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Una settimana calda per la Brexit

E’ una settimana cruciale quella che sta affrontando il parlamento inglese. Oggi vota per la seconda volta l’accordo della May con l’Unione europea. Una prima volta l’accordo era stato bocciato con uno scarto di più di 200 voti. Con il voto odierno si spera che i deputati conservatori che erano contrari ci ripensino, a seguito delle parziali modifiche ottenute dalla May a proposito della frontiera con l’Irlanda del Nord, che con l’uscita dall’UE rimarrebbe ugualmente nell’Unione doganale, senza che ci rimanga il Regno Unito. Se il voto odierno sarà favorevole all’accordo, la Brexit entrerebbe in vigore il 29 marzo come previsto. Ma se il voto sarà contrario, si possono aprire vari scenari. Uno sarebbe un voto sul no deal, cioè un’uscita senza accordi sul dopo, con tutti i rischi che gli esperti temono per l’economia britannica. Un altro potrebbe essere un voto sulla richiesta di un rinvio della data dell’uscita, per consentire eventuali probabili negoziati, non certi, tuttavia, perché l’UE ha dichiarato più volte che il negoziato si è concluso con l’accordo accettato dal governo. Se il parlamento lo respinge, il problema è interno al RU. “Che gli inglesi se la vedano tra di loro”, verrebbe da dire. Uno scenario, infine, che taglierebbe la testa al toro, sarebbe il ritorno alle urne per un nuovo referendum, un referendum di verifica che si sostituirebbe all’incapacità dimostrata fino ad ora dal Parlamento di risolvere la questione. Il parlamento ha dimostrato d’essere diviso e perciò incapace di darsi una maggioranza che risolva la questione Brexit. Ma questa incapacità è causata anche dalla divisione interna ai due partiti: i Conservatori e i Laburisti. I primi sono divisi perché, approfittando della Brexit, alcuni di loro vorrebbero far uscire di scena la May. I secondi perché in parte sono contrari alla Brexit, e perché il loro leader, Jeremy Corbyn, vorrebbe far cadere il governo e giungere ad elezioni anticipate.  Tutte queste contrapposizioni, che non consentono il raggiungimento di una maggioranza per una delle diverse soluzioni, permettono alla May di rimanere in sella e di farle dire, per l’ennesima volta, che l’accordo da lei raggiunto con l’UE è il migliore tra quelli possibili e che se questo accordo sarà oggi respinto per la seconda volta, c’è il rischio che non si faccia nessuna Brexit. L’affermazione è sibillina. Senza accordo ci sarebbe infatti un’uscita no deal, che nessuno vuole, se non una sparuta minoranza di fanatici anti europei. Se un voto però respinge il no deal, la strada potrebbe essere libera per arrivare ad un secondo referendum? Intendeva dire questo la May, presupponendo che una seconda votazione sarebbe favorevole, come i sondaggi lasciano intendere, a rimanere nell’Unione europea?  I suoi avversari l’hanno accusata di ricatto per questa frase. Ma nessuno si azzarda a fare previsioni sul seguito che avrà il corso delle cose. La Commissione europea ieri l’altro ha fatto un gesto di distensione: ha accettato una soluzione sul confine dell’Irlanda del Nord che sarebbe accolto con favore dal partito nordirlandese che garantisce la maggioranza al governo della May. E’ un gesto di buona volontà per non inasprire gli animi e lasciare una porta aperta per l’accettazione dell’accordo da parte del parlamento. Sapremo fra poco come andrà a finire il voto, che se sarà negativo, riporterà tutta la questione in alto mare, dove le tempeste, quasi mai, sono tranquille.

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