Armi

  • Il pressapochismo e le sue conseguenze

    Negli ultimi anni abbiamo visto, in troppe occasioni, molti capi di Stato, primi ministro, leader d’opposizione che non sempre sembravano consapevoli delle loro dichiarazioni e relative conseguenze, in altre consapevoli ed in totale spregio delle conseguenze.

    La teoria che l’inquinamento, non solo ambientale, possa avere colpito le capacità di ragionamento ed essere la causa non è stata al momento né suffragata da prove scientifiche ma neppure smentita, certo è che l’inquinamento emotivo ha procurato un’escalation di violenza in ogni strato della popolazione.

    Quello che oggi preoccupa ulteriormente è l’inconfutabile certezza che tutto si va deteriorando anche negli apparati più sensibili, non per nulla nessuno avrebbe potuto immaginare una sconfitta così tragica come quella subita dai servizi d’informazione israeliani il 7 ottobre.

    Che gli Stati Uniti abbiano periodicamente un attentato ad un presidente o ad un leader politico è cosa nota ma non può che stupire come si è compiuto l’atto scellerato, ma altrettanto maldestro, di chi ha sparato a Trump, uccidendo un inerme cittadino, nella disattenzione generale di chi era preposto, sul campo, alla sicurezza.

    I molto gravi attentati terroristi degli ultimi anni, che hanno colpito anche la Russia, e i tanti attentati minori, compiuti da persone già segnalate come pericolose, dimostrano purtroppo uno scadimento sempre più preoccupante dei sistemi di sicurezza.

    Viviamo in una società ad alto rischio ma i rischi maggiori sono dovuti allo scollamento delle istituzioni ed al pressappochismo.

  • Libertà, democrazia e armi

    Come tutti siamo preoccupati per l’escalation della violenza in genere e di quella, in particolare, che colpisce rappresentanti politici: l’attentato a Trump dimostra, una volta di più, come dalla violenza verbale sia brevissimo il passo per arrivare alla violenza fisica.

    Tutti dovrebbero abbassare i toni e comprendere l’urgenza di ritornare a confronti politici corretti cosi come è necessario un maggior controllo sui social quando i loro utenti si scatenano in ingiurie e minacce.

    Dopo avere condannato l’attentato a Trump dobbiamo anche fare una riflessione sull’eccessiva e pericolosa libertà, che c’è negli Stati Uniti, per l’acquisto di armi.

    Il Presidente Biden si è più volte espresso sulla necessità di modificare l’attuale sistema per rendere più difficile l’acquisto di armi, armi che sono vendute liberamente anche quando sono praticamente armi d’assalto.

    Ovviamente i produttori di armi sono sempre stati contrari osteggiando in tutti i modi la proposta di Biden e Trump è sempre stato favorevole alla libera vendita delle armi, non per nulla una possibile candidata ad essere sua vice, se sarà eletto alla presidenza, è una governatrice che in un suo libro si vanta di aver sparato al proprio cane, perché disubbidiente, ed ad una sua capra, perché brutta.

    Oggi forse Trump, sulla sua pelle, potrebbe aver imparato una dura lezione, la libertà di tutti non va d’accordo con la libertà di chiunque di acquistare strumenti per ferire ed uccidere.

    In questi anni gli Stati Uniti hanno pianto decine di morti, ragazzi, studenti, cittadini presi di mira da altri ragazzi e cittadini che, legalmente in possesso di armi da fuoco, hanno sparato per uccidere, per commettere delle autentiche stragi.

    Speriamo che questa riflessione la facciano anche gli americani, Trump in testa, e comprendano tutti che la libertà e la democrazia del proprio Paese si tutela anche regolamentando in modo più severo la vendita di armi da fuoco.

