzare l’aumento dell’IVA…, sopportare l’aumento dei tassi di interessi del servizio al debito pubblico…, reperire le risorse finanziarie per le spese inserite nella bilancia del 2018 ora scoperte con l’abbassamento dello 0, 3% del PIL ( da 1,4 a 1,1%).
Invece l’assoluta inconsistenza economica finanziaria di buona parte dei rappresentanti del governo in carica pone le basi per una esplosione del debito stesso, come dello Spread, e per la riproposizione delle medesime condizioni economico-finanziarie del novembre 2011.
Questi sono solo una parte dei costi dell’ignoranza che regna sovrana in questo governo che ormai ha dimostrato la propria inconsistenza culturale in tutti i propri campi ma soprattutto in quello economico-finanziario.