Indipendentemente dagli obiettivi politici dichiarati dai diversi governi che si sono alternati alla guida del nostro Paese e che potevano essere addirittura opposti gli uni agli altri a seconda dell’orientamento politico, una caratteristica unisce tutte le cosiddette “riforme” fiscali ed economiche.
In tutte le strategie governative ha prevalso il principio della “parzialità fino all’esclusività” intese come l’intenzione di salvaguardare una parte od una fascia ed una percentuale di mercato di lavoratori o di industrie: come se le diverse crisi che si sono susseguite nel nostro Paese avessero colpito solo una parte dei contribuenti. Una visione veramente anacronistica se poi queste stesse politiche devono integrarsi in un mercato globale.
In trent’anni anni le manovre economico finanziarie, magari abbinate a contemporanee riforme fiscali, si sono sovrapposte l’una all’altra ma soprattutto alle normative preesistenti. La semplice somma matematica di queste riforme, con le conseguenti nuove normative, ha creato un materasso legislativo di normative fiscali e, conseguentemente, un sistema di “fruibilità” amministrativa ora impossibile da dipanare.
Solo per ricordare l’ultima prodezza del governo in carica basti pensare agli sgravi contributivi per le aziende del Sud che di fatto penalizzano tutte le altre imprese allocate nel resto del Paese. Ed ancora, si valuti l’ultima trovata del ministro Gualtieri con il ministro del lavoro Catalfo di assicurare l’azzeramento alla contribuzione per i giovani assunti (a costo dello Stato ed ovviamente a debito).
Di fatto in questo modo, seguendo il principio della parzialità, nel favorire i giovani si penalizzano i professionisti di media età che hanno raggiunto con decenni di lavoro una professionalità fondamentale per riavviare il ciclo economico del nostro Paese.
Come logica conseguenza di questa volontà programmatica di non tutelare chi esprime know how professionali acquisiti con anni di lavoro si destina il nostro Paese ad un veloce declino non avendo come primo obiettivo il valorizzare l’apporto culturale e valoriale della professionalità. A questo si aggiunga poi anche la presunzione da parte della stessa classe politica che il sistema amministrativo così com’era stato ideato ed organizzato venisse considerato in grado di sopravvivere nella sua essenza indipendentemente dalle professionalità che in esso operano. In altre parole, il sistema amministrativo gode di una presunta supremazia nella considerazione della propria sopravvivenza rispetto anche a chi in suo nome opera. Questa presunta supremazia del sistema amministrativo rispetto ai propri componenti ha permesso alla stessa classe politica di nominare amici e lacchè di ogni sorta, come questa crisi sta dimostrando, assolutamente inadeguati e con esperienze professionali nel mondo reale praticamente assenti.
Il fallimento amministrativo reso ormai evidente dalla lontananza assoluta tra le reali esigenze, anche in materia sanitaria, in un periodo emergenziale e le scelte del governo (per esempio relative ai monopattini e ai banchi a rotelle) nasce dalle nomine politiche e clientelari nelle posizioni apicali della pubblica amministrazione. La spesa pubblica stessa diventa un patrimonio politico legato ad obiettivi che vengono assicurati dalla stessa burocrazia di nomina clientelare.
Si aggiunga, poi, come lo stesso processo della digitalizzazione si sia rivelato semplicemente come il sostanziale trasferimento dell’onere sia digitale che cartaceo all’ utenza. Una giungla normativa, quindi, unita ad un uso specifico dell’intero sistema amministrativo per il conseguimento di obiettivi politici rappresentano il fallimento sostanziale della macchina amministrativa. Da sempre il vero potere in Italia viene rappresentato dalla gestione del credito così come della spesa pubblica che rappresentano una vera e propria diarchia italiana (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/).
La parziale e poco obiettiva gestione della spesa pubblica inoltre ha determinato degli squilibri anche nella macchina amministrativa i cui effetti disastrosi risultano più evidenti in un momento di crisi sanitaria come questa. La responsabilità va attribuita all’intera classe politica che ha gestito la macchina amministrativa come braccio operativo della spesa pubblica per conseguire obiettivi parziali, troppo spesso espressione di interessi particolari e molto lontani da quelli più generali dell’intera popolazione italiana.