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In attesa di Giustizia: doppio binario

La fondazione Einaudi ha rilanciato una raccolta di firma, una di più non guasta, per sostenere la separazione delle carriere la cui disciplina costituzionale langue in commissione alla Camera: ipotesi di riforma ampiamente trattata in questa rubrica ed il cui solo accenno è sufficiente a rinfocolare asperrime polemiche tra Associazione Nazionale Magistrati e chiunque osi sostenerla, foss’anche al bar sotto casa: il “Sindacato delle Toghe” è come un rete protettiva elettrificata dell’Ordine Giudiziario e chi tocca i fili muore.

Eppure, è la ragionevolezza fondata sulla quotidianità che suggerisce una riforma intesa a riequilibrare (o, almeno, provarci) le forze in campo nel processo penale delineando meglio la figura del giudice terzo, super partes, e di parti – appunto – poste su un piano di parità, come nel processo civile in cui sono entrambe avvocati; questa rubrica  si interessa di  emblematici, ma tutt’affatto rari, casi di squilibrio ed il materiale disponibile sarebbe abbondante anche per un quotidiano, non solo per un settimanale e raccogliendo un po’ di idee proprio sugli accadimenti che hanno maggiormente interessato l’opinione pubblica negli ultimi giorni, si potrebbe giungere ad un significativo corollario: se un funzionario dello Stato, incidentalmente donna, magistrato ed autrice di un provvedimento giudiziale controverso, viene ripresa con probabile consapevolezza ad una manifestazione di piazza – quindi in un luogo pubblico – mentre insulta, minaccia e sbraita contro le Forze dell’Ordine e protesta contro leggi che dovrebbe tutt’al più interpretare non si può far sapere ed è violazione della privacy, dossieraggio… ferma restando, ovviamente, la presunzione di imparzialità nel giudizio, ci mancherebbe altro!

Un privato cittadino, giornalista, uomo, incidentalmente compagno del Primo Ministro, se registrato sul luogo di lavoro ma in momenti non specificatamente attinenti al suo impiego è un pirla e può essere serenamente e candidamente sputtanato a reti unificate, anzi, è un bene per la democrazia.

Ma passiamo al “sommerso”: il Supremo Consesso, l’autorevole Corte di Cassazione, con una sentenza di qualche mese addietro, insegna che integrano gli estremi del reato di oltraggio le espressioni e gli apprezzamenti denigratori della reputazione e del prestigio rivolti direttamente alla persona del magistrato da un avvocato anziché ad atti e provvedimenti. Questo perché tutti gli atti ed ogni condotta nel processo devono rispecchiare il dovere di correttezza anche nelle forme espressive usate dalle parti. E gli avvocati sono una parte processuale; vediamo, invece, cosa ne pensa il C.S.M. a proposito di analoga situazione a parti invertite.

La “cattedra disciplinare” (insultare un avvocato non è reato: tutt’al più una violazione deontologica) ha stabilito che non integra l’illecito della grave scorrettezza il comportamento del P.M. che, nel corso di un’udienza, perda la calma e profferisca frasi ingiuriose nei confronti di un difensore laddove le circostanze e la mancanza di strepitus fori – come dire, fuori da quell’aula nessuno ne saprà mai nulla – in ordine alla intemperanza verbale, le immediate scuse e la ripresa dell’udienza consentono di ritenere il fatto di scarsa rilevanza.

Doppio binario, cerchiobottismo? Macchè, altro non si tratta che di un principio generale espresso dalla notissima legge applicata in letteratura, precisamente nella “Fattoria degli animali”: tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.

Da questa, che può considerarsi alla stregua di una fonte normativa primaria, può, dunque, distillarsi l’interpretazione e la concreta declinazione riassunta nella massima di esperienza attribuita al leggendario Marchese Onofrio del Grillo: “mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un c****”.

Dica il cittadino in attesa di Giustizia, come ed in che modo (salvo abbonarsi al Patto Sociale), gli sia consentito di conoscere le modalità di attuazione della giurisdizione ed esprimere il proprio controllo e giudizio in merito come previsto dall’articolo 101 della Costituzione.

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