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Niente dovrebbe stupire più

Il crimine e il vizio sono le due corna del diavolo.

Victor Hugo

Il 9 novembre 1989 cadeva il muro di Berlino. Finiva così un periodo buio, il periodo delle dittature comuniste nei paesi dell’Europa dell’Est. Albania compresa, anche se era l’ultimo di quei paesi a liberarsi, nonostante quella albanese fosse stata la più sanguinosa. Ma 30 anni dopo la caduta del muro di Berlino e 29 anni dopo il crollo del regime comunista, purtroppo adesso in Albania si sta tornando di nuovo verso la dittatura. Anzi, una dittatura sui generis è ormai già stata restaurata in Albania. Si tratta di una dittatura “gestita” dall’alleanza occulta del potere politico con la criminalità organizzata e pochi oligarchi. Adesso in Albania, fatti alla mano, il primo ministro controlla quasi tutto. Controlla tutti i poteri di un normale sistema democratico. Perché oltre al potere esecutivo e a quello legislativo, ormai lui controlla anche il sistema della “giustizia riformata” e dei media. E, tramite lui, controllano tutto anche i suoi “alleati”: la criminalità e gli oligarchi. L’unica incertezza è che non si sa bene chi controlla realmente chi e cosa.

Niente dovrebbe stupire più di quello che sta accadendo in Albania. Ormai dire che la criminalità organizzata abbia la protezione e collabori con i più alti livelli del potere politico è come sfondare una porta aperta. Perché, purtroppo, si tratta di una realtà vissuta e documentata. Si tratta di una connivenza che rappresenta uno dei pilastri della strategia concepita e messa in atto dall’attuale primo ministro e dai suoi collaboratori dal 2013 in poi. Una strategia che ha permesso a lui di salire e consolidare il suo personale potere. Ma che, allo stesso tempo, ha permesso alla criminalità organizzata di avere tutta la necessaria protezione e tutti gli spazi necessari garantiti per svolgere le sue attività. Come ha permesso anche ad alcuni, pochi oligarchi di arricchirsi a dismisura, approfittando dalla “generosità” governativa. Quella scelta ed attuata in Albania dal 2013 in poi è una strategia che però sta portando il paese, ogni giorno che passa, verso una nuova dittatura, ma altrettanto pericolosa. Si tratta di una dittatura che, però, è diabolicamente camuffata da una parvenza di fasullo pluralismo politico. Tutta una messinscena propagandistica per cercare di nascondere la ben radicata e capillare connivenza della criminalità organizzata con i massimi rappresentanti del potere politico e delle istituzioni statali. I fatti e le testimonianze di una simile realtà sono ormai di dominio pubblico. La massiccia coltivazione, in tutto il territorio, della cannabis e il suo illecito traffico verso i paesi confinanti è ormai una cosa evidenziata, denunciata e resa pubblicamente nota non solo in Albania. Così come lo smistamento e/o il traffico illecito della cocaina, dell’eroina e di altre droghe. E come il riciclaggio del denaro sporco e altre attività criminali. Una realtà, quella in Albania, la quale ha preoccupato e tuttora preoccupa seriamente le strutture specializzate in diversi paesi europei e che rappresenta l’essenza e il contenuto della sopracitata strategia messa in atto con successo nel Paese in questi ultimi anni. Di tutto ciò è stato messo al corrente costantemente e a tempo debito anche il nostro lettore.

Il sistema della giustizia, uno dei tre basilari poteri che in un normale paese democratico dovrebbe essere un potere indipendente dagli altri due, in Albania, fatti e documenti alla mano, è un potere completamente, vergognosamente e pericolosamente controllato dal primo ministro e dai suoi “compari”. Quanto è accaduto il 1o novembre scorso è stata un’ulteriore e molto significativa testimonianza di una grave e paurosa realtà. La falsità della propaganda governativa, diretta personalmente dal primo ministro, che cerca affannosamente di far credere e convincere che “il nero è bianco”, proprio quella falsità è stata ulteriormente sgretolata da un attentato avvenuto il pomeriggio del 1o novembre scorso alla periferia di Durazzo. È stata assalita e colpita da decine di colpi di kalashnikov una macchina nella quale viaggiavano un procuratore della procura di Durazzo e un noto criminale della zona. Un rappresentante del sistema della giustizia e uno della criminalità organizzata. Tutti e due amici, come ha dichiarato in seguito il procuratore. Tutto accadeva poco dopo che i due avevano pranzato insieme in un ristorante. Dai proiettili sono rimasti feriti sia il procuratore che il criminale. Mentre l’autista del procuratore, pagato privatamente da lui, ferito gravemente durante l’attentato, purtroppo è deceduto una settimana dopo in ospedale. I media hanno seguito per giorni tutto quanto è accaduto. Anche perché il caso, di per sé, rappresenta realmente quanto accade in Albania; rappresenta il legame del “mondo di mezzo” con il potere politico e il sistema corrotto della giustizia. Ma rappresenta, soprattutto, la quintessenza della sopracitata strategia adottata ed attuata dal primo ministro e dai suoi. E proprio il primo ministro, alcune settimane fa, dall’aula del Parlamento, aveva tuonato e accusato quel procuratore. Lo hanno fatto in seguito anche il suo vice e altri ancora. Tutto perché il procuratore rappresentava l’organo d’accusa in un processo dove si stava giudicando il direttore dell’ipoteca di Durazzo per delle procedure abusive e corruttive, legate a passaggi illeciti di proprietà terriera. Si tratta di una area, quella di Durazzo, dove si intrecciano grandi interessi e/o scontri economici e criminali. Comprese le attività legate al traffico internazionale dei stupefacenti. Dopo l’attentato però il primo ministro non ha detto una parola. Proprio lui che non smette mai di dichiarare a voce, scrivere e commentare nei siti in rete, anche per delle cose di poca importanza. Uno dei suoi vizi. Chissà perché?!

Tornando alle cronache dell’attentato, si è fatto sapere che nel portabagagli della macchina del procuratore sono stati trovati documentazione e fascicoli di alcuni tra i più scottanti processi giudiziari degli ultimi anni. Fascicoli che sono stati “rubati” mesi fa, una volta dagli uffici della posta e l’altra proprio dagli uffici della procura di Durazzo! Come mai? E quali interessi rappresentavano il procuratore e il suo amico che era con lui in macchina? Quest’ultimo, un noto criminale, risulta essere una persona coinvolta direttamente anche nei brogli elettorali a favore del partito del primo ministro. Insieme con altri criminali e funzionari delle istituzioni locali e con l’allora sindaco di Durazzo, persona molto vicina al primo ministro albanese. Una potente struttura quella, ben organizzata per controllare e/o manipolare i risultati elettorali. Tutto ciò lo dimostrerebbero delle intercettazioni telefoniche, pubblicate alcuni mesi fa da alcuni noti media internazionali. E tutto ciò come parte integrante della sopracitata strategia adottata e attuata dal primo ministro dal 2013 in poi. Di quella strategia che ha permesso ai criminali di diventare deputati e sindaci e ai pochi oligarchi di arricchirsi e per poi dividere la ricchezza con chi ha permesso tutto ciò.

Chi scrive queste righe pensa che in Albania il più grande investitore sia la criminalità organizzata, insieme con i pochi oligarchi e in connivenza con il potere politico. L’unica cosa incerta sono le quote di partecipazione negli investimenti. L’autore di queste righe pensa anche che il perché di quanto è accaduto il 1o novembre scorso alla periferia di Durazzo meglio di tutti lo potrebbe e lo dovrebbe chiarire il primo ministro albanese. Proprio lui che ha pubblicamente accusato alcune settimane fa, in Parlamento, il procuratore ferito nell’attentato. Se chiamato dalla procura però. Cosa che sembrerebbe al limite del possible. O meglio, impossibile.

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