Politica

Chi dice la verità sui conti pubblici italiani?

On. Nicola Bono - Già sottosegretario per i BB. E le AA. Culturali

Non capita certo tutti i giorni di assistere a una polemica pubblica tra gli esponenti di governo di uno dei paesi più importanti dell’Unione Europea e il vice presidente della Commissione UE, soprattutto su un tema delicato come quello riguardante il livello di verità comunicato ai cittadini del paese interessato sull’effettivo stato dei loro conti pubblici. Eppure incredibilmente è ciò che è accaduto quando il finlandese Jyrki Katainen, vicepresidente della Commissione UE, ha pubblicamente affermato che “i politici italiani non dicono la verità sui conti pubblici” suscitando la piccata reazione del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan che, a sua volta, non ha avuto remore a replicare che trattavasi di “illazioni insopportabili”, facendo seguire qualche giorno dopo spiegazioni a chiarimento della correttezza dell’operato dell’esecutivo italiano. Sembrerebbe una semplice scaramuccia da poco e invece non solo da un lato l’altissimo livello istituzionale dei due protagonisti farebbe pensare il contrario, ma anche l’imbarazzato silenzio del resto della Commissione, del Parlamento europeo e della politica italiana impongono di analizzare più a fondo chi effettivamente non dice la verità sui conti pubblici italiani e soprattutto perché. In primo luogo sembra non ci siano dubbi che il Pil Italiano sia in lento ma costante incremento al punto che, all’ultima rilevazione relativa al terzo trimestre del 2017, ha toccato l’incremento dello 0,5%, superiore per uno striminzito 0,1% al Pil di Gran Bretagna e Olanda, cosa che ha fatto gridare di gioia il nostro pacato e quasi sempre melanconico premier sul fatto che l’Italia non sarebbe più il “fanalino di coda dell’Unione Europea”, come se bastasse lo 0,1% in più di un trimestre qualunque a ribaltare una condizione quasi trentennale di fatica endemica a produrre ricchezza da parte del nostro Paese, che invece meriterebbe di essere opportunamente spiegata e rimossa.

In tal senso, a fronte di chi dice come il ministro dell’economia e il premier, che il merito del successo economico del Paese è il risultato delle riforme e, in particolare dello Jobs act, ci sarebbe da replicare che non si creano posti di lavoro stabili con gli incentivi a tempo, perché come previsto, finiti questi è finito anche lo Jobs act, ma soprattutto che non può essere più ignorato che la crescita del Pil nazionale sia dovuta all’“effetto trascinamento” della ripresa economica internazionale, dopo la terribile crisi iniziata nel 2008. Quindi non solo le riforme non c’entrano nulla sulla crescita del PIL, ma è chiaro al contrario che è cresciuto molto meno rispetto a quello di tutti i Paesi avanzati proprio perché frenato dall’immobilismo del sistema economico nazionale e dalla mancata rimozione di tutti i lacci e laccioli che da decenni ne frenano ogni capacità competitiva. A dare ragione al vicepresidente della commissione UE inoltre ci sono i dati emersi da una analisi recentemente diffusa del Centro studi Economia Reale di Roma, nella quale appare evidente che a proteggere l’Italia in questi anni di crisi abbia contribuito principalmente la politica monetaria estremamente espansiva della BCE guidata da Mario Draghi. Dallo studio emerge che il Pil Italiano, senza quelle politiche espansive, sarebbe ancora in una fase recessiva e quest’anno segnerebbe un – 0,3%, la disoccupazione sarebbe al 14,1% invece che all’11,4% (alla faccia dello Jobs act), il deficit del 2017 sarebbe del 6,6% invece del 2,1% e il debito pubblico sarebbe arrivato alla cifra straordinaria del 157,3% e raggiungerebbe entro il 2020 il 180%.

La domanda da porsi, per capire dove sia la verità e dove allignino piuttosto le bugie, è “Cosa ha fatto il governo italiano per tesaurizzare i benefici derivanti da queste politiche che hanno costituito il vero scudo per la tenuta dei conti del nostro paese?” Ha forse messo in atto riforme per la strutturale riduzione della pressione tributaria e contributiva che sono i veri freni della nostra economia? Ovvero ha posto in essere operazioni di riduzione della spesa tali da determinare una diminuzione del debito pubblico e dei suoi costi, che è la principale preoccupazione che ha l’unione europea nei confronti della tenuta del nostro paese? O ha adottato qualunque altra iniziativa politica capace di mettere a profitto il vantaggio competitivo offerto dalla BCE, che difficilmente potrà essere replicato in futuro? Nulla di tutto questo, perché in questi anni si sono utilizzate le risorse ottenute grazie all’ombrello protettivo della BCE per distribuire inutili “mance elettorali”, grazie alla “flessibilità” concessa dall’UE, contribuendo, unicamente per ragioni di acquisto clientelare del consenso, all’incontenibile crescita del debito pubblico, che non può essere minimizzata, come tenta il Ministro Padoan, né esorcizzata rinviandola a presunti aumenti futuri del Pil, non solo tutti da verificarsi, ma anche inutili in caso di aumento dei tassi di interesse e quindi di insostenibile incremento del costo del debito. Come si può pensare che dica la verità chi ha consentito che in questi anni la spesa corrente fosse incrementata di ben 54 miliardi e che da cinque anni sposta in avanti l’obiettivo di azzeramento del deficit per utilizzare la cosiddetta “flessibilità europea” per fare nuovo debito, in attesa di inesistenti misure correttive future e soprattutto senza creare alcuna alternativa gestionale di superamento dello stallo determinato dalle clausole di stabilità? Come si può nutrire fiducia in chi vara una finanziaria in cui l’80% della spesa è destinata al rinvio delle clausole di salvaguardia, che finora hanno assorbito 78,5 miliardi di euro negati allo sviluppo e al lavoro, limitandosi a mettere in pratica politiche tipiche del “tirare a campare”, e al contempo continuare a promettere mirabolanti nuove misure economiche impossibili da realizzare con i pochi spiccioli rimasti e la cui unica incidenza sperata sarà quella dell’effetto-annunzio, utile per inseguire il consenso alle imminenti elezioni legislative? Ecco perché occorrerebbe dire davvero la verità agli italiani, ed ecco perché il parere sui conti pubblici italiani che la Commissione UE dovrebbe mandare a maggio del 2018, sarebbe meglio venisse anticipato ora, proprio per evitare l’ennesima consultazione elettorale gestita con le loro false verità dai manipolatori della credulità pubblica e dai soliti “Pifferai Magici”, che già hanno iniziato con le loro pratiche imbonitrici, per evitare che gli Italiani ripetano all’infinito gli stessi errori, e continuino a consegnare il potere agli stessi incapaci, a prescindere dai colori delle loro casacche, fino a quando resterà qualcosa da spolpare di questo disgraziato Paese.

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