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Non basta una canzone

Qualsiasi coppia, che sia etero o gay, può andare incontro a delle separazioni anche dolorose, le cui conseguenze, molto spesso, vengono pagate dai piccoli nati da questa unione. Tuttavia, mentre nel primo caso esistono una madre ed un padre legittimi che si possono contendere l’affidamento dei figli, nel caso di una coppia gay, la quale abbia non adottato un figlio precedente alla relazione di uno dei due coniugi, la disputa avviene per un bimbo “acquistato” attraverso l’utero in affitto, cioè pagando ad una madre una cospicua somma la quale dopo il parto cadesse loro il figlio. In questo contesto il problema diventa molto più complesso in relazione al futuro del bimbo nato attraverso una transazione commerciale.

Viene allora da chiedersi chi, all’interno di questo triangolo tra la madre naturale e i due coniugi in via di separazione, abbia il maggior diritto di vedersi riconosciuto l’affidamento del figlio il quale, senza colpe, si trova all’interno di questo triangolo di origine mercenaria.

Sotto il profilo della logica, se la nascita del bimbo ha come presupposto il soddisfare un desiderio di genitorialità della coppia gay, il solo venir meno della coppia indurrebbe a chiedersi se il bimbo possa venire affidato ad uno dei due componenti la coppia o a alla madre che lo ha generato dietro compenso.

In più, non bastando lo scrivere una canzone d’amore per dimostrare di avere sentimenti e affetto verso un bambino, l’amore di un genitore non dovrebbe criticare le conseguenze della propria scelta.

Lamentarsi ora del fatto di non poter portare il bimbo nel nostro Paese, in quanto frutto di una transizione commerciale espressamente vietata dal nostro ordinamento, non fa che dimostrare come l’amore verso un bimbo sia ben altra cosa.

Se questo sentimento genitoriale fosse realmente sincero si sopporterebbero in silenzio le conseguenze della propria scelta, senza esporre ancora il bimbo ad una polemica politica ed etica.

Nel momento in cui si è accettato di andare oltre il diritto italiano è evidente che se ne sarebbero pagate anche le conseguenze invece di criticarle.

In questo contesto l’unica creatura che pagherà l’esito infausto del presupposto al proprio stesso concepimento, appunto il solo desiderio di genitorialità, rimane il povero incolpevole bimbo.

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