Europa

Si vis pacem, para iustitiam

Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

La fine della guerra dei dodici giorni ha colto di sorpresa tutti gli osservatori e le stesse istituzioni internazionali. Quello che sembrava un conflitto destinato ad una escalation persino nucleare ha trovato la propria fine grazie al lavoro e al peso della diplomazia internazionale.

Il presidente degli Stati Uniti Trump ha saputo far valere nei confronti di Israele la forza ed il valore del proprio sostegno facendogli capire anche come la guerra con l’Iran fosse un scenario più adatto ad azioni di intelligence piuttosto che ad una operazione militare in considerazione anche delle estensione del paese persiano.

Il russo Putin, primo alleato della teocrazia degli Ayatollah, è riuscito a bloccare la volontà di risposta dell’Iran, cercando così di ottenere in questo modo un credito nei confronti degli Stati Uniti da riscuotere all’interno di una trattativa per una tregua nella guerra russo ucraina.

La diplomazia, quindi, nella sua forma migliore ha saputo ottenere un risultato importante trovando un punto di equilibrio tra i due contendenti i quali entrambi hanno rinunciato ad un immediato interesse per la salvaguardarne quello di maggiore peso: l’alleanza con il negoziatore.

In questo contesto l’Unione Europea ha brillato ancora una volta per l’assenza di una strategia diplomatica figlia di una totale mancanza di un barlume di politica estera e della propria totale irrilevanza economica, tecnologica e strategica.

Questa disarmante posizione europea dimostra ancora una volta quanto la Ue sia incapace di prendere in considerazione la valenza della diplomazia.

Una scelta che si dimostra anche come la inevitabile conseguenza della strategia economica, industriale ma anche agricola orchestrata nell’Unione Europea negli ultimi decenni.

All’interno di una trattativa diplomatica il ruolo, ma soprattutto il peso dei diversi negoziatori viene espresso dal valore attribuito agli asset strategici del paese che rappresentano. Avendo quindi l’Unione Europea abbandonato da oltre un decennio la tutela delle eccellenze manifatturiere in ambito industriale ed agricolo, al tavolo diplomatico si troverebbe assolutamente sguarnita di qualsiasi peso ed argomenti strategici in quanto priva di asset strategici in ambito economico, industriale o tecnologico (l’ultima innovazione tecnologica il fondamentale tappo vincolato alla bottiglia).

Come ulteriore conferma basti pensare a tutti i recenti accordi europei che risultano di natura esclusivamente commerciale, come l’ultimo del Mercosur, all’interno dei quali è la stessa Unione ad istituzionalizzare il dumping sociale, normativo e retributivo espresso dai prodotti provenienti dai nuovi partner commerciali.

Esattamente come precedentemente era avvenuto nel tessile abbigliamento con la fine dell’accordo Millefibre valido fino al 2005, che aprì il mercato europeo ai flussi commerciali di prodotti espressione di dumping retributivo, fiscale e normativo dai paesi dell’estremo oriente.

Lo stesso triste destino riservato alla filiera del tessile abbigliamento ora viene allestito in campo industriale con la cieca adozione del paradigma Green Deal che rappresenta la negazione totale di ogni possibilità di sopravvivenza del settore Automotive e delle eccellenze industriali europee.

La inevitabile conseguenza di questo ennesimo suicidio economico è quello di regalare un mercato (europeo) ai flussi commerciali di auto provenienti dalla Cina in nome di un ridicolo ambientalismo, in quanto nessuno probabilmente ha le competenze per valutare l’impatto ambientale di queste auto cinesi prodotte con oltre il 70% di energia elettrica proveniente da centrali elettriche a carbone.

In questo contesto politico l’unica iniziativa che la Ue è in grado di proporre è rappresentata da quella avanzata dalla Nato, il vero facente funzioni nella politica estera della Ue, cioè quella di una corsa al riarmo portando le spese al 5% del PIL (un valore assolutamente indicativo e difficilmente verificabile), le quali dovrebbero trasformarsi in un fattore deterrente rispetto alle 6.257 testate nucleari possedute dalla Russia.

Addirittura il segretario generale della Nato Rutte ha affermato “Siamo pronti a soffrire e morire insieme”.

In altre parole, la politica del riarmo confermata anche all’ultimo vertice Nato certifica la totale assenza di peso specifico della istituzione europea come naturale conseguenza della disintegrazione sistematica degli asset strategici e delle eccellenze produttive europee. Una strategia che vira verso “l’economia del Telepass” che considera l’Europa un mercato di soli flussi commerciali il cui unico valore aggiunto viene fornito dal pagamento di un pedaggio.

La politica del riarmo quindi non è altro che l’ultimo anello della nullità europea all’interno della quale le varie classi politiche nazionali si sono sempre adeguate con piacere in quanto possono ancora splafonare ogni vincolo di bilancio come con il rapporto debito pubblico/Pil, ed addirittura dichiararsi non responsabili del conseguente aumento della pressione fiscale. Se poi buona parte di queste nuove risorse finanziarie interamente a debito vadano ad aumentare soprattutto gli ordini dell’Industria pesante tedesca risulta assolutamente marginale.

Il paradosso di questa situazione emerge evidente dalla inconfessabile aspirazione della stessa Unione Europea la quale spinge e spera in una prosecuzione dello scontro russo ucraino e non certamente nel conseguimento di una tregua duratura, la quale toglierebbe la motivazione fondamentale alla stessa politica della riarmo.

Sic transit gloria mundi.

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