  • La Ue investe 21,4 milioni di euro in armi al Kenya per estirpare Al-Shaabab

    L’Unione europea sta inviando aiuti militari per un totale di 21,4 milioni di euro alle Forze di difesa del Kenya (Kds), con l’obiettivo di rafforzare la risposta dell’esercito locale ai jihadisti di Al Shabaab. Lo riferisce “The East African”, spiegando che in una nota del Consiglio europeo si precisa che il supporto offerto alle Kdf sarà destinato a sfide interne ed esterne al Paese, attingendo per la prima volta alle risorse dell’Eu Peace Facility, un fondo creato nel 2021 dall’Unione europea per sostenere le iniziative di sicurezza dei Paesi partner in Africa. L’assistenza fornita contribuirà anche a rendere più sicure le frontiere ed a rafforzare le operazioni contro Al Shabaab lungo il confine con la Somalia, si legge nella nota, in cui si precisa che gli aiuti forniti riguarderanno tanto l’equipaggiamento quanto la formazione tecnica ed altri servizi logistici. Da questo punto di vista, le unità combattenti di fanteria dell’esercito del Kenya riceveranno anche veicoli aerei senza pilota tattici, intercettatori e disturbatori di frequenze jammer, sistemi per sconfiggere ordigni esplosivi improvvisati, oltre che fuoristrada, veicoli tattici di tipo militare e una postazione medica mobile. Gli aiuti stanziati includono anche il sostegno alle unità navali della Marina del Kenya, le cui truppe riceveranno occhiali per la visione notturna, giubbotti di salvataggio e altri dispositivi di protezione individuale. L’Ue è stata uno dei sostenitori della forza uscente della Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis), alla quale le Kdf hanno partecipato negli ultimi dieci anni. Tuttavia, di recente l’Ue e altri donatori hanno ridotto alcuni stanziamenti di bilancio per la missione, citando una molteplicità di sfide alla sicurezza nel continente. Gli aiuti di Bruxelles si inseriscono, infine, sul filo del patto di dialogo strategico concluso a giugno del 2021 fra Ue e Kenya, accordo in cui le due parti hanno concordato di impegnarsi per l’attuazione bilaterale delle disposizioni sul commercio e sulla cooperazione economica e per lo sviluppo dell’accordo di partenariato economico (Ape) con la Comunità dell’Africa Orientale (Eac).

  • Putin spedisce tre navi da guerra a Cuba

    L’annuncio di un imminente arrivo a Cuba di tre imbarcazioni e un sottomarino a propulsione nucleare russi ha acceso l’allarme degli Stati Uniti, che temono un possibile svolgimento di esercitazioni militari nei Caraibi. Manovre che sarebbero una risposta alle – quasi concomitanti – esercitazioni Nato nel Mar Baltico, in programma fino al 20 giugno. Ll’Avana aveva segnalato che dal 12 al 17 giugno riceverà in visita ufficiale la fregata “Gorshkov”, il sottomarino a propulsione nucleare “Kazan”, la petroliera della flotta “Pashin” e il rimorchiatore “Nikolai Chicker”. La visita, scrive il governo cubano, è realizzata nell’ambito delle “storiche relazioni di amicizia tra Cuba e la Federazione russa e rispetta i regolamenti internazionali”. L’Avana assicura che nessuna delle navi contiene armi nucleari”. Le visite di unità navali di altri Paesi sono una “pratica storica del governo, con nazioni con cui manteniamo relazioni di amicizia e collaborazione”, prosegue il comunicato. Le imbarcazioni russe svolgeranno diverse attività istituzionali durante la permanenza: tra queste, una visita al capo della Marina cubana e alla governatrice della capitale L’Avana. Al loro arrivo saranno sparati 21 colpi a salve come saluto a Cuba, con la risposta di una unità delle forze armate cubane.

    Washington aveva avvertito della presenza di unità militari russe già mercoledì, denunciando anche lo svolgimento di possibili esercitazioni aeree: un funzionario dell’amministrazione Usa, sentito da “Miami Herald”, ha affermato che sono attese attività aeree e navali che includono mezzi da combattimento. Si tratterebbe della prima esercitazione aereo-marittima coordinata di Mosca nell’emisfero occidentale in cinque anni. “Siamo delusi ma non sorpresi dalla decisione di Cuba di accogliere i mezzi russi”, ha detto ieri il funzionario, assicurando che l’intelligence statunitense supervisionerà le esercitazioni pur non considerandole una minaccia diretta e ritenendo che non ci siano armi nucleari a bordo. “Sono esercitazioni navali di routine, accelerate dopo il supporto degli Usa all’Ucraina e dopo le attività di addestramento a supporto degli alleati Nato”. Per gli Stati Uniti, hanno peraltro avvertito che le navi potrebbero fare tappa anche in Venezuela.

