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Meno 59: l’emergenza demografica non percepita dalla cecità istituzionale

Mentre il mondo politico si divide tra riforme istituzionali i cui stessi promotori non si dimostrano in grado di comprenderne gli effetti (*) ed una opposizione che insorge a favore di un ipotetico salario unico dopo essere stata per oltre dieci anni maggioranza di governo, il nostro Paese piano piano si dirige verso l’annullamento demografico scendendo sotto i cinquantanove (59) milioni di abitanti.

Contemporaneamente la manovre finanziarie di ogni governo, ma in particolare dal 2011, governo Monti e riforma Fornero, continuano ad avere come problematiche centrali la gestione della spesa pensionistica. Di certo non esprimono alcuna politica a favore della crescita della occupazione stabile e di conseguenza della famiglia.

In questo contesto le uniche due realtà che abbiano una natalità positiva sono rappresentate dalla province autonome di Trento e Bolzano le quali possono contare sulle risorse che l’autonomia fiscale garantisce alle famiglie.

Sembra incredibile come ancora adesso non si comprenda che le famiglie nascano e crescano all’interno di contesti di sviluppo economico in grado di creare lavori a tempo indeterminato garantiti e servizi alla famiglia finanziati attraverso il prelievo fiscale che viene speso dove viene generato.

In altre parole, sarebbe opportuno cominciare ad ammettere come la spesa pubblica abbia sostanzialmente fallito la propria funzione in quanto non solo non è in grado di fornire quei servizi essenziali indipendentemente dal livello di retribuzione ma ancora meno è stata in grado di assicurare gli strumenti necessari soprattutto di supporto alle famiglie.

Una spesa pubblica che ha comunque reso il nostro Paese l’unico in Europa ad avere negli ultimi trent’anni una riduzione del -2,7% del reddito disponibile mentre in Germania nello stesso periodo è cresciuto del +34,7%.

La marginalità demografica, in ultima analisi, e di conseguenza economica, alla quale il nostro Paese viene destinato rappresenta la più grande responsabilità di una classe politica che da sempre vede nella gestione della spesa pubblica la massima espressione del proprio potere che viene gestito non certo a favore della popolazione ma solo per salvaguardare i propri interessi (**).

In più questa crisi demografica, paradossalmente, non interessa a questa classe politica, in quanto la riduzione del bacino elettorale all’interno del quale le persone decedute non vengono sostituite da nuovi elettori permette di abbassare le soglie elettorali di elezione e, di conseguenza, aumentare il peso specifico del partito e dei suoi sostenitori.

Solo una politica economica di sviluppo all’interno di un contesto di aspettative positive assicurate dalla certezza di servizi a favore della famiglia può invertire questo trend come il Trentino Alto Adige da anni insegna.

Evidentemente le priorità di spesa e, di conseguenza, di ricaduta per la popolazione sono altre, basti pensare al delirio del ponte sullo Stretto di Messina oppure all’aumento dell’Iva sul latte in polvere.

Il nostro Paese, in ultima analisi, si avvia ad un declino espresso dall’inadeguatezza dell’intera classe politica italiana.

(*) La Russa che parla di un ridimensionamento della figura del Presidente della Repubblica quando ad essere ridimensionato risulta il Parlamento https://www.ilpattosociale.it/politica/le-riforme-istituzionali-dalla-funzione-di-governo-a-quella-del-comando/

(**) 2018 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

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