Orban si scandalizza per le dichiarazioni di Borrell il quale ha correttamente sostenuto come sia giusto che gli ucraini usino le armi degli alleati per difendersi dagli attacchi russi, anche in territorio russo.
Ovviamente Orban non ha mai contestato al suo amico Putin di aver invaso uno stato indipendente e di continuare la sua feroce guerra utilizzando anche armi iraniane, nord coreane e di chi sa quali altri paesi sanguinari e dittatoriali.
Perciò gli ucraini per difendersi, sempre secondo Orban, non devono usare le armi degli alleati, anzi nessuno deve dare armi all’Ucraina mentre Putin può prendere armi da chi vuole e continuare ad usarle contro uno stato sovrano ed indipendente al quale ha dichiarato guerra ormai da più di due anni e mezzo!
Come sempre una doppia verità, per Orban l’aggressore, Putin, va difeso e l’aggredito, il popolo ucraino, va lasciato alla mercé dello zar.
L’Europa, lo sappiamo, ha molti problemi gravi ed irrisolti ma ha anche la sfortuna, in un momento così difficile e pericoloso per la vita di tutti, di avere un presidente, grazie a Dio solo per sei mesi, come Orban, un personaggio che ha già dimostrato in troppe occasioni di avere come obiettivo solo il proprio tornaconto e l’amicizia con Putin ne è una ulteriore dimostrazione.
Diceva una vecchia canzone “Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest, il sole non sorge più all’est”, speriamo che gli ungheresi capiscano il valore della libertà di tutti i popoli e che difendere un paese aggredito è un dovere politico e morale.
Armi
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Difendere un paese aggredito è un dovere politico e morale
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Guerre lunghe e mercanti di armi
La capacità di Kiev di penetrare in territorio russo, anche se sfiancata da più di due anni di una guerra condotta da Putin con particolare durezza ed efferatezza, dimostra inequivocabilmente la fermezza degli ucraini nel voler difendere la loro terra e gli errori dei loro alleati che non hanno fornito prima armi sufficienti ad impedire l’avanzata russa.
Se l’Ucraina avesse avuto per tempo le armi di cui ora dispone i russi non sarebbero avanzati così tanto come hanno potuto fare per l’impossibilità degli ucraini di potersi difendere con mezzi adeguati.
Coloro che vogliono sinceramente la pace vogliono il rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati e per questo sanno che se una nazione si deve difendere da un aggressione l’unica strada per contenere le vittime ed i danni è dare risposte forti ed immediate.
Chi crede nella pace sa che è meglio una battaglia breve e violenta, che porti ad un accordo, mentre invece le guerre che si trascinano portano migliaia di morti in più, distruzione di interi territori non solo per gli edifici rasi al suolo ma per la contaminazione del terreno causata dai tanti ordigni bellici esplosi ed abbandonati
Le guerre lunghe portano a ferite profonde che per molti sarà difficile rimarginare anche negli anni, le guerre lunghe giovano solo ai mercanti di armi, a certe contorte visioni politiche, spesso portano a sconfitte dolorose.
Putin, come tutti i dittatori, vede in una guerra lunga la possibilità di far vincere la forza numerica del colosso che governa, un colosso però che sempre più ha bisogno di alleanze sporche per incrementare la propria macchina bellica con nuovi strumenti di morte.
È stato un grave errore degli alleati dell’Ucraina non aver ascoltato subito le richieste di Zelenskiy, più armi date nell’immediatezza dell’invasione avrebbero portato meno morti, stragi, sofferenze, distruzioni e Putin sarebbe stato costretto prima a finire il massacro che ha iniziato.
I veri guerrafondai, dittatori e non, sono coloro che trascinano le guerre nel tempo e arricchiscono i fabbricanti di armi e gli speculatori.