    Stando a quanto riporta l’agenzia governativa russa “Tass”, le navi fanno parte di una flotta settentrionale della marina e sono salpate lo scorso 17 maggio per “assicurare la presenza navale in aree importanti della zona oceanica”. La fregata Gorshkov ha effettuato un’esercitazione ad un target simulato nell’oceano atlantico, utilizzato il complesso di artiglieria Ak-192m e missili Palash. Il sottomarino kazan può trasportare missili di precisione a lungo raggio, capaci di colpire obiettivi a terra, in mare e in aria. Secondo quanto riporta l’istituto navale Usa, è dal 1969 che sottomarini russi visitano periodicamente l’isola. Nello stesso periodo della presenza a Cuba, altri mezzi militari russi e personale dell’esercito sono entrati in Nicaragua per fornire “assistenza e vantaggi reciproci in caso di emergenza”, come si legge in una nota del governo nicaraguense che ne autorizza l’ingresso fino al 31 dicembre 2024. Le truppe da Mosca lavoreranno insieme all’esercito locale per condurre operazioni di sicurezza e contro la criminalità e per condividere addestramenti con il Comando di operazioni speciali.

    Le esercitazioni russo-cubane si svolgono, peraltro, quasi in concomitanza con le Baltops, le tradizionali manovre navali della Nato nel Mar baltico. La 53esima edizione delle Baltops viene osservata con grande attenzione dalla Russia che si trova a confrontarsi, dopo l’adesione all’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia, con un Mar Baltico a trazione decisamente atlantista. Le esercitazioni della Nato si svolgono da oggi sino al 20 giugno e coinvolgeranno venti nazioni che sono già giunte la scorsa settimana a Klaipeda, in Lituania. Nelle manovre saranno impiegati quattro gruppi anfibi e diverse unità operative multinazionali composti da più di 50 navi, 25 aerei e 9 mila militari provenienti da Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. Le operazioni di addestramento prevedono attività di guerra antisommergibile, esercitazioni di artiglieria, operazioni anfibie, sminamento e interventi medici. Sin dalla prima edizione nel 1971, le Baltops sono aumentate sia in termini numerici di partecipazione che in complessità poiché la Nato ha rafforzato la sua dottrina relativa alla minaccia proveniente dal fianco orientale, ovvero la Russia.

  • Non c’è tempo da perdere e parole da sprecare in annunci roboanti

    “La vera pace ci sarà, si potrà raggiungere, quando l’Ucraina prevarrà”, ha detto il Segretario generale delle Nazioni Unite evidenziando comunque che prima o poi un accordo si dovrà trovare.

    Quello che però continua a rimanere il problema è che i russi avanzano con un costante aumento di mezzi ed uomini mentre l’Ucraina è sempre più in difficoltà perché non arrivano le armi promesse dall’Occidente, Stati Uniti in testa.

    L’Ucraina baluardo a difesa della sicurezza dell’Europa, l’Ucraina esempio di come i popoli debbano difendere il suolo nazionale ed i governi le leggi internazionali mentre vanno sconfitti coloro che queste leggi violino e non rispettano i diritti umani e la libertà. Questo è tanto altro si è detto in questi anni di guerra.

    Tutto bello, anche romantico, ma intanto gli ucraini muoiono davvero e gli edifici civili, le case della gente, le infrastrutture che danno luce ed acqua, sono rasi al suolo in una guerra d’aggressione che Putin conduce, dall’inizio, ignorando ogni regola mentre, nel frattempo, gli aiuti promessi sono molti, molti di più di quelli che invece sono effettivamente arrivati e spesso anche in ritardo.

    Non c’è tempo da perdere e parole da sprecare in annunci roboanti ai quali non seguono fatti concreti, le armi servono ora altrimenti gli ucraini non potranno più difendersi ed i russi vinceranno anche su di noi.

  • Guerra, Pil e Servizio Sanitario Nazionale

    La guerra può essere valutata in rapporto alla spesa sanitaria nazionale? Molto spesso si afferma che il valore del PIL non possa rappresentare e fotografare la reale situazione economica di un paese. Questo principio, se venisse accettato, risulterebbe ancora valido se diventasse un parametro nella misurazione degli effetti della economia di guerra. Da più parti, infatti, si parla della necessità di portare la spesa pubblica per gli armamenti al 2% del Pil nazionale. Un valore ed una percentuale che di per sé indicano poco ma se rapportati ad altri indicatori di spesa assumono tutto un altro significato.

