Bambini

  • Il cambiamento climatico colpisce i più piccoli

    Il cambiamento climatico colpisce i più piccoli, secondo quanto sostiene Debra Hendrickson, pediatra e professoressa alla facoltà di medicina dell’Università del Nevada, nel suo libro The Air They Breathe: A Pediatrician on the Frontlines of Climate Change (edito da Simon & Schuster). «Un gruppo di ricercatori ha stimato che quasi il 90% del carico di malattie globali del cambiamento climatico ricade su chi ha meno di cinque anni – ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera. “Il loro corpo funziona in modo diverso ed è più vulnerabile ai pericoli ambientali. Sono più piccoli, quindi ricevono una “dose” maggiore di inquinamento atmosferico per chilogrammi. Ma la cosa più importante è che i loro organi sono ancora in fase di formazione e crescita, e una lesione nei primi anni di vita può avere un effetto profondo. I bambini che respirano regolarmente aria inquinata da fumi tendono a sviluppare polmoni più piccoli e rigidi».

    Secondo Hendrckson «le particelle, che di solito sono legate a sostanze chimiche tossiche o metalli pesanti, sembrano alterare lo sviluppo del cervello. Il meccanismo esatto non è del tutto chiaro, ma sembra che causino danni attraverso il naso o dopo essere stati trasportati nel sangue dai polmoni, e attraverso l’infiammazione generale del corpo». E in un simile contesto, anche giocare all’aperto rischia di essere un problema: «Questo è uno dei costi nascosti di un mondo più caldo: i bambini non riusciranno a farlo in sicurezza e ciò significa passare ancora più tempo sui dispositivi con conseguenti tassi più elevati di obesità, diabete e malattie cardiache. Nel libro parlo di “parchi giochi naturali” costruiti con materiali come legno e tela, che, se circondati da alberi, possono anche rinfrescare il quartiere circostante».

    A rischio sono anche i nascituri. «Quando una madre incinta inala particolato, aumenta il rischio di parto prematuro e di un bambino sottopeso. Alcune delle ricerche più allarmanti degli ultimi anni hanno dimostrato che lo sviluppo del cervello fetale può essere alterato, aumentando le probabilità di autismo e problemi di apprendimento».

    Hendrickson ha comunque una diagnosi precisa e, di conseguenza, anche una terapia: «Un’analisi recente, realizzata su ben 145 Paesi nel 2022, ha dimostrato che una rapida transizione dai combustibili fossili è possibile tecnologicamente e finanziariamente. Le barriere a questo punto sono tutte politiche, il che significa che possiamo superarle. In estrema sintesi, i passaggi più importanti sono far sì che tutta la nostra elettricità derivi da fonti pulite, e quindi sostituire le nostre auto e i nostri elettrodomestici a gas con alternative elettriche. In ogni città del mondo, i governi stanno prendendo decisioni che influenzano la velocità con cui avviene questa transizione energetica. Ad esempio, la più grande azienda di servizi pubblici del mio Stato vuole costruire diverse altre centrali elettriche a gas, ma molti di noi stanno lottando per l’energia rinnovabile e i sistemi di accumulo delle batterie. I genitori devono prestare attenzione a problemi che prima non avevano, per il bene dei loro figli. Come dico nel libro, si fidano di noi per tenerli al sicuro, e noi li stiamo deludendo».

  • “BARBIE: A Cultural Icon Exhibition”, la mostra a Milano dedicata a un fenomeno multigenrazionele

    Alzi la mano chi, a partire dal 1959, non ha mia chiesto una Barbie come regalo di Natale? Bionde e bellissime, dapprima con un semplice costume da bagno e poi con un corredo sempre più ricco, o glamour che dir si voglia, al quale si sono via via aggiunti una casa a più piani, un’automobile, un camper, biciclette, piscine e ogni dettaglio in miniatura – possibilmente rosa o nelle sue varianti – della nostra vita quotidiana sono diventate l’oggetto del desiderio di tante generazione di bambine e di collezionisti. A lei, la splendida icona che compie 65 anni, senza dimostrali, Milano dedica una mostra al Next Exhibition (Via Paolo Sarpi 6/8) che sarà visitabile fino alla metà di gennaio. E quale occasione migliore allora per tuffarsi nel suo mondo, che poi è quello di tutti noi, proprio durante le festività natalizie?

    BARBIE: A Cultural Icon Exhibition, ideata dalla collaborazione tra Next Exhibition e Mattel, Inc., proprietaria del marchio, e curata dal collezionista Mario Paglino, rende omaggio a sessantacinque anni di moda e ispirazione, dimostrando come Barbie sia più di una bambola, bensì una vera e propria icona culturale e di stile. La mostra celebra Barbie come riflesso della cultura con interviste esclusive e uno sguardo ravvicinato alle bambole vintage, alla rappresentazione delle carriere e alle tendenze della moda di ogni epoca.

    Oggi il portfolio prodotto Barbie è uno tra i più diversificati e inclusivi al mondo, ispirando le ragazze a immaginare tutto ciò che potranno diventare. L’obiettivo della mostra è quello di spingere tutti coloro che la visitano a ripercorrere tutto ciò che hanno sempre saputo su Barbie e a riflettere su come la società si sia evoluta con ogni generazione.

    “Barbie: A Cultural Icon Exhibition” presenta una bambola Barbie originale prodotta nel 1959 e accompagna i visitatori in un viaggio attraverso i decenni, rendendo omaggio a Barbie e al mondo che la circonda e analizzando le tendenze della moda degli anni ’60, ’70, ’80, ’90 e 2000, fino all’iconica bambola del 65esimo anniversario, rilasciata nel 2024. Includendo vestiti, accessori e lifestyle e seguendo un viaggio cronologico, la mostra presenta oltre 250 bambole e accessori vintage, che prendono vita attraverso esposizioni a tema personalizzate.

    Supporti video e interviste ai designer di Barbie ampliano la narrazione, così come gli scenari iconici: dalla prima Dreamhouse del 1962 a un’inconfondibile macchina rosa, da una fantastica tavola da surf alle due postazioni per selfie di Barbie e Ken a grandezza naturale, dove poter scattare delle foto souvenir.

    Non resta che immergersi nel meraviglioso mondo di Barbie per sognare, ricordare e lasciarsi ispirare.

  • Rapporto Coldiretti-Censis: figli italiani sempre più assuefatti alle merendine

    L’82% delle famiglie italiane chiede un piano pubblico per salvaguardare la salute dei propri figli, sempre più “drogati” di energy drinks, merendine e cibi ultra-trasformati, una vera e propria dipendenza che crea enormi pericoli per il loro sviluppo. Un grido d’allarme da parte dei genitori che vedono fallire il ricorso a divieti o altre forme di coercizione proprio mentre si levano più forti gli allarmi del mondo medico scientifico. E’ quanto emerge dal Rapporto Coldiretti/Censis presentato in occasione della giornata inaugurale del Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione a Villa Miani, a Roma. Il forum è stato organizzato in collaborazione con The European House-Ambrosetti, alla presenza del presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, e del segretario generale, Vincenzo Gesmundo. Con loro anche Matteo Bassetti, professore ordinario di Malattie infettive dell’università degli Studi di Genova, Alberto Villani, coordinatore funzionale dell’area clinica Pediatria universitaria ospedaliera dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù – università di Roma Tor Vergata, Esmeralda Capristo, professoressa in Scienze tecniche dietetiche applicate all’università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Stefano Pisani, sindaco di Pollica.

    Per l’occasione sono state allestite due grandi tavole per mettere a confronto il cibo ultra-trasformato con quello naturale, simbolo della dieta mediterranea. Uno stile alimentare che i genitori italiani vogliono trasmettere ai propri figli – rilevano Coldiretti/Censis – poiché percepito come un insieme di abitudini che garantiscono che i giovani mangeranno bene. Un cibo equilibrato, sano, sicuro e genuino in linea con la tutela della salute personale e del pianeta. Uno sforzo quotidiano che si scontra però con la considerazione che appena ne hanno la possibilità i propri figli non mangiano in modo salutare. Un fenomeno, quello degli ultra-trasformati, che va combattuto – sottolinea Coldiretti – aumentando le ore di educazione alimentare nelle scuole e mettendo in campo campagne di sensibilizzazione per far conoscere i pericoli associati all’assunzione sistematica e continuativa di cibi ultra-trasformati, come chiesto dai genitori italiani. Un passo decisivo sarebbe la definizione di forme di etichettatura per evidenziare che un determinato prodotto appartiene alla categoria degli ultra-trasformati.

    Ma l’utilizzo di questi prodotti va anche vietato nelle mense scolastiche e nei distributori automatici diffusi negli edifici pubblici, a partire proprio dalle scuole, con precisi limiti anche alla pubblicità, seguendo l’esempio del Regno Unito che ha vietato le fasce orarie di maggiore esposizione per bambini e adolescenti. E del fatto che i propri figli appena possono scelgono cibi ultra-trasformati se ne è reso conto quasi un genitore su due (48 per cento). E non sembrano funzionare i divieti, una strada scelta dal 37 per cento di famiglie – secondo Coldiretti/Censis – che hanno imposto ai bambini di non mangiare merendine, caramelle, bibite gassate e junk food di vario tipo, anche dinanzi alle sempre più chiare evidenze scientifiche sui rischi ad essi collegati.

    Dinanzi al sostanziale fallimento di politiche coercitive non sorprende, dunque, che oltre otto famiglie su dieci pensino che sarebbe importante attivare una grande campagna, dalla scuola al web, rivolta ai ragazzi sul tema dell’educazione al mangiare bene. Riconoscere di aver bisogno di un aiuto esterno per il raggiungimento di tale obiettivo, è un chiaro segnale dell’importanza che attribuiscono all’insegnamento di una buona educazione alimentare, considerandolo un dovere imprescindibile. Una battaglia sostenuta da sempre da Coldiretti che è impegnata a promuovere nelle scuole italiane il progetto Educazione alla Campagna Amica, un percorso educativo che coinvolge oltre mezzo milione di bambini all’anno su tutto il territorio nazionale. L’obiettivo è quello di formare dei consumatori consapevoli per valorizzare i fondamenti della dieta mediterranea e fermare così il consumo del cosiddetto junk food che mette a rischio la salute e fa aumentare l’obesità, come sostenuto unanimemente dalla scienza medica. Un cibo fatto in laboratorio che, entrando sempre più prepotentemente nelle abitudini alimentari quotidiane, fa inevitabilmente da apripista a quello artificiale.

  • A 35 anni dalla Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia, nell’Unione europea persiste lo Jugendamt tedesco

    Nel trentacinquesimo anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia Borrell ha giustamente ricordato le sofferenze alle quali i bambini sono ogni giorno sottoposti a causa delle molte guerre o delle tragiche situazioni economiche e climatiche di molti paesi.

    Bambini uccisi, feriti, rimasti soli, bambini rapiti dalla Russia di Putin o massacrati nella guerra in Medio Oriente, bambini denutriti, costretti a lavorare invece di studiare o giocare, bambini che non hanno possibilità di cure o usati come schiavi.

    Bambini violentati ed abusati quando non diventano addirittura serbatoio di organi da espiantare, bambini avviati alla prostituzione.

    Tra tutti drammi che Borrell ha giustamente ricordato non ha però citato quella che, ancor oggi, resta una vergogna della civilissima Europa e cioè la presenza nell’Unione di una organizzazione tedesca, lo Jugendamt, nata durante il nazismo, che continua a separare i figli delle coppie binazionali imponendo che debbano vivere in Germania e non avere più contatti, in caso di separazione tra i genitori, con quello non tedesco.

    Decine e decine di casi che hanno visto la strenue battaglia di tanti padri e madri, prima di tutti Marinella Colombo, che vogliamo ogni giorno ricordare come esempio di coraggio, separati a forza dai loro figli che non possono più incontrare.

    Bambini che perdono metà della loro identità, della loro famiglia, che in gran parte rimarranno segnati da queste criminali privazioni.

    L’Europa ha le frontiere aperte per le persone e per le merci ma le frontiere tedesche sono chiuse per tutti quei bambini che lo Jugendamt ha di fatto sequestrato.

    Intanto l’Unione tace, nonostante le molte interrogazioni che, almeno dal 2009, sono state presentate e nonostante le commissioni d’inchiesta che sono finite in nulla anche perché le traduzioni erano state falsate, dorme l’Europa e dorme l’Italia, i bambini restano sequestrati dalla Germania ed i loro genitori non tedeschi continuano a pagare ed a soffrire.

  • A Radio Radicale, oggi pomeriggio alle ore 18, Niccolò Rinaldi ricorderà Marinella Colombo

    Oggi pomeriggio, alle ore 18, l’On. Niccolò Rinaldi, già eurodeputato, interverrà a Radio Radicale per parlare della vicenda di Marinella Colombo, di minori, diritti, Jugendamt,  Germania e ricordare una donna donna ed una madre che ha lottato per la giustizia sua e di tanti genitori.

  • In attesa di Giustizia: tenetevi la farina di grilli, ridateci i bambini

    Difendere non è un lavoro, è un ministero e la difesa non è mai del reato ma delle garanzie che assistono i cittadini, a volte è un privilegio tali sono valori in campo.

    Per me lo è stato difendere Marinella Colombo: per quella che considero una scelta condivisibile non scrivo mai di vicende processuali personali in questa rubrica ma per Marinella è doveroso fare un’eccezione.

    Doveroso ma anche doloroso per ricordare questa donna coraggiosa, fulminata in poche settimane da una malattia inesorabile, che per amore dei propri figli ha sfidato la giustizia (si fa per dire) tedesca, quella italiana, lanciato segnali e richieste di intervento a quell’Europa tanto preoccupata di legalizzare il commercio della farina di grilli, ad imporre irrealizzabili interventi di manutenzione degli immobili nel nome della eco sostenibilità ma che continua a paludarsi – forse più a nascondersi – dietro il simulacro del mutuo riconoscimento delle decisioni sul falso presupposto che vi sia una identità culturale, di struttura e affidamento delle parti in causa tra i sistemi giudiziari UE senza muovere un passo nella direzione di un ravvicinamento di questi sistemi che, tra di loro, spesso non sono nemmeno lontani parenti.

    Marinella Colombo si è battuta contro il potentissimo Jugendamt, una struttura tedesca (tra l’altro di natura amministrativa, neppure legale) che decide sul destino dei figli  “bi-genitoriali”, cioè a dire con un genitore tedesco e l’altro di nazionalità diversa in caso di separazione o, comunque, di accudimento della prole: lo Jugendamt si potrebbe anche sopprimere e sostituire con un unico articolo di legge contenuto nel codice civile tedesco che preveda, in quei casi, che il minore resta sempre e comunque in Germania, affidato al genitore tedesco, fosse anche un serial killer o lo facesse abitare in una grotta nella Selva di Turingia.

    Forse ricorderò male ma fu Hitler a dire che “lo stato nazista deve considerare il bambino il bene più prezioso della nazione” ed è a Himmler che si deve il Progetto Lebensborn volto a realizzare le teorie eugenetiche sulla razza portando la popolazione sino alla soglia di centoventi milioni in una quarantina d’anni: chi mi legge abitualmente sa che “non le mando a dire” e questo Jugendamt mi sembra tanto una eredità dei tempi della croce uncinata.

    Marinella Colombo, sposata con un tedesco e madre di due figli piccoli al momento della separazione, avendo trovato un impiego in Italia ha sfidato la giustizia (si fa sempre per dire) tedesca per amore di due bambini che qualsiasi altra giurisdizione avrebbe affidato ad una madre giovane e colta di professione interprete e con ottime prospettive di lavoro in Italia…con tutti i diritti di visita, condivisione delle festività, contatto da parte del padre. Non lo Jugendamt, allineato ai dettami del “Progetto Sorgente di Vita” (Heil, Heinrich!): a Marinella sono stati tolti, negato qualsiasi contatto che non fosse in Germania e sotto l’occhiuto controllo di questa preoccupante istituzione e quei bambini se li è andati a prendere, è stata in fuga con loro per mesi inseguita da un Mandato d’ Arresto Europeo, formalmente legale come il processo cui è stata sottoposta in Italia per sottrazione di minori. Tutto ineccepibile perché in questo caso la forma è sostanza sebbene basata su presupposti ampiamente opinabili; ma tant’è, siamo partner europei e va sempre tutto bene quello che succede in uno dei Paesi Membri, anche la costituzione di un partito politico dei pedofili come pure è capitato, tutt’al più si rischia una ramanzina senza seguito da Strasburgo.

    A Strasburgo ci sono andato, con Marinella, grazie a Cristiana Muscardini, l’unica veramente pronta a mettersi in gioco: all’epoca avevo un insegnamento all’Università di Ferrara di Cooperazione Giudiziaria Internazionale e ho tenuto una relazione sul necessario ravvicinamento dei sistemi penali europei portando come esempio da non seguire quello della ingiustizia che stava subendo Marinella. Bravo, bravo ma adesso torna pure a casa: sulle tue parole e sulla denuncia di questa Signora Colombo possiamo tornare a dormire sonni tranquilli. E a casa sono tornato, per difendere Marinella insieme a quella splendida collega che è Laura Cossar che seguiva principalmente il versante del diritto di famiglia facendone una difesa dei principi e ben sapendo che si sarebbe andati incontro ad una condanna. Dura lex, sed lex: questa autentica eroina è stata condannata, ha scontato la sua pena (se non altro agli arresti domiciliari), ha raccontato la sua vicenda in un libro, si è battuta in tutte le sedi perché qualcosa cambiasse per la tutela dei minori in Germania tentando persino la “discesa in campo” politica e ha continuato a battersi anche dopo aver potuto riabbracciare i suoi figli, solo quando sono diventati maggiorenni e potuto scegliere liberamente di lasciare immediatamente la Germania per raggiungere la madre.

    Auf Wiedersehen, Jugendamt…chissà quanto hanno pesato questi interminabili lustri di dolore e battaglie sul fisico di una donna minuta ma indomabile e ora se n’è andata lasciandomi un vuoto difficile da colmare anche con il ricordo dei momenti passati insieme in nome della difesa di vincoli etici ed indicazioni culturali inderogabili e di una bellissima amicizia nata dalla stima reciproca seppure nella consapevolezza che la legge avrebbe sconfitto la giustizia.

    Buon viaggio Marinella, mi piace salutarti rubando le parole al Giulio Cesare di Shakespeare che mi sembrano scritte per te: non è importante sapere come finirà la battaglia, è importante che il giorno finisca e se ci rivedremo sorrideremo, altrimenti sarà stato comunque un bell’addio.

  • Bimbi ucraini

    Ci sono molti bambini ucraini rimasti senza genitori e parenti, anche in Italia decine di loro hanno trovato, fino ad ora, rifugio.
    Il governo italiano, in accordo con il governo ucraino, non potrebbe provvedere con maggiore attenzione alla ricerca di italiani disponibili all’affido con, ovviamente, la garanzia che questi bambini, oltre ad imparare l’italiano nelle nostre scuole, continuerebbero a tenere contatti culturali con la madre patria?
    I bambini non hanno bisogno di istituti o centri, anche ottimamente organizzati, o case famiglia ma necessitano di affetto e cure e attenzioni personalizzate, specie questi bambini che  hanno avuto il trauma della guerra e dei lutti famigliari.
    Siamo certi che molti italiani, se adeguatamente informati sarebbero disposti, dopo che siano state vagliate le  loro capacità genitoriali, e pronti ad accogliere questi bambini e a dare loro affetto, sicurezza, cure, istruzione e, soprattutto, amore perché questi bambini, come tutti i bambini, non sono il futuro solo del loro paese ma della stessa Europa.

  • In Italia è emergenza denatalità ma gli italiani vogliono fare figli

    Politiche sociali concertate che tengano conto non solo di una spinta alla genitorialità ma anche una serie di misure concrete che arginino la denatalità per evitare di permanere nell’inverno demografico. E’ quanto è emerso a Firenze, in occasione del XXXVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps).

    Gli italiani vogliono ancora i figli, come rivela l’Istat che ha intervistato non solo adulti in età feconda, ma anche ragazzi più giovani, di 11-19 anni, che nei loro piani hanno anche quello di fare famiglia.

    “L’Italia è un Paese vecchio, è un Paese per i vecchi, dove le nascite continuano a calare”, afferma la dottoressa Chiara Ferrari (Ipsos). “Questo ha un risvolto su tanti aspetti del vivere quotidiano, ma soprattutto sulla società. Andiamo – sottolinea – verso un sistema non più sostenibile, dove ci saranno tre persone anziane per un adulto, quindi un sistema pensionistico che non si sostiene, un sistema scolastico che non si sostiene”.

  • Le migrazioni interne della Cina creano milioni di orfani di fatto

    Il termine cinese è “liushou ertóng”, significa “bambini lasciati indietro” e indica i bambini lasciati al paese dai genitori andati a lavorare in città lontane. Nel Paese del Dragone si stima che 300 milioni di contadini hanno lasciato la campagna per trovare occupazione in catene di montaggio e cantieri creando una massa di orfani di fatto.

    Nel 2013 l’Associazione statale delle donne cinesi pubblicò un primo rapporto secondo il quale 61 milioni di minori sotto i 17 anni vivevano lontani dai genitori: il 38% di tutti i figli della Cina. Le prime tragedie emerse da quel clima di disgregazione familiare (violenze, abbandono della scuola, depressione, suicidi) spinsero il governo di Pechino a intervenire con un piano da 14 miliardi di yuan per mandare insegnanti nei paesi più diseredati. Nel 2016 il Ministero degli affari civili proclamò che il numero dei “liushou” era stato ridotto a 9 milioni ma nel 2023 l’Ufficio nazionale di statistiche di Pechino e l’Unicef hanno rivelato che sono 66,9 milioni i minorenni lasciati in campagna o in piccoli centri di province remote dai genitori che lavorano lontano. I sociologi dicono che il 30% dei bambini che crescono senza padre e madre sono a carico dei nonni; l’11% di altri parenti o dei vicini del villaggio. E almeno 2 milioni di “liushou“ vengono semplicemente abbandonati a loro stessi in casupole dove non c’è un adulto. Un terzo dei minori in queste condizioni è clinicamente depresso. I bimbi fino ai 6 anni di età sono il 75% dei «lasciati indietro».

    Il governo centrale ha comunque fatto molto, almeno per assicurare un’istruzione ai bambini soli. Ci sono controlli per ridurre il numero di chi non frequenta la scuola, fondi per ospitarli in dormitori più confortevoli delle loro catapecchie. E nel 2018 da una classe delle elementari nello Yunnan arrivò la storia di “Fiocco di neve”. Wang Fuman, 8 anni, ogni giorno faceva a piedi da solo quattro chilometri nei campi per arrivare a lezione; quella mattina c’erano 9 gradi sotto zero. Entrò con i capelli ridotti a fili di ghiaccio e le sopracciglia bianche. Il maestro scattò una foto col telefonino e la lanciò sui social, per mostrare ai cinesi la dedizione del piccolo “liushou”. Le autorità di Pechino si impossessarono del caso, invitarono Fuman nella capitale, lo ospitarono per qualche giorno in un bell’albergo, trovarono un impiego al paese per il papà. “Fiocco di neve” che aveva colpito il cuore della Cina e del Partito fu riscattato. Ma altri 66 milioni di figli lasciati indietro pesano sulla coscienza dei pianificatori della seconda economia del mondo.

  • I bambini non giocano più

    I bambini non giocano più né tra di loro né da soli, non corrono, non inventano situazioni, storie, non hanno fantasie perché fin da quando hanno un anno tengono in mano un smartphone, o almeno un cellulare collegato ad internet, dove possono vedere tutte le fantasie degli altri che li priveranno della capacità di averne di proprie.

    I bambini non devono disturbare così i premurosi genitori affidano i loro strumenti tecnologici alle piccole mani, ai piccoli occhi, alle piccole menti proprio nel periodo nel quale la formazione è più importante, l’imprinting assoluto.

    Piccole menti addestrate a guardare cose che ancora non capiscono, cose che saranno memorizzate per poi, più avanti, essere imitate, piccole menti che diventeranno lentamente sempre più incapaci di provare emozioni, sentimenti, di crescere attraverso esperienze personali e dirette perché conoscono tutto solo per via indiretta, tramite la rete.

    Ogni essere vivente cresce a tappe, per gli esseri umani ogni anno dovrebbe portare a nuove esperienze commisurate alle diverse età, ogni percorso fa affrontare sconfitte e successi, ogni confronto con gli altri abitua al confronto con se stessi e con la vita, i sentimenti si coltivano misurandosi con quanto è intorno, dalla famiglia ai libri, dai compagni di classe e gli insegnanti alle persone che si incontrano, dalle difficoltà da superare alle soddisfazioni raggiunte.

    Se così non è, e ormai da troppo tempo non è più così, l’infanzia è perduta perché tutto è sostituito dal silenzio fragoroso della rete che ha soppiantato tutto e tutti, l’infanzia è perduta impedendo così l’arrivo di una adolescenza consapevole, graduale, difficile, come tutti i momenti di crescita, ma necessaria per diventare adulti e non rimanere per tutta la vita nel limbo della dipendenza.

    La tecnologia è per le persone adulte, conscie di se stesse, non deve essere il primo, spesso unico, riferimento di un bambino.

    Le cifre parlano chiaro se non si cambia continueranno ad aumentare i rischi visto che già ora vi è un aumento esponenziale delle depressioni e dei pensieri suicidari proprio tra la popolazione più giovane. Inoltre aumentano il disinteresse verso i rapporti con gli altri, l’aggressività, l’impoverimento del pensiero, della parola, delle relazioni interpersonali.

    I più giovani, costantemente connessi, attraverso uno strumento tecnologico, a realtà alle quali non appartengono, perdono contatto con il reale intorno a loro e diventano incapaci di affrontarlo.

    Si diventa incapaci di affrontare problemi, accettare sconfitte, battersi per superare difficoltà, ogni evento rischia di diventare un dramma, di provocare un trauma personale o collettivo, le patologie psichiche aumentano, l’intera società diventa a rischio quando sono a rischio i suoi ragazzi.

    Diversi scrittori e studiosi da alcuni anni hanno lanciato il segnale d’allarme, in alcuni paesi si sta cercando con specifici divieti di arginare il problema ma occorrono iniziative più forti che possono nascere solo dalla consapevolezza che non c’è più tempo per indugiare.

    I bambini devono interagire col mondo intorno a loro, non con la rete, devono tornare a fantasticare attraverso i libri, a giocare inventandosi giochi e storie, devono parlare per fare domande ed avere risposte, domande e risposte che partano ed arrivino con voci ed intelligenze umane, da persone, grandi e piccole, capaci di guardarsi negli occhi trasmettendosi sensazioni e sentimenti non solo nozioni.

    Non si diano più ai bambini smartphone o telefonini connessi alla rete, si alzi a 16 anni l’età per collegarsi ai social, si torni a parlare con i propri figli, nipoti, studenti, si dia spazio alla cultura del dialogo, della consapevolezza, dell’esempio, si torni tutti a leggere di più e meglio cercando di capire quello che si legge e quello che è intorno e forse si riuscirà a sconfiggere quell’ansia che sta uccidendo l’infanzia e non solo.

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