BRICS

  • Brics: cresce la cooperazione monetaria

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su notiziegeopolitiche.net l’8 marzo 2024

    Ciò che accade nel mondo monetario e finanziario globale non può essere ulteriormente ignorato e seppellito sotto certe ostilità nei confronti della Cina e in generale del sud del mondo. Il processo insito nell’uso di diverse monete rispetto al consueto utilizzo del dollaro altro non è che una naturale spinta, non militare, verso un nuovo assetto geopolitico pacifico basato sulla cooperazione internazionale.
    Intanto l’Egitto ha appena dichiarato che intende progressivamente abbandonare il dollaro nelle sue attività commerciali e sollecita anche i suoi partner a usare le proprie monete nazionali negli accordi. Si ricordi che l’Egitto è una new entry nel gruppo dei Brics. La decisione e le altre simili prese da molti paesi sono la conseguenza della politica delle sanzioni e dell’incerto valore del dollaro a causa dell’enorme crescita del debito pubblico americano.
    Anche nel recente meeting dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei Brics tenutosi a San Paolo in Brasile è stata sottolineata tale preoccupazione. Si è affermato, in particolare, che l’attuale sistema dei pagamenti internazionali “è usato come arma di pressione politica ed economica”.
    L’enfasi ivi posta é “sulla crescente importanza del format multilaterale nel sistema monetario e finanziario internazionale e sulla necessità di aumentare il ruolo delle valute nazionali nel commercio reciproco.”. Pertanto si afferma la necessità di meccanismi alternativi anche nei pagamenti transfrontalieri, poiché la stragrande maggioranza degli Stati si è resa conto che alcuni paesi dell’Occidente si sentono autorizzati a dettare la propria volontà agli altri, minacciando di interrompere l’accesso ai processi economici globali.
    Molti paesi, da ultimo anche la Nigeria e il Pakistan, hanno l’intenzione di sottrarsi alle imposizioni delle grandi istituzioni del sistema di Bretton Woods, come il Fmi e la Banca mondiale. Infatti la New development bank, la banca dei Brics, è sempre più attiva ed è vista come il potenziale futuro centro creditizio del Global South. Essa si appresterebbe per esempio a creare obbligazioni in monete locali per l’equivalente di oltre 28 miliardi di dollari. Alcuni osservatori occidentali parlano di un processo lento. Forse, ma in continua crescita.
    A San Paolo si è discusso della creazione della piattaforma multilaterale “Brics Bridge” che mira, tra l’altro, a favorire pagamenti e regolamenti attraverso l’utilizzo di monete digitali create dalle banche centrali. Il programma s’ispira al “Project mBridge” della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea per l’utilizzo delle monete digitali delle banche centrali nelle transazioni transfrontaliere. E in parallelo si lavora per collegarle con i sistemi nazionali di messaggistica finanziaria.
    Un altro aspetto della piattaforma è l’uso di una moneta terza nei commerci tra due differenti paesi. Per esempio, la Russia esporta molto in India ma ha delle importazioni limitate. I pagamenti fatti in rupie rischiano di accumulare grandi quantità di valuta indiana. A un certo punto lo squilibrio ha toccato i 40 miliardi di dollari. Perciò è allo studio l’uso di un’altra moneta, come lo yuan cinese o il dirham degli Emirati Arabi Uniti, per superare le difficoltà finanziarie nel commercio tra India e Russia. Un’altra possibilità è di usare le rupie per comprare obbligazioni indiane legate a progetti infrastrutturali. Nel frattempo, secondo i dati della Banca centrale di Mosca, l’uso dello yuan per pagare le esportazioni russe è aumentato di 86 volte, raggiungendo il 34,5% dei pagamenti totali negli ultimi due anni.
    Il passo successivo e risolutivo, sollevato anche nel summit di San Paolo, è la creazione di un’unità di conto, cioè di una moneta non circolante ma essenziale per regolare i commerci e superare molte difficoltà. Del resto, in Europa conosciamo bene gli effetti positivi dell’Ecu, l’unità di conto che ha favorito l’unione economica e il libero scambio delle merci nel nostro continente.

    *già sottosegretario all’Economia; economista

  • L’Africa e il Brics: un rapporto strategico

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su www.notiziegeopolitiche.net del 24 febbraio 2024

    Mentre l’Europa è timida rispetto ai futuri rapporti con i paesi dell’Africa, la collaborazione tra questo continente e il gruppo dei paesi Brics sta diventando sempre più operativa. L’ultimo summit del gruppo, tenutosi lo scorso settembre a Johannesburg, in Sud Africa, è stato dedicato proprio allo cooperazione con l’Africa e alle opportunità offerte dal nuovo mercato comune africano. Evidentemente se ne è sottovalutato le potenzialità.
    Nel summit si affermò a chiare lettere che “l’Area di libero scambio continentale africana (Afcfta) crea un ambiente favorevole per il commercio e gli investimenti in Africa, in particolare nello sviluppo delle infrastrutture. I paesi del Brics sono partner affidabili per la cooperazione, il commercio e lo sviluppo”. Ratificata nel 2019, l’Afcfta intende superare le barriere doganali tra i paesi africani e promuovere l’integrazione economica, monetaria e di sviluppo per l’intero continente. Oggi rappresenta già un mercato di quasi un miliardo e mezzo di persone e un pil di 2.600 miliardi di dollari.
    Anche nel 2024 l’Africa avrà una speciale attenzione da parte del Brics. La presidenza del gruppo sarà del Brasile, che coordinerà anche le attività del G20. Si rammenti che già allo scorso vertice sul clima di Nairobi, il presidente Lula aveva sposato le posizioni dell’Unione africana sulla riduzione del debito, sulla necessità di un’architettura finanziaria globale più inclusiva e “adatta allo scopo”.