    In Italia la spesa pubblica destinata al Sistema Sanitario Nazionale rappresenta il 6,3% del Pil mentre in Germania raggiunge il 10,9%, ed in Francia il 10,3%. Il raggiungimento, quindi, del tetto di spesa pubblica destinata agli armamenti fissato al 2% rispetto al PIL rappresenta contemporaneamente il 29% della quota di Pil destinata all’intera spesa sanitaria italiana.

    Viceversa in Germania il raggiungimento del medesimo obiettivo di valore economico per finanziare una guerra rappresenta poco più del 18% della quota Pil dedicata al Sistema sanitario nazionale tedesco.

    La differenza tra queste due percentuali di oltre il 10%, rapportate non più al solo Pil ma alle quote dello stesso destinate ai sistemi sanitari nazionali, Si sostanzia in termini economici in una minore disponibilità per l’Italia di circa 19 miliardi a favore del SSN ed una maggiore dotazione finanziaria per il Sistema sanitario nazionale tedesco di circa 42 miliardi.

    Questa differente dotazione finanziaria giustifica, quindi, ma non assolve la tendenza del Sistema Sanitario italiano ad assumere professionalità dai paesi in via di sviluppo e con un forte effetto deflattivo sulle retribuzioni.

    Viceversa la Germania, proprio grazie alla maggiore dotazione, può permettersi di importare personale qualificato, magari di formazione italiana, pagandolo adeguatamente rispetto alla professionalità.

    In altre parole l’ottimizzazione della spesa pubblica, soprattutto quella destinata ai servizi essenziali dei cittadini, rappresenta un parametro fondamentale nella comprensione delle motivazioni che vedono sempre più evidente la forbice tra il sistema economico tedesco e quello italiano. Una differenza tra i due paesi che tenderà a mantenersi se non addirittura aumentare durante questo terribile periodo di Forte tensione internazionale che vede molte risorse finanziarie destinate alle spese militari.

    Il continuo depauperamento del sistema sanitario nazionale, in atto sostanzialmente dal governo Monti in poi, rappresenta soprattutto ora, in quanto all’interno di un periodo prebellico, un fattore fondamentale per identificare e qualificare i parametri della spesa pubblica adottati dai governi dal 2011 ad oggi.

  • La Commissione stanzia 500 milioni di euro a sostegno della produzione di munizioni

    La Commissione europea ha stanziato i 500 milioni di € previsti nell’ambito del regolamento sul sostegno alla produzione di munizioni (Asap). Ciò consentirà all’industria europea della difesa di potenziare la propria capacità di produzione di munizioni fino a 2 milioni di proiettili all’anno entro la fine del 2025.

    La Commissione ha completato in tempi record la valutazione a norma del regolamento sul sostegno alla produzione di munizioni e ha selezionato 31 progetti per aiutare l’industria europea ad aumentare la produzione e la preparazione delle munizioni. I progetti selezionati riguardano cinque settori: esplosivi, polveri, proiettili, missili e collaudo e certificazione di ricondizionamento. Il regolamento sul sostegno alla produzione di munizioni si concentra sulle polveri e sugli esplosivi, che costituiscono strozzature nella produzione di munizioni, a cui verranno assegnati circa tre quarti del programma. Il programma sosterrà progetti atti ad aumentare la capacità produttiva annua di oltre 10 000 tonnellate di polvere e di oltre 4 300 tonnellate di esplosivi.

    La Commissione ha inoltre avviato il programma di lavoro per lo strumento per il rafforzamento dell’industria europea della difesa mediante appalti comuni (Edirpa) e il quarto programma di lavoro annuale del Fondo europeo per la difesa (Fed).

    Questi due programmi dispongono di una dotazione complessiva di quasi 2 miliardi di euro. Le misure odierne volte a rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa europea fanno seguito alla prima strategia industriale europea della difesa e alla relativa proposta di un programma europeo di investimenti nel settore della difesa (Edip).

  • Gli Usa sventano una fornitura d’armi agli Houthi dalla Somalia. Ma è allarme per ambiente e pirateria

    Le autorità statunitensi hanno incriminato quattro cittadini stranieri accusati dell’invio di armi di fabbricazione iraniana alle milizie yemenite Houthi, responsabili degli attacchi sferrati in questi mesi contro le navi commerciali che attraversano il Mar Rosso. Il dipartimento di Giustizia ha divulgato ieri i capi d’accusa a carico di Muhammad Pahlawan, Mohammad Mazhar, Ghufran Ullah and Izhar Muhammad: i quattro sarebbero responsabili del carico di armi sequestrato dai Navy Seals al largo delle coste della Somalia il mese scorso, e sono anche accusati di aver fornito informazioni false alla Guardia costiera statunitense dopo il loro arresto.

