Consiglio

  • La Commissione accoglie con favore l’accordo provvisorio per modernizzare le ispezioni e la sorveglianza delle navi

    La Commissione accoglie con favore l’accordo politico raggiunto tra il Parlamento europeo e il Consiglio sull’aggiornamento degli obblighi per il controllo da parte dello Stato di approdo delle navi che fanno scalo nei porti dell’UE e sugli obblighi dello Stato di bandiera per le navi mercantili registrate negli Stati membri dell’Unione.

    Per quanto riguarda la direttiva sullo Stato di bandiera, i colegislatori hanno convenuto di integrare nel diritto dell’UE le norme pertinenti dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) (l’International Instruments Code, o codice III). Ciò garantisce che tali norme possano essere applicate alle navi battenti bandiera di uno Stato membro dell’UE. Gli Stati membri dovranno inoltre effettuare ogni anno un numero concordato di ispezioni dello Stato di bandiera e provvedere alla digitalizzazione dei certificati statutari delle proprie navi, il che a sua volta faciliterà le ispezioni da parte dello Stato di approdo.

    L’accordo sul controllo da parte dello Stato di approdo allineerà il diritto dell’UE all’IMO e al Memorandum d’intesa di Parigi relativo al controllo delle navi da parte dello Stato d’approdo in merito agli obblighi relativi all’organizzazione e all’esecuzione dei controlli da parte dello Stato di approdo. Gli Stati membri hanno inoltre convenuto di istituire un regime volontario di controllo da parte dello Stato di approdo per i pescherecci più grandi e di aumentare l’importanza dei requisiti ambientali del controllo da parte dello Stato di approdo, adeguando il profilo di rischio della nave utilizzato per selezionare le navi da ispezionare. La direttiva riveduta prevede anche certificati navali elettronici, che consentiranno agli ispettori di prepararsi meglio prima delle ispezioni e di concentrarsi sulla conformità delle navi alle norme applicabili, piuttosto che su un riesame dei documenti una volta a bordo.

    I controlli da parte dello Stato di bandiera e da parte dello Stato di approdo sono strumenti importanti per un’ampia gamma di questioni relative al trasporto marittimo, quali la sicurezza marittima, la protezione dell’ambiente e le condizioni di lavoro a bordo.

    A seguito dell’accordo politico di ieri, ora i testi definitivi devono essere adottati formalmente. Una volta completato tale processo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, le nuove norme saranno pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea ed entreranno in vigore dopo 20 giorni. Gli Stati membri disporranno di 30 mesi per recepire le direttive nel diritto nazionale.

  • Confedilizia invoca migliorie dell’apparato normativo e istituzionale europeo

    Di fronte alla XIV Commissione della Camera, in rappresentanza di Confedilizia, il vicepresidente Achille Colombo Clerici ha osservato che la comunicazione della Commissione europea a Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e al Comitato delle Regioni, dal titolo “Applicare il diritto dell’U.E. per un’Europa dei risultati”, si inscrive in un processo formativo dell’Unione europea che non solo non è compiuto ma pare in fase di arretramento. Lodando lo sforzo della Commissione stessa di contrastare tale tendenza, Colombo Clerici non ha potuto non sottolineare come l’Unione e il suo diritto, di cui la Commissione è custode, rischino di esser relegati in secondo piano rispetto agli interessi dei singoli Stati dell’Unione stessa. «Emblematico – ha detto – il caso Ema e l’assegnazione della sede ad Amsterdam. Il 14 luglio 2022 veniva pubblicata la sentenza della Corte di Giustizia Europea che si pronunciava sui ricorsi mediante i quali il Comune di Milano e la Repubblica Italiana avevano impugnato la decisione del Consiglio Europeo in merito alla assegnazione dell’Ema (l’Agenzia Europea per i farmaci). Si pensava potessero esserci vizi di legittimità (ad es. errore) nel procedimento di assegnazione culminato con l’estrazione a sorte l’assegnatario finale (la città olandese di Amsterdam) e l’esclusione di Milano, appunto. In particolare, circa l’idoneità della città di Amsterdam ad ospitare la predetta Agenzia. In effetti, mentre nei dossier si affermava che la sede di Amsterdam era idonea e pronta per essere occupata ed utilizzata, ciò non sarebbe risultato alla prova dei fatti (mancando ancora qualche mese all’ultimazione dei lavori di adattamento), tanto che si trattò poi di utilizzare provvisoriamente un altro edificio. La sentenza della Corte di Giustizia respingeva i ricorsi, (senza entrare nel merito e senza dar corso ad attività istruttorie di sorta) dichiarando che, in caso di decisione del Consiglio dei Ministri Europeo, si tratta di atto politico, insindacabile anche sul piano della legittimità (ad esempio per errore colposo o doloso che sia): non solo quindi la discrezionalità assoluta nel merito, ma, sul piano del controllo di legalità, mancando una norma che fissi il limite costituzionale, non solo le decisioni di contenuto amministrativo, ma le leggi stesse risultano legibus solutae».