    Anche Celso Amorin, consigliere speciale della presidenza brasiliana per gli affari internazionali e uno degli artefici del Brics, ha affermato che l’Africa sarà al centro della politica estera del Brasile.
    Non è un mistero che il 2024 sarà un anno pieno di insidie per il debito africano. Secondo la Banca dei regolamenti intenzionali di Basilea, il debito estero è già arrivato al 30% del pil, un terzo del quale è detenuto da banche commerciali. Quest’anno dovranno essere rinnovati titoli di debito in scadenza per oltre 200 miliardi di dollari. Nel 2023 l’inflazione media nell’Africa sub sahariana è stata del 18% e la svalutazione delle monete locali del 20% rispetto al dollaro. Questo è il quadro.
    Dopo i fallimenti del Ghana, dello Zambia e dell’Etiopia, 9 stati africani sono in grande sofferenza, 15 ad alto rischio e altri 14 a rischio moderato. I tassi d’interesse alti e un dollaro più forte sono una miscela disastrosa per i paesi poveri.
    L’Africa costituisce circa il 18% della popolazione mondiale, quota che si prevede salirà al 25% entro il 2050. Nella regione sub sahariana l’età media è di circa vent’anni. L’Africa possiede il 30% delle risorse minerarie mondiali e il 60% delle terre coltivabili inutilizzate a livello planetario.
    Negli ultimi due decenni, il focus delle esportazioni africane si è spostato verso Cina e India, con quote in calo per gli Stati Uniti e l’Unione europea.
    Perciò è’ in atto la cosiddetta “grande corsa verso l’Africa”, ricordando quella dell’oro dei secoli passati. In quest’ottica i summit bilaterali con i paesi dell’Africa sono in aumento. Dopo di quelli con la Cina, con la Russia e con l’Italia, altri sono in programma con l’Arabia Saudita, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, la Corea del sud e l’India.
    Per contrastare la crescente influenza cinese con la sua Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta, del valore di mille miliardi di dollari, l’Ue ha lanciato il proprio piano strategico d’investimenti, il Global Gateway, di cui la metà, pari a circa 150 miliardi di euro, è stata destinata al continente africano.
    I leader africani, soprattutto quelli espressi dalla società civile, sono consapevoli che questo crescente interesse è rivolto più alle materie prime che allo sviluppo del continente. Perciò si vuole dare più importanza ai rapporti con il Brics. Sempre più paesi dell’Africa ne vogliono far parte. Oggi ci sono il Sud Africa, l’Egitto e l’Etiopia, ma vorrebbero aderire anche la Nigeria, il Senegal, l’Algeria, la Repubblica democratica del Congo ed altri.
    L’Africa è consapevole che il Brics dà ai paesi del Global South la possibilità di articolare le proprie proposte e di fissare le proprie priorità, anche nei settori tecnologici. L’utilizzo delle monete locali nei commerci dovrebbe creare maggiore efficienza e risparmio. Il governo egiziano ha appena deciso l’utilizzo delle monete nazionali nei commerci come sua priorità programmatica. Una sperabile maggiore indipendenza finanziaria dovrebbe essere garantita da un sistema di pagamento panafricano che è stato sviluppato dall’Afreximbank, la banca export import nata con gli accordi Afcfta, cui le banche centrali dovrebbero aderire entro la fine del 2024 e le banche commerciali entro la fine del 2025.
    Attraverso l’azione dell’Afcfta e dell’Unione africana i rapporti con il Brics diventeranno di natura collettiva, continentale. Si auspica che il Brics possa essere un efficace ombrello protettivo per i paesi africani nei confronti di chi ha eventuali intenti predatori. E’ una speranza per l’intero mondo se vero è che il nuovo ordine economico mondiale non può che essere fondato sul multilateralismo e su una nuova architettura finanziaria globale.

    * Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista.

