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In attesa di Giustizia: Napoli brucia

Bene ma non benissimo: Nicola Gratteri ha dovuto lasciare la Procura di Catanzaro per avere raggiunto il limite massimo di permanenza nella funzione di Capo dell’Ufficio (otto anni): dopo aver avanzato la candidatura per dirigere la Procura di Milano ha ritirato la domanda proponendosi su quella di Napoli, la più grande d’Italia. Eletto a maggioranza, con significative dissenting opinions, al di là delle competenze che gli vengono attribuite nel contrasto alla criminalità organizzata e dell’esigenza dei sottotitoli in italiano quando parla, l’esperienza partenopea di Gratteri sembra proprio che sia partita con il piede sbagliato.

Prima ancora della ufficializzazione dell’incarico, ma con la ragionevole certezza di avere i voti necessari in Commissione ed al plenum del C.S.M., il nostro si è lasciato andare ad alcune considerazioni che i futuri colleghi e collaboratori napoletani non hanno apprezzato: in termini allusivi ma assai trasparenti sui destinatari ha parlato di magistrati lavativi da mettere in riga con più ore in ufficio a lavorare e meno gita in barca nel golfo, sezioni della polizia giudiziaria da derattizzare e amenità simili.

Comprensibile il risentimento alimentato da queste parole ma, nell’interesse del funzionamento dell’Ufficio, nessuna polemica è stata apertamente alimentata.

Dal canto loro, gli avvocati della Camera Penale di Napoli non hanno mancato di osservare che avrebbero preferito un profilo professionale diverso alla guida della Procura, un conoscitore della realtà territoriale che non è culturalmente e geneticamente dedita al crimine (come Gratteri sembra pensare) bensì una città che – pur riconoscendovi le significative complessità e la compresenza di fasce di popolazione che vivono in condizioni di degrado economico – sta faticosamente proiettandosi verso un futuro migliore da metropoli europea grazie ad un tessuto sociale fatto di cittadini onesti, professionisti, imprenditori e ad un ceto politico che ha saputo ben operare nel tempo.

I penalisti non hanno mancato di rimarcare come nel passato il rapporto tra il Procuratore e l’Avvocatura calabrese non sia stato dei più sereni e che nelle sue inchieste le torsioni delle garanzie siano state una costante, così come l’impiego a largo spettro della carcerazione preventiva non disgiunta da una certa qual approssimazione probatoria come dimostrato dalle numerose assoluzioni in giudizio di soggetti molti dei quali dopo lunghi periodi di privazione della libertà.

L’avvocatura associata ha, comunque, espresso l’auspicio e la convinzione che la cultura ed intelligenza del Dott. Gratteri gli consentiranno di comprendere le specificità del territorio evitando di riproporre schemi e visioni che mal si attaglierebbero ad una realtà come quella di Napoli.

Insomma, non proprio un caloroso abbraccio di benvenuto al nuovo Procuratore Capo.

Ma al peggio, come noto, non c’è limite e ci ha pensato proprio Gratteri in un’intervista con la Gruber a superare il limite della decenza, dopo che con i colleghi anche con gli avvocati e sempre con allusioni trasparenti e, questa volta, particolarmente brutali.

Si deve riconoscere che i penalisti napoletani non l’hanno accolto come, forse, avrebbe sperato, con un comunicato non rispettoso del bon ton istituzionale che, forse, avrebbe dovuto essere più cauto nell’esprimere giudizi nei confronti di chi, a quel tempo, non si era nemmeno insediato nella carica di Procuratore della Repubblica. Gratteri, tuttavia, con la sua battuta nel corso dell’intervista li ha surclassati, quanto ad ineleganza.

E cosa avrà mai detto?  Ha detto: “Io sono stato in Amazzonia a combattere i narcos, cosa vuole che mi possa preoccupare la Camera Penale di Napoli”. Brutta frase che non può avere altro significato che accostare ed equiparare una libera associazione di professionisti ad un gruppo di efferati criminali, dai quali doversi difendere e guardare le spalle.

E questa citazione non è stata un lapsus: nel suo stile, Gratteri ha volutamente fatto un’offensiva equazione che tocca non soltanto un’associazione forense, ma una intera classe che, in quella associazione si riconosce.

Allora che si fa? In questo modo Napoli brucia e non solo per le turbolenze dei campi Flegrei.

Mutuiamo dal calcio una soluzione, come se si fossero riviste serenamente al VAR due azioni e siano stati annullate altrettante reti: palla a centro e ricominciamo dallo zero a zero.

Magari a fine primo tempo, a mente fredda, ognuno potrà giudicare le azioni dell’altro.

Da un lato, dalla guida delle Procura di Napoli si valuterà se è meritata la fama che precede Gratteri di essere poco attento alle garanzie individuali e molto interessato alla esposizione mediatica delle sue inchieste oppure sia solo il frutto di una narrazione distorta e malevola.

Dal canto suo, il Procuratore farà bene a riconoscere che l’aver paragonato un organismo forense ad un commando di narcotrafficanti sia stata una clamorosa caduta di stile e, magari, chiedere scusa.

Nel frattempo, in attesa di Giustizia, Napoli continua a bruciare.

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