Se vogliamo la pace giusta diamo all’Ucraina quanto le serve ancora e impegniamo quelle diplomazie che fino ad ora sono state inconcludenti o assenti per motivi di incapacità o di bieco interesse. -
Dagli Usa aiuti militari per 500 milioni di dollari alle Filippine
Gli Stati Uniti hanno deciso di destinare 500 milioni di dollari di aiuti militari alle Filippine per “rafforzare la cooperazione nel campo della sicurezza” con il loro “più antico alleato nella regione”. Lo ha annunciato il segretario di Stato Antony Blinken, durante il suo viaggio a Manila assieme al capo del Pentagono Lloyd Austin mentre restano forti le tensioni con la Cina nel Mar Cinese Meridionale. Blinken e Austin hanno partecipato al Dialogo ministeriale 2+2 a Camp Aguinaldo con gli omologhi, rispettivamente Enrique Manalo e Gilberto Teodoro, al termine del quale è stato annunciato un investimento che il capo della diplomazia di Washington ha definito “generazionale”, in grado di modernizzare forze armate e Guardia costiera di Manila.
“Questo livello di finanziamento non ha precedenti e invia un chiaro messaggio di sostegno alle Filippine da parte dell’amministrazione Biden-Harris, del Congresso e del popolo americano”, ha detto da parte sua il segretario alla Difesa Austin. Stando a quanto reso noto dagli Stati Uniti, 125 milioni di dollari andranno alla costruzione e al miglioramento delle basi militari in cui Manila ha consentito lo stazionamento di truppe Usa sulla base dell’Accordo rafforzato per la cooperazione in materia di difesa. A Manila Blinken ha anche garantito che, qualsiasi cambiamento vi sarà a Washington dopo le elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, gli impegni degli Stati Uniti nei confronti delle Filippine non saranno modificati.
“Abbiamo un Trattato di mutua difesa per il quale gli Stati Uniti si sono impegnati. Questo impegno durerà”, ha assicurato il segretario di Stato. Lo stesso messaggio è arrivato anche da Austin: “Potete scommettere sul fatto che questo sostegno continuerà”. Manalo, da parte sua, ha parlato di un’alleanza, quella con gli Usa, che ha “tenuto alla prova del tempo”. Blinken e Austin sono reduci da incontri ministeriali a Tokyo, inclusa una riunione dei capi della diplomazia del Quad, durante i quali hanno espresso la loro “seria preoccupazione riguardo alla situazione nel Mar Cinese Meridionale”, teatro di dispute territoriali tra la Cina e le Filippine che negli ultimi mesi sono culminate in diversi incidenti tra le imbarcazioni dei due Paesi, con l’impiego di cannoni ad acqua e veri e propri abbordaggi da parte della Guardia costiera di Pechino. “Continuiamo a esprimere la nostra viva preoccupazione per la militarizzazione (…) e per le manovre coercitive e intimidatorie nel mar Cinese meridionale”, hanno dichiarato il segretario di Stato Usa Antony Blinken e gli altri tre ministri degli Esteri del quartetto in un comunicato congiunto, con un riferimento implicito alla Cina.
Le Filippine “continueranno a far valere i loro diritti” sulle aree del Mar Cinese Meridionale oggetto della disputa territoriale con la Cina, ha invece chiarito il ministero degli Esteri filippino, dopo l’annuncio il 21 luglio di un accordo con Pechino per evitare scontri durante le operazioni di rifornimento dell’avamposto militare di Manila presso la secca di Second Thomas. Il ministero ha anche smentito, contrariamente a quanto suggerito da Pechino, che “l’accordo provvisorio” annunciato ieri obblighi Manila a “notificare preventivamente” alla Cina gli invii di rifornimenti verso l’avamposto, che si trova sul relitto della nave Brp Sierra Madre. “I principi e gli approcci stabiliti nell’accordo sono stati raggiunti attraverso una serie di attente e meticolose consultazioni tra entrambe le parti che hanno aperto la strada a una convergenza di idee senza compromettere le posizioni nazionali”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri filippino Teresita Daza. “Le dichiarazioni (del ministero degli Esteri cinese) in merito alle notifiche preventive e alle conferme sul posto non sono dunque accurate”.
