Corruzione

  • Dittature ed elezioni libere come il diavolo e l’acquasanta

    La resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno

    o dall’interno, è questione di vita o di morte.

    George Orwell, da “Letteratura e totalitarismo”

    Riferendosi al diavolo, la saggezza secolare, tramite i tanti detti popolari, ci mette sempre in guardia. “Il diavolo si nasconde nei dettagli” recita un noto proverbio. Così come ci fa riflettere quanto hanno scritto molti scrittori, filosofi ed altre persone note. Il famoso scrittore francese Charles Baudelaire scriveva: “La più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste”. Anche Johann Wolfgang von Goethe, il noto scrittore tedesco, ha trattato il rapporto tra il diavolo e Dio. La sua ben nota opera Faust, che si basa su una legenda locale, sulla quale lo scrittore lavorò per diversi decenni, tratta proprio l’accordo tra il personaggio principale, il dottor Faust, con Mefistofele (il diavolo, il maligno). Arricchito però dalle tante esperienze durante il suo viaggio con Mefistofele, in cerca di piaceri e delle bellezze del mondo, il dottor Faust, ci trasmette la sua ferma convinzione. “Hanno voluto scacciare il maligno e ci sono restati tutti i mascalzoni più piccoli!”. Una preziosa lezione questa per tutti. Perché non è solo il diavolo, ma ci sono anche molti altri mascalzoni, in carne ed ossa, che sono sempre presenti e fanno molti danni. Come il diavolo.

    La saggezza secolare del genere umano si tramanda di generazione in generazione. Una saggezza trasmessa oralmente e tramite documenti scritti da varie civiltà, in diverse parti del mondo. Comprese anche le Sacre Scritture. E da quella saggezza millenaria bisogna sempre imparare. Dalle tantissime esperienze vissute e sofferte risulta che ci sono delle realtà, esseri che non possono realizzarsi, convivere insieme, essendo inconciliabili tra loro. Per esempio, nelle Sacre Scritture si fa riferimento al diavolo, usando diversi denominazioni, ma comunque sempre contrapposto a Dio. Si fa riferimento anche a Giovanni Battista, il quale con l’acqua del fiume Giordano battezzava tutti coloro che credevano in Dio. E proprio riferendosi al battesimo con l’acqua, da allora questa, adoperata per i battesimi nelle chiese e benedetta dai sacerdoti, si chiama acquasanta. Ed è proprio l’acquasanta che teme più di tutto il diavolo. Ragion per cui vedendola, il diavolo scappa. Perciò lui e l’acquasanta sono inconciliabili e quell’inconciliabilità ha generato la ben nota espressione “essere come il diavolo e l’acquasanta”. Un’espressione questa, che viene usata per indicare due cose/persone che non possono essere insieme allo stesso tempo e posto.

    La saggezza umana, maturata nel tempo, ci insegna che le dittature, sotto le varie forme con le quali esse si presentano, non permettono mai delle elezioni libere, oneste e democratiche. Perché la dittatura e la democrazia sono due forme di organizzazione della società e dello Stato che, per definizione, sono ben contrapposte. Ragion per cui la dittatura e le elezioni libere, oneste e democratiche sono inconciliabili tra di loro. Sono come il diavolo e l’acquasanta. Quanto è accaduto prima, durante e dopo le elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania ne è una palese ed inconfutabile testimonianza. Il nostro lettore è stato informato, in queste ultime settimane, di tutto ciò, sempre con la dovuta e richiesta oggettività. Sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulta che ormai in Albania, dove da alcuni anni è stata restaurata una nuova dittatura sui generis, il risultato di quelle che si cerca di far passare per elezioni è sempre controllato, condizionato e manipolato per garantire la “vittoria” del primo ministro e della sua alleanza con la criminalità organizzata, con gli oligarchi e con determinati raggruppamenti occulti internazionali. Questa realtà è stata verificata e dimostrata anche con le “elezioni” amministrative del 14 maggio scorso. Si è trattato, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, di un vero e proprio preannunciato massacro elettorale. Una realtà questa nota ormai anche al nostro lettore (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere, 8 maggio 2023; Cronaca di un massacro elettorale preannunciato, 15 maggio 2023; A mali estremi, estremi rimedi, 22 maggio 2023). Ed ogni giorno che passa altri fatti si stanno rendendo pubblici.

    Durante la riunione dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.), svoltasi a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990, è stato approvato quello che ormai è noto come il Documento di Copenaghen. L’articolo 6 del Documento prevede e stabilisce: “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare il nome della CSCE. A partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Albania compresa. Perciò il governo albanese ha l’obbligo di rispettare gli Atti e i Documenti dell’allora CSCE ed dell’attuale OSCE. Compreso anche l’articolo 6 del Domunento di Copenaghen. La scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “…purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen”. E poi aggiungeva: “…Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passati dal male al peggio” (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Sì proprio di male in peggio. Come lo stanno dimostrando anche le ulteriori testimonianze e denunce pubbliche, depositate presso le dovute istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Ma tutto fa pensare, anzi è quasi una certezza, che quelle istituzioni avranno tutt’altro da fare, tranne che occuparsi, in rispetto della Costituzione e delle leggi in vigore, delle tante denunce riguardanti il massacro elettorale prima e durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso.

    Ormai è stato testimoniato e dimostrato che la criminalità organizzata è stata schierata in appoggio ai candidati sindaci del primo ministro sul tutto il territorio nazionale. Così come, purtroppo, è stato testimoniato e dimostrato che spesso la polizia di Stato, nonostante sia stata avvertita, non è intervenuta. Se non, addirittura, in determinate occasioni, abbia agevolato il compito della criminalità. Dimostrando così che è diventata una polizia agli ordini del primo ministro e/o di chi per lui. Sia prima e durante, ma anche dopo le elezioni, è stato testimoniato e dimostrato che a tanti cittadini con il diritto al voto è stato cambiato il seggio elettorale, senza informarli. Durante il giorno delle “elezioni”, si sono verificati e sono stati denunciati molti casi dell’attuazione di quella che è nota come la frode elettorale denominata “carosello”, oppure “il treno bulgaro”. Una frode basata sull’uso, al inizio, di una scheda elettorale contraffatta, Poi la scheda elettorale regolare, fatta uscire fuori dal seggio, viene compilata da “chi di dovere” e poi consegnata a molti selezionati cittadini che “votano” con le schede precompilate. Loro stessi, uscendo dal seggio, consegnano la scheda vuota per essere di nuovo usata. E così via.

    Ma non sono state solo queste le violazioni e le irregolarità compiute prima e durante le “elezioni” del 14 maggio scorso. È stato testimoniato e dimostrato che in molti seggi elettorali, sul tutto il territorio nazionale, sono state palesemente violate la legislazione in vigore e le apposite ordinanze della Commissione Centrale Elettorale, l’istituzione che ha il compito costituzionale di gestire, in tutte le fasi, le elezioni. Sia prima che durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso sono stati evidenziati e denunciati molti casi in cui ministri, sottosegretari, alti funzionari dell’amministrazione pubblica centrale e/o locale hanno consapevolmente violato quanto prevedono le leggi in vigore. Così come si sono verificati e sono stati evidenziati e denunciati molti, moltissimi casi di compravendita del voto. Ma anche dell’impedimento ad andare a votare dei cittadini i quali, con molta probabilità, non avrebbero votato per i candidati del primo ministro. Ed era stato proprio lo stesso primo ministro il quale, durante la campagna elettorale, in palese e consapevole violazione della legislazione, “consigliava” alle donne di “chiudere in casa i propri mariti che potevano votare contro”. Prima e durante le elezioni la criminalità organizzata e determinati oligarchi, “amici personali” del primo ministro e, allo stesso tempo, clienti del governo, hanno messo in circolazione ingenti somme di denaro per condizionare il voto dei cittadini, sia nelle grandi città, che nelle aree rurali, Dovrebbero essere stati tanti milioni messi in circolazione che hanno causato, secondo gli specialisti, il crollo dell’euro nel cambio con la moneta locale. Il nostro lettore è stato informato di questo fatto la scorsa settimana (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Durante il giorno delle “elezioni” del 14 maggio scorso, è stato evidenziato e verificato che i detenuti delle carceri hanno votato quasi tutti per i candidati del primo ministro! Chissà perché?! Così come è risultato che gli abitanti di un paese vicino alla capitale, i quali da alcuni mesi stanno protestando contro una decisione abusiva del governo che riguarda le loro proprietà, abitazioni e/o terreni, abbiano votato a “grande maggioranza” il candidato del primo ministro! Bisogna sottolineare che i seggi dove loro hanno votato erano parte integrante di una delle tre municipalità dove, per la prima volta ed in modo sperimentale, è stata applicata la numerazione elettronica del voto. E, guarda caso, in tutte quelle tre municipalità si sono verificate e sono state denunciate molti “malfunzionamenti” del sistema elettronico. Così come sono state verificate e denunciate molte irregolarità dovute alla presenza di persone, soprattutto giovani, che “aiutavano” a votare altre persone, non pratiche con il sistema. E in tutte quelle tre municipalità hanno vinto in modo “molto convincente” i candidati del primo ministro! Chissà perché e come?! Ma tutte le sopracitate violazioni delle leggi in vigore sono soltanto una parte di quello che è stato un vero e proprio massacro elettorale. Ogni giorno che passa l’elenco aumenta.

    Adesso però, dopo quel preannunciato massacro elettorale, dopo le tante denunce fatte, dopo tante inconfutabili testimonianze, il primo ministro, colto in flagranza, sta parlando di “errori” dei rappresentanti dell’amministrazione pubblica in passato, ma mai durante le elezioni, come si sta inconfutabilmente dimostrando. Il primo ministro sta parlando ormai, dopo lo “spettacolare risultato elettorale”, di “doveri” che lui ed i suoi eletti hanno nei confronti dei cittadini che hanno “votato” per loro. Lui sta ringraziando anche coloro che “non sono usciti di casa per andare a votare contro” (Sic!) E tutto questo il primo ministro lo sta facendo solo e soltanto per tergiversare l’attenzione pubblica dalle tante inconfutabili testimonianze e denunce riguardanti la ben ideata, programmata e altrettanto ben attuata “strategia” del massacro elettorale.

    Chi scrive queste righe è da tempo convinto che le dittature e le elezioni libere sono come il diavolo e l’acquasanta. E condivide quanto scriveva George Orwell; cioè che la resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno o dall’interno, è questione di vita o di morte. Chi scrive queste righe, vista la vissuta, sofferta e drammatica realtà albanese è convinto che la dittatura sui generis in Albania si rovescia solo con delle proteste a oltranza. Egli ripete, per l’ennesima volta, una nota e molto significativa frase di Benjamin Franklin: “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio.”.

  • A mali estremi, estremi rimedi

    Maggiore è il potere, più pericoloso è l’abuso.

    Edmund Burke

    “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. Così comincia l’articolo 6 del Documento di Copenaghen. Si tratta di un importante documento, approvato durante la riunione svolta a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990 dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.). Il contenuto di quel documento si basava su quanto era stato concordato alla Conferenza sulla Dimensione Umana della CSCE e contenute nel Documento conclusivo della Riunione dei Seguiti della CSCE di Vienna nel 1989. Sullo stesso articolo 6 del Documento di Copenaghen si stabilisce che “Gli Stati partecipanti rispetteranno, di conseguenza, il diritto dei propri cittadini di partecipare al governo del proprio paese sia direttamente sia tramite rappresentanti da essi liberamente eletti mediante procedure elettorali corrette”. In più, sempre riferendosi all’articolo 6 del Documento di Copenaghen, gli Stati si devono impegnare a riconoscere “…la responsabilità di garantire e proteggere, conformemente alle proprie leggi, agli obblighi internazionali relativi ai diritti dell’uomo e agli impegni internazionali assunti, l’ordinamento democratico liberamente stabilito attraverso la volontà del popolo contro le attività di persone, gruppi od organizzazioni impegnati in azioni terroristiche o che rifiutano di rinunciare al terrorismo o alla violenza miranti a rovesciare tale ordinamento o quello di un altro Stato partecipante”. Nell’ambito del Documento di Copenaghen, l’articolo 6 rappresenta una parte molto importante con il quale si stabiliscono diritti e doveri per garantire il reale funzionamento di uno Stato democratico.

    La Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa era stata convocata per la prima volta a Helsinki il 3 luglio 1973. Poi ha proseguito i lavori a Ginevra. L’obiettivo di quelle riunioni era l’elaborazione di un testo che doveva diventare un documento base ad essere approvato da tutti gli Stati aderenti. Un atto quello ufficializzato di nuovo a Helsinki durante la Conferenza iniziata il 21 luglio 1975 dai rappresentanti dei 35 Stati partecipanti. L’Atto finale è stato approvato e firmato a Helsinki il 1° agosto 1975 dai capi di Stato e di governo dei Paesi partecipanti. L’Atto finale della Conferenza di Helsinki si compone da tre sezioni, nelle quali si raggruppano le principali questioni trattate e concordate durante i tre anni di negoziati. Si tratta della sezione della sicurezza, quella della cooperazione economica, scientifica, tecnica e ambientale e la sezione dei diritti umani. Bisogna sottolineare che l’Atto finale, approvato durante la riunione di Helsinki nel 1975, non essendo un vero e proprio accordo internazionale, non è stato perciò neanche soggetto di ratifica dai parlamenti dei singoli Stati membri. In seguito, proprio quando il blocco comunista dell’Europa orientale si stava sgretolando, è stata organizzata e convocata la riunione della Conferenza a Parigi, dal 30 maggio al 23 giungo 1989. Poi, dopo le due sopracitate riunioni della CSCE, quelle di Vienna e di Copenaghen, si è tenuta anche la riunione di Mosca dal 10 settembre al 4 ottobre 1991. Dopo la fine del lungo e problematico periodo storico della guerra fredda, anche la CSCE ha modificato i suoi programmi e obiettivi. Tutto stabilito dal Documento di Helsinki del 1992, intitolato “Le sfide del cambiamento”. Poi in seguito, durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare anche il nome della stessa Conferenza, perciò a partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Si tratta della più grande organizzazione di sicurezza regionale al mondo. L’obbligo dell’OSCE è, tra l’altro, quello di garantire la stabilità, la pace e la democrazia attraverso il dialogo politico. Riferendosi agli Atti ufficiali, l’attività dell’OSCE si svolge in tre settori fondamentali: il settore politico-militare, che tratta gli aspetti militari della sicurezza, quello economico ambientale, che affronta soprattutto argomenti dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo economico ed il settore della dimensione umana, dedicata alle tematiche dello Stato di diritto ed alla tutela dei diritti umani. Elezioni libere e democratiche comprese.

