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  • In attesa di Giustizia: la saga dell’esaurito

    E’ diventata una saga quella del Tribunale piemontese che infligge 11 anni di reclusione ad un imputato di violenza sessuale dimenticandosi banalmente di far discutere il difensore: quasi fosse un inutile, anzi, un fastidioso orpello del processo.

    E’ una vicenda di cui ci siamo già occupati ma che ora “mette in onda” una nuova ed inquietante puntata di cui non si può trascurare la cronaca.

    Dopo che il C.S.M. e la Cassazione si sono occupati del procedimento disciplinare, della vicenda ha dovuto interessarsi anche la Procura di Milano, competente per i reati attribuiti a Magistrati del Piemonte: come i lettori, forse, ricorderanno il Presidente del Collegio, resosi conto del pasticcio che aveva combinato, ha pensato bene di provi rimedio con la classica pezza peggiore del buco  strappando il foglio su cui era stato scritto il dispositivo della decisione presa invitando solo a quel punto la difesa a discutere!

    Non è stato solo un gesto incomprensibile ed ingiustificabile: in questo modo – essendo il dispositivo un atto pubblico di cui si era anche data lettura – si commette un reato che si chiama falso per soppressione. Dettaglio che ad un magistrato del settore penale (e non solo) non sarebbe dovuto sfuggire.

    Atti, allora, giustamente inviati a Milano per procedere ma quella Procura, nota per l’inflessibile rigore, ha velocemente richiesto l’archiviazione che il GIP ha disposto con altrettanta ed inusuale velocità.

    Come giustificare tutto ciò? Si trattò di un erroruccio e mancò l’intento doloso: insomma, roba da Paperissima Show. Non è disponibile (probabilmente lo sarà mai) la motivazione di questa singolare – e generosa – decisione ma, un po‘ per gioco e per alleggerire l’argomento, proviamo ad indovinare mettendoci un pizzico di fantasia. Sua Eccellenza il Presidente avrà strappato la sentenza da lui stesso scritta poco prima perché in quel momento era stato distratto dalle urla del difensore? Un gesto non voluto, un muscolo involontario messo in moto dallo spavento. Potrebbe essere.

    Oppure…oppure… si è reso conto di averla tra le mani e si è spaventato immaginandola scritta da una entità sovrannaturale che in quei drammatici momenti lo aveva posseduto. Eventualità metafisica ma non impossibile.

    Magari ha confuso la sentenza con il Kleenex appena usato per soffiarsi il naso: questa è la più proponibile da immaginare se si conosce bene la rigida giurisprudenza sul dolo del falso per soppressione.

    Ma no, ecco la spiegazione! Incapacità di intendere e di volere temporanea: non si po’ dimenticare che il procedimento disciplinare sta procedendo a carico del solo Presidente (le due donne giudici a latere sono state subito prosciolte adottando il famoso schema argomentativo sviluppato da Totò: “e che so’ Pasquale io?!”) e la sanzione minima inflitta dal  C.S.M., una blanda censura, è stata annullata dalle Sezioni Unite Civili della Cassazione, raccomandando che in un nuovo giudizio si offra maggiore considerazione al fatto, documentato in una perizia,  che il Signor Presidente era stressato dal troppo lavoro.

    L’intera comunità degli avvocati penalisti applaude a questi autorevoli precedenti di cui potranno far uso nella quotidianità professionale, spalancando le porte a successi fino ad ora insperati successi. L’amministratore di società fallita ha bruciato i libri contabili? Fu un fatale errore. Il funzionario delle agenzie delle entrate ha omesso di segnalare l’evasore? Era stressato per il troppo lavoro. E nessuno ci aveva mai pensato!

    A questo punto è doveroso congratularsi con chi ha così brillantemente il povero esaurito: chi mai e chi meglio dell’ex Procuratore Capo di Torino, Marcello Maddalena?

    Applausi a scena aperta mentre viene in mente quello slogan pubblicitario che diceva: “ti piace vincere facile eh?”.