La Cina “è disposta a consentire” il rifornimento di beni di prima necessità da parte delle Filippine al personale della sua nave da guerra ancorata “illegalmente” nella secca dell’atollo Second Thomas (che Pechino chiama Ren’ai Jao, ndr), ma ribadisce la richiesta a Manila di rimuoverla. Con queste parole il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha risposto alla richiesta di commento sull’accordo concluso fra Pechino e Manila sulla gestione delle attività nell’area dell’atollo Second Thomas, rivendicato da entrambi i Paesi. “La Cina ha recentemente avuto una serie di consultazioni con le Filippine sulla gestione della situazione a Ren’ai Jiao e ha raggiunto un accordo provvisorio con le Filippine sul rifornimento umanitario dei beni di prima necessità”, ha dichiarato il portavoce in un comunicato, precisando che “le parti hanno concordato di gestire congiuntamente le differenze marittime e di lavorare per la riduzione della tensione nel Mar Cinese Meridionale”.
Nel comunicato, Pechino precisa che “Ren’ai Jiao fa parte del Nansha Qundao cinese e che la Cina ha la sovranità su Ren’ai Jiao e sul resto di Nansha Qundao, nonché sulle acque adiacenti”. “Mantenendo la propria nave da guerra a terra a Ren’ai Jiao per decenni consecutivi, le Filippine hanno violato la sovranità della Cina e la Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale in particolare l’articolo 5 che afferma che le parti dovrebbero astenersi dal azione di abitare sulle isole e sulle scogliere disabitate”. Come secondo punto, ha proseguito il portavoce, Pechino si dice disposta a consentire alle Filippine di assicurare la consegna di beni di prima necessità al suo personale che vive sulla nave da guerra, precisando che la richiesta dovrà essere debitamente comunicata e che le autorità cinesi monitoreranno l’intero processo di rifornimento. Tuttavia, precisa ancora il portavoce, “se le Filippine dovessero inviare grandi quantità di materiali da costruzione alla nave da guerra e tentare di costruire strutture fisse o avamposti permanenti, la Cina non lo accetterebbe assolutamente” e ne impedirebbe l’attuazione.
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Business e democrazia: la tedesca Rheinmetall apre la sua prima fabbrica di munizioni in Ucraina
L’azienda tedesca di articoli militari Rheinmetall ha ricevuto il primo importante ordine dal governo ucraino per la costruzione di una fabbrica di munizioni in Ucraina, dando così seguito a quanto era stato annunciato a febbraio 2024 e segnando l’inizio della realizzazione del progetto. L’ordine per il gruppo tecnologico di Düsseldorf Rheinmetall copre l’intera dotazione tecnica della fabbrica fino alla sua messa in funzione. Si tratta di un valore complessivo che si aggira su una cifra nell’ordine delle centinaia di milioni di euro, che sarà registrato come ordine in entrata all’inizio del terzo trimestre del 2024. È previsto che il progetto inizi a breve termine e venga completato entro pochi anni, con l’intenzione di avviare la produzione di munizioni in Ucraina entro 24 mesi. Insieme al partner di joint venture ucraino, Rheinmetall sarà anche responsabile della gestione dell’impianto.
Armin Papperger, ceo di Rheinmetall AG: «Stiamo traducendo le parole in azioni e, insieme al nostro partner, creeremo un centro di competenza ucraino per le munizioni. L’ordine sottolinea la fiducia nelle capacità di competenza e produzione di Rheinmetall. Siamo grati di poter supportare il Paese nella sua reindustrializzazione e nel rafforzamento della sua capacità di difesa».
Attualmente sono in corso misure in Ucraina per preparare le infrastrutture necessarie. È in procinto di essere costituita una joint venture tra Rheinmetall e un’azienda statale ucraina per la gestione della fabbrica di munizioni. Questo è stato annunciato durante una discussione a margine della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco a febbraio 2024.
A giugno 2024, il ceo di Rheinmetall AG, Armin Papperger, e il ministro ucraino per le Industrie Strategiche, Oleksandr Kamyshin, hanno firmato un accordo per espandere la cooperazione strategica alla “Conferenza sulla Ricostruzione dell’Ucraina” a Berlino. Pochi giorni prima, avevano inaugurato una fabbrica di armamenti nell’Ucraina occidentale, gestita dalla joint venture Rheinmetall Ukrainian Defence Industry LLC.
Il primo Veicolo da Combattimento di Fanteria Lynx di Rheinmetall sarà consegnato alle forze armate ucraine entro la fine dell’anno e la produzione locale inizierà il prima possibile.
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Il pressapochismo e le sue conseguenze
Negli ultimi anni abbiamo visto, in troppe occasioni, molti capi di Stato, primi ministro, leader d’opposizione che non sempre sembravano consapevoli delle loro dichiarazioni e relative conseguenze, in altre consapevoli ed in totale spregio delle conseguenze.
La teoria che l’inquinamento, non solo ambientale, possa avere colpito le capacità di ragionamento ed essere la causa non è stata al momento né suffragata da prove scientifiche ma neppure smentita, certo è che l’inquinamento emotivo ha procurato un’escalation di violenza in ogni strato della popolazione.
Quello che oggi preoccupa ulteriormente è l’inconfutabile certezza che tutto si va deteriorando anche negli apparati più sensibili, non per nulla nessuno avrebbe potuto immaginare una sconfitta così tragica come quella subita dai servizi d’informazione israeliani il 7 ottobre.
Che gli Stati Uniti abbiano periodicamente un attentato ad un presidente o ad un leader politico è cosa nota ma non può che stupire come si è compiuto l’atto scellerato, ma altrettanto maldestro, di chi ha sparato a Trump, uccidendo un inerme cittadino, nella disattenzione generale di chi era preposto, sul campo, alla sicurezza.
I molto gravi attentati terroristi degli ultimi anni, che hanno colpito anche la Russia, e i tanti attentati minori, compiuti da persone già segnalate come pericolose, dimostrano purtroppo uno scadimento sempre più preoccupante dei sistemi di sicurezza.
Viviamo in una società ad alto rischio ma i rischi maggiori sono dovuti allo scollamento delle istituzioni ed al pressappochismo.
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Libertà, democrazia e armi
Come tutti siamo preoccupati per l’escalation della violenza in genere e di quella, in particolare, che colpisce rappresentanti politici: l’attentato a Trump dimostra, una volta di più, come dalla violenza verbale sia brevissimo il passo per arrivare alla violenza fisica.
Tutti dovrebbero abbassare i toni e comprendere l’urgenza di ritornare a confronti politici corretti cosi come è necessario un maggior controllo sui social quando i loro utenti si scatenano in ingiurie e minacce.
Dopo avere condannato l’attentato a Trump dobbiamo anche fare una riflessione sull’eccessiva e pericolosa libertà, che c’è negli Stati Uniti, per l’acquisto di armi.
Il Presidente Biden si è più volte espresso sulla necessità di modificare l’attuale sistema per rendere più difficile l’acquisto di armi, armi che sono vendute liberamente anche quando sono praticamente armi d’assalto.
Ovviamente i produttori di armi sono sempre stati contrari osteggiando in tutti i modi la proposta di Biden e Trump è sempre stato favorevole alla libera vendita delle armi, non per nulla una possibile candidata ad essere sua vice, se sarà eletto alla presidenza, è una governatrice che in un suo libro si vanta di aver sparato al proprio cane, perché disubbidiente, ed ad una sua capra, perché brutta.
Oggi forse Trump, sulla sua pelle, potrebbe aver imparato una dura lezione, la libertà di tutti non va d’accordo con la libertà di chiunque di acquistare strumenti per ferire ed uccidere.