  • Brics. Avanza il processo di de-dolarizzazione

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su notiziegeopolitiche.net il 5 febbraio 2024

    Gli Usa non possono più ignorare la de-dollarizzazione che i Brics stanno conducendo da qualche tempo. Le sue conseguenze globali non possono più essere sottovalutate, anche dall’Europa. Ostacolare tale processo vorrebbe dire accentuare lo scontro tra blocchi; osservarlo semplicemente, con distacco e supponenza, significherebbe assistere allo sfaldamento dell’attuale sistema globale. Occorrono delle idee coraggiose di riforma dell’attuale sistema e una nuova visione cooperativa e multilaterale, come il progetto di un paniere globale di monete di cui abbiamo più volte anche noi scritto.
    Il commercio dell’energia, petrolio e gas, è effettuato sempre più con l’utilizzo delle monete locali. Non si tratta solo degli accordi in yuan e rubli tra Cina e Russia di cui si parla da anni. Nel 2023 un quinto di tutto il commercio petrolifero mondiale è stato fatto con monete diverse dal dollaro. In generale l’utilizzo del dollaro nei commerci dei paesi Brics è in forte diminuzione, appena il 28,7% nel 2023.
    In Nigeria, futuro membro dei Brics, gli operatori petroliferi, comprese le raffinerie, hanno deciso di utilizzare la naira, e non il dollaro, anche nelle loro operazioni interne sul petrolio e il gas.
    L’India ha firmato un accordo sul petrolio in rupie con gli Emirati arabi uniti (Eau). E’ il secondo partner commerciale degli Eau. Il totale dei loro scambi raggiungerà presto 100 miliardi di dollari. Gli Eau lavorano con 15 paesi per promuovere scambi in monete locali.
    Nuova Delhi intende pagare in rupie anche il petrolio importato dall’Arabia Saudita e opera intensamente per regolare i suoi commerci internazionali con le monete nazionali. Presentata come una grande democrazia, in contrasto con Cina e Russia, e come amica e alleata dell’Occidente, l’India, però, non è seconda a nessuno nel processo di de-dollarizzazione dei suoi commerci.
    Non c’è solo l’utilizzo delle monete locali. Si stima che il gruppo Brics abbia oggi una quota del 22% delle esportazioni globali di merci e servizi. Tuttavia, la maggior parte degli accordi nel commercio internazionale è effettuata nelle valute del G7 attraverso il sistema interbancario Swift.

    Nel settembre 2023 le quote del dollaro, dell’euro e della sterlina, usate nel sistema Swift, si attestavano rispettivamente al 45,58%, 23,6% e 7,32%. Lo yuan è solo la quinta valuta di pagamento su detto sistema (3,71%), appena dietro lo yen giapponese (4,2%). Nel 2020, tramite Swift sono stati trasmessi messaggi finanziari per un valore di 140 trilioni di dollari per eseguire i pagamenti. Invece, meno dello 0,5% del volume delle transazioni è passato attraverso il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) della Cina.
    Pertanto, la reale indipendenza dei Brics dall’infrastruttura di pagamento internazionale controllata dall’Occidente può essere garantita solo dal proprio sistema di regolamenti multilaterali nelle valute nazionali. Dal 2018 essi lavorano per un progetto, il Brics Pay, che si prefigge anche l’uso di nuove tecnologie come il blockchain e le valute digitali delle banche centrali. Non si tratta di criptovalute. E’ studiato in modo tale da poter utilizzare qualsiasi valuta usata dai membri del gruppo.
    Il Brics Pay ha diversi scopi, principalmente per i pagamenti transfrontalieri nel commercio internazionale tra aziende, banche d’investimento e micro finanza. Esso è stato adottato da diverse istituzioni e aziende nei paesi Brics ed è in costante crescita. La State Bank of India, la russa Sberbank, la Bank of China, la Petrobras e molti altri la utilizzano. Anche l’inglese Standard Chartered Bank ha integrato il Brics Pay nella sua piattaforma di pagamento digitale. Alla base del Brics Pay c’è poi la Nuova Banca per lo Sviluppo, la banca dei Brics, dove sono elaborate tutte le transazioni finanziarie tra le nazioni del gruppo.
    Si ricordi che i Brics rappresentano anche il 15% delle riserve globali di oro. Non poco, anzi una cifra significativa tanto da indurre il gruppo a studiare altri strumenti monetari dove l’oro dovrebbe avere un ruolo importante.
    Non crediamo che il G7 sia pronto ad affrontare riforme radicali come questo tempo richiederebbe.

    * Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista

  • I Brics diventano più importanti

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ‘ItaliaOggi’ il 23 novembre 2023

    Con l’ingresso nei Brics di altri sei paesi, (Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita), il gruppo rappresenterà oltre il 45 per cento della popolazione mondiale pari a 3,7 miliardi di abitanti. In confronto il G7 (Usa, Germania, Canada, Francia, Italia, Giappone e Regno Unito), ne esprime appena il 10 per cento con 775 milioni di abitanti.

    Nel 2022 il nuovo aggregato a 11 paesi ha registrato un pil pari a 29.374 miliardi di dollari. Un valore inferiore ai 43.700 miliardi dei paesi del G7, i quali però sono già perdenti sulle esportazioni in alta tecnologia. Secondo i dati della Banca Mondiale, i Brics+ sono in netto vantaggio con oltre 990 mila miliardi di dollari di esportazioni contro 755 mila miliardi dei paesi G7.

    Cambiano i dati se il pil è calcolato in termini di parità di potere d’acquisto (ppp). Allora i cinque paesi originali Brics hanno già un pil maggiore di quello del G7. Nonostante ciò, hanno solo il 15% del potere di voto nel Fondo monetario internazionale. Il che è visto come una grande ingiustizia da parte di tutto il cosiddetto “Global South”.

