Investimenti e risorse umane
Molto spesso, anzi, troppo spesso, si parla della necessità di aumentare la spesa pubblica con l’obiettivo di incrementare gli investimenti pubblici favorendo così le condizioni per una crescita dell’economia italiana. L’analisi della storia del nostro Paese evidenzia invece come questi investimenti non vengano utilizzati per la realizzazione di nuovi fattori con l’importante funzione di aumentare la competitività del sistema industriale ed aziendale italiano, troppo spesso questi si trasformano semplicemente in nuova spesa corrente ed improduttiva finalizzata alla semplice creazione di “posti” che si trasformano successivamente in consenso elettorale. Come se non bastasse, negli ultimi anni si sono aggiunte scelte dissennate come i quasi 30 miliardi di nuovo debito per finanziare gli 80 euro dati alla fascia media (8.000/26.000 fascia di reddito escludendo quindi i veri indigenti) e che rivela come questi siano stati un semplice rimborso fiscale in quanto al disotto degli 8000 euro scatta l’esenzione dalla dichiarazione dei redditi.
Si aggiungano poi gli oltre 30 miliardi per finanziare il Jobs Act che dopo tre anni ha portato allo “stupefacente” risultato di 91.000 di contratti a tempo indeterminato e oltre 910 mila a tempo determinato: di questi ultimi poi il 33% è di non oltre i tre (3!!!) giorni di durata.
Per motivi la cui individuazione sarebbe troppo complessa in quanto investe la commistione tra un sistema pubblico ed interessi privati i quali si uniscono malignamente nella attribuzione e gestione della spesa pubblica italiana, fare un confronto con i paesi nostri confinanti potrebbe aprire uno squarcio nelle priorità di determinate scelte delle altre nazioni, sempre in tema di spesa pubblica, ma soprattutto della sua articolazione che evidenzia inevitabilmente i parametri di riferimento.
In questo contesto quindi può risultare di grandissimo aiuto il rapporto presentato dall’Ufficio Economico del Cantone di Zurigo il quale ha pubblicato la classifica delle professioni maggiormente retribuite.
Per chiarezza va comunque ricordato che le cifre riguardano l’importo al lordo delle tasse la cui pressione ovviamente risulta inferiore rispetto a quella italiana e parallelamente va considerato come il costo della vita mediamente risulti più alto in Svizzera rispetto alla nostra Italia.
Fatte queste precisazioni, tornando al rapporto dell’ufficio economico del Cantone di Zurigo al primo posto di questa classifica viene indicata come professione maggiormente retribuita quella del diplomatico (13.555 Franchi/mese), seguita dall’ufficiale istruttore (8.192 Franchi/mese).
Al terzo posto il maestro elementare (6.981 Franchi/mese), al quarto il giornalista (6.440 Franchi/mese), mentre l’ostetrica risulta al quinto (6.229). Il muratore guadagna mediamente 5.553 franchi (sesto posto), seguito dalla maestra d’asilo con 4.977 Franchi, quindi settima in classifica la professione del falegname (4.435), quelle del libraio (4000) e del tassista (3.20 ) chiudono la classifica.
Al di là di un facile entusiasmo che possono suscitare tali cifre dalle quali appunto vanno sottratte la tassazione per l’assicurazione sanitaria ed il fondo per la vecchiaia (AVS) tuttavia quello che emerge evidente ed assolutamente sorprendente rispetto a quanto avviene nel nostro paese come le professioni relative ai percorsi formativi ed educativi dei bimbi e dei ragazzi (il maestro elementare, l’ostetrica e la maestra d’asilo) occupino nella classifica reddituale rispettivamente il terzo, il quinto e il settimo posto. Tale posizione di assoluto prestigio (confermato dal livello retributivo) dimostra come all’interno di una realtà variegata come quella federale svizzera, espressione di un benessere economico nazionale, le figure maggiormente formative, dal momento della nascita fino all’ingresso nell’età adolescenziale, vengano considerate ed adeguatamente retribuite.
Una scelta o, meglio, una strategia espressione di scelte i cui effetti si vedranno nel medio e lungo termine e che considera importanti appunto le figure professionali che intervengono nella formazione dei bimbi e dei giovani che rappresentano la classe dirigente del domani. Tale spesa in Italia viene contabilizzata dalla spesa corrente per il personale perché la massificazione delle professioni, confermata dall’appiattimento retributivo, è espressione della ideologia post sessantottina.
Viceversa in Svizzera, e specificatamente nel Cantone di Zurigo, le professioni che intervengono nelle prime fasi della vita formativa vengono riconosciute come fondamentali e come un vero e proprio investimento, quindi un fattore competitivo in prospettiva.
Al di là del contenuto etico che evidentemente lo Stato svizzero riconosce a questo tipo di professioni, confermato dal livello retributivo, è evidente come la Svizzera consideri ed ipotizzi la propria crescita futura all’interno di uno stato e di un’economia in forte espansione, partendo dalle origini formative dei propri cittadini attraverso la selezione e la conseguente retribuzione di varie figure formative fondamentali.
Paradossale poi che in Italia i falegnami siano ormai spariti quando proprio nella ricca Svizzera rappresentano nel Cantone di Zurigo (indicato come uno dei più alti per qualità di vita al mondo) il falegname rappresenti l’ottava professione per livello retributivo. Non deve suscitare alcun stupore quindi se poi tali investimenti in risorse umane, quelli che in termini aziendali vengono chiamate HR (human resources), si trasformino in veri e propri fattori economici competitivi dei quali l’economia svizzera è espressione di un sistema industriale vincente, mix di eccellenze mondiali e di PMI, e di un sistema economico e politico che intenda crescere tutelando le proprie risorse dal momento della nascita e durante l’età formativa al fine di prepararle all’ingresso in un mercato sempre più competitivo e globale.
Rispetto a questa classifica fa sorridere, se non arrabbiare, l’importanza che i media nazionali (in costante e continua flessione di copie senza aumentare le connessioni internet) ancora riservano alle “nuove professioni” legate alla app, sharing o gig economy, assolutamente ridicole rispetto alla classifica svizzera che neppure le prende in considerazione.
Anche copiare un modello economico e sociale può essere un’arte per il cui esercizio però risulta necessaria una base minima di conoscenza, evidentemente ancora sconosciuta alla nostra classe dirigente italiana. Questo rapporto economico presentato dall’ufficio economico del Cantone di Zurigo riconosce sostanzialmente il valore di un investimento nelle risorse umane che si trasforma in un fattore economico competitivo del quale ne trae giovamento l’intera economia svizzera.