    Quando si costituì ed, in seguito, quando si riuniva la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, la dittatura comunista in Albania, la più crudele e sanguinosa in tutta l’Europa orientale, criticava e ridicolizzava le decisioni prese dalla Conferenza. Dovevano passare quindici anni prima che il regime comunista albanese, pochi mesi prima del crollo, decise finalmente di presentare la richiesta per aderire alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Una richiesta che è stata accettata. Durante la riunione della CSCE di Copenaghen del 1990 il rappresentante dell’Albania ha assistito in veste di osservatore. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Perciò, durante la seguente ed importante riunione della CSCE di Mosca, l’Albania ha partecipato come un Paese membro a pieni diritti. Da allora in poi tutti i governi albanesi hanno avuto l’obbligo di rispettare gli accordi presi e quanto sancito dai Documenti e dagli Atti finali, della CSCE prima e dell’OSCE in seguito. Ma purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen del 1990. Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passato dal male al peggio. Risulta che l’esito finale delle elezioni è condizionato e controllato dal governo, in connivenza con la criminalità organizzata. E, durante questi ultimi anni, risulta che al controllo e al condizionamento del risultato finale delle elezioni in Albania stanno contribuendo attivamente anche alcuni noti oligarchi e imprenditori, clienti del primo ministro, che con lui dividono anche i milioni assicurati tramite tanti appalti illeciti. Ma siccome in Albania anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia sono direttamente controllate dal primo ministro e/o da chi per lui, tutto passa senza nessuna obbligatoria conseguenza penale, come se niente fosse.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato del preannunciato massacro elettorale prima e durante le elezioni generali amministrative del 14 maggio scorso. “Infatti, tutto quello che si è verificato e successo, sia prima delle elezioni amministrative di domenica scorsa, sia durante il giorno stesso delle elezioni, fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta essere stata semplicemente la cronaca di un massacro elettorale preannunciato. È la cronaca di tutto quello che è ormai accaduto e noto al pubblico, di tutte quelle violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore, che hanno garantito la tanto voluta “vittoria” personale del primo ministro”. Così scriveva il 15 maggio scorso l’autore di queste righe. E poi elencava diversi fatti accaduti, Dal pauroso crollo dell’euro nei cambi con la moneta locale, “…condizionato da ingenti somme di denaro illecito, entrato in Albania per ‘scopi elettorali’”, ai “patrocinatori” e agli “attivisti’, molto attivi prima e durante le elezioni. Faceva riferimento ai vari modi per condizionare il voto e all’attivo coinvolgimento della criminalità organizzata. Il nostro lettore veniva informato che “La cronaca del massacro elettorale preannunciato comprende il sistema “riformato” della giustizia, i cui rappresentanti “non vedono e non sentono”, perciò non reagiscono in seguito alle tante denunce pubblicamente fatte dall’opposizione. Comprende anche la Polizia di Stato che da anni funziona ormai come polizia del primo ministro”. In più lo scorso lunedì 15 maggio, l’autore di queste righe scriveva che “…Il risultato diretto di un simile massacro elettorale permette un ulteriore, preoccupante e molto pericoloso consolidamento della nuova dittatura in Albania” (Cronaca di un massacro elettorale preannunciato; 15 maggio 2023).

    Ebbene, durante questi giorni, ad elezioni finite, sono stati tanti i fatti accaduti, documentati e denunciati, fatti che testimoniano inconfutabilmente la ben ideata, programmata ed, in seguito, attuata strategia per avere uno “spettacolare risultato elettorale”, come si vanta il primo ministro. Ma per elencare tutti quei fatti sarebbero necessarie molte, ma veramente molte pagine. E non poteva essere diversamente. Perché la diabolica “strategia” del primo ministro albanese per avere “una vittoria spettacolare” prevedeva il coinvolgimento attivo, su tutto il territorio, della criminalità organizzata. Prevedeva, in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, il diretto ed attivo coinvolgimento, nolens volens, dell’amministrazione pubblica a tutti i livelli. Prevedeva l’uso delle istituzioni per “offrire” sostegno finanziario ai cittadini bisognosi. Prevedeva anche il diretto coinvolgimento di noti oligarchi e tanti imprenditori, “amici e clienti” del primo ministro, per offrire denaro in cambio del voto a favore. O, per lo meno, in cambio a non andare a votare a tutti quegli che potevano votare contro. Lo aveva chiesto spesso durante la campagna elettorale, in piena violazione della legge, anche il primo ministro, consigliando alle donne di “chiudere a chiave in casa gli uomini che non votavano per lui”! La diabolica “strategia” del primo ministro albanese per avere “una vittoria spettacolare”, costi quel che costi, prevedeva anche molto altro. Ragion per cui sono tanti, ma veramente tanti i fatti accaduti, le violazioni della legge elettorale da parte di istituzioni ed individui che sono obbligati a rispettare proprio quella legge.

    Tra le tante “novità” delle elezioni generali amministrative del 14 maggio scorso c’è anche il risultato di un partito che alcuni anni fa è passato alle mani di un grosso imprenditore, “amico e cliente” del primo ministro. Un partito che, da quando è stato costituito negli anni ’90, non ha mai avuto dei risultati elettorali come quelli di queste elezioni. Anzi, è stato sempre un partito che a malapena riusciva a portare in parlamento qualche deputato. Ebbene quel partito, a livello nazionale, adesso ha avuto un “sorprendente risultato”: è diventato uno dei tre o quattro più importanti partiti politici. E quello che è ancora più sorprendente è che il partito dell’imprenditore, “amico cliente” del primo ministro durante la campagna per le elezioni del 14 maggio scorso, non ha fatto nessuna attività elettorale, non ha presentato in pubblico nessun programma. Il capo di quel partito però, da tante denunce fatte pubblicamente e depositate ufficialmente nelle apposite istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, risulta avere speso tanti milioni, sia per comprare voti, sia per garantire di non subire il “voto contrario” per i candidati sindaci del primo ministro e per le liste del suo partito. Questo “attivo imprenditore” è solo uno dei tanti contribuenti per lo “spettacolare risultato elettorale”, costi quel che costi, del primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe continuerà a trattare per il nostro lettore quanto è successo prima, durante e dopo le elezioni del 14 maggio scorso. Egli è convinto che le violazioni sono state veramente tante e hanno coinvolto direttamente il primo ministro, i suoi ministri e stretti collaboratori. Hanno coinvolto la criminalità organizzata e tanti imprenditori. Quello accaduto prima, durante e dopo le elezioni del 14 maggio scorso è un male grave, un male estremo. E come ci insegna da tanti secoli la saggezza popolare, per contrastare i mali estremi bisogna trovare e attuare estremi rimedi. Perché, come scriveva Edmund Burke, maggiore è il potere, più pericoloso è l’abuso.

  • Il Nuovo Codice degli appalti di Salvini sarà fonte di corruzione senza limiti

    In una materia delicata come l’affidamento degli appalti per le opere pubbliche, non si può accettare la superficialità di un politico come Salvini, che si definisce “uomo del fare”, che è vero ma solo limitatamente al “fare demagogia di bassa lega”.

    L’affidamento nell’assegnazione degli appalti per opere pubbliche non può essere, come sostiene Salvini, un esercizio di sola velocità nell’individuare l’impresa da incaricare, ma un processo di ricerca, ovviamente il più veloce possibile, sulle qualità dell’impresa, sull’affidabilità, sulla competenza specifica, sulla congruità ed economicità del costo, sulla sicurezza del manufatto, sulla durata nel tempo in perfetta efficienza dell’opera e, soprattutto, sull’attenzione di scongiurare l’insorgere di ogni possibile rischio di pressioni, favoritismi o imposizioni di qualsiasi natura.

    Per tali ragioni fino ad ora si è ricorso agli appalti pubblici, anche per cifre quasi insignificanti, proprio per raggiungere il più possibile la decisione migliore e legalmente corretta.

    Non si può negare che la modifica del codice degli appalti sia una richiesta europea, funzionale anche alla attuazione delle riforme per il PNRR, ma i partner europei non hanno le piaghe antiche e attuali della corruzione e della criminalità che ha l’Italia, e Salvini e i suoi estimatori hanno chiaramente esagerato, traducendo in una sostanziale cancellazione di ogni ipotesi di gara fino al tetto di 5,3 milioni di euro, e lasciato addirittura fino al tetto di 150.000 euro per i lavori, e di 140.000 euro per le forniture di servizi, la possibilità di affidamento diretto.

    Il che significa che da 140.000 euro in poi e fino a 5,3 milioni i lavori pubblici potranno essere assegnati direttamente, previo l’invito discrezionale del soggetto appaltante di 5 o 10 imprese, scelte senza pubblicare alcun avviso e senza una procedura pubblica di gara, nell’assenza di criteri predeterminati e trasparenti,  senza alcuna competizione, e quindi escludendo la maggior parte dei possibili aspiranti, ma in compenso con ampi margini di ricorso a subappalti, con subappaltanti che potranno a loro volta subappaltare.

    Insomma, un sistema di totale mancanza di trasparenza, che non garantirà né qualità, né legalità nella gestione degli appalti pubblici.

    Se questo è lo scenario di cui si auto complimenta Salvini, appare evidente non solo la legittimità, ma soprattutto la fondatezza delle preoccupazioni espresse dal Presidente dell’ANAC, Giuseppe Busia, in riferimento ai rischi da lui paventati di Sindaci tentati di erogare favori familistici e clientelari, in tutta legalità.

    Ma i difensori di questa incredibile proposta dove vivono? O semplicemente non leggono i giornali?

    Perché appare incredibile che in un Paese fortemente condizionato da corruzione e mala vita organizzata e mafiosa come l’Italia, dove le regole vengono spesso aggirate, pur con le norme vigenti che dovrebbero impedire il malaffare, assistiamo con disinvoltura e solerzia al totale smantellamento delle regole esistenti, senza alcuna rete di protezione che possa in qualche modo evitare che l’intero comparto dei lavori pubblici diventi un vero far west di girandole di assegnazioni e scambio di favori e, perché no, anche di voti.

    Questo governo in carica, così attento in ogni provvedimento adottato nella sottolineatura della propria identità politica, in questo caso sembra volere accantonare uno dei suoi caratteri più identitari come l’impegno di garantire legalità e sicurezza e contrastare ogni forma di strumentale utilizzo dei fondi pubblici a scopo politico ed elettorale, consentendo di dare la paternità ad un provvedimento che appena entrerà in vigore, darà la conferma di quanto paventato dal presidente ANAC, moltiplicato per 100.

    Perché il pericolo non è tanto e solo quello di sindaci, assessori o dirigenti comunali, provinciali regionali e statali che possono favorire amici, parenti o elettori, il vero buco nero di questo codice è che i sindaci e tutto il resto dei soggetti deputati alla assegnazione delle opere pubbliche, non avranno più alcun alibi nel negare alla criminalità organizzata e mafiosa l’assegnazione dei lavori in esclusiva alle loro imprese.

    I piccoli comuni saranno i più assediati e se fino ad oggi, potevano difendersi ricorrendo alla obbligatorietà dei bandi di gara, anche per opere di bassissimo valore, con questo colpo di scienza di Salvini non lo potranno più fare.

    E non sarà solo un problema della Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, ma di tutte le regioni del Bel Paese e di ciascuno degli oltre 8.000 comuni italiani.

    Non ci ha pensato a questo “l’uomo del fare”? O semplicemente la questione non lo riguarda?

    Ed alla luce di questo, come si sono permessi, autorevoli esponenti della Lega, di attaccare il presidente dell’organo anti corruzione italiano che ha manifestato, tra l’altro doverosamente, preoccupazioni fondate?

    Questo comportamento da bulli di quartiere, di pretendere le dimissioni di un funzionario che fa il proprio dovere, invece di prendere atto della carenza delle proposte catastrofiche che sono state prese, la dice lunga su partiti che operano con criteri demagogici e superficiali e che, invece di aiutare il Paese, rischiano fortemente di penalizzarlo, condannandolo al perenne predominio della criminalità organizzata e mafiosa, ed alla corruzione dei politicanti faccendieri e dei colletti bianchi, che potranno esercitare i loro imbrogli nella piena legalità.

    L’impressione è che molto presto si dovrà correre ai ripari e rimediare urgentemente a questo errore imperdonabile.

