Attualità

Il nuovo record del debito pubblico italiano

2755 miliardi: a questo ammonta il nuovo record del debito pubblico italiano mentre contemporaneamente, da molti mesi ormai, si leggono teorie economiche basate su principi squisitamente scolastici in base ai quali l’inflazione ridurrebbe il peso del debito pubblico.

Questa visione economica prende spunto da un modello matematico e non, come la realtà in continua evoluzione dimostra, da una analisi complessa all’interno di un articolato mercato finanziario nel quale i creditori, cioè i sottoscrittori dei titoli del debito pubblico, tendono sempre ad aumentare le proprie aspettative in termini di interessi corrisposti in virtù proprio del maggior rischio legato all’inflazione.

Questi modelli scolastici possono anche fare parte di un bagaglio culturale ma la mancata attualizzazione rispetto ad un nuovo e complesso mercato globale ne esclude l’applicazione e soprattutto le impossibili aspettative anche del governo in carica.

La Banca d’Italia pone fine a discussioni e teorie adottate dai sostenitori tanto della compagine governativa attuale quanto, in passato, da Calenda e Padoan del governo Renzi nel 2016 i quali erano favorevoli ad un aumento dell’IVA proprio per innescare una spirale inflattiva.

Allora come oggi l’obiettivo è quello di ottenere l’illusione di una riduzione del debito pubblico quando invece si verifica, ma solo per un periodo molto limitato, un miglioramento del rapporto tra debito pubblico e PIL avendo quest’ultimo un aumento nominale proprio legato all’inflazione.

L’errore grossolano emerge chiaro dall’attribuzione di un valore “positivo” all’inflazione in termini di riduzione del debito pubblico come espressione della differenza tra il tasso di interesse corrente pagato dallo Stato con quello che indica la perdita di valore della moneta. Un corretto confronto invece andrebbe proposto nella valutazione della differenza tra i tassi applicati ai titoli del debito in scadenza e quelli sicuramente superiori richiesti in presenza di una spirale Inflattiva dai nuovi finanziatori.

Viceversa il diverso valore tra il tasso di inflazione e quello degli interessi sul debito pubblico indica chiaramente il valore della depatrimonializzazione degli asset economici italiani espressi in valuta in costante perdita di valore.

Sembra incredibile come non ci sia stata nessuna evoluzione intellettuale dal momento dell’apprendimento delle teorie economiche alle sempre più complesse dinamiche dei mercati finanziari contemporanei tanto in ambito politico e governativo quanto in ambito accademico.

Contemporaneamente emerge anche come non ci sia stato ancora oggi un aggiornamento all’interno dei testi di economia nei quali accanto al modello classico relativo agli illusori vantaggi attribuibili all’inflazione nell’andamento del debito pubblico vengano quantomeno illustrate le complesse dinamiche dei mercati finanziari del terzo millennio che rendono gli effetti congiunti dei tassi di interesse e dell’inflazione nel loro complesso sempre più marginali.

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