In questi anni gli Stati Uniti hanno pianto decine di morti, ragazzi, studenti, cittadini presi di mira da altri ragazzi e cittadini che, legalmente in possesso di armi da fuoco, hanno sparato per uccidere, per commettere delle autentiche stragi.
Speriamo che questa riflessione la facciano anche gli americani, Trump in testa, e comprendano tutti che la libertà e la democrazia del proprio Paese si tutela anche regolamentando in modo più severo la vendita di armi da fuoco.
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La Ue investe 21,4 milioni di euro in armi al Kenya per estirpare Al-Shaabab
L’Unione europea sta inviando aiuti militari per un totale di 21,4 milioni di euro alle Forze di difesa del Kenya (Kds), con l’obiettivo di rafforzare la risposta dell’esercito locale ai jihadisti di Al Shabaab. Lo riferisce “The East African”, spiegando che in una nota del Consiglio europeo si precisa che il supporto offerto alle Kdf sarà destinato a sfide interne ed esterne al Paese, attingendo per la prima volta alle risorse dell’Eu Peace Facility, un fondo creato nel 2021 dall’Unione europea per sostenere le iniziative di sicurezza dei Paesi partner in Africa. L’assistenza fornita contribuirà anche a rendere più sicure le frontiere ed a rafforzare le operazioni contro Al Shabaab lungo il confine con la Somalia, si legge nella nota, in cui si precisa che gli aiuti forniti riguarderanno tanto l’equipaggiamento quanto la formazione tecnica ed altri servizi logistici. Da questo punto di vista, le unità combattenti di fanteria dell’esercito del Kenya riceveranno anche veicoli aerei senza pilota tattici, intercettatori e disturbatori di frequenze jammer, sistemi per sconfiggere ordigni esplosivi improvvisati, oltre che fuoristrada, veicoli tattici di tipo militare e una postazione medica mobile. Gli aiuti stanziati includono anche il sostegno alle unità navali della Marina del Kenya, le cui truppe riceveranno occhiali per la visione notturna, giubbotti di salvataggio e altri dispositivi di protezione individuale. L’Ue è stata uno dei sostenitori della forza uscente della Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis), alla quale le Kdf hanno partecipato negli ultimi dieci anni. Tuttavia, di recente l’Ue e altri donatori hanno ridotto alcuni stanziamenti di bilancio per la missione, citando una molteplicità di sfide alla sicurezza nel continente. Gli aiuti di Bruxelles si inseriscono, infine, sul filo del patto di dialogo strategico concluso a giugno del 2021 fra Ue e Kenya, accordo in cui le due parti hanno concordato di impegnarsi per l’attuazione bilaterale delle disposizioni sul commercio e sulla cooperazione economica e per lo sviluppo dell’accordo di partenariato economico (Ape) con la Comunità dell’Africa Orientale (Eac).
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Putin spedisce tre navi da guerra a Cuba
L’annuncio di un imminente arrivo a Cuba di tre imbarcazioni e un sottomarino a propulsione nucleare russi ha acceso l’allarme degli Stati Uniti, che temono un possibile svolgimento di esercitazioni militari nei Caraibi. Manovre che sarebbero una risposta alle – quasi concomitanti – esercitazioni Nato nel Mar Baltico, in programma fino al 20 giugno. Ll’Avana aveva segnalato che dal 12 al 17 giugno riceverà in visita ufficiale la fregata “Gorshkov”, il sottomarino a propulsione nucleare “Kazan”, la petroliera della flotta “Pashin” e il rimorchiatore “Nikolai Chicker”. La visita, scrive il governo cubano, è realizzata nell’ambito delle “storiche relazioni di amicizia tra Cuba e la Federazione russa e rispetta i regolamenti internazionali”. L’Avana assicura che nessuna delle navi contiene armi nucleari”. Le visite di unità navali di altri Paesi sono una “pratica storica del governo, con nazioni con cui manteniamo relazioni di amicizia e collaborazione”, prosegue il comunicato. Le imbarcazioni russe svolgeranno diverse attività istituzionali durante la permanenza: tra queste, una visita al capo della Marina cubana e alla governatrice della capitale L’Avana. Al loro arrivo saranno sparati 21 colpi a salve come saluto a Cuba, con la risposta di una unità delle forze armate cubane.
Washington aveva avvertito della presenza di unità militari russe già mercoledì, denunciando anche lo svolgimento di possibili esercitazioni aeree: un funzionario dell’amministrazione Usa, sentito da “Miami Herald”, ha affermato che sono attese attività aeree e navali che includono mezzi da combattimento. Si tratterebbe della prima esercitazione aereo-marittima coordinata di Mosca nell’emisfero occidentale in cinque anni. “Siamo delusi ma non sorpresi dalla decisione di Cuba di accogliere i mezzi russi”, ha detto ieri il funzionario, assicurando che l’intelligence statunitense supervisionerà le esercitazioni pur non considerandole una minaccia diretta e ritenendo che non ci siano armi nucleari a bordo. “Sono esercitazioni navali di routine, accelerate dopo il supporto degli Usa all’Ucraina e dopo le attività di addestramento a supporto degli alleati Nato”. Per gli Stati Uniti, hanno peraltro avvertito che le navi potrebbero fare tappa anche in Venezuela.
Stando a quanto riporta l’agenzia governativa russa “Tass”, le navi fanno parte di una flotta settentrionale della marina e sono salpate lo scorso 17 maggio per “assicurare la presenza navale in aree importanti della zona oceanica”. La fregata Gorshkov ha effettuato un’esercitazione ad un target simulato nell’oceano atlantico, utilizzato il complesso di artiglieria Ak-192m e missili Palash. Il sottomarino kazan può trasportare missili di precisione a lungo raggio, capaci di colpire obiettivi a terra, in mare e in aria. Secondo quanto riporta l’istituto navale Usa, è dal 1969 che sottomarini russi visitano periodicamente l’isola. Nello stesso periodo della presenza a Cuba, altri mezzi militari russi e personale dell’esercito sono entrati in Nicaragua per fornire “assistenza e vantaggi reciproci in caso di emergenza”, come si legge in una nota del governo nicaraguense che ne autorizza l’ingresso fino al 31 dicembre 2024. Le truppe da Mosca lavoreranno insieme all’esercito locale per condurre operazioni di sicurezza e contro la criminalità e per condividere addestramenti con il Comando di operazioni speciali.
Le esercitazioni russo-cubane si svolgono, peraltro, quasi in concomitanza con le Baltops, le tradizionali manovre navali della Nato nel Mar baltico. La 53esima edizione delle Baltops viene osservata con grande attenzione dalla Russia che si trova a confrontarsi, dopo l’adesione all’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia, con un Mar Baltico a trazione decisamente atlantista. Le esercitazioni della Nato si svolgono da oggi sino al 20 giugno e coinvolgeranno venti nazioni che sono già giunte la scorsa settimana a Klaipeda, in Lituania. Nelle manovre saranno impiegati quattro gruppi anfibi e diverse unità operative multinazionali composti da più di 50 navi, 25 aerei e 9 mila militari provenienti da Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. Le operazioni di addestramento prevedono attività di guerra antisommergibile, esercitazioni di artiglieria, operazioni anfibie, sminamento e interventi medici. Sin dalla prima edizione nel 1971, le Baltops sono aumentate sia in termini numerici di partecipazione che in complessità poiché la Nato ha rafforzato la sua dottrina relativa alla minaccia proveniente dal fianco orientale, ovvero la Russia.
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Non c’è tempo da perdere e parole da sprecare in annunci roboanti
“La vera pace ci sarà, si potrà raggiungere, quando l’Ucraina prevarrà”, ha detto il Segretario generale delle Nazioni Unite evidenziando comunque che prima o poi un accordo si dovrà trovare.
Quello che però continua a rimanere il problema è che i russi avanzano con un costante aumento di mezzi ed uomini mentre l’Ucraina è sempre più in difficoltà perché non arrivano le armi promesse dall’Occidente, Stati Uniti in testa.