  • Ipocrisia e irresponsabilità di alcuni rappresentanti europei

    L’ipocrisia è un vizio alla moda, e tutti i vizi alla moda passano per virtù.
    Molière, da “Don Giovanni o Il convitato di pietra”

    Giovedì scorso, 16 marzo, a Tirana si è tenuto un altro vertice del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania. Dopo il vertice è stata prevista e si è svolta anche una conferenza congiunta con i giornalisti del primo ministro albanese e delle due massime autorità della Commissione europea: l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea, ed il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato. Si è ripetuto però e purtroppo lo stesso scenario. Come in tante altre precedenti occasioni durante questi ultimi anni, anche giovedì scorso, nonostante la vera, vissuta, sofferta e scandalosa realtà albanese, gli illustri ospiti europei hanno parlato di “successi” (Sic!). Ma a quali “successi” si riferivano? Forse a quelli attuati dalla criminalità organizzata, in stretta connivenza con il potere politico e con il primo ministro? O forse dei “successi” conseguiti dai rappresentanti istituzionali di tutta la gerarchia dell’amministrazione pubblica, centrale e locale, che hanno fatto della corruzione il loro principale obiettivo da raggiungere? Si riferivano, chissà, ai “successi” dei massimi rappresentanti politici, primo ministro in testa, che sono convinti e hanno da tempo dimostrato che l’abuso del potere a loro conferito, oltre ad essere un diritto, è anche un dovere da “onorare”? I due massimi rappresentanti della Commissione europea si riferivano anche ai “successi” raggiunti dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia che niente hanno fatto e stanno facendo per far rispettare le leggi. Istituzioni che, fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo, fatti documentati e testimoniati, fatti pubblicamente denunciati alla mano, sono sotto il controllo personale del primo ministro e/o di chi per lui. O forse avevano in mente i continui “successi” dell’economia del Paese, grazie ai quali la povertà sta diventando sempre più diffusa e sta colpendo sempre più cittadini? “Successi” che sono talmente tanti ed eclatanti che, da anni, stanno costringendo gli albanesi a scappare e chiedere asilo altrove, in altri paesi dell’Europa. E nonostante quei “successi eclatanti”, chissà perché, solo in questi ultimi anni hanno lasciato il Paese circa un terzo di tutta la popolazione residente in Albania?! Un simile spopolamento non si è verificato in nessun altro paese da dove partono dei profughi: paesi che da anni sono afflitti da guerre e da conflitti armati tra varie fazioni. Oppure, giovedì scorso, 16 marzo, i due massimi rappresentanti della Commissione europea, elogiando l’operato del primo ministro e del governo albanese, si riferivano ai “successi” dei massimi rappresentanti istituzionali, governativi e locali, che in questi ultimi anni hanno fatto dell’Albania un “porto franco” dove si riciclano dei miliardi del mondo della criminalità e dei raggruppamenti occulti locali ed internazionali e altri miliardi, prodotti dalla diffusa corruzione? Basta riferirsi però ai rapporti ufficiali del Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.). oppure ai rapporti ufficiali di un’altra struttura specializzata, il FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); specializzato  nella lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita e nella prevenzione del finanziamento al terrorismo; n.d.a.). Ebbene da alcuni anni l’Albania è uno dei Paesi osservati continuamente per il riciclaggio del denaro sporco. O forse i due massimi rappresentanti della Commissione europea avevano in mente i “successi” ottenuti dal primo ministro e dai suoi “consiglieri informali privati” a corrompere alti funzionari delle istituzioni, sia oltreoceano che delle istituzioni dell’Unione europea? Uno scandalo tuttora in corso negli Stati Uniti d’America, sul quale stanno indagando due procure e due commissioni parlamentari, vede proprio coinvolto anche il primo ministro albanese. Il nostro lettore è stato informato nelle precedenti settimane di questo scandalo (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023 ecc…). Oppure i due alti rappresentanti della Commissione europea, quando parlavano di “successi”, si riferivano ai “successi” del primo ministro e/o di chi per lui a “convincere” i rappresentanti internazionali in Albania e soprattutto quei diplomatici statunitensi e dell’Unione europea della serietà e del massimo impegno del governo? Rappresentanti che, a loro volta, chissà perché, violano anche quanto previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, una realtà quella, ormai nota da anni per il nostro lettore.

    Giovedì scorso, dopo il vertice del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, il primo ministro albanese, durante la congiunta conferenza con i giornalisti ha detto senza batter ciglio: “…noi siamo molto felici oggi mentre constatiamo che le cose sono andate come previsto […] e possiamo riconstatare l’andamento [positivo] della riforma di giustizia”. Affermando, sempre senza batter ciglio, perché è abituato a mentire, che: “La riforma di giustizia ha cominciato a dare dei frutti significativi” (Sic!). Per poi aggiungere, sempre riferendosi alla riforma di giustizia e sempre senza batter ciglio: “…sono fiero che l’Albania è l’unico Paese in tutta la regione che ha fatto questo passo. Ѐ l’unico paese che ha fatto questa riforma…”. L’unica frase dove ha detto una parte della verità. Perché la vera ed intera verità è che sono state proprio le istituzioni specializzate dell’Unione europea a sconsigliare fermamente altri Paesi balcanici, Macedonia del Nord compresa, a non intraprendere e attuare una riforma del sistema di giustizia come quella attuata in Albania! Una riforma che è stata ideata, programmata ed attuata in modo tale da garantire il controllo di tutte le istituzioni del sistema direttamente dal primo ministro. Ed è proprio quello che è successo in Albania. La saggezza popolare ci insegna che la lingua batte dove il dente duole. Mentre gli psicologi ci insegnano che il subconscio svela proprio ciò che si vuole nascondere. Si, perché il primo ministro albanese vuole proprio nascondere quello che ormai è pubblicamente noto non solo in Albania. E cioè il voluto ed ottenuto fallimento della riforma del sistema di giustizia.

    Durante la stessa conferenza con i giornalisti l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea, ha detto all’inizio del suo intervento: “Sono veramente felice di essere qui in Albania”. Poi, riferendosi al processo di integrazione europea dell’Albania, ha affermato: “…Noi vediamo e diamo il nostro benvenuto al chiaro orientamento strategico dell’Albania verso l’Unione europea”. Nel seguito del suo intervento davanti ai giornalisti l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza ha detto: “Voglio ammettere e valutare chiaramente che questo Paese (Albania; n.d.a.) ha dimostrato un poderoso impegno nell’ambito delle riforme necessarie ed ha raggiunto risultati importanti, soprattutto nel campo della giustizia. L’Albania ha applicato una riforma radicale di giustizia che ha fatto passi in avanti in maniera sostenibile”. Poi, riferendosi alla presa di posizione dell’Albania in difesa dell’ordine basandosi al regolamento internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite, ha dichiarato che quel posizionamento “…ha dimostrato chiaramente la qualità dell’Albania come un partner affidabile per la sicurezza”. Si, proprio così. Mentre sempre più spesso e senza ambiguità l’Albania viene considerato dai rapporti ufficiali delle più note istituzioni specializzate internazionali, comprese quelle dell’Unione europea, come un Paese che è diventato centro del traffico e dello smistamento delle droghe che arrivano sia dall’America Latina che dai paesi orientali. Dagli stessi rapporti l’Albania risulta essere un Paese dove la criminalità organizzata collabora con il potere politico. Ma risulta altresì che la criminalità organizzata albanese ormai sta diventando molto attiva e pericolosa anche in molti altri Paesi europei ed in America Latina. Alla fine del suo intervento davanti ai giornalisti, durante la sopracitata conferenza stampa, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza ha dichiarato che era una cosa buona di sapere che “…possiamo appoggiarsi ai nostri partner, soprattutto a quelli dei Paesi candidati (all’adesione nell’Unione europea; n.d.a.) come l’Albania.”. Si tratta di paesi come l’Albania, con i quali l’Unione europea condivide “…a 100% un posizionamento comune nel campo della politica degli esteri, che è un chiaro segnale della vostra volontà europea”. Chissà che informazioni gli hanno preparato i suoi collaboratori all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza prima di venire in Albania il 16 marzo scorso? Ma una cosa è certa; dalle sue dichiarazioni risulta che lui ha fatto riferimento non alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, bensì ad una realtà virtuale, molto simile a quella che presenta sempre il primo ministro albanese e la sua potente propaganda governativa. Chissà perché?!

    Durante la stessa conferenza stampa con i giornalisti è intervenuto anche il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato. Lui ha cominciato dicendo: “Sembra che Tirana è un posto come si deve. Tirana è un posto come si deve per far venire gli europei.”. Ed era certo, dopo aver sentito il primo ministro albanese, che “…per l’Albania è proprio l’Europa la sua priorità geopolitica.”. Poi convinto il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato ha affermato, riferendosi all’Albania, che “abbiamo naturalmente visto quello che abbiamo raggiunto, quello che abbiamo raggiunto l’anno scorso. E l’anno scorso è stato un anno con tanti successi per l’Albania.”! Si, proprio così. E poi ha aggiunto impressionato: “quello che vediamo è che il progresso generale nel paese è ottimo”. E anche lui ha fatto riferimento alla riforma di giustizia. Ma nonostante tutti, non solo in Albania, si stiano convincendo sempre più, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, che si tratta di un ideato, voluto ed attuato fallimento, lui, il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato ha detto: “La riforma di giustizia sta dando dei risultati come lo vediamo […] ed incoraggiamo che l’Albania continui in questa direzione”. E rispondendo ad un giornalista, ha detto che in Albania ormai “…ogni cosa è al posto giusto.” (Sic!).

    Lo stesso giorno, il 16 marzo scorso, solo poche ore dopo la sopracitata conferenza stampa, durante un’altra conferenza stampa, i rappresentanti della Commissione per le rivendicazioni e le sanzioni presso la Commissione Centrale Elettorale hanno negato al maggior partito dell’opposizione di presentarsi come tale alle elezioni amministrative previste per il 14 maggio prossimo. Una decisione in palese violazione della Costituzione albanese e delle leggi in vigore. Un altro passo però “nella giusta direzione”, quella tanto voluta dal primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe pensa che cosa avrebbero detto i Padri Fondatori dell’Unione europea di tanta ipocrisia e irresponsabilità di alcuni rappresentanti europei, come quelli “illustri ospiti” che erano a Tirana il 16 marzo scorso. Di certo però i Padri Fondatori rispettavano i veri valori morali dell’umanità. Essi non avrebbero mai e poi mai pensato di basare la fondazione dell’Europa unita sull’ipocrisia e l’irresponsabilità dei suoi rappresentanti istituzionali e sulla “vendita d’anima” in cambio a chissà quali benefici. Purtroppo, anche adesso, dopo più di tre secoli, dobbiamo dare ragione a Molière, il quale era convinto che l’ipocrisia è un vizio alla moda e tutti i vizi alla moda passano per virtù. Come cercano di fare anche certi rappresentanti dell’Unione europea.

  • Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato

    I dittatori cavalcano avanti e indietro su tigri da cui non osano scendere.

    E le tigri diventano sempre più affamate.

    Winston Churchill

    Eraclito di Efeso era uno dei primi pensatori e filosofi della Grecia antica. Dai dati storici risulta essere vissuto tra il quinto ed il quarto secolo a.C. Ѐ stato considerato come il Pensatore oscuro da altri suoi contemporanei e dagli studiosi. Ma da diverse testimonianze dell’epoca tramandateci, risulterebbe che anche lui era convinto che il suo pensiero difficilmente potesse essere capito bene dagli altri. Il suo pensiero filosofico era stato raccolto nel libro Perì physeos (Sulla natura; n.d.a.) da lui scritto proprio mentre era in ritiro meditativo nel tempio di Artemide. Ma di quel libro, in seguito, sono rimasti solo dei frammenti, circa 130, dai quali è stato tramandato il suo pensiero filosofico. Un pensiero, quello, che è stato valutato e preso in considerazione da molti altri filosofi, fra i quali anche Aristotele e Socrate. Uno degli argomenti trattati da Eraclito di Efeso, come risulta dai frammenti pervenuti fino ai giorni nostri, è la lotta dei contrari. Per il filosofo si trattava di un rapporto incessante, di un legame ma anche di uno scontro perenne tra opposti. Per lui l’opposizione è una necessità e la realtà delle cose si manifesta attraverso una relazione tra le parti contrarie. Eraclito di Efeso era convinto che ciascun aspetto si oppone all’altro ma si sviluppa anche dall’altro. L’importanza delle opposizioni non vale solo per i fenomeni naturali. La storia, quella grande maestra, ci insegna, altresì, che le opposizioni, partendo da quelle di pensiero, ma anche quelle politiche, garantiscono lo sviluppo delle società umane. La storia ci insegna, però, che le conseguenze della mancanza di opposizione sono state sempre preoccupanti e spesso anche gravi. Quanto è accaduto, dall’antichità e fino ai giorni nostri, in diverse parti del mondo, dove le opposizioni sono state soppresse ne è una drammatica ma significativa testimonianza. La storia ci insegna che i regimi autoritari, le dittature hanno causato sempre sofferenze e privazioni. Ma la storia ci insegna anche che, in base all’universale principio della ‘lotta dei contrari’, nessun regime, nessuna dittatura è stata duratura. E per abbatterle sempre è stato necessario, se non indispensabile, la reazione contraria, la ribellione sociale. Si, perché la storia, quella grande maestra, ci insegna che nessun regime, nessuna dittatura si vince con dei processi democratici, comprese le elezioni. I regimi, le dittature si rovesciano con le sacrosante rivolte dei cittadini e poi si avviano i processi democratici, partendo da elezioni libere e pluripartitiche.

    Riferendosi ai dizionari, una dittatura viene definita come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”, mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848 nella sua opera intitolata Spirito delle leggi (De l’esprit des lois; n.d.a.). In un regime autoritario e/o in una dittatura una sola persona, il dittatore e/o chi per lui, controlla tutti i poteri e cioè quello legislativo, esecutivo e giudiziario. In questi ultimi decenni, i dittatori cercano di controllare, e spesso ci riescono, anche quello che viene definito il quarto potere, i media. Un potere che non esisteva come tale quando Montesquieu definiva il suo principio. Negli ultimi decenni si stanno evidenziando anche delle forme camuffate di dittature che usano una facciata di pluripartitismo, ma dove in realtà tutto viene controllato e condizionato dal regime. Si cerca di far credere che la Costituzione del Paese venga rispettata, mentre invece tutto è semplicemente e realmente un inganno. Questa forma di camuffamento di solito è nota anche come una frode costituzionale, un golpe bianco, ossia un ipotetico colpo di Stato senza l’uso della forza.

    Ma in questi ultimi decenni si sta affrontando anche un altro tipo di dittatura, nota ormai come la dittatura del relativismo. Una realtà spesso trascurata, ma ciò nonostante ben presente, trattata da vari studiosi. Una realtà trattata anche nell’omelia durante una Santa Messa nella Basilica di San Pietro. Era il 18 aprile 2005. All’inizio del mese, il 2 aprile, aveva lasciato questo mondo Karol Wojtyla, ossia Papa Giovanni Paolo II. E come da secolare tradizione, i cardinali dovevano eleggere il nuovo papa. Il cardinale Joseph Ratzinger, allora decano del Consiglio cardinalizio Patriarcale, ha presieduto la Messa per eleggere il nuovo Pontefice, che è stato poi eletto il giorno successivo dal Conclave. Ed è stato proprio il cardinale Ratzinger, che prese il nome Benedetto XVI. Ma durante l’omelia della Santa Messa del 18 aprile 2005, egli ha citato anche un passaggio della lettera di San Paolo ai Efesini, dove si scriveva: “Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore” (San Paolo; Lettera agli Efesini; 4, 14). Poi ha aggiunto, dicendo: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quanti modi del pensiero […] dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all’individualismo radicale, dall’ateismo ad un vago misticismo religioso, dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. In seguito l’allora cardinale Ratzinger ha fatto riferimento al relativismo, cioè a quel modo di “lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’ [che] appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni”. In seguito, convinto e perentorio egli ha ribadito: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Uno studioso, trattando il tema del relativismo e della facilità con la quale si passa da un concetto ad un altro, nonché la confusione che crea il relativismo, ha scritto che “Un’altro modo di dire della frase ‘dittatura del relativismo’, potrebbe essere la ‘tirannia della tolleranza’”.

    L’autore di queste righe, quando si tratta di dittature e delle conseguenze dell’indifferenza umana nei suoi confronti spesso si ricorda di una poesia molto significative scritta da Martin Niemöller, un noto teologo e pastore protestante tedesco, La poesia intitolata Prima vennero… tratta proprio delle conseguenze dell’indifferenza di fronte a quello che può succedere in una dittatura. Lo stesso pastore Niemöller è stato arrestato nel 1937 in seguito ad un ordine personale di Hitler, arrabbiato per un sermone del pastore. Da allora e fino al maggio 1945 è stato prigioniero in diversi campi di concentramento. Della sopracitata poesia esistono alcune versioni, a seconda dei Paesi dove veniva pubblicata. Ma l’autore, quando gli domandavano qual era la sua versione preferita, non aveva dubbi. Quella versione della poesia Prima vennero… recita così: “Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici,/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. L’autore di questa righe, riferendosi a questa poesia, ha scritto per il nostro lettore: “Sono parole che devono servire da lezione a tutti, in ogni parte del mondo e in qualsiasi periodo. Parole che dovrebbero far riflettere, per poi trarre le dovute conclusioni e agire di conseguenza. Perché, come la storia ci insegna, l’indifferenza e l’apatia, soprattutto in determinati momenti, potrebbero fare veramente male, sia alle singole persone che alle intere società. Perché i regimi totalitari e le dittature, restaurati anche grazie all’indifferenza e all’apatia umana, fanno veramente male e causano inaudite e crudeli sofferenze, sia alle singole persone, che alle intere società” (L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio; 24 giugno 2019).

    Durante questi anni il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche del restauro e del consolidamento in Albania di una nuova e pericolosa dittatura. Una dittatura sui generis che la propaganda governativa da anni cerca di camuffarla usando una facciata di pluripartitismo. Ma fatti accaduti, documentati, pubblicamente ed ufficialmente denunciati alla mano, testimoniano inconfutabilmente che si tratta di una vera e propria dittatura. Si tratta in realtà di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Il nostro lettore è stato informato, con la necessaria e dovuta oggettività, di tante conseguenze drammaticamente sofferte in questi anni dagli albanesi. Ragion per cui, nonostante in Albania non si combatte come in altri Paesi, in questi ultimi anni, dati ufficiali alla mano, circa un terzo della popolazione ha lasciato il Paese, richiedendo asilo altrove. E circa il 70% di coloro che sono andati via sono giovani. Tutto dovuto alla nuova dittatura in Albania. Una dittatura ed un dittatore che, sempre fatti accaduti alla mano, hanno fatto dell’abuso di potere e della corruzione due dei pilastri sui quali si fonda il nuovo regime. Così come sulla connivenza e la stretta collaborazione con la criminalità organizzata. Si tratta sempre di una dittatura corrotta e che corrompe, simile al suo rappresentante istituzionale, il primo ministro. Il nostro lettore è stato informato durante queste ultime settimane di uno scandalo internazionale che vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo sul quale si sta indagando attualmente negli Stati Uniti d’America (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023). Tutto rimane da seguire.

    Ma mentre tutta l’attenzione pubblica e politica era concentrata su questo scandalo, venerdì scorso la dittatura è entrata di nuovo in azione. Ed ha usato una delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana. Tre giudici di quella Corte hanno semplicemente letto una decisione scritta negli uffici governativi. Loro sono stati resi semplicemente dei miseri prestanome. Una decisione che qualsiasi corte in qualsiasi Paese dove funziona il principio della separazione dei poteri di Montesquieu, non poteva mai prendere. Una decisione che neanche uno studente di una facoltà di giurisprudenza non poteva mai e poi mai prendere in considerazione, perché sarebbe stato bocciato subito dal professore. Ma in Albania succede anche questo. In Albania il primo ministro sta cercando di annientare l’opposizione, rafforzando così la sua dittatura, ormai smascherata. Una decisione con la quale il primo ministro ha deciso di privare il maggior partito dell’opposizione dal suo diritto costituzionale di partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo.

    Chi scrive queste righe seguirà e tratterà ampiamente quanto accadrà dopo questo atto allarmante e pericoloso della dittatura in Albania. Perché si tratta veramente di un atto molto pericoloso e che potrebbe avere delle imprevedibili conseguenze. E informerà il nostro lettore come sempre, con la dovuta oggettività. Egli è convinto che in una simile situazione bisogna non dimenticare quanto scriveva Benjamin Franklin. E cioè che ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio. Chi scrive queste righe, parafrasando Wiston Churchill, pensa che il dittatore albanese sta cavalcando avanti e indietro una tigre da cui non osa scendere. E la tigre diventa sempre più affamata.

  • Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe

    Beato l’uomo che non ha peccato con le parole e non è tormentato dal rimorso dei peccati.

    Libro della Siracide; Antico Testamento; 14.1

    Così si legge nelle due prime righe del capitolo XIV del Libro del Siracide, nell’antichità noto come la Sapienza di Sirach. Un titolo che si riferisce all’autore, Giosuè di Sira (Yehoshua ben Sira; n.d.a.), vissuto nel secondo secolo avanti Cristo in Gerusalemme. Per poi proseguire, con l’affermazione che “Nessuno è peggiore di chi tormenta se stesso; questa è la ricompensa della sua malizia”. Il Libro del Siracide, è uno dei testi dell’Antico Testamento e parte integrante della Bibbia cattolica. Uno dei temi basilari della Bibbia è anche il rapporto tra quello che si semina e ciò che si raccoglie. Si tratta di un principio significativo che viene trattato spesso e sotto diversi aspetti, ma che comunemente è noto come il principio “Si raccoglie quello che si semina”. Non a caso si fa riferimento ad una delle più antiche attività dell’uomo: la semina. Un’attività quella che ha accompagnato sempre l’essere umano, dopo essere uscito da un periodo durante il quale l’uomo si nutriva per sopravvivere con quello che trovava nella natura. Ma nei diversi testi della Bibbia, sia in quelli dell’Antico Testamento, che del Nuovo Testamento, il principio “Si raccoglie quello che si semina” non si riferisce solo e soltanto a quell’antica attività della semina del terreno per raccogliere poi il prodotto che serviva per nutrirsi. Spesso si riferisce anche a delle azioni fatte dall’essere umano e le derivanti conseguenze, figurativamente considerate come “raccolte”. Nel Libro della Genesi, si racconta delle condanne proclamate da Dio alle sue due prime creature nel mondo: ad Adamo e a sua moglie. Lo stesso nome di Adamo in ebraico significa “uomo” e più in generale, “essere umano”. Dopo che, prima la moglie e poi Adamo, hanno mangiato la mela, il frutto proibito, compiendo così anche il peccato originale, Dio disse ad Adamo “…Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai! L’uomo (Adamo; n.d.a.) chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi” (Genesi; 3 – 17, 20). Ma in altri testi delle Sacre Scritture, il principio biblico “Si raccoglie quello che si semina” passa dall’uso primordiale e basilare, quello della nutrizione, ad altri significati. San Paolo scrive ai Corinzi: “Or questo dico: Chi semina scarsamente mieterà altresí scarsamente; e chi semina generosamente mieterà altresí abbondantemente” (Seconda Lettera ai Corinzi; 9/6). Per poi scrivere ai Galatei: “Non v’ingannate, Dio non si può beffare, perché ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà. Perché colui che semina per la sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, ma chi semina per lo Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Lettera ai Galati 6;7-8). Lo stesso principio e concetto biblico si trova anche in altri testi. Il re Salomone affermava che “Chi semina iniquità raccoglierà guai, e la verga della sua collera sarà annientata” (Proverbi 22: 8). Mentre il profeta Osea constatava: “…Voi avete arato la malvagità, avete mietuto l’iniquità, avete mangiato il frutto della menzogna” (Osea 10:13). Invece in tempi molto recenti, sempre riferendosi al principio biblico “Si raccoglie quello che si semina”, lo scrittore e filosofo italiano Amedeo Rotondi affermava, tra l’altro, che ‘Gli autoritari subiranno dure imposizioni” e che “I persecutori saranno a loro volta perseguitati”.

    Il principio biblico, ma non solo, secondo il quale “Si raccoglie quello che si semina” trova una concreta affermazione in queste ultime settimane anche in Albania. E si tratta del primo ministro del Paese. Di colui che, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risulta essere un autocrate corrotto e che corrompe. Ci sono tanti scandali in corso, ma anche tanti altri, messi da anni nel dimenticatoio, con la forza del potere, che coinvolgono direttamente il primo ministro albanese. Il nostro lettore è stato informato, nel corso degli anni, a tempo debito e a più riprese, di una simile realtà vissuta e sofferta. Le conseguenze di una simile realtà stanno facendo soffrire tanti albanesi, i quali, trovandosi da anni ormai nell’impossibilità di trovare lavoro, privati dalla protezione del sistema “riformato” della giustizia e rimasti senza speranza per il futuro, hanno scelto di scappare all’estero. Generando così una grave situazione, le cui conseguenze, a sua volta, si faranno sentire pericolosamente a medio e lungo termine. Ma altri fatti che stanno accadendo e si stanno rendendo pubblici in queste ultime settimane hanno messo in grosse e vistose difficoltà anche colui che ha causato tanta sofferenza. Proprio il primo ministro albanese. Colui che stia finalmente subendo le conseguenze di quello che ha precedentemente fatto. Il principio biblico “Si raccoglie quello che si semina” non fa eccezione. Il karma, concetto originario della cultura indiana, di fondamentale importanza nelle religioni buddista ed induista, sembra che si stia verificando anche per lui. E non per merito e neanche grazie al sistema “riformato” della giustizia albanese. Perché, fatti da anni accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, quel sistema è sotto il diretto e personale controllo del primo ministro albanese e/o di chi per lui. Tutto è dovuto a due diverse indagini svolte e tuttora in corso negli Stati Uniti d’America. Si tratta di indagini che si stanno effettuando, separatamente, dalla procura di Washington D.C. e da quella di New York da molti mesi. Il nostro lettore è stato informato anche di queste indagini. Il nostro lettore è stato informato tre settimane fa che “…Il 21 gennaio scorso, all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York, veniva arrestato un uomo di 54 anni, un importante ex funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.), con ventidue anni di carriera presso quell’Ufficio Federale.  […] Si tratta di colui che è stato a capo dei servizi di controspionaggio dell’FBI nella capitale statunitense fino al 2016, per poi dirigere, dall’inizio d’ottobre 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, la più importante divisione del servizio di controspionaggio con sede a New York”. In più il nostro lettore veniva informato anche che il primo ministro albanese “…nel settembre scorso, proprio riferendosi all’ex alto funzionario del FBI ormai sotto indagini, dichiarava che “il capo del controspionaggio dell’FBI è stato ed è mio amico, non si discute!”. Mentre l’ultima volta che è apparso in pubblico cinque giorni fa, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha detto che si era creato un “malinteso”. Si perché lui, il primo ministro, si era espresso in inglese e parlava di “una relazione amichevole” (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze; 30 gennaio 2023).

