Pitti Uomo, la realtà dei numeri supera la poesia
Mentre tutto il mondo economico e politico è avvinto dalla discussione sugli effetti della Flat Tax o di un eventuale quanto disastroso ritorno alla Lira, il mondo reale continua la propria dura attività nel mercato globale senza alcun aiuto da parte del medesimo sistema politico.
I dati emersi dall’ultimo Pitti Uomo a Firenze risultano infatti assolutamente esplicativi ed indicativi delle caratteristiche peculiari dell’asset industriale come motore di sviluppo dell’economia italiana. Nel 2017 il settore abbigliamento ha registrato un aumento del fatturato del 3,4% crescendo quindi oltre il doppio della media italiana (pil +1,4%). A questo, dato già di per sé importante, se ne deve aggiungere un secondo relativo all’aumento del valore della produzione italiana che registra un +1,7% confortato da un calo dell’import dello 0,8%. Questi due ultimi dati sono particolarmente confortanti in quanto sottolineano come il “reshoring produttivo” dimostri il proprio valore sotto il profilo del fatturato come dell’occupazione. Un argomento purtroppo completamente dimenticato dalla classe dirigente e politica italiana, come dimostra l’assoluta mancanza di una politica di fiscalità di vantaggio finalizzata alla riallocazione delle produzioni italiane all’interno del perimetro nazionale, una strategia economica e fiscale utilizzata da Paesi come Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Austria, Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e all’interno del perimetro degli Stati Uniti d’America.
Nonostante tale colpevole e forse dolosa mancanza di attenzione verso questo principale fattore come il reshoring produttivo, volano di una ripresa economica stabile da parte di tutta la classe politica ed accademica distratta da elucubrazioni economiche rappresentate dalla sharing e gig Economy, il settore abbigliamento grazie a questi numeri, corredati anche da un aumento dell’export del 5,2%, si pone all’attenzione come un modello di sviluppo. Si pensi che sommando i dati relativi alla crescita del fatturato(+3,4%) con l’aumento del valore della produzione italiana sul fatturato totale(+1,7%) si arriva ad un incremento del 5,1% complessivo. Una addizione forse contabilmente non corretta ma che indica la via dello sviluppo economico nazionale ricordando il valore del fattore moltiplicatore legato e scaturito da un nuovo posto di lavoro nel settore dell’Industria (1 nuovo lavoratore industria sviluppa 2,7 nel settore logistico e manutenzione).
In considerazione poi del fatto che oltre l’80% delle aziende presenti al Pitti abbia un fatturato inferiore ai 50 milioni dimostra ancora una volta come queste Pmi (che nel complesso italiano rappresentano il 95% delle imprese industriali italiane) siano il vero bacino che possa assicurare uno sviluppo stabile con un buon livello di occupazione anche sotto il profilo retributivo. Un asset industriale dimenticato ancora una volta dal sistema bancario che aumenta la disponibilità dei crediti per le grandi imprese mentre continua a diminuire l’accesso al credito per le PMI (in più da sempre sottocapitalizzate) che unito all’assoluto disinteresse dalla classe politica ed accademica per il “reshorig produttivo” ci indica chiaramente e senza possibilità di giustificazione il quadro della considerazione che questo sistema industriale riceve.
Un altro fattore molto importante che emerge dall’ultimo Pitti riguarda un aspetto purtroppo dimenticato delle variegate strategie economiche di sviluppo, tutte incentrate sulla innovazione di processo (leggi industria 4.0) le quali hanno ottenuto anche notevoli agevolazioni fiscali. Le aziende presenti a Pitti e che crescono oltre due volte il PIL nazionale dimostrano invece come risulti fondamentale l’innovazione di prodotto unita alla modifica delle tempistiche organizzative, condizionate dalle aspettative di un mercato sempre più veloce ma che il sistema tessile/abbigliamento dimostra di avere già comprese ed istituzionalizzate nella organizzazione dell’impresa stessa.
Ancora una volta il sistema tessile abbigliamento dimostra il ritardo culturale di una classe politica e dirigente che non intende offrire nessun tipo di attenzione a questo settore considerato ancora Old Economy. Un atteggiamento talmente miope che li porta quasi a snobbarle, anche solo in relazione alle dimensioni dell’azienda media tipica di questo settore. Ovviamente pur essendo quindi il tessile/abbigliamento molto più avanti e addirittura per molti aspetti in anticipo rispetto agli innumerevoli modelli economici di sviluppo proposti attraverso i media anche questo settore risente di crisi aziendali importanti anche sotto il profilo occupazionale come per esempio la vicenda Cantarelli. Una storica azienda, espressione di una cultura manifatturiera unica, che ha pagato una gestione commissariale assolutamente inappropriata e professionalmente ingiustificabile la quale non ha nemmeno saputo utilizzare gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione per esempio a rotazione) per riportare ad un minimo equilibrio finanziario anche solo temporaneo l’azienda aretina.
In questo senso si ricorda come Leonardo, considerata il fiore all’occhiello dell’industria ad alta tecnologia, abbia potuto usufruire per mantenere il proprio equilibrio finanziario di 1.200 prepensionamenti, di fatto scaricando sui conti pubblici le proprie diseconomie strutturali.
Il commissario designato dal ministero per la gestione di Cantarelli ha invece accompagnato con la propria incapacità all’inevitabile fallimento di un punto di riferimento dell’abbigliamento formale mondiale con la complicità e probabilmente anche a causa della miopia, o quantomeno della superficialità, degli enti locali e soprattutto dei sindacati.
Tornando al quadro generale, i numeri della crescita del 2017 dimostrano come il tempo delle poesie (termine utilizzato in antitesi al valore dei numeri) risulti assolutamente superato dalla realtà che l’ultimo Pitti Uomo di Firenze, nella sua variegata innovazione di prodotto, ha dimostrato. Un’innovazione di prodotto che presenta dei margini di miglioramento incredibili se posta in relazione ad una successiva innovazione di processo. In questo senso però risulta fondamentale ricordare come la seconda, cioè l’innovazione di processo, non presenti alcun senso se non successiva o quantomeno contemporaneo ad una precedente innovazione vincente di prodotto. Pitti Uomo, attraverso le proprie PMI, ha dimostrato esattamente questo. L’innovazione parte dal prodotto. Sempre.