L’Ucraina baluardo a difesa della sicurezza dell’Europa, l’Ucraina esempio di come i popoli debbano difendere il suolo nazionale ed i governi le leggi internazionali mentre vanno sconfitti coloro che queste leggi violino e non rispettano i diritti umani e la libertà. Questo è tanto altro si è detto in questi anni di guerra.
Tutto bello, anche romantico, ma intanto gli ucraini muoiono davvero e gli edifici civili, le case della gente, le infrastrutture che danno luce ed acqua, sono rasi al suolo in una guerra d’aggressione che Putin conduce, dall’inizio, ignorando ogni regola mentre, nel frattempo, gli aiuti promessi sono molti, molti di più di quelli che invece sono effettivamente arrivati e spesso anche in ritardo.
Non c’è tempo da perdere e parole da sprecare in annunci roboanti ai quali non seguono fatti concreti, le armi servono ora altrimenti gli ucraini non potranno più difendersi ed i russi vinceranno anche su di noi.
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Guerra, Pil e Servizio Sanitario Nazionale
La guerra può essere valutata in rapporto alla spesa sanitaria nazionale? Molto spesso si afferma che il valore del PIL non possa rappresentare e fotografare la reale situazione economica di un paese. Questo principio, se venisse accettato, risulterebbe ancora valido se diventasse un parametro nella misurazione degli effetti della economia di guerra. Da più parti, infatti, si parla della necessità di portare la spesa pubblica per gli armamenti al 2% del Pil nazionale. Un valore ed una percentuale che di per sé indicano poco ma se rapportati ad altri indicatori di spesa assumono tutto un altro significato.
In Italia la spesa pubblica destinata al Sistema Sanitario Nazionale rappresenta il 6,3% del Pil mentre in Germania raggiunge il 10,9%, ed in Francia il 10,3%. Il raggiungimento, quindi, del tetto di spesa pubblica destinata agli armamenti fissato al 2% rispetto al PIL rappresenta contemporaneamente il 29% della quota di Pil destinata all’intera spesa sanitaria italiana.
Viceversa in Germania il raggiungimento del medesimo obiettivo di valore economico per finanziare una guerra rappresenta poco più del 18% della quota Pil dedicata al Sistema sanitario nazionale tedesco.
La differenza tra queste due percentuali di oltre il 10%, rapportate non più al solo Pil ma alle quote dello stesso destinate ai sistemi sanitari nazionali, Si sostanzia in termini economici in una minore disponibilità per l’Italia di circa 19 miliardi a favore del SSN ed una maggiore dotazione finanziaria per il Sistema sanitario nazionale tedesco di circa 42 miliardi.
Questa differente dotazione finanziaria giustifica, quindi, ma non assolve la tendenza del Sistema Sanitario italiano ad assumere professionalità dai paesi in via di sviluppo e con un forte effetto deflattivo sulle retribuzioni.
Viceversa la Germania, proprio grazie alla maggiore dotazione, può permettersi di importare personale qualificato, magari di formazione italiana, pagandolo adeguatamente rispetto alla professionalità.
In altre parole l’ottimizzazione della spesa pubblica, soprattutto quella destinata ai servizi essenziali dei cittadini, rappresenta un parametro fondamentale nella comprensione delle motivazioni che vedono sempre più evidente la forbice tra il sistema economico tedesco e quello italiano. Una differenza tra i due paesi che tenderà a mantenersi se non addirittura aumentare durante questo terribile periodo di Forte tensione internazionale che vede molte risorse finanziarie destinate alle spese militari.
Il continuo depauperamento del sistema sanitario nazionale, in atto sostanzialmente dal governo Monti in poi, rappresenta soprattutto ora, in quanto all’interno di un periodo prebellico, un fattore fondamentale per identificare e qualificare i parametri della spesa pubblica adottati dai governi dal 2011 ad oggi.