    Nel frattempo lo scandalo si sta allargando e tra le persone coinvolte direttamente in rapporti di “collaborazione” con l’ex alto funzionario dell’FBI, risulta esserci anche il primo ministro. Colui che, tra l’altro, sempre secondo le dichiarazioni ufficiali delle autorità giudiziarie statunitense, rese pubblicamente note, avrebbe usato la persona indagata, dietro pagamento e con delle informazioni uscite dal suo ufficio, per attivare delle attività lobbistiche contro l’opposizione politica albanese. Attività lobbistiche che poi avrebbero ricattato colui che dal 2013 e fino al 2022 aveva usurpato la direzione del più grande partito dell’attuale opposizione albanese. E sembrerebbe, sempre fatti accaduti alla mano, che quell’obiettivo fosse stato raggiunto. Dalle stesse indagini risulterebbe che insieme con il primo ministro albanese siano stati direttamente coinvolti, al suo servizio, anche un ex funzionario dei servizi segreti albanesi ed un “consigliere esterno” del primo ministro. Una persona, quest’ultima, che ha goduto da lui di un “trattamento speciale”. Una persona che ha avuto però “utili rapporti di conoscenza” anche con i dirigenti delle organizzazioni malavitose e trafficanti di stupefacenti in Messico. Rappresentanti che il “consigliere esterno” ha accompagnato nell’ufficio del primo ministro due anni fa. Lui, lo stesso “consigliere esterno” del primo ministro, ha avuto da anni anche dei “rapporti di lavoro e di rappresentanza’ con note ditte di imprenditoria in Cina e con “utili” riferimenti anche in Russia. Ultimamente il “consigliere esterno” del primo ministro albanese risulterebbe essere stato anche in “buoni rapporti di collaborazione” con il figlio dell’attuale presidente statunitense. Quanto sopra risulta dalle indagini svolte sia dalla procura della capitale statunitense, che da quella di New York e rese ufficialmente pubbliche. Così come risultano anche dalle indagini giornalistiche e dalle informazioni fondate e professionalmente verificate di giornali ed agenzie mediatiche statunitensi, tra le più note internazionalmente.

    La scorsa settimana l’autore di queste righe, sempre riferendosi allo stesso scandalo ed al diretto coinvolgimento del primo ministro albanese, continuava ad informare il nostro lettore. Tra l’altro egli scriveva “…Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti, documentati e che si stanno verificando anche in queste settimane alla mano, è riuscita a corrompere anche alcuni alti funzionari dell’FBI”. E poi in seguito aggiungeva che “…Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti alla mano, con i miliardi accumulati dalla diffusa e radicata corruzione e dallo smisurato abuso di potere riesce a corrompere anche i media e non solo in Albania”. Ma da quanto sta accadendo dal 23 gennaio scorso, forse anche da prima, bensì da sempre nuovi e importanti “dettagli investigativi” che ogni giorno che passa si stanno rendendo pubblicamente noti al vasto pubblico internazionale, nonché a quello albanese, sembrerebbe che il primo ministro albanese si sia “stranamente ammutolito”. Il nostro lettore la scorsa settimana è stato informato anche di questo. “…E ‘stranamente’ da tre settimane ormai, il primo ministro albanese è ‘scomparso’. Colui che non perdeva occasione per apparire, adesso non si presenta neanche in parlamento, nonostante gli obblighi istituzionali e le richieste ufficiali fatte dall’opposizione per chiarire la sua posizione che lo coinvolge direttamente nello scandalo insieme con il suo ‘amico’, l’ex funzionario dell’FBI, ormai sotto indagini. Chissà perché?!” (Un regime corrotto e che corrompe; 13 febbraio 2023). Ma durante questa ultima settimana i fatti pubblicamente noti e/o quelli riservati ad una ristretta e confidenziale audience sembrerebbe abbiano ulteriormente condizionato lo stato d’animo del primo ministro albanese. Anche la settimana appena passata, egli è stato quasi sempre assente, ignorando i suoi obblighi istituzionali, ma smettendo di fare anche quello che faceva sempre: apparire pubblicamente per puri e semplici motivi di propaganda. Ragion per cui le cattive lingue stanno parlando ormai sempre più di tormentose angosce di un autocrate corrotto e che corrompe. E le cattive lingue in Albania, come ben si sa, difficilmente sbagliano. Angosce e tormenti, quelli del primo ministro, che sono delle dirette conseguenze delle sue malefatte in tutti questi anni in cui ha gestito abusivamente la cosa pubblica in Albania. Di colui che, fatti accaduti alla mano, è stato, almeno istituzionalmente, il promotore ed attuatore della restaurazione e del consolidamento della nuova e pericolosa dittatura sui generis, camuffata da una parvenza di pluripartitismo. Di una dittatura in base alla quale è la pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato proprio dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e internazionale e certi raggruppamenti occulti, internazionali, ma soprattutto statunitensi. Il 20 febbraio 1991, è stata finalmente abbattuta la statua del dittatore comunista, in pieno centro di Tirana. Allora nessuno avrebbe pensato che 32 anni dopo un’altra dittatura l’avrebbe sostituita. Adesso, proprio lui, il primo ministro albanese sta subendo le inevitabili conseguenze di tutto quello che consapevolmente ha fatto. Adesso lui sta subendo le conseguenze del concetto biblico “Si raccoglie quello che si semina”.

    Chi scrive queste righe, nel suo piccolo, condivide il pensiero biblico, secondo il quale è beato l’uomo che non ha peccato con le parole e non è tormentato dal rimorso dei peccati.

  • Un regime corrotto e che corrompe

    ‘Quello che semini, raccoglierai’. La legge del Karma è inesorabile, l’evasione è impossibile.

    L’aiuto di Dio non serve quasi più, egli ha fatto la legge e poi è come se fosse uscito di scena.

    Mohandas (Mahatma) Gandhi; da “Autobiografia”

    Un regime quello restaurato e consolidato in questi ultimi anni in Albania, una nuova dittatura sui generis che, con tutti i modi, inganni e soldi compresi, cerca di camuffare la grave, preoccupante, pericolosa, vissuta e sofferta realtà. Una dittatura che cerca di nascondersi dietro una facciata di pluripartitismo. Una dittatura gestita anche da alcuni dei rampolli, diretti discendenti dei dirigenti e/o degli alti funzionari della dittatura comunista, l’attuale primo ministro e alcuni ministri compresi. Una dittatura, questa attuale, nella cui gestione sono direttamente coinvolti anche dei funzionari attivi durante il regime comunista. Si tratta di dipendenti dei famigerati servizi segreti, di inquirenti e giudici che hanno sulla coscienza tante vittime innocenti. Vittime condannate solo per inculcare paura e terrore tra la popolazione. Una dittatura, questa attuale in Albania, che sotto certi aspetti si presenta più pericolosa di quella comunista. Potrebbe sembrare strano ma, da tanti fatti accaduti, documentati, denunciati e pubblicamente noti alla mano, risulta essere una forma di organizzazione delle strutture statali, governative e del sistema della giustizia, gestita, oltre che dai massimi rappresentanti del potere politico, come accadeva durante la dittatura comunista, anche da noti rappresentanti della criminalità organizzata e di determinati raggruppamenti finanziari internazionali occulti. Soprattutto da oltreoceano. Una dittatura, questa attuale, che calpesta e viola consapevolmente, quando è necessario, la Costituzione e le leggi in vigore.

    Durante la dittatura comunista tutto si faceva “in nome della legge”. Ovviamente erano delle leggi approvate durante la dittatura e che servivano proprio per garantire quella forma di organizzazione dello Stato. Ma, almeno si sapeva cosa si poteva fare e cosa era vietato, non consentito e perciò da essere molto attenti. Perché se no, inevitabilmente, ci si doveva affrontare e poi subire diverse condanne, alcune molto severe. Invece in Albania, da qualche anno, da quando è stata restaurata la nuova dittatura sui generis, la Costituzione e le leggi in vigore si ignorano quando serve a coloro che gestiscono tutto e tutti. Mentre i cittadini, che cercano di rispettare le leggi e i loro sacrosanti diritti, sanciti dalla stessa Costituzione albanese, nonché dalle convenzioni internazionali alle quali l’Albania ha aderito, “stranamente” vengono condannati e subiscono delle punizioni di ogni genere. Attualmente in Albania, fatti accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, anche il principio della separazione dei poteri, definito maestosamente già nel 1748 da Montesquieu in una raccolta di trentadue libri messi insieme in due volumi si ignora Il suo De l’esprit des lois (tradotto in italiano come Lo spirito delle leggi; n.d.a.) è uno tra i più noti e riferiti della storia del pensiero politico. La distinta separazione del potere esecutivo da quello legislativo ed il potere giudiziario rappresenta una delle principali fondamenta di qualsiasi Paese democratico, dove funziona lo Stato di diritto, mentre in Albania il primo ministro controlla, da alcuni anni ormai e purtroppo, tutti i poteri. Avendo messo sotto personale controllo il potere legislativo e quello giudiziario, lui da alcuni mesi, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, controlla anche un’altra importante istituzione dello Stato, quella della Presidenza della Repubblica. Il nostro lettore è stato ormai informato l’estate scorsa di questa nuova conquista, o meglio usurpazione del primo ministro (Messinscene e collaborazioni occulte a sostegno di un autocrate; 25 luglio 2022). Così come è stato informato, con tutta la dovuta responsabilità ed oggettività di una simile, molto preoccupante e pericolosa realtà in Albania. Se non è un regime, una dittatura, questa che non è più una forma di organizzazione dello Stato, ma bensì e purtroppo proprio l’annientamento dello stesso Stato, allora cos’è?! E, peggio ancora, si tratta proprio di una dittatura gestita da una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dallo stesso primo ministro, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Raggruppamenti che hanno degli interessi soprattutto finanziari, di controllo dei territori, ma anche della manipolazione e del condizionamento della mente umana, per poi riuscire meglio e più facilmente ad attuare le loro strategie a medio e lungo termine. Raggruppamenti occulti che, quasi tutti, si definiscono come “liberali” e “progressisti” della sinistra. Uno di loro, il più presente e determinante in Albania, fa capo ad un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Secondo le cattive lingue è proprio quel raggruppamento, che agisce nell’ambito della società aperta e che “consiglia” e sostiene il primo ministro albanese ed altri suoi stetti collaboratori. Ed è proprio quel raggruppamento occulto che si vanta della stesura della riforma del sistema della giustizia in Albania. Una riforma quella ideata, programmata e poi attuata, dopo essere stata approvata in parlamento nel luglio 2016, per garantire proprio il controllo del sistema dal primo ministro e/o da chi per lui. Ma,dati e fatti alla mano, risulta essere altro che un successo. Risulta essere un clamoroso fallimento, se si fa riferimento agli obiettivi pubblicamente dichiarati all’inizio. Obiettivi che formalmente ed ingannevolmente si riferivano ad un giusto ed indipendente sistema di giustizia a servizio dei cittadini indifesi e dei loro innati ed acquisiti diritti. Quello che è realmente successo, però e purtroppo, dimostra senza equivoci esattamente il contrario. Il nostro lettore da anni e spesso è stato informato di quello che è accaduto con la riforma del sistema della giustizia in Albania.

    Le conseguenze dell’attivo, determinato e multidimensionale funzionamento della pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dallo stesso primo ministro, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali si stanno soffrendo da qualche anno in Albania. Ed è proprio questa la principale causa di un gravissimo fenomeno, con delle preoccupanti conseguenze a medio e lungo termine che, tra l’altro, da alcuni anni, si sta verificando in Albania. Si tratta dello spopolamento del Paese, soprattutto da parte dei giovani e delle persone istruite, ma anche di altre fasce sociali della popolazione. Come numero assoluto, i migranti albanesi in diversi Paesi europei sono tra i primi. Ma poi, se il riferimento si fa al numero complessivo della popolazione, allora gli albanesi sono senz’altro i primi nella graduatoria dei migranti. Superando anche coloro che scappano dalle guerre. Quanto sta accadendo durante questi ultimi mesi, ma anche prima, in Inghilterra ne è una inconfutabile testimonianza. Ma le conseguenze dell’attivo funzionamento della pericolosa alleanza tra il potere politico con la criminalità organizzata, locale ed internazionale, stanno diventando sempre più una seria preoccupazione anche per altri Paesi europei. Italia compresa.

    Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti e documentati alla mano, ha fatto della corruzione e dell’abuso del potere un importante pilastro ed uno dei suoi principali obiettivi strategici. Ed essendo una pericolosa alleanza con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali, che gestiscono ingenti somme di denaro, la nuova dittatura che si sta consolidando sempre più durante questi ultimi anni in Albania ha tutti i mezzi finanziari per corrompere chi serve. E non solo in Albania. Si tratta di una dittatura che tramite il suo rappresentante istituzionale, il primo ministro e/o chi per lui, è riuscita a “convincere” ed in seguito ha beneficiato ed ha fatto uso propagandistico in patria, tra l’altro, dei servizi da parte di alti funzionari delle istituzione dell’Unione Europa. Il nostro lettore è stato informato da anni e spesso anche di questa realtà (Patti con Satana e irritanti bugie, 3 giugno 2019; Il vertice di Berlino, 6 maggio 2019; Che possano servire di lezione, 26 novembre 2018; Operato abominevole e dannoso, 23 luglio 2018; Soltanto per merito, 23 aprile 2018; Di nuovo falsità e fandonie da Bruxelles, 26 marzo 2018; Irresponsabili falsità e fandonie da Bruxelles, 11 dicembre 2017; Era troppo presto per dimenticare, 6 marzo 2017; Ciarlatani e corrotti di alto livello istituzionale; 19 dicembre 2022 ecc..).

    Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti, documentati e che si stanno verificando anche in queste settimane alla mano, è riuscita a corrompere anche alcuni alti funzionari dell’FBI (Federal Bureau of Investigation – Ufficio Federale d’Investigazione n.d.a.), una delle più importanti istituzioni degli Stati Uniti d’America, costituita nel lontano 1908. Secondo gli annunci ufficiali resi pubblici dalle autorità statunitensi che stanno indagando, ma anche da molte credibili e ben informate fonti mediatiche statunitensi ed europee, si tratta di uno scandalo clamoroso internazionale, che coinvolge direttamente anche il primo ministro albanese. Si tratta di uno scandalo tuttora in corso, che si arricchisce ogni giorno che passa di ulteriori dettagli. Il nostro lettore è stato informato di questo scandalo due settimane fa. Al centro di questo scandalo c’è un ex alto funzionario dell’FBI, arrestato il 21 gennaio scorso. Si tratta di colui che è stato a capo dei servizi di controspionaggio dell’FBI a Washingotn D.C. fino al 2016. In seguito ha diretto, dall’inizio d’ottobre 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, la più importante divisione del servizio di controspionaggio con sede a New York. Il nostro lettore veniva informato due settimane fa anche dei rapporti tra l’ex alto funzionario dell’FBI ed il primo ministro albanese. Quest’ultimo, parlando di questi rapporti dichiarava nel settembre scorso che “lui, il capo del controspionaggio dell’FBI è stato ed è mio amico, non si discute!”. Ma poi, dopo l’arresto del suo “amico”, lo stesso primo ministro, in vistose difficoltà, ha parlato di “malintesi”. Si perché lui, il primo ministro si era espresso in inglese e parlava di “una relazione amichevole” (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze; 30 gennaio 2023).

    Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti alla mano, con i miliardi accumulati dalla diffusa e radicata corruzione e dallo smisurato abuso di potere riesce a corrompere anche i media e non solo in Albania. Si tratta di una dittatura pericolosa che tramite il suo rappresentante istituzionale, il primo ministro e/o chi per lui, sempre fatti accaduti alla mano, risulterebbe di aver corrotto e beneficiato, tra l’altro, anche dei servizi di non pochi media europei e di oltreoceano. Compresi alcuni dei media in Italia. Tutto grazie a delle attività lobbistiche di determinati organizzazioni di “orientamento progressista di sinistra radical chic. E tutto ciò per “pulire la faccia sporchissima” del primo ministro che adesso ha più “ragioni” per riuscire, costi quel che costi, a rimanere al potere. Non solo per abusare, ma anche e soprattutto per proteggere se stesso dalle indagini che lo vedono direttamente coinvolto. Ovviamente non in Albania, perché il sistema “riformato” della giustizia non oserebbe mai neanche pensare di indagare il primo ministro. Ma si tratta di altre indagini che si stanno svolgendo in altri Paesi, comprese quelle due sopracitate, ormai in corso negli Stati Uniti d’America. E “stranamente” da tre settimane ormai, il primo ministro albanese è “scomparso”. Colui che non perdeva occasione per apparire, adesso non si presenta neanche in parlamento, nonostante gli obblighi istituzionali e le richieste ufficiali fatte dall’opposizione per chiarire la sua posizione che lo coinvolge direttamente nello scandalo insieme con il suo “amico”, l’ex funzionario dell’FBI, ormai sotto indagini. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe è convinto che quello albanese è realmente un pericoloso regime corrotto e che corrompe. Ma prima o poi i veri responsabili ne pagheranno anche le conseguenze, primo ministro compreso. Anzi, lui per primo. Si, perché, come ne era convinto Mohandas Gandhi: “‘Quello che semini, raccoglierai’. La legge del Karma è inesorabile, l’evasione è impossibile. L’aiuto di Dio non serve quasi più, egli ha fatto la legge e poi è come se fosse uscito di scena”.

  • Preoccupanti e pericolosi poteri occulti in azione

    La passione per il potere è insita nella maggior parte degli uomini

    ed è naturale abusarne una volta acquisito

    Alexander Hamilton

    Era l’11 aprile 2019. A Casa Santa Marta in Vaticano si svolgeva il ritiro spirituale di due giorni per la riconciliazione in Sud Sudan. Un ritiro “Per la pace” nel quale erano presenti oltre all’attuale presidente del Paese, anche il vice presidente ed i tre vicepresidenti designati, nonché gli otto membri del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan. Diventato Stato indipendente il 9 luglio 2011, è però, dal dicembre del 2013, un Paese logorato dai continui conflitti etnici. Conflitti che hanno causato alcune centinaia di migliaia di vittime e tantissime crudeltà subite e sofferte dalla popolazione. Il Sud Sudan era e purtroppo tuttora è un Paese dove si incrociano molti interessi economici internazionali che mirano allo sfruttamento del ricco sottosuolo con petrolio e minerali molto richiesti dal mercato. Ragion per cui il Sud Sudan era ed è tuttora, però e purtroppo, anche un Paese dove si verificano dei preoccupanti e pericolosi abusi di potere, locali ed internazionali. Papa Francesco, l’11 aprile 2019, rivolgendosi ai partecipanti al ritiro “Per la pace” nel Sud Sudan, ha detto: “Non mi stancherò mai di ripetere che la pace è possibile!”. E poi si è inginocchiato davanti al presidente e al suo avversario, il vicepresidente ed ha baciato anche i loro piedi. Un gesto spontaneo, quello di Papa Francesco, che rimarrà impresso nella memoria collettiva.

    Dopo diversi rinvii per motivi di sicurezza o di salute, la scorsa settimana, dal 31 gennaio fino al 5 febbraio, Papa Francesco è andato prima in Congo e, da li, in Sud Sudan. Durante la sua visita di tre giorni nella Repubblica Democratica del Congo Papa Francesco ha avuto modo di ascoltare da alcune delle vittime molte testimonianze dirette di inaudite crudeltà. Il Paese è stato dilaniato dagli scontri armati. Soprattutto quelli scoppiati dal maggio del 1997 e durati per alcuni anni. Durante quel periodo si valuta che ci siano stati circa quattro milioni di morti, vittime di un micidiale conflitto armato che, secondo gli analisti, risulterebbe essere stato il più grande dopo la seconda guerra mondiale. Papa Francesco ha ascoltato, durante l’incontro nella sala della rappresentanza pontificia a Kinshasa, delle testimonianze di orrori e di tanta brutalità subita dalla popolazione indifesa durante lunghi anni di scontri etnici e di altre ingerenze occulte e pericolose di gruppi di interesse internazionali. Interessi tuttora attivi che si concentrano sulle tanto appetibili risorse naturali del Paese. Risorse che si trovano soprattutto nella parte meridionale, ricca di giacimenti di minerali, di diamanti e di petrolio, molto richiesti dai mercati internazionali. Come anche in Sud Sudan, con il quale il Congo confina a nord.

    Il 1 febbraio scorso è stato proclamato giorno di festa nazionale proprio per onorare l’arrivo di papa Francesco in Congo. Commosso da tutto quello che ha ascoltato dalle testimonianze delle vittime, Papa Francesco ha detto: “Davanti alla violenza disumana che avete visto con i vostri occhi e provato sulla vostra pelle si resta scioccati”. Ma il Papa ha parlato anche del “…sanguinoso, illegale sfruttamento della ricchezza di questo Paese” e dei “…tentativi di frammentarlo per poterlo gestire”. Aggiungendo perentorio che “Riempie di sdegno sapere che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi”. Era convinto però il Santo Padre che “…è la guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione”. Ma era soprattutto una frase pronunciata da Papa Francesco, una lucida constatazione, che per l’autore di queste righe è molto significativa. Il Pontefice è stato diretto e perentorio dicendo: “Che scandalo e che ipocrisia! La gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!”. E poi ha aggiunto, sempre riferendosi a tutti coloro che sono i diretti responsabili e colpevoli di queste atrocità: “…Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti”.

    Dal Congo Papa Francesco è arrivato il 3 febbraio scorso in Sud Sudan. Come sopracitato, anche quello è un Paese colpito e sofferente per i continui conflitti etnici e per la povertà diffusa. E come in Congo, anche nel Sud Sudan sono presenti ed in azione dei preoccupanti e pericolosi poteri occulti internazionali. Sono interessi economici per le tante ricchezze del sottosuolo del Paese che contendono la gestione di quei giacimenti minerari e di petrolio. Da quel 9 luglio 2011, giorno in cui divenne uno Stato indipendente ad oggi, il Sud Sudan è, purtroppo, un Paese profondamente colpito da una lunga e sanguinosa guerra civile e da una diffusa povertà che causa fame. Non sono valsi a niente neanche gli accordi di pace del 2018. E neanche le aspettative, dopo il sopracitato ritiro “Per la pace”, di costituire un governo di alleanza nazionale previsto allora per maggio 2019. Una simile realtà ha generato anche un inevitabile flusso migratorio. Secondo le valutazioni delle istituzioni specializzate internazionali, risulterebbe che durante questi anni siano stati almeno quattro milioni gli sfollati nel Sud Sudan. Al suo arrivo a Giuba, capitale del Paese, Papa Francesco, accompagnato dall’arcivescovo anglicano di Canterbury e dal moderatore della Chiesa di Scozia, ha incontrato il presidente sudsudanese. Lo stesso che aveva incontrato l’11 aprile 2019 a Casa Santa Marta in Vaticano. Proprio colui di fronte al quale quel giorno Papa Francesco si era inginocchiato ed aveva baciato il piede, chiedendogli la pacificazione del Paese. Rivolgendosi a lui il Pontefice ha detto: “…È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. […] È tempo di un cambio di passo!”. Ed è proprio tempo per dare finalmente la possibilità al “Paese fanciullo”, come ha chiamato Papa Francesco il Sud Sudan, di passare “…dalla inciviltà dello scontro alla civiltà dell’incontro”. È tempo di riuscire finalmente ad impegnarsi seriamente anche nella lotta contro la corruzione e l’arrivo e traffico delle armi.

    Domenica, il 5 febbraio, Papa Francesco ha presieduto la Santa Messa nel Mausoleo “John Garang” a Giuba. In seguito nell’aereo, durante il volo di ritorno a Roma, egli, insieme con l’arcivescovo anglicano di Canterbury ed il moderatore della Chiesa di Scozia, ha risposto alle domande dei giornalisti. Rispondendo ad un giornalista sulla realtà nel Congo, il Pontefice ha detto che “c’è questa idea: l’Africa va sfruttata. Qualcuno dice, non so se è vero, che i Paesi che avevano colonie hanno dato l’indipendenza dal pavimento in su, non sotto, vengono a cercare minerali. Ma l’idea che l’Africa è per sfruttare dobbiamo toglierla”. Un altro giornalista era interessato a sapere cosa si potrebbe fare per impedire la continua e palese violazione delle leggi internazionali, come accade in Sud Sudan, ma anche in altri Paesi africani. Papa Francesco è convinto che bisogna impedire la vendita delle armi perché, come egli ha ribadito, “nel mondo questa è la peste più grande”. Aggiungendo però convinto che “… è anche vero che si provoca la lotta fra le tribù con la vendita delle armi e poi si sfrutta la guerra di ambedue le tribù. Questo è diabolico!”. Rispondendo ad un altro giornalista, il Pontefice ha parlato anche della gravità e delle preoccupanti conseguenze di tante guerre in corso in diverse parti del mondo. Per lui non c’è soltanto la guerra in corso in Ucraina. “Da dodici-tredici anni la Siria è in guerra, da più di dieci anni lo Yemen è in guerra, pensa al Myanmar […] Dappertutto, nell’America Latina, quanti focolai di guerra ci sono! Sì, ci sono guerre più importanti per il rumore che fanno, ma, non so, tutto il mondo è in guerra, e in autodistruzione. Dobbiamo pensare seriamente: è in autodistruzione!” ha detto Papa Francesco. Poi un giornalista ha fatto riferimento a quello che egli ha denominato come la “globalizzazione dell’indifferenza”. A lui il Pontefice ha risposto convinto: “C’è dappertutto la globalizzazione dell’indifferenza”. E poi ha continuato, aggiungendo: “Pensare che le fortune più grandi del mondo sono nelle mani di una minoranza. E questa gente non guarda le miserie, il cuore non gli si apre per aiutare”. Perciò bisogna conoscere le specifiche realtà, visitando diversi paesi nel mondo. Papa Francesco ha ricordato anche il primo suo viaggio apostolico in Europa. Il 21 settembre 2014 andò in Albania che era “il Paese che ha sofferto la dittatura più crudele, più crudele, della storia”.

    In realtà quella visita in Albania ha attirato l’attenzione mediatica internazionale. Ha suscitato speranze anche tra gli albanesi. Il Papa ha incontrato le massime autorità istituzionali e quelle religiose. Ha incontrato anche il primo ministro che da un anno aveva cominciato il suo primo mandato come tale. Colui che attualmente sta esercitando il suo terzo mandato. Chissà cosa ha detto lui al Pontefice? Di certo però non ha parlato di quello che aveva in mente di fare e che poi, nel corso di questi anni, ha veramente fatto. E lo aveva dichiarato al Parlamento un anno prima, nel settembre 2013. Rivolgendosi ai deputati dell’opposizione, il primo ministro aveva dichiarato con tanta enfasi: “Voi non avete visto ancora niente!”. Purtroppo, in realtà quello che aveva fatto fino al 2013 non era niente in confronto a quello che il primo ministro albanese ha fatto durante questi anni. Il nostro lettore ha avuto modo di essere continuamente informato del suo operato, con tutta la dovuta ed obbligatoria oggettività, fatti alla mano. Sono stati lui ed i suoi stretti collaboratori che hanno diffuso sul tutto il territorio nazionale la coltivazione della cannabis, per poi trafficare il prodotto. Una realtà questa che ha messo in allarme le istituzioni specializzate internazionale e che ha sconvolto il mercato degli stupefacenti. Lo ha fatto coinvolgendo direttamente il ministro degli Interni, il quale ha garantito il diretto coinvolgimento delle strutture della polizia di Stato. Una realtà quella che continua. Il nostro lettore è stato informato, a più riprese e a tempo debito, anche di questo. Così come è stato molto spesso informato soprattutto del restauro e del consolidamento di una nuova dittatura sui generis in Albania. Il nostro lettore è stato molto spesso informato anche della costituzione di un’alleanza pericolosa capeggiata, almeno formalmente, dal primo ministro. Un’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti, anche quelli locali ed internazionali. Il nostro lettore è stato spesso informato, fatti documentati e denunciati alla mano, della galoppante corruzione che sta divorando sempre più la cosa pubblica in Albania, mentre la povertà si sta diffondendo sempre più in tutto il Paese. Ragion per cui si sta verificando, da alcuni anni ormai, un preoccupante spopolamento del paese. Come nel Sud Sudan ed in altri paesi dove da anni, pero, sono attivi scontri armati tra diverse etnie. Anche di questo il nostro lettore è stato informato. Così come è stato spesso informato del clamoroso abuso di potere, partendo proprio dal primo ministro e dai suoi più stretti collaboratori. Il nostro lettore è stato informato durante questi anni del fallimento ideato, programmato ed attuato della riforma del sistema della giustizia in Albania. Un fallimento che ha avuto il supporto dei “rappresentanti internazionali” in Albania e di alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato del diretto coinvolgimento del primo ministro albanese in uno scandalo internazionale tuttora in corso (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze; 30 gennaio 2023). Ovviamente lui, bugiardo ed ingannatore innato qual è, ha detto tutt’altro a Papa Francesco durante il loro sopracitato incontro nel settembre 2014.

    Chi scrive queste righe è convinto che in molti Paesi del mondo, compresi il Congo e il Sud Sudan, ma anche l’Albania, si stanno verificando delle presenze di preoccupanti e pericolosi poteri occulti in azione. Poteri che abusano, sfruttando la disponibilità dei politici corrotti. È vero, la passione per il potere è insita nella maggior parte degli uomini ed è naturale abusarne una volta acquisito. Come sta facendo da anni irresponsabilmente e spudoratamente anche il primo ministro albanese.

  • Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze

    L’unica cosa da cui non puoi sottrarti sono le conseguenze delle tue azioni.

    Isabelle Holland

    Il karma è una parola usata ormai in diverse lingue e in diversi contesti, Si tratta di una parola ereditata e acquisita dal sanscrito, una delle lingue più antiche del mondo parlata dalle popolazioni della penisola indiana. Karman, ossia karma, è una parola che rappresenta ed esprime uno dei concetti basilari della filosofia e della religione buddista e di quella induista. Il suo significato in italiano viene definito dai dizionari. Riferendosi al Grande dizionario italiano Hoepli la parola karma nelle religioni indiane significa “…il frutto delle azioni compiute da un essere vivente nel corso delle precedenti vite, che determina il destino della vita successiva”. Mentre per il dizionario Treccani la parola karma è un termine che “…nella religione e filosofia indiana indica il frutto delle azioni compiute da ogni vivente, che influisce sia sulla diversità della rinascita nella vita susseguente, sia sulle gioie e i dolori nel corso di essa”. Lo stesso dizionario precisa, altresì, che viene usata come sinonimo di destino “concepito però non come forza arcana e misteriosa, ma come complesso di situazioni che l’uomo si crea mediante il suo operato”. In realtà questo è il significato della parola karma nelle lingue comunemente usate attualmente. Anche nella lingua italiana. Normalmente perciò, viene usata per esprimere le conseguenze delle azioni, dell’operato delle persone, che si basano sul principio di “causa – effetto”. In un contesto più vasto, la parola karma viene usata per indicare che qualsiasi azione, qualsiasi atto, consapevole o involontario che noi compiamo ha ed avrà sempre e comunque delle inevitabili conseguenze che potrebbero riguardare e coinvolgere, nel bene e nel male, oltre a noi stessi, anche altre persone. Bisogna sottolineare che, non di rado ed erroneamente, la parola karma viene usata per esprimere una specie di fatalismo. Nella lingua italiana, ma anche in altre lingue, c’è un detto secondo il quale il karma è una puttana che agisce sul lungo termine. Un detto che viene usato per attirare e focalizzare l’attenzione sulle conseguenze, quelle non gradevoli, ma anche gravi, delle azioni e opere fatte.

    Il 21 gennaio scorso, all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York, veniva arrestato un uomo di 54 anni, un importante ex funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.), con ventidue anni di carriera presso quell’Ufficio Federale. Era appena ritornato da un viaggio in Sri Lanka. Si tratta di colui che è stato a capo dei servizi di controspionaggio dell’FBI nella capitale statunitense fino al 2016, per poi dirigere, dall’inizio d’ottobre 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, la più importante divisione del servizio di controspionaggio con sede a New York. Si tratta di colui che, a capo della divisione di New York e responsabile per le attività di controspionaggio sulla Russia, ha coordinato anche le indagini sugli oligarchi russi. Ma nonostante ciò lui, guarda caso, non si era accorto proprio delle ingerenze degli agenti russi sul processo delle elezioni presidenziali dell’8 novembre 2016 negli Stati Uniti d’America. Ingerenze scoperte ed evidenziate solo dopo le elezioni, a risultato dichiarato ufficialmente, dalla stessa FBI. Bisogna sottolineare che il 31 ottobre 2016, a quasi un mese dalla nomina dell’ex alto funzionario dell’FBI a capo della divisione di controspionaggio di New York, ormai sotto indagini, veniva pubblicato un articolo dal New York Times che si riferiva a fonti interne e credibili dell’FBI. In quel articolo, secondo le informazioni assicurate dal giornale, si affermava che l’FBI non aveva trovato alcun legame evidente tra il vincitore delle elezioni e la Russia.

    L’ex capo della divisione di New York dei servizi di controspionaggio sulla Russia dal 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, arrestato il 21 gennaio scorso dopo la richiesta congiunta delle autorità di Washington e di New York, adesso deve rispondere a diverse accuse. Una è quella di aver ricevuto denaro da un noto e potente oligarca russo, molto vicino al presidente russo, magnate dell’industria dell’alluminio e titolare di diverse altre attività molto redditizie. Quell’oligarca è stato inserito in un elenco, insieme con altri oligarchi molto vicini al presidente russo, di persone soggette a severe sanzioni poste, dal 2018, dalle autorità statunitensi. In più deve rispondere all’accusa di aver cospirato con un cittadino russo naturalizzato statunitense per fornire dei servizi al sopracitato oligarca russo. Proprio per quella ragione lo Stato di New York ha messo sotto accusa il capo della divisione newyorchese di controspionaggio dal 2016 al 2018 per avere violato le sanzioni poste dal governo federale degli Stati Uniti d’America a determinati oligarchi russi e di essere stato impegnato personalmente nel riciclaggio di denaro. Un’altra accusa alla quale deve rispondere l’ormai ex alto funzionario dell’FBI è quella di aver ricevuto 225.000 dollari, non dichiarati, da un ex agente dei servizi segreti albanesi. In più l’ex alto funzionario dell’FBI viene accusato di aver svolto attività lobbistiche, richieste dal primo ministro albanese contro un altro partito politico albanese. Tutto fa pensare che si tratterebbe di un partito avversario. Il che dimostrerebbe come il primo ministro albanese da anni stia cercando di controllare anche i partiti dell’opposizione. Un fatto questo ormai noto anche per il nostro lettore. In più l’ex alto funzionario dell’FBI viene accusato anche di non avere dichiarato alcuni dei suoi spostamenti ed incontri all’estero e di non avere dichiarato nessuna somma di denaro e/o regali ricevuti. Un obbligo noto per tutti i dipendenti dell’FBI, nonostante il rango istituzionale. Secondo le indagini delle autorità competenti dello Stato di New York, l’ex alto funzionario dell’FBI è stato in Albania diverse volte non solo dopo il 2018, quando è andato in pensione, ma anche quando era ancora in servizio. Durante quei viaggi ha incontrato spesso anche il primo ministro. Dalle indagini risulta che loro due si sono incontrati anche negli Stati Uniti. E non ha dichiarato niente. Mentre, riferendosi alle indagini svolte dalle autorità competenti a Washington DC, si stanno esaminando i tanti viaggi dell’ex alto funzionario dell’FBI in diversi Paesi europei e nei Balcani occidentali, soprattutto in Albania. Bisogna sottolineare che nelle dichiarazioni ufficiali delle autorità statunitensi ad ora rese pubbliche su questo scandalo tuttora in corso l’unico ad essere citato, per ben 14 volte, è il primo ministro albanese. Bisogna altresì sottolineare che, guarda caso, l’oligarca russo, con il quale da tempo collaborava l’ex alto funzionario dell’FBI, ormai sotto accusa, ha cercato di influenzare, in accordo con l’attuale presidente russo, anche gli sviluppi politici in Ucraina nel 2014, appoggiando l’allora presidente ucraino, molto legato alla Russia. E, guarda caso, l’oligarca russo, insieme con l’ex alto funzionario dell’FBI hanno registrato ufficialmente, da alcuni anni, delle attività di impresa e di consulenza in Albania.

    L’arresto, il 21 gennaio scorso, all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York, di un importante ex funzionario dell’FBI, è stato reso pubblicamente noto all’inizio della scorsa settimana. Da allora tutti i media negli Stati Uniti d’America hanno quotidianamente trattato ed informato il vasto pubblico statunitense, ma non solo, dello scandalo in cui sono stati coinvolti, oltre all’ex alto funzionario dell’FBI ed alcuni suoi colleghi, ormai fuori servizio, anche un noto oligarca russo, il primo ministro albanese, un ex agente dei servizi segreti albanesi, un “consigliere esterno” del primo ministro albanese che ha “sponsorizzato” alcuni viaggi della persona indagata, ma non solo, nonché dei “benefici” ad altre persone. Si tratta di collaborazioni occulte, di accuse pesanti a carico non solo dell’ex alto funzionario dell’FBI. E in attesa della fine delle indagini tuttora in corso, che si stanno svolgendo parallelamente sia dalle autorità competenti a Washington DC che a New York, molto probabilmente potrebbero risultare anche gravi conseguenze per alcune delle persone sopracitate e per altri ancora.

    Ovviamente la notizia di questo scandalo intercontinentale è stata resa pubblica anche in Albania. In  questi giorni sono state tante le reazioni politiche forti da parte dei massimi rappresentanti dell’opposizione. Sono state numerose anche le analisi critiche e piene di fatti ormai noti, ma anche nuovi dettagli che riguardano le persone nominate nelle indagini statunitense. Sono trattati anche i legami del primo ministro soprattutto con il suo “consigliere esterno”, che ha, tra l’altro, delle attività imprenditoriali anche con i cinesi. Colui che circa due anni fa portava nell’ufficio del primo ministro dei rappresentanti del più noto gruppo messicano dei narcotrafficanti. Colui che appare spesso accanto al primo ministro in diverse attività ufficiali. Compresa anche la visita del primo ministro, il 15 giugno scorso in Ucraina e l’incontro con il presidente ucraino. Il “consigliere esterno” era sempre li, accanto al primo ministro. Come mai e chissà perché?!

    Nel frattempo e per cinque giorni consecutivi il primo ministro non si è fatto vivo. Niente, nessuna dichiarazione, nessun “cinguettio” in rete. Niente. Poi finalmente lunedì ha messo in rete un video con il quale “confidava” che era stato con una forte influenza stagionale. Chissà se ha detto la verità? Soprattutto lui che mente sempre. Ma nello stesso video ha detto che, comunque, anche in questi giorni aveva lavorato con la sua squadra di ministri e di collaboratori per portare avanti delle “iniziative” a favore dei cittadini (Sic!). Questa si che era una notizia! Da lui che da quando ha cominciato il suo primo mandato da primo ministro nel 2013 ha fatto poco o niente per i cittadini. Strano però che non abbia detto niente durante questi giorni di “belle notizie”, forse però aveva la voce rauca per l’influenza. Ma almeno un “cinguettio” lo poteva fare. Anche perché nel frattempo le gravi notizie sulle collaborazioni occulte con l’ex alto funzionario del FBI stavano prendendo tutto lo spazio mediatico ed avevano suscitato molte discussioni e dibattiti. Le cattive lingue dicono però che aveva ben altro e non l’influenza. Era succube e tuttora lo è delle sue buie angosce dovute alle notizie che arrivano da oltreoceano.