    Più dettagliatamente, ha sottolineato Colombo Clerici. «La sentenza della Corte di Giustizia incorre in errore perché assimila le decisioni del Consiglio dell’Unione Europea ai trattati internazionali, per il solo e semplice fatto che a decidere sono i rappresentanti degli stati. Ma nel caso di un trattato (che è un accordo inter partes) la decisione resta in capo ai diversi Stati, mentre nel nostro caso si tratta di un atto dell’organismo Unione (dotato di propria personalità giuridica), in quanto i singoli stati esprimono il loro voto nell’ambito di un organo istituzionale della Unione stessa: cosa ben diversa. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un atto politico, ad una decisione politica, nel secondo caso ad una decisione tecnico-istituzionale. La sentenza della Corte finisce inoltre per confondere il voto dei singoli stati membri (che è evidentemente atto politico insindacabile) con la decisione prodotta dal voto stesso (che è atto giuridico di un Organo dell’U.E.  e, come tutti gli atti giuridici, sindacabile sul piano della legittimità). Anche il voto dei nostri parlamentari è un atto politico, ma le leggi stesse sono soggette al vaglio di legittimità costituzionale. Ma tant’è. Il caso è chiuso».

    Osservando sulla scia della vicenda Ema che «l’interesse comunitario porterebbe a tener conto che l’Unione presenta una situazione di grave squilibrio quanto alla assegnazione storica delle diverse sedi istituzionali le quali risultano tutte concentrate in un ridotto europeo del raggio di poche centinaia di chilometri, localizzato nel quadrante Benelux Francia, Germania», il vicepresidente di Confedilizia ha ricordato che  «all’Italia (terzo contributore netto dell’Unione) ne risulta assegnata solo una e mezza. (Parma e Torino). Un trattamento a dir poco inconcepibile, che dà luogo ad una situazione certamente non suscettibile di esser protratta nel tempo, per ovvie ragioni di natura culturale ed economica».

    Colombo Clerici ha poi parlato anche delle implicazioni dell’affaire Qatargate; «Il sistema europeo di fatto non appronta, come vediamo, alcun rimedio. Mancando infatti di una giurisdizione penale comunitaria e parallelamente del requisito della extraterritorialità almeno per reati commessi da dipendenti, funzionari, esponenti nell’esercizio delle loro funzioni, questo sistema dà luogo ad una situazione anomala che rappresenta una grave lacuna nella costruzione dell’organismo dell’Unione Europea. E’ competente infatti l’A.G. del luogo dove è commesso il reato, cioè di uno dei cinque stati citati in cui è localizzata la sede istituzionale europea, sicché la sentenza verrà pronunciata in nome del popolo belga, francese e via dicendo e non dei popoli dell’Unione. Saremmo curiosi di sapere poi, prendendo ad esempio il caso Qatargate, visto che è competente l’A.G. belga, se, a seguito della condanna di un ex parlamentare alla confisca di 1 milione di euro, la somma venga incamerata dal Regno del Belgio o da chi altro.  Ma è la stessa attività inquirente/requirente (cioè di promozione dell’azione penale, con la conseguente attività istruttoria) che non potrà essere iniziata da uno stato diverso, anche se ci trovassimo di fronte alla lesione di interessi di soggetti appartenenti a questo stato (tranne ovviamente il caso che il funzionario da indagare mettesse piede proprio nel territorio di questo stato). Come si vede, dunque, sussiste un grandissimo vulnus sul piano della sovranità degli Stati (è questione di equità e di dignità degli Stati di fronte a questa asimmetricità) e della tutela degli interessi degli stati stessi e dei soggetti ad essi appartenenti».

