In attesa di Giustizia: cultura dell’illegalità
Il manettaro perde le catene ma non il vizio: da quando Piercamillo Davigo è passato dalla Procura della Repubblica alle funzioni giudicanti – e da qualche anno alle più alte, come giudice della Suprema Corte di Cassazione – non ha perso occasione per riproporre le proprie opinioni personali nei confronti del processo penale che altro non dovrebbe essere che un patibolo predestinato per gli indagati.
Da ultimo, inarrestabile anche dalla neve, ha partecipato ad un seminario sulla corruzione tenutosi a Potenza riproponendo l’abusato refrain che gli è caro: “non ci sono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca”.
L’argomento che ha scatenato la furia inquisitoria di Davigo è il presidio normativo posto alla utilizzabilità delle intercettazioni: senza scendere in questa sede in dettagli da addetti ai lavori, al lettore basti sapere che il nostro codice prevede l’osservanza di una serie di regole affinché la captazione di conversazioni sia legittima; il che non deve sorprendere perché la tutela della segretezza delle comunicazioni è garantita dalla Costituzione e – dunque – se è vero che vi si può derogare ciò è possibile solo in forza di un giustificato provvedimento della Autorità Giudiziaria e nel rispetto dei canoni normativi. Qualora ciò non avvenga, le conversazioni intercettate è come se non esistessero ed al giudicante è precluso farne uso.
Epigono maldestro di Niccolò Machiavelli, Davigo ha sostenuto che vale tutto per contrastare il male endemico che nel nostro Paese è costituito dalla corruzione, lamentando che – per converso – vi sarebbero migliaia di criminali assolti ingiustamente perché le prove raccolte a loro carico mediante intercettazioni sono state dichiarate inutilizzabili.
Falso e inaccettabile. Falso perché ogni giorno in Italia sono in media arrestate tre persone che in seguito verranno ritenute innocenti. Tenendo conto del fatto che non certo in tutti procedimenti in cui vi sia la limitazione della libertà di qualcuno le indagini si fondano su intercettazioni (più o meno correttamente eseguite) ci si rende conto che Davigo ha veramente dato i numeri, sfoggiando una particolare forma di subcultura della legalità.
Inaccettabile poiché in tal modo si è sostenuta implicitamente la necessità di una giustizia senza regole o nella amministrazione della quale le regole – e la stessa Costituzione – possano essere disapplicate, ignorate, violate senza conseguenze per arrivare ad una condanna purchessia: un invito eversivo al disprezzo delle garanzie fondamentali che è inaccettabile provenga da chi la Costituzione ha giurato di difendere e rispettare.
Mentre i miei cinque lettori staranno concludendo queste righe, io sarò in procinto di discutere in Cassazione alla Quinta Sezione, che è di fianco alla Seconda il cui Presidente è proprio Davigo: il mio ricorso ha una sua dignità ma non posso essere certo del risultato. Sicuramente la notte prima dormirò più sereno sapendo che non sarà lui a presiedere.