    Pahlawan è stato inoltre accusato di aver trasportato illegalmente una testata esplosiva, pur sapendo che gli Houthi avrebbero potuto utilizzarla per attaccare navi commerciali. L’arresto dei quatro contrabbandieri e il sequestro di un piccolo carico di componenti per missili sono stati effettuati l’11 gennaio scorso durante un controverso raid al largo delle coste della Somalia, che ha portato alla morte di due militari statunitensi. Secondo indiscrezioni della stampa Usa, il raid venne ordinato dai vertici della Marina Usa a dispetto di condizioni proibitive sul piano operativo, a causa del mare molto mosso.

    In un’intervista al Financial Times, Arsenio Dominguez, segretario generale dell’Organizzazione marittima internazionale, ha paventato un corto circuito tra gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso e la pirateria africana.

    Costrette dallo scorso dicembre a deviare le loro rotte e circumnavigare l’Africa per evitare gli attacchi Houthi, le principali compagnie navali hanno determinato un aumento della navigazione nelle acque dell’Oceano Indiano e al largo dell’Africa occidentale, un’area marittima dove notoriamente avvengono degli attacchi di pirateria. Non a caso, da anni, in quella sezione di mare è operativa la missione Ue Atalanta. Dominguez ha affermato di aver parlato con le autorità della Somalia, dell’Africa orientale e dei Paesi attorno al Golfo di Guinea, nella parte occidentale del continente, per discutere degli sforzi da mettere in atto per garantire che la pirateria non diventi nuovamente un grave problema.

    Last but not least, gli attacchi degli Houthi rappresentano una minaccia anche all’ambiente. Il Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom) ha segnalato nei giorni scorsi che una nave mercantile abbandonata nel Golfo di Aden dopo un attacco dei ribelli sciiti yemeniti sta imbarcando acqua e ha lasciato un’enorme chiazza di petrolio, provocando un disastro ambientale. La Rubymar, una nave mercantile battente bandiera del Belize, registrata in Regno Unito e gestita dal Libano, è stata colpita da un missile sulla fiancata della nave, con conseguente allagamento della sala macchine e abbassamento della poppa, ha affermato il suo operatore, il Blue Fleet Group. “Quando è stata attaccata la M/V Rubymar trasportava oltre 41mila tonnellate di fertilizzanti che potrebbero riversarsi nel Mar Rosso e peggiorare questo disastro ambientale”, ha affermato Centcom in un post su X. L’attacco alla Rubymar rappresenta il danno più significativo mai inflitto a una nave commerciale da quando gli Houthi hanno iniziato a sparare sulle navi a novembre come forma do rappresaglia contro l’offensiva israeliana a Gaza. Gli attacchi degli Houthi hanno spinto alcune compagnie di navigazione ad allungare la rotta intorno all’Africa meridionale per evitare il Mar Rosso, dove normalmente transita circa il 12% del commercio marittimo globale.

  • L’Italia lentamente si adegua alla necessità di spese militari come richiesto dall’Alleanza

    Riproposto brutalmente da Donald Trump, l’obbligo di destinare alle spese militari almeno il 2% del Pil da parte di ciascun Paese aderente alla Nato deriva da un accordo informale del 2006 dei Ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza poi confermato e rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles (obiettivo da raggiungere entro il 2024), in cui si è anche indicata una quota del 20% di tale spesa da destinarsi ad investimenti in nuovi sistemi d’arma.

    Nel bilancio 2023 dello Stato: il ministero della Difesa italiana ha ottenuto 27 miliardi e 748 milioni di euro, cui vanno aggiunti gli stanziamenti di ministero dell’Economia e delle Finanze e ministero delle Imprese e del Made in Italy alle spese militari. Come emerge dal dossier (pubblicato il 6 luglio scorso) della Documentazione parlamentare della Camera le spese militari sono passate dai 19,9 miliardi di euro del 2016 ai 21,4 del 2019 fino ai 24,5 del 2021. Nel 2022 il Sipri di Stoccolma, uno dei più prestigiosi istituti di studi sulla pace, stimava che in tutto il mondo le spese militari ammontassero a 1.981 miliardi di dollari annui, 1.103 dei quali (il 56% del totale) erano riconducibili all’Allenza Atlantica. All’undicesimo posto nel mondo e tra i primi 5 in Europa per questo tipo di spese nel 2022, l’Italia col bilancio 2023 ha portato le sue spese militari a oltre il 3% de Pil  (gli Stati Uniti, primi nella classifica mondiale, nel 2022 hanno destinato a questo settore 766 miliardi di dollari, pari al 3,74% del loro Pil).