  • 70 anni fa nasceva il Parlamento europeo, serve una nuova Convenzione per dare vita all’Unione politica

    Il 22 novembre di settanta anni fa nasceva il Parlamento europeo, l’unica assemblea che rappresenta i cittadini di tutti i Paesi membri dell’Unione attraverso parlamentari eletti in ogni Stato con elezione proporzionale.

    Da allora molta strada è stata fatta, la comunità europea è diventata Unione, ai sei Paesi fondatori si sono via via aggiunti altri Stati fino alla realtà attuale di 27, dopo l’uscita del Regno Unito.

    L’Europa, ancora incapace di diventare un’autentica Unione politica, è stata però in grado, in questi ultimi anni, di fronteggiare, tutti insieme, prima la pandemia ed ora la criminale guerra condotta da Putin contro l’Ucraina, di immaginare, finalmente, una politica comune per l’energia e di dare il via ad una prima ipotesi di esercito comune di difesa.

    Restano ancora aperti i problemi legati all’immigrazione, per questo si deve rivedere il trattato di Dublino dandosi regole comuni per l’accoglienza e l’inserimento degli immigrati, nessun Paese europeo può rifiutarsi di assumersi la quota di profughi che le spetta.

    Occorre una diversa politica per la cooperazione con i paesi in via di sviluppo perché è noto ed evidente che i primi e concreti aiuti vanno dati alle persone sul territorio nel quale vivono e questi aiuti devono arrivare alle popolazioni e non a quei governi che nulla hanno fatto per migliorare le condizioni di vita dei loro cittadini.

    I deputati europei, nel corso dei decenni, si sono molto battuti per eliminare quel deficit democratico che ancora pesa sul Parlamento, terza istituzione dell’Unione e l’unica eletta direttamente dai popoli europei.

    Certamente molti passi avanti sono stati fatti con il Trattato di Lisbona ma la strada è ancora lunga, infatti troppe volte il Consiglio europeo ha disatteso le decisioni votate dal Parlamento sfuggendo allo strumento della conciliazione che deve servire ad armonizzare il pensiero della tre Istituzioni: Consiglio, Commissione e Parlamento.

    Il Parlamento europeo ha diritto, come i parlamenti degli Stati nazionali, di poter legiferare e di potersi confrontare a pieno titolo con il Consiglio, questo deficit democratico pesa anche sull’opinione e la fiducia che i cittadini hanno verso l’Europa e porta troppi parlamentari europei a sentirsi meno ascoltati, sia dai propri partiti che dalla stampa del loro Stato, dei parlamentari nazionali.

    Come convinti europeisti crediamo che sia arrivato, e non più procrastinabile, il momento di nuove riforme sia per quanto riguarda il Consiglio che il Parlamento, il momento di una nuova Convenzione europea che ridisegnando compiti e ruoli porti finalmente all’Unione politica in senso pieno.

  • Legge sui servizi digitali: il Consiglio e il Parlamento europeo raggiungono un accordo per un ambiente online più sicuro

    Una tappa importante nella transizione digitale dell’Unione è stata segnata con l’accordo politico provvisorio riguardante la legge sui servizi digitali raggiunto tra la presidenza del Consiglio e il Parlamento europeo.

    La legge sui servizi digitali, che consente di sancire il principio secondo cui ciò che è illegale offline deve esserlo anche online, mira a proteggere lo spazio digitale dalla diffusione di beni, contenuti e servizi illegali e a garantire la protezione dei diritti fondamentali degli utenti.

    La legge sui servizi digitali si applica a tutti gli intermediari online che prestano servizi nell’Unione. Gli obblighi imposti sono proporzionati alla natura e alla portata dell’impatto intermediario in questione, in particolare in funzione del numero di utenti che utilizzano il servizio. Le piattaforