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Ancora aperto il negoziato Brexit

La questione del confine irlandese prolunga i tempi previsti

L’ultimo giro di colloqui sulla Brexit tra l’UE ed il Regno Unito non ha portato a risultati definitivi. Già alla vigilia si sapeva che l’accordo non sarebbe stato raggiunto sull’inestricabile questione del confine irlandese. Questi negoziati si succedono da marzo 2017, ma nessuno, tra alti e bassi, ha mai pensato che si sarebbero conclusi in breve tempo. Su molti punti in discussione l’accordo è stato trovato, il che aveva fatto sperare in una conclusione entro i tempi stabiliti. Ma il dibattito tra una Brexit dura e una Brexit soffice ha coinvolto tanto il governo quanto il partito conservatore. La premier May è stata presa di mira in modo duro e talvolta volgare all’interno del suo stesso partito. C’è chi approfitta della situazione per chiedere le sue dimissioni e chi la difende, per quel tanto che è possibile, per evitare il suo allontanamento e l’apertura di una crisi. Il che rallenterebbe, tra l’altro, anche l’agenda degli incontri con i negoziatori dell’UE, con il rischio, più che certo, di giungere alla data dell’uscita dall’Unione senza un accordo sul dopo. E’ evidente comunque che l’alto grado di polarizzazione all’interno del partito e dello stesso governo, rende ancor più difficile per il primo ministro britannico avanzare una proposta definitiva che potrebbe concludere il negoziato. Il prossimo vertice è previsto per novembre. Sarà l’ultimo o, nel caso di un non accordo finale, se ne potrà posticipare un altro nel 2019? Nel caso di non riuscita si parlerà di una crisi esistenziale per il Regno Unito, ma non si potrà misconoscere che la crisi investirà anche l’Europa. Dopo 39 anni d’appartenenza alle Comunità europee prima, e all’UE dopo, tanto il Regno Unito, quanto l’Europa non potranno comportarsi come se nulla fosse accaduto. I rapporti creati dalla condivisione dei Trattati non potranno essere annullati d’un colpo. Essi hanno certamente lasciato tracce nel modo d’essere dei britannici, come non potranno essere dimenticati nell’Unione europea. I settori del libero mercato, della concorrenza, della libertà di movimento, ad esempio, non potranno annullare la reciproca e positiva influenza dei due partner e l’apporto di pensiero e di tradizioni dei due contendenti. Una Gran Bretagna post Brexit non sarà la stessa Gran Bretagna di prima dell’ingresso nelle istituzioni europee. E lo stesso vale per l’UE. C’è chi spera in un accordo dell’ultimo minuto. In questo caso l’uscita sarebbe meno traumatica, perché si conoscerebbero le nuove regole che disciplinerebbero le relazioni tra i due negoziatori. Forse il perder tempo potrebbe diventare l’unica via d’uscita, anche se sono già state sottolineate alcune difficoltà obiettive, come il percorso necessario per la ratifica parlamentare, la scadenza di marzo formalmente incorporata nella legislazione britannica, il rischio di collisione con le elezioni europee del maggio prossimo, ora pianificate senza alcuna rappresentanza del Regno Unito. Sono obiezioni fondate che si oppongono allo scenario del prendere tempo. Ciò nonostante, questo percorso verso una soluzione dell’ultimo minuto sembra un’opzione più che plausibile.

Due ulteriori motivi sembrano favorire questo rimandare nel tempo gli accordi definitivi. Il primo si riferisce alle due distinte fasi che hanno gestito i negoziati fin dall’inizio: prima un accordo di ritiro relativo alle modalità pratiche del divorzio, e successivamente un accordo sul futuro rapporto tra Regno Unito e UE. La questione relativa al confine con l’Irlanda del Nord rientrava nel primo accordo. Cercando di evitare qualsiasi confine difficile ed impraticabile nell’isola d’Irlanda, i negoziatori sono stati progressivamente trascinati a discutere questioni relative alle future relazioni del RU, tra cui l’Unione doganale e il mercato unico. Lo stallo odierno sul confine irlandese deriva proprio da questo difetto di aver incluso la questione del confine nel primo pacchetto di negoziato, mentre in realtà essa rientra nel secondo, cioè quello sul futuro commerciale. Affinché questa confusione sia risolta, prima si deve chiudere l’accordo sul ritiro, per passare poi a quello sulla questione irlandese. Il secondo motivo che favorisce il rimando nel tempo si riferisce al fatto che i negoziatori si sono trovati sovraccarichi di lavoro nel bel mezzo di quella che sembra essere l’instabilità politica in Gran Bretagna, con i dissensi in seno al governo e al partito dei Tory e in seno all’Unione europea, con l’ affermarsi in alcuni dei suoi Stati membri di formazioni politiche populiste e euroscettiche, come in Italia, in Austria, in Ungheria, in Polonia e nella stessa Germania. L’acceso dibattito sulla Brexit che si prevede nel parlamento britannico, le divergenze emerse nel governo e nel partito di Theresa May per un cambiamento del Primo Ministro, con un’elezione generale o un nuovo referendum, sono scenari che non rappresentano un buon auspicio per una rapida conclusione di questo primo round dei colloqui Brexit a Bruxelles. L’attuale contesto politico ci fa dire che non è più adatto per un accordo di ritiro rapido ed equilibrato, come era auspicato dalle due parti contraenti. I forti contrasti interni del Regno Unito e l’avvento delle forze nazionalpopuliste nell’UE influenzeranno il contesto generale del periodo di transizione, durante il quale i negoziati con la Gran Bretagna proseguiranno. E temiamo che questi nuovi sviluppi ostacolino il buon consenso che finora ha prevalso all’interno di ciascuna istituzione.

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