    Le maggiori risorse alla Difesa nel 2023 rispetto al 2022, 1,792 miliardi di euro in più rispetto alimentano in particolare la “Funzione difesa” che sfiora i 20 miliardi con un aumento superiore all’8%. Nell’arco di 15 anni l’Italia spenderà quasi 13 miliardi di euro col “Fondo relativo all’attuazione dei programmi di investimento pluriennale per le esigenze di difesa nazionale”. E fino al 2036 sono previsti altri 3,8 miliardi di euro per le “Politiche di sviluppo dei settori ad alta valenza tecnologica per la difesa e la sicurezza nazionale”. Il capitolo 7421 della Difesa ha stanziato 877,9 milioni per “interventi per lo sviluppo delle attività industriali a tecnologia dei settori aeronautico e aerospazio in ambito difesa e sicurezza nazionale”: dal programma Forza Nec per abbattere i tempi di comunicazione, agli elicotteri Hh-101 e Nh-90 e agli aerei da caccia Eurofighter e Tornado.

    L’Italia partecipa con oltre 7mila soldati a 35 missioni internazionali nell’ambito di coalizioni multinazionali, sotto l’egida di Onu, Nato e Unione Europea o accordi bilaterali. E nello scenario di guerra sul “fianco est” della Nato altri 1.250 militari sono in Lettonia, Ungheria e in Bulgaria. In Romania una task force dell’Aeronautica è impegnata con Ef-2000 “Typhoon” nella sorveglianza degli spazi aerei alleati. A queste missioni, finanziate dal ministero dell’Economia, nel 2023 sono stati destinati 1,7 miliardi di euro. L’anno precedente sono stati spesi 137.259.170 di euro nella Coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh; 106.585.294 per United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil); 70.068.735 alla partecipazione a Nato Joint Enterprise nei Balcani; 55.427.196 nell’operazione “Mare Sicuro” e nella missione di supporto alla Marina libica, cui si sommano altri 11.848.004 euro per il controllo dei confini in “assistenza” alle istituzioni libiche; infine 24.598.255 al “potenziamento” del fianco sudorientale della Nato. Per il 2023 sono state finanziate 4 nuove mission: l’European Union Border Assistance Mission in Libya, l’iniziativa di partnership militare dell’Ue in Niger, la missione bilaterale in Burkina Faso e soprattutto Eumam Ucraina.

  • L’industria militare tedesca punta ad aumentare la produzione

    L’industria della difesa tedesca vuole aumentare le capacità di produzione nei prossimi anni: dai mezzi corazzati alle munizioni e ai sistemi di difesa aerea. È quanto riferisce il quotidiano “Handelsblatt”, secondo cui i gruppi Krauss-Maffei Wegmann (Kmw) e Rheinmetall intendono fabbricare 100 carri armati Leopard 2 all’anno. A sua volta, l’azienda Diehl punta a triplicare il numero dei sistemi di difesa aerea Iris-T. Inoltre, Rheinmetall e Diehl mirano a portare la produzione di proiettili di artiglieria dalle attuali 100mila a circa 250mila unità all’anno.

    Questa espansione fa seguito alla guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina. I nuovi prodotti verranno forniti principalmente alle Forze armate della Germania e degli altri Stati della Nato, per esempio Norvegia e Slovacchia. Alcuni di questi Paesi devono, infatti, sostituire armi e materiali che hanno trasferito all’ex repubblica sovietica, a cui andrà la maggior parte delle munizioni prodotte in Germania. Tuttavia, l’ampliamento delle capacità del settore della difesa tedesco non sarà sufficiente a soddisfare la domanda. Soltanto per i proiettili di artiglieria, il fabbisogno dei Paesi europei e dell’Ucraina è di 5,5 milioni di pezzi. Considerate le difficoltà soprattutto nella produzione di granate e razzi, questo totale sembra difficilmente raggiungibile.

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