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I vigneti sono tesoretto fondiario da 56 miliardi

Chi possiede filari di vite si ritrova un tesoro. E l’insieme dei terreni destinati alla produzione di vino italiano costituiscono, oltre che un plus paesaggistico, un patrimonio fondiario da 56,5 miliardi di euro, secondo dati dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly. Dalla ricognizione Uiv-Vinitaly risulta che mediamente un ettaro vitato vale 84mila euro, quattro volte le quotazioni dei campi agricoli. E questo “tesoretto” nel 51% dei casi si trova tra collina e montagna, un baluardo che riqualifica aree interne e a rischio spopolamento. In totale sono 62 mila gli ettari vitati in montagna, dato destinato a crescere per via dell’innalzamento delle temperature medie.

Le quotazioni massime più alte dei filari italiani si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. Si va dai 300-500.000 euro a ettaro per la zona di produzione del Trentodoc, la Valpolicella, Bolgheri e la Franciacorta. Stime di poco inferiori per le aree del Prosecco Doc, del Lugana, del Chianti Classico e Montepulciano. Negli ultimi 15 anni, secondo le rilevazioni elaborate dal Crea, la grande maggioranza delle denominazioni ha incrementato le proprie punte di valore: si va da Montalcino (+63%) a Valdobbiadene (+16%), da areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna (+57%), ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%).

Il Veneto è in testa alla classifica generale dei valori fondiari. “L’ingresso di imprenditori italiani e stranieri è da interpretare come un’opportunità – commenta Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino – e non come una minaccia. La condizione necessaria è che i nuovi “inquilini” si impegnino alla crescita del brand territoriale ma anche al rispetto dell’ambiente e della sua biodiversità. Un’attenzione green che assecondiamo anche con la scelta di non allargare il nostro terreno vitato, che presenta gli stessi ettari di 25 anni fa”. “Il vigneto Italia è ormai un brand globale e questo è un elemento di forza – osserva il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi – a cui gli investitori non possono sottrarsi. In genere l’ingresso di fondi internazionali o di famiglie facoltose nelle aree simbolo della viticoltura italiana avviene in primo luogo per una questione di prestigio, poi come bene rifugio o diversificazione degli asset. Alla base c’è la consapevolezza di investire sul valore nel senso più etimologico del termine, più che a un profitto nel breve-medio periodo. Bernard Arnault, presidente del gruppo Lvmh, ha acquistato Casa degli Atellani di Milano, vigna di Leonardo compresa”. Per l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese: “Il vino italiano è un capitale strategico del Paese. Il settore ha una propensione all’export doppia rispetto all’agroalimentare e questo ha un peso anche sul valore fondiario. E per il Cbre, leader mondiale nella consulenza nel real estate, il volume degli investimenti nel vigneto tricolore è “in crescita in tripla cifra nell’ultimo biennio”.

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