    Senza offesa, ben s’intende.

  • In attesa di Giustizia: la solitudine dell’avvocato

    Non è più il momento per parlare di processi: agosto e le ferie giudiziarie incombono ed un’attività giudiziaria già agonizzante quando è a pieno regime tende a fermarsi quasi del tutto; e non è nemmeno il periodo ideale per discutere di riforme: grazie alla miope visione politica del Signor Tentenna (cit. Matteo Renzi) già autoproclamatosi “Avvocato degli Italiani” il Governo – e con esso la Ministra Cartabia – è in crisi.

    A volersi fare due risate si potrebbe commentare l’indiscrezione secondo la quale Fofò Bonafede, indimenticato clown pentastellato assurto al soglio di Guardasigilli, intenderebbe candidarsi per arricchire con il suo sottile (molto sottile, praticamente impalpabile) sapere giuridico il Consiglio Superiore della Magistratura il cui rinnovo è imminente: operazione che, se non altro, gli garantirebbe un posticino al sole, dignitosamente retribuito, per altri quattro anni, diversamente reso più problematico da una nuova candidatura con il Movimento Polvere di Stelle alle prossime elezioni politiche.

    E dire che proprio lui, inflessibile fustigatore di ogni malcostume nostrano e censore autorevole dei cacciatori di poltrone era stato autore di una (spernacchiata) proposta di legge che prevedeva il divieto tassativo per parlamentari e membri di governo di accedere a Palazzo dei Marescialli: una sorta di cortocircuito che, in fondo, non deve stupire considerate le recenti  prodezze del suo ondivago mentore e  leader politico.

    Questa settimana in verità non c’è proprio nulla da ridere, soprattutto se si annota che la notizia che ha maggiormente interessato la cronaca giudiziaria sembra essere quella del suicidio di un avvocato, gettatosi nel vuoto da una finestra del Tribunale di Milano.

    Un fatto drammatico, una scelta, per l’uomo, anche emblematica quella di togliersi la vita nel luogo che avrebbe dovuto garantirgli lavoro e sopravvivenza: un uomo che ha lasciato un biglietto tratteggiando in poche righe la sua disperazione per problemi economici e famigliari ed avrebbe meritato un rispettoso silenzio.

    Invece no, i cronisti si sono affannati in una ignobile gara a chi scopriva per primo quali fossero i trascorsi professionali di questo sventurato, la sua storia, i suoi problemi buttandoli tutto in pasto a morbosi lettori con aggiornamenti continui delle testate on line. E ancora se ne parla a giorni di distanza.

    Chiedere rispetto per una morte così tragica non sembra eccessivo: se proprio si voleva approfondire l’argomento perché non si è pensato alla solitudine di quest’uomo che non ha saputo trovare conforto ed aiuto in alcun affetto e che probabilmente ha sofferto senza nemmeno la consapevolezza di soffrire per la mancanza di condivisione dei suoi affanni. Che sono quelli di molti avvocati, sempre costretti a confrontarsi – oltre che con le preoccupazioni personali, sovente messe in secondo piano – con le miserie, le ansie, i dolori grandi e piccoli dei propri assistiti, osservando la regola del segreto e così introiettando, in perfetta solitudine, una massa di negatività che difficilmente viene metabolizzata ma sedimenta nell’animo.

    Qui, su queste colonne non ci sarà dunque alcuno spazio se non per quella pietas che non richiede commenti ed una critica asperrima verso coloro che non la sanno praticare in nome dell’attrattività che solo il gossip sa generare e con essa un maggior numero di copie vendute.

    A quei cronisti possiamo solo suggerire di non riflettere su queste considerazioni, se mai le leggeranno,  evitando di guardarsi dentro se hanno paura del vuoto.

    Ti sia lieve la terra, infelice Collega.

  • In attesa di Giustizia: i maratoneti

    I protagonisti di questo numero della rubrica non sono propriamente atleti e neppure emuli del personaggio mirabilmente interpretato da Dustin Hoffman, bensì le centinaia di avvocati penalisti che dal 2 dicembre e per tutta la settimana si sono alternati dalle prime ore del mattino e fino a sera su un palco allestito di fronte alla Corte di Cassazione, impegnati nella “Maratona oratoria per la verità sulla prescrizione” organizzata dall’Unione delle Camere Penali  durante il periodo di astensione dalle udienze, che qualcuno lo chiama sciopero, proclamata per protesta contro l’inerzia di legislatore e governo nel riformare – come vanamente promesso un anno fa – il settore della giustizia penale in vista della entrata in vigore del nuovo regime della prescrizione che la elimina dopo il giudizio di primo grado.

    Sul modello dello Speakers’ Corner di Hyde Park (che, tra l’altro, non è lontano dal luogo ove sorgeva il patibolo di Londra…ma ogni analogia con la prossimità alla Cassazione è puramente casuale), il palchetto dell’Unione ha offerto l’opportunità di offrire al pubblico un dibattito non stop su un argomento molto attuale ed oggetto di inaccettabili mistificazioni che non sono mancate neppure durante questo periodo di agitazione.

    Ne sono di esempio le garbate e profonde considerazioni del giureconsulto Alessandro Di Battista secondo il quale la prescrizione “salva il culo ai potenti”, cui ha risposto seccamente il Presidente dell’Unione Giandomenico Caiazza o la dimostrazione inequivoca di voluta disinformazione (l’ignoranza, in questo caso, non è immaginabile) di un esponente dell’Associazione Nazionale Magistrati che nel corso della trasmissione RAI “Agorà” ha sostenuto per l’ennesima volta che la prescrizione è frutto di callidi stratagemmi degli avvocati venendo – peraltro – immediatamente sbugiardato da Piero Sansonetti presente in studio.

    La raccogliticcia maggioranza di Governo sul tema della prescrizione e della riforma della Giustizia si è quantomeno incrinata ed il dibattito è tornato ad animare anche la politica: alcuni esponenti dei diversi partiti si sono persino affacciati al luogo della maratona per partecipare in qualche modo alla discussione, la manifestazione – nella sua singolarità – ha richiamato l’attenzione dei media contribuendo a far affluire pubblico incuriosito in Piazza Cavour.

    Insomma, è stato un successo, frutto di una notevole e fantasiosa capacità comunicativa di cui si è dimostrata capace l’Unione sfruttando le armi migliori di cui dispongono i suoi iscritti: la parola, la competenza, l’onestà intellettuale, lo spirito di sacrificio. E la maratona non è stato il solo esempio di intelligente ed originale forma di protesta messa in campo: ridentem dicere verum, quid vietat? Osservava Orazio e il Prof. Giovanni Flora, già Ordinario di Diritto Penale a Firenze, ha realizzato un video clip nel quale – su parole e musica del celeberrimo “Senza fine” di Gin Paoli – canta, senza stonature né falsificazioni, le ragioni del processo senza fine.  Applausi, anzi, standing ovation.

    Qualcosa, intanto, sembra muoversi a Montecitorio e dintorni a livello di ripensamenti sulla modifica della prescrizione e riforme possibili anche se è preferibile non pensare a cosa possa partorire l’ennesima normativa frutto di compromessi ed arditi equilibrismi politici ma, più difficilmente, di competenze effettive nella materia da trattare.

    Resta però l’immagine di quella Piazza Cavour da qui l’Avvocatura esce vincitrice: una piazza che, come ha ricordato l’avvocata Cinzia Gauttieri, è stata una testimonianza di militanza vera contro l’ignoranza di coloro che non sanno di cosa parlano, il pregiudizio di chi ha deciso prima di conoscere e l’ottusità di chi non vuole ascoltare. Una vittoria di chi la Giustizia l’ha veramente a cuore e si batte perché la sua attesa non sia né indefinita né vana.

     

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