    Negli Stati Uniti, e anche in Europa, si è sempre cercato di ignorare queste nuove dinamiche geoeconomiche, sperando, di fatto, in un loro fallimento o in un loro significativo ridimensionamento.

    Solo recentemente, alcuni centri di analisi geopolitica americana hanno iniziato a parlarne apertamente. L’ha fatto, ad esempio, Foreign Policy (FP), la rivista, fondata più di cinquant’anni fa dal professore neocon Samuel Huntington, il noto fautore dello “scontro di civiltà”, e oggi di proprietà del The Washington Post.

    La citata rivista affronta i problemi cruciali del processo di de-dollarizzazione in corso e dell’influenza geopolitica nei commerci. Si afferma che «con l’Egitto, l’Etiopia e l’Arabia Saudita, i Brics+ possono interrompere il commercio mondiale non solo del petrolio ma di qualunque altra merce. Questi tre paesi circondano il Canale di Suez e lo trasformano, di fatto, in un lago Brics+. Il canale è un’arteria chiave dell’economia mondiale. Circa il 12% di tutto il commercio globale passa attraverso il canale, che collega il Mediterraneo al Mar Rosso. E’ il Mar Rosso che i Brics+ ora circondano».

    L’ammissione dell’Arabia Saudita amplia anche la leva finanziaria a loro disposizione. Essa detiene più di 100 miliardi di dollari in titoli di stato statunitensi. Insieme ora possiedono più di mille miliardi di dollari in obbligazioni Usa. Le nuove adesioni ai Brics+ ampliano anche una gamma di prodotti che offre uno spettro di potere sia ora sia in futuro. Anche Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono esportatori di combustibili fossili. Paesi come Brasile, Cina e Russia sono importanti produttori di metalli e terre rare da cui dipenderà la transizione energetica.

    Per quanto riguarda il processo di de-dollarizzazione, FP esprime un certo scetticismo poiché ritiene che il dominio cinese potrebbe comportare qualche dubbio per gli altri membri. Infatti, il pil cinese è 3,2 volte quello del resto dei Brics originali e 1,7 volte quella dei Brics+.

    Sul fronte monetario, però, oltre a riconoscere che il grande uso delle valute locali nei commerci e nelle transazioni finanziarie interne al gruppo indebolisce il ruolo internazionale del dollaro, FP prende in seria considerazione quello che chiama «una valuta di riferimento», cioè una valuta commerciale comune dei Brics+. Secondo FP «una valuta di riferimento potrebbe essere un paniere composto di monete nazionali, come i Diritti Speciali di Prelievo del Fmi».

    Il dollaro è ancora la maggiore valuta di riserva delle banche centrali, con percentuali superiori rispetto alla sterlina in declino già all’inizio del Ventesimo secolo come riserva globale. La sterlina, in ogni caso, non aveva mai superato il 50% delle riserve ufficiali di valuta estera.

    In conclusione, la citata rivista afferma che «se il dollaro arrivasse a mantenere una pluralità ma non la maggioranza delle riserve, alcuni direbbero che conserverebbe ancora il suo status di riserva. Sarebbe, però, un cambiamento. Anche se King Dollar restasse tecnicamente sul trono, s’intravede una nuova era di crescente anarchia monetaria». Il che sarebbe preoccupante mentre l’eventuale «valuta di riferimento» sarebbe, invece, un notevole passo in avanti nella costruzione di un nuovo ordine monetario e finanziario internazionale, ovviamente multilaterale.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Tecnologie per il terzo mondo

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso ‘ItaliaOggi’ il 29 settembre 2023

    Chi ancora pensa che i Brics siano un club di paesi con idee interessanti ma poche chance di successo, dovrebbero prendere in considerazione con maggior attenzione il recente summit del G77 + la Cina tenutosi a Cuba pochi giorni fa. Realisticamente si dovrebbe prendere atto che è in corso un inarrestabile e incontenibile processo per ridefinire la governance globale.

    Il Gruppo dei 77 fu creato nel 1964 dai paesi in via di sviluppo del Sud del mondo, i cosiddetti non allineati, che volevano mantenersi indipendenti, fuori dall’orbita degli Usa e di Mosca. Fin dal suo inizio ha lottato per realizzare un nuovo ordine economico internazionale più giusto, senza nuovi colonialismi e vincoli che generino sotto sviluppo.

    Oggi il G77, organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, con la Cina conta ben 134 paesi membri e rappresenta l’80% della popolazione mondiale e 2/3 degli Stati membri dell’Onu. Non ne fanno parte i paesi occidentali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), quelli della Comunità degli stati indipendenti, guidata dalla Russia, e quelli del Commonwealth britannico.

    La Cina, pur non essendo membro del gruppo, lo sostiene fortemente da decenni. E’ per questa ragione che il summit di Cuba s’intitola «G77 + Cina. Current development challenges: the role of science, technology and innovation».

    Sono ben consapevoli della continua e irrisolta crisi economica e finanziaria internazionale. Essi notano con profonda preoccupazione che «le principali sfide generate dall’attuale ingiusto ordine economico internazionale per i paesi in via di sviluppo hanno raggiunto la loro espressione più acuta».