    E parlando di amici, nel settembre scorso, proprio riferendosi all’ex alto funzionario del FBI ormai sotto indagini, dichiarava che lui “il capo del controspionaggio dell’FBI è stato ed è mio amico, non si discute!”. Mentre l’ultima volta che è apparso in pubblico cinque giorni fa, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha detto che si era creato un “malinteso”. Si perché lui, il primo ministro si era espresso in inglese e parlava di “una relazione amichevole”. La fata turchina diceva a Pinocchio che le bugie hanno il naso lungo o le gambe corte. E le bugie del primo ministro albanese hanno le gambe cortissime. Perché le registrazioni delle sue dichiarazioni fatte nel settembre scorso erano tutte ed interamente in albanese. Ma lui comunque mente, mente ed inganna come se niente fosse. Semplicemente per oltrepassare delle situazioni di imbarazzo, di difficoltà come questa che lo sta mettendo in una molto difficile situazione. E non si sa cosa accadrà con le indagini in corso e quali potrebbero essere le conseguenze anche per il primo ministro albanese.

    Il karma è una puttana che agisce sul lungo termine, recita il detto popolare. Il vero significato del detto si sta verificando adesso proprio sul primo ministro albanese. Lui sta subendo le conseguenze di quanto ha fatto durante tutti questi anni. Usando solo la prima parte di questo detto egli stesso ha fatto una gaffe due settimane fa al vertice di Davos, rivolgendosi alla Presidente del Parlamento europeo (Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali; 23 gennaio 2023).

    Chi scrive queste righe pensa cosa avrebbero raccontato le mura dell’ufficio del primo ministro albanese se avessero avuto orecchie e bocca. Adesso lui deve capire  che, come affermava Isabelle Holland, “l’unica cosa da cui non puoi sottrarti sono le conseguenze delle tue azioni”.

  • Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali

    Chi nasce tondo non può morire quadrato.

    Proverbio  

    Era il 9 dicembre scorso quando ebbe inizio quello che subito dopo è stato denominato Qatargate. Una somiglianza verbale con il ben noto scandalo Watergate, riferito alla seconda parte della parola. Proprio quello che scoppiò negli Stati Uniti d’America nel 1972 e che riguardava le intercettazioni illegali alla vigilia delle elezioni presidenziali del 7 novembre 1972, mentre Qatargate ha a che fare con l’emirato arabo del Qatar. Uno Stato, quello, situato su una piccola penisola sul golfo persico. Un piccolo Paese che fino ad un centinaio di anni fa era popolato da pescatori di perle ed allevatori di cammelli, ma che, dopo le scoperte delle enormi riserve di petrolio e soprattutto di gas, all’inizio del secolo passato, divenne un territorio di grande interesse per degli investimenti occidentali. Attualmente il Qatar rappresenta uno dei Paesi più importanti nel mondo per l’approvvigionamento di gas. Dati alla mano, il Qatar rappresenta il primo esportatore globale di gas naturale con circa il 14% delle riserve mondiali. Ragion per cui è anche un Paese molto ricco. Ma è altresì un Paese dove si ignorano e si calpestano i basilari diritti civili e quelli dei lavoratori. Sono stati a migliaia i migranti morti mentre lavoravano per la costruzione degli stadi per il campionato mondiale di calcio. E proprio per cancellare quella brutta e vergognosa immagine sembrerebbe che siano stati versati ingenti somme di denaro per pagare l’appoggio dell’Unione europea e di singoli Stati occidentali. Ma non è solo la documentata violazione dei diritti civili e dei lavoratori che il Qatar ha cercato di “offuscare” con pagamenti milionari fatti ad importanti rappresentanti istituzionali. C’è anche la proposta che riguarda l’esenzione di visti per i cittadini dell’emirato di viaggiare liberamente in Europa. Ragion per cui il Qatar ha cercato in questi ultimi anni di assicurare l’appoggio a suo favore influenzando con finanziamenti occulti ed attività lobbistiche le decisioni delle istituzioni dell’Unione europea. Lo scandalo Qatargate, reso pubblico dal 9 dicembre scorso, è tuttora in corso. E da allora ci sono stati ulteriori sviluppi nelle indagini condotte dalla procura belga. Indagini che potrebbero portare ad altri coinvolgimenti, sia di persone influenti nell’ambito delle istituzioni europee e/o di altre organizzazioni, che di mandanti e finanziatori di attività lobbistiche. Finora, dalle indiscrezioni mediatiche risulterebbe che un altro Paese, il Regno del Marocco, potrebbe aver finanziato, con ingenti somme, delle decisioni prese a suo favore dalle istituzioni dell’Unione europea. L’accordo tra l’Unione europea e il Marocco sulla pesca, approvato nel 2019, è stato in seguito rifiutato dalla Corte europea perché in quell’accordo si includevano, come parte integrante del territorio del Regno di Marocco, anche territori del Sahara occidentale, contestati da altri. Un buon e convincente motivo perché si possano versare dei milioni però.

    L’autore di queste righe, riferendosi allo scandalo Qatargate, scriveva alcune settimane fa per il nostro lettore che si trattava di “…Uno scandalo tuttora in corso, nell’ambito del quale sono state arrestate alcune persone. Tra le quali anche la vice presidente del Parlamento europeo ed un ex eurodeputato italiano. Quest’ultimo è, dal 2019, anche il fondatore di una ONG (organizzazione non governativa; n.d.a.) il cui nome è Fight Impunity (Combattere l’Impunità; n.d.a.). Un nome che è tutto un programma! E chissà perché nel consiglio dei membri onorari dell’organizzazione, cioè dei garanti, hanno fatto parte, fino al 10 dicembre scorso, diverse persone note ed ancora influenti, alcune delle quali anche ex commissarie della Commissione europea.” (Ciarlatani e corrotti di alto livello istituzionale; 19 dicembre 2022). La scorsa settimana, il 17 gennaio, proprio l’ex eurodeputato italiano e fondatore della ONG Fight Impunity ha firmato con il procuratore che sta seguendo in Belgio le indagini su Qatargate un memorandum, dichiarandosi pentito e perciò anche collaboratore di giustizia. In base a quanto prevede la legge belga, adesso lui si impegna perciò “a informare la giustizia e gli inquirenti in particolare sul modus operandi, gli accordi finanziari con Stati terzi, le architetture finanziarie messe in atto, i beneficiari delle strutture messe in atto e i vantaggi proposti, l’implicazione delle persone conosciute e di quelle ancora non conosciute nel dossier, ivi inclusa l’identità delle persone che ammette di aver corrotto”. Chissà cosa avrà da dichiarare ed informare l’ex eurodeputato pentito e collaboratore di giustizia? Si sa però che con quella sua decisione, dal 17 gennaio scorso, altre persone non sono più tranquille, essendo in vari modi coinvolte in attività che hanno beneficiato di finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali, abusando dei loro obblighi istituzionali.

    Il 18 gennaio scorso, il gruppo parlamentare dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici ha ufficializzato una sua richiesta al Parlamento europeo. Essendo presa in considerazione quella richiesta, il Parlamento europeo chiede, a sua volta, lo svolgimento di “…un’indagine indipendente e imparziale sul Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato”. In più si prende in considerazione il fatto che il Commissario europeo potrebbe aver violato il Codice di condotta dei membri della Commissione europea durante il suo operato nei Balcani occidentali. Ragion per cui la richiesta fatta è stata inclusa nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune. E proprio nel pomeriggio del 18 gennaio scorso, l’Assemblea plenaria del Parlamento europeo ha adottato quel rapporto con 407 voti a favore, 92 contrari e 142 astenuti. In quel rapporto, tra l’altro, si evidenziava che “…il Parlamento europeo rimane profondamente preoccupato per le notizie secondo cui il Commissario per l’Allargamento cerca deliberatamente di agitare e minare la centralità delle riforme democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi in via di adesione all’Unione europea”. E si fa espressamente riferimento al comportamento del Commissario nel caso della crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina all’inizio dell’anno scorso. Da sottolineare che il Paese è uno di quelli candidati dei Balcani occidentali. Ma per l’Unione europea, e non solo, da più di un anno, il comportamento ufficiale ed i rapporti di dichiarata amicizia con la Russia del presidente della Republika Srpska (Repubblica serba; n.d.a.), che è una delle due entità statali in Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza serba, sta preoccupando le istituzioni dell’Unione europea. Con le sue scelte e le sue decisioni, il presidente della Republika Srpska sta cercando di avere un suo esercito, nonché un sistema fiscale e giudiziario divisi da quegli della Bosnia ed Erzegovina. Ed è quel presidente che ha recentemente conferito un’onorificenza al presidente della Russia. Ma, fatti accaduti e resi pubblici alla mano, risulterebbe che oltre al presidente della Republika Srpska, il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato abbia degli ottimi rapporti anche con il presidente della Serbia. E si sa che c’è proprio la Serbia dietro tutte le “iniziative” del presidente della Republika Srpska. Si sa anche che la Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, non ha aderito alle sanzioni poste dall’Unione alla Russia, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il 24 febbraio scorso. Ragion per cui i promotori della richiesta rivolta il 18 gennaio scorso al Parlamento europeo hanno espresso anche la loro preoccupazione riguardo i rapporti del Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato sia con il presidente della Serbia, che con quello della Republika Srpska. Secondo i promotori della sopracitata richiesta il Commissario tende a relativizzare i comportamenti e gli atti antidemocratici del presidente della Serbia, mentre appoggia gli atti separatisti del presidente della Republika Srpska.

    Già un anno fa, il 12 gennaio 2022, trenta eurodeputati hanno inviato una lettera alla Commissione europea, tramite la quale chiedevano di verificare su “…possibili violazioni dell’imparzialità e neutralità” del Commissario per l’Allargamento e la Politica di vicinato, in riferimento ai concreti e sopracitati tentativi secessionistici del presidente della Republika Srpska. Mentre il 18 gennaio scorso, un anno dopo, con l’approvazione dal Parlamento europeo del rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune, si mette in evidenza che l’operato del Commissario europeo costituisce “…una violazione del Codice di condotta per i membri della Commissione e degli obblighi del Commissario, ai sensi dei Trattati”. Bisogna sottolineare che, tra l’altro, il Codice di condotta sancisce il modo in cui i commissari europei debbano attuare in concreto i loro obblighi istituzionali di indipendenza ed integrità. In quel Codice si prevede e si sancisce, altresì, che “I membri della Commissione si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni”. In più si sancisce che loro, durante tutto il periodo dell’esercitazione del mandato conferito “assumono l’impegno solenne di rispettare gli obblighi derivanti dalla loro carica”. Rimane da seguire e di conoscere le conclusioni delle indagini che svolgerà la Commissione europea nei confronti del Commissario per l’Allargamento e la Politica di vicinato. Chissà però se siano vere le accuse a lui fatte. E se così sarà allora viene naturale pensare: lo ha fatto per sua propria convinzione, oppure in seguito a delle attività lobbistiche. Si sa però che la Serbia da anni finanzia “gruppi di interesse” e attività lobbistiche a suo favore. Sono note anche le relazioni di “vecchia amicizia” che la Serbia ha con alcuni Paesi europei. Ma, fino alla pubblicazione delle conclusioni dell’indagine della Commissione europea, bisogna essere garantisti.

    Leggendo il testo della sopracitata richiesta fatta il 18 gennaio scorso al Parlamento europeo e del rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune dallo stesso Parlamento, nel quale era inserita integralmente la richiesta, ad una persona che conosce i Paesi dei Balcani occidentali, non poteva non pensare anche all’Albania. Pur non essendo stata citata, alcune affermazioni del rapporto sono attuali e si verificano quotidianamente in Albania. Soprattutto quando si tratta del rapporto che il primo ministro ha con i principi della democrazia. Come anche il presidente della Serbia, al quale lo legano degli ottimi rapporti di “amicizia e fratellanza”. E non a caso lui, il primo ministro albanese, ha fatto “l’avvocato” della Serbia, anche nelle istituzioni dell’Unione europea. Lo ha fatto anche la scorsa settimana, durante il vertice economico di Davos. Durante quel vertice il primo ministro albanese, cercando di essere “originale”, ha fatto anche una gaffe, rivolgendosi alla presidente del Parlamento europeo e riferendosi allo scandalo Qatargate. Ha citato fuori contesto il detto “Il karma è una puttana”, senza però aggiungere la rimanente parte del detto “che agisce sul lungo termine”. Con ogni probabilità non conosceva il vero significato del detto.

    Il nostro lettore è stato spesso informato della vera, vissuta e sofferta realtà albanese. L’Albania è uno dei Paesi più poveri, se non il più povero, dell’Europa. In Albania, durante questi ultimi anni si sta consolidando una nuova dittatura sui generis. Anche di questo il nostro lettore è stato spesso informato. Ma nonostante tutto ciò, il primo ministro ed i suoi “alleati”, i capi della criminalità organizzata e i rappresentanti di certi raggruppamenti occulti locali ed/o internazionali sono ricchissimi. Ragion per cui possono anche spendere molto.

    Chi scrive sueste righe è convinto che anche il primo ministro albanese può pagare tangenti miliardarie per “ripulire” la sua imagine. Proprio come hanno fatto i suoi simili in Qatar ed in Marocco, pagando e comprando alti funzionari e deputati del Parlamento europeo ed altre Istituzioni dell’Unione. Sono ormai noti anche i rapporti entusiastici e ottimisti di progresso della Commissione europea sull’Albania. Comprese anche le dichiarazioni dell’attuale Commissario dell’Allargamento. Di colui che, dal 18 gennaio scorso è sotto indagine dalla Commissione. Chissà se anche le sue dichiarazioni sull’Albania non siano “condizionate” da altro?! Si sa però che, come ci insegna la saggezza popolare, chi nasce tondo non può morire quadrato.

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