    Nella dichiarazione finale si avanzano la proposta di «una riforma dell’architettura finanziaria globale” e la richiesta di “un approccio più inclusivo e coordinato alla governance finanziaria globale con maggiore enfasi sulla cooperazione tra i paesi».

    Evidenziano che «le sanzioni unilaterali contro i paesi in via di sviluppo non solo minano i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, ma costituiscono un ostacolo serio al progresso della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, e alla piena realizzazione dello sviluppo economico e sociale». Ne chiedono l’immediata eliminazione.

    Evidenziano anche «le ripercussioni negative e devastanti delle misure coercitive sul godimento dei diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo e al cibo».

    Il fatto che abbiano posto al centro i temi della scienza, della tecnologia e dell’innovazione dice molto sulle strategie future delle economie dei paesi in via di sviluppo. Le emergenze continue provocate dal debito, dall’inflazione, dalla mancanza di cibo e dai disastri climatici restano in prima fila, ma il cosiddetto Sud globale ormai consapevolmente si pone con forza di fronte alle nuove sfide tecnologiche epocali. La scienza, la tecnologia e l’innovazione e la collaborazione scientifica aperta ed equa, si è afferma, sono gli strumenti imprescindibili per superare la subalternità rispetto al vecchio mondo e ai monopoli tecnologici.

    Il summit si è soffermato molto sui grandi danni prodotti dall’illusione dell’unipolarismo, contrapponendo con vigore l’approccio multilaterale per uno sviluppo più equo e pacifico.

    Al riguardo è molto significativo l’intervento del segretario dell’Onu Antonio Guterres che ha riconosciuto come il «G77 + la Cina» sia «da sempre sostenitore del multilateralismo».

    Rispetto al tema della conferenza egli ha aggiunto che «le regole per le nuove tecnologie non possono essere scritte solo dai ricchi e dai privilegiati». Con i prezzi degli alimenti alle stelle, con il debito che aumenta, con i disastri climatici, la situazione si presenta sempre più insostenibile e serve un cambiamento per creare un nuovo mondo che non può seguire ancora i dettami delle strutture globali degli organismi internazionali, che a detta di Guterres stesso, sono stati deludenti.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • I Brics non mollano la presa

    Il prossimo summit dei capi di Stato e di governo dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) potrebbe segnare una svolta decisiva verso un più accentuato processo multipolare della politica e dell’economia mondiale. Si terrà il 22-24 agosto a Johannesburg, in Sud Africa, e vedrà anche la partecipazione di un folto gruppo di nazioni del Sud del mondo. Sono già 13 le nazioni che si sono ufficialmente candidate a farne parte. Altre 6 che hanno espresso il proprio interesse a parteciparvi.

    Uno dei punti centrali nel programma dei lavori è la creazione di una nuova moneta allo scopo di favorire commerci e investimenti, all’interno del gruppo e con altri Paesi emergenti, senza dover utilizzare il dollaro. Senza, quindi, doversi sottoporre al controllo e all’influenza di una potenza esterna e senza dover pagare una tassa per il «servizio».

    Non si tratta di creare una moneta circolante, come l’euro. I Brics sono consapevoli che c’è molta strada da fare per tale obiettivo. Essi stanno, invece, analizzando i passi necessari per la creazione di una moneta di conto, come l’Ecu fu utilizzato in Europa negli anni che hanno preceduto l’Euro. Da parecchio tempo stanno studiando l’esperienza europea dell’Ecu. E l’Unione europea, inspiegabilmente, sembra ignorare questo passaggio storico.

    Per preparare il summit, nei giorni scorsi a Città del Capo si è tenuta la riunione dei ministri degli Esteri dei Brics, con la partecipazione dei rappresentanti di altri 15 paesi. Naledi Pandor, ministro degli Esteri sudafricano ha ribadito l’intenzione del gruppo di continuare a lavorare sulla fattibilità di una moneta comune.

    In un suo messaggio il presidente del Sud Africa, Cyril Ramaphosa, ha risposto a tutte le notevoli pressione esercitate dagli Usa e dalla Gran Bretagna, ribadendo che «noi vogliamo cogliere l’opportunità di promuovere gli interessi del nostro continente che è stato saccheggiato, devastato e sfruttato da altre nazioni e per questo vogliamo oggi costruire la solidarietà insieme ai Brics». È un passaggio molto importante se si mette in relazione alla creazione dell’Area di libero scambio del continente africano (Afcfta) che sta proprio discutendo della possibilità di creare una nuova unità di conto monetaria per favorire i commerci all’interno dell’Africa.

    Per superare la sottomissione al dollaro e la dipendenza dalla rete dominante dello Swift, i Brics stanno studiando un loro sistema globale dei pagamenti. Non si tratta di rimpiazzarlo completamente, bensì di affiancarne uno alternativo per sottrarsi, in caso di necessità, ai condizionamenti e agli effetti delle sanzioni.

    Secondo il Fmi nel 2022 i Brics hanno superato il pil del G7 del 4% se calcolato attraverso la misura del ppp, la parità del potere di acquisto, cioè tenendo conto del costo della vita e dell’inflazione. Nello stesso anno il loro surplus commerciale è stato di 387 miliardi di dollari, che ha favorito anche l’aumento delle loro riserve d’oro.

    Si osservi che l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed fa crescere il valore del dollaro sui mercati valutari ma svaluta le monete dei paesi del Sud del mondo e, quindi, fa aumentare il loro debito. La diversificazione delle riserve monetarie è, infatti, un altro argomento nell’agenda dei Brics. È una politica favorita anche dalle banche centrali del cosiddetto Global South che stanno aumentando il peso dell’oro nelle loro riserve, a scapito del dollaro. La domanda generale e gli acquisti di oro da parte delle banche centrali sono cresciuti enormemente. Ciò sta portando a un aumento della produzione di oro e a una possibile rivalutazione del valore delle riserve auree.

    Da parte sua il presidente brasiliano Lula da Silva, in occasione della conferenza dell’Unasur, la comunità economica e politica latinoamericana, ha detto di “sognare che i Brics abbiano una propria valuta, come l’Unione Europea ha l’euro». Rivolgendosi agli altri paesi dell’America latina ha affermato che «dovremmo approfondire la nostra identità sudamericana anche in ambito monetario, attraverso meccanismi di compensazione più efficienti e la creazione di una comune unità di scambio, riducendo la dipendenza dalle valute extraregionali».

    A sua volta Dilma Rousseff, la nuova presidente della New Development Bank, la banca dei Brics, ha evidenziato l’importanza dei recenti accordi petroliferi in renminbi tra Cina e Arabia Saudita. Rousseff ha detto: «Credo che nel mondo attuale ci sia una crescente tendenza a promuovere gli scambi commerciali utilizzando le valute locali. Ci sono diversi esempi importanti. Ad esempio, il mercato del petrolio è un settore rilevante rispetto al cambio di valuta. I paesi del Sud del mondo utilizzano sempre più le valute locali per i pagamenti commerciali».

    In conclusione, è opportuno riconoscere che un mondo unipolare con una sola moneta dominante stride con un’economia reale multipolare.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Putin vuole una nuova moneta

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Paolo Raimondi e Mario Lettieri pubblicato su ItaliaOggi il 30 luglio 2022

    In occasione del 14.mo Summit dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), organizzato a Pechino a fine giugno, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che i Paesi membri si stanno preparando a creare una valuta di riserva internazionale.

    Parlando in via telematica al Brics Business Forum, egli ha affermato: «Il sistema di messaggistica finanziaria russa è aperto per la connessione con le banche, proiettando così la necessità di una valuta di riserva Brics. Il sistema di pagamento Mir russo sta ampliando la sua presenza. Stiamo esplorando la possibilità di creare una valuta di riserva internazionale basata sul paniere di valute dei Paesi Brics».

    Dopo le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia a seguito della guerra in Ucraina, è una mossa quasi inevitabile, attesa da chi analizza i processi politici con un approccio scientifico e realistico senza dettami ideologici o pregiudizi di sorta.

    Tra le varie misure sanzionatorie, le banche russe sono state escluse dal sistema Swift dei pagamenti internazionali. Esistono, però, altri sistemi di regolamento globale bilaterale o multilaterale per i servizi finanziari transfrontalieri, come il sistema cinese Cips. Nel 2021 il Cips ha elaborato circa 80 trilioni di yuan (11,91 trilioni di dollari), con un aumento di oltre il 75% su base annua. Secondo i dati di Swift, ad aprile lo yuan ha mantenuto la sua posizione di quinta valuta più attiva per i pagamenti globali, con una quota del 2,14% del totale.

    Da parecchio tempo i Brics stanno intensificando la cooperazione negli investimenti e nel finanziamento dei principali settori come le industrie strategiche emergenti e l’innovazione digitale nel tentativo di aumentare l’uso delle valute locali nel commercio e nei pagamenti, così da bypassare il dollaro. Si tenga presente che le sanzioni contro la Russia non sono state sostenute dagli altri Paesi Brics che hanno, invece, interpretato come la trasformazione del dollaro in un’arma da guerra.

    L’Europa continua a sottovalutare il ruolo economico e politico dei Brics, a ignorarli come potenziale sistema coordinato e considerarli, invece, solo singolarmente. Il blocco di tali Paesi, però, rappresenta il 18% del commercio di merci e il 25% degli investimenti esteri a livello globale. Nonostante l’impatto della pandemia, nel 2021 il volume totale degli scambi di merci dei Brics ha raggiunto quasi 8.550 miliardi di dollari, con un aumento del 33,4% su base annua.

    È certamente vero che essi non sono paragonabili all’Unione europea, ma pensare che siano un gruppo senza futuro è una miopia politica, una visione per niente realistica e sicuramente non intelligente. Basterebbe prendere nota che al recente Summit “Plus” sono state invitate altre 14 nazioni: Algeria, Argentina, Cambogia, Egitto,Etiopia, Fiji, Indonesia, Iran, Kazakhstan, Malaysia, Nigeria, Senegal, Thailandia e Uzbekistan. Prendiamo atto che c’è una parte del mondo, la maggioranza dei Paesi del pianeta, che spesso non è in sintonia con l’Occidente e che ha interessi, priorità e progetti differenti. Ignorarli potrebbe essere l’interesse di qualcuno, ma non dell’Europa!

    Si tenga anche presente che la New Development Bank, la banca dei Brics, che opera molto efficientemente per finanziare concreti progetti di sviluppo e promuovere l’utilizzo delle monete locali nei commerci, ha recentemente incluso tra i suoi membri altri 4 Paesi, l’Egitto, il Bangladesh, gli Emirati Arabi Uniti e l’Uruguay.

    La dichiarazione finale del Summit di Pechino, oltre a dettagliare i vari aspetti del programma dei Brics per una Partenership di Sviluppo Globale, ha annunciato l’intenzione di includere altri Paesi. Insieme alla prospettiva cinese di una Global Development Initiative, ciò è stato un punto centrale dell’intervento del presidente Xi Jinping.

    Anche se il “paniere di monete” alternativo non appare nella dichiarazione finale, esso sarà certamente uno degli aspetti cruciali dei lavori futuri. Lo si comprende vedendo l’enfasi posta sull’importanza del Payments Task Force, la piattaforma per la cooperazione nei pagamenti tra le banche centrali, sulla realizzazione del Trade in Services Network, l’uso di strumenti finanziari innovativi nel commercio, e sul rafforzamento e miglioramento del meccanismo noto come Contingent Reserve Arrangement, cioè la rete Brics di sicurezza finanziaria e monetaria globale.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Ora un nuovo multilateralismo

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su ItaliaOggi il 26 maggio 2022

    Lo scorso 19 maggio i ministri degli Esteri dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) si sono incontrati, in via telematica, per discutere della situazione strategica globale e per promuovere il loro processo di cooperazione e d’integrazione.

    Si tratta di un evento degno di grande attenzione da parte dell’Occidente e in particolare dell’Unione europea. È opportuno sempre ricordare che i Brics rappresentano più del 40% della popolazione mondiale e ben il 20% del Pil del pianeta.

    Ovviamente anche la guerra in Ucraina è stata affrontata. Al punto 11 della Dichiarazione finale si afferma: «I ministri hanno ricordato le loro posizioni nazionali sulla situazione in Ucraina espresse nelle sedi appropriate, segnatamente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Assemblea Generale dell’Onu. Essi sostengono i negoziati tra Russia e Ucraina. Hanno anche discusso le loro preoccupazioni per la situazione umanitaria in Ucraina e dintorni ed hanno espresso il loro sostegno agli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite, delle agenzie Onu e del Comitato Internazione della Croce Rossa per fornire aiuti umanitari in conformità con la risoluzione 46/182 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite».

    Importanza grande ha assunto la sessione separata del gruppo «Brics Plus», che ha incluso l’Argentina, l’Egitto, l’Indonesia, il Kazakistan, la Nigeria, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Senegal e la Tailandia in rappresentanza dei paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo. È in considerazione un possibile allargamento dei Brics. Se ne discuterà a giugno in Cina al 14° summit annuale, dedicato a una «Nuova era di sviluppo globale».

    Il presidente cinese Xi Jinping, definendo la situazione attuale di grande «turbolenza e trasformazione», ha chiesto un rafforzamento della cooperazione, della solidarietà e della pace attraverso la Global Security Initiative per una «sicurezza comune» da affiancare alla sua Gdi, Global development initiative. Egli ha rilevato che lo scontro tra blocchi contrapposti e la persistente mentalità della guerra fredda dovrebbero essere abbandonati a favore della costruzione di una comunità globale di «sicurezza per tutti». È opportuno ricordare che la Gdi è stata valutata positivamente da più di 100 Paesi e da molte organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite.

    La Dichiarazione fa del multilateralismo l’idea portante della politica dei Brics. Ribadisce il ruolo guida del G20 nella governance economica globale e sottolinea che esso «deve rimanere intatto per fronteggiare le attuali sfide globali». Evidentemente l’aggettivo «intatto» indica la volontà di avere anche la Russia nei meeting del G20, che, dopo l’Indonesia, nei prossimi tre anni saranno presieduti rispettivamente dall’India, dal Brasile e dal Sud Africa.

    Un certo disappunto è stato manifestato nei confronti dei paesi ricchi che nella pandemia Covid non hanno dato una giusta attenzione ai bisogni dei paesi in via di sviluppo.

    In sintesi, di là del dramma della guerra, nel mondo ci sono segnali per realizzare iniziative miranti a un nuovo ordine mondiale. Per esempio, l’ex presidente brasiliano Lula Da Silva, candidato alle elezioni di ottobre, propone esplicitamente la creazione di una nuova valuta, il Sur, da usare nel commercio latinoamericano per non continuare a dipendere dal dollaro.

    A marzo diverse società cinesi hanno acquistato carbone russo pagando in yuan. È il primo acquisto di merci russe pagate in valuta cinese dopo che la Russia è stata sanzionata dai paesi occidentali.

    Crediamo che sia il momento non solo di valutare meglio gli interessi dell’Unione europea ma anche di accentuare il ruolo di maggiore autonomia per contribuire a realizzare un assetto multipolare.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Bilancio del Summit a Brasilia dei paesi BRICS. Una spina nel fianco del dollaro

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su ItaliaOggi il 22 novembre 2019.

    Al recente summit dei Brics, a Brasilia, rispetto alle crescenti preoccupazioni sullo stato dell’economia e della finanza globale, i presidenti dei paesi membri hanno mostrato al mondo quello che loro stanno facendo a sostegno della crescita e dello sviluppo dei settori portanti dell’economia reale. Dal 2010 a oggi la loro quota del pil mondiale è cresciuta dal 30 al 36%. Ecco perché la New Development Bank dei Brics è stata al centro del summit.

    Fondata nel 2014 con lo scopo primario di finanziare lo sviluppo delle infrastrutture, la Ndb attualmente può contare su un capitale di base di 50 miliardi di dollari da rendere totalmente disponibile entro il 2027. Dieci sono già stati versati. Alla fine di quest’anno saranno già stati finanziati una cinquantina di progetti per un totale di 15 miliardi di dollari.

    La banca è molto attiva. In Brasile ha finanziato la costruzione di hub logistici per migliorare la connettività fisica con le aree più remote. Anche durante il summit è stato firmato il finanziamento per il «North Region Transportation Infrastructure Improvement Project» per migliorare la capacità di trasporto di materie prime dalle miniere verso i porti. Invece, in Russia, oltre alle infrastrutture, vengono finanziati progetti per migliorare l’accessibilità ai centri storici e culturali del paese. In India gli investimenti riguardano la gestione delle acque e i collegamenti tra le zone rurali e i mercati. La Cina utilizza i finanziamenti della banca per il miglioramento dell’ambiente, mentre il Sud Africa si concentra su progetti per l’energia e l’acqua.

    La dirigenza della Ndb ha confermato ai presidenti dei paesi Brics e all’audience mondiale il suo impegno centrale di concedere crediti in monete locali, tanto che il 40% del suo portfolio in Sudafrica è in rand. Sta crescendo notevolmente anche la domanda di prestiti in yuan per i progetti cinesi. Anche l’espansione organizzativa della banca, continua.

    Dopo le sedi di Johannesburg, Shanghai e San Paolo, l’anno prossimo saranno aperte quelle di Mosca e New Delhi. Non solo, ma intende anche ammettere altri soci dei paesi emergenti per arrivare a un capitale di base di ben 90 miliardi di dollari entro il 2027. L’importante istituto creditizio ha intenzione anche di sviluppare innovativi strumenti finanziari, non speculativi, garantiti dal capitale e dagli investimenti. Inoltre, con l’appoggio della banca centrale cinese, la Ndb ha già raccolto 6 miliardi di yuan attraverso l’emissione di obbligazioni sul mercato di Shanghai.

    A Brasilia si sono, quindi, discussi anche i progressi raggiunti dal Brics Local Currency Bond Fund per lo sviluppo dei mercati obbligazionari locali. Sono tutte operazioni miranti a sottrarsi progressivamente al controllo dominante del sistema del dollaro. Si ricordi che, con l’istituzione della Ndb, fu creato anche il Cra, Contingent Reserve Arrangement, con il compito di proteggere le economie e le finanze dei Brics in caso di instabilità dei mercati e delle monete. Nel meeting è stato evidenziato anche lo stato di allerta del citato Cra, che ha appena tenuto con successo un secondo test di preparazione per fronteggiare eventuali crisi economiche esterne.

    Nella dichiarazione finale di Brasilia è stato riaffermato l’impegno per superare le crescenti minacce al multilateralismo, ponendo l’accento sul ruolo centrale delle Nazioni Unite negli affari internazionali. Si è affermata anche la necessità di riformare le organizzazioni internazionali quali l’Onu, il Fmi e l’Organizzazione Mondiale del Commercio per dare più spazio ai paesi emergenti e a quelli in via di sviluppo nell’ottica di un ordine internazionale multipolare più equo e solidale. L’Omc, la Wto, in particolare, è chiamata a svolgere un ruolo indipendente e più sollecito rispetto ai tanti conflitti sui commerci.

    Non potevano, ovviamente, mancare le grandi preoccupazioni per le continue tensioni commerciali «che hanno un effetto negativo sulla fiducia, sul commercio, sugli investimenti e sulla crescita» a livello globale. Lo stesso presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha condiviso la politica indipendente dei Brics riaprendo «a suon di contratti» i rapporti con la Cina, dopo la sua iniziale e frettolosa vicinanza alle politiche di Donald Trump sui dazi e sulle altre questioni internazionali.

    Gli altri impegni presi interessano vasti campi, dalla protezione dell’ambiente alla biodiversità, dalla difesa del suolo alla lotta contro l’avanzamento dei deserti e allo sviluppo spaziale pacifico.

    Infine, però, per l’ennesima volta i Brics hanno lamentato che sia passato un altro anno senza la ridefinizione delle quote del Fmi. La cosa va avanti dal 2010! Che gli Usa e il sistema del dollaro temano di perdere il loro attuale potere economico e monetario è forse comprensibile. Che l’Ue e i paesi europei stiano al gioco di Washington lo è meno. Sicuramente è autolesionista.

    * già sottosegretario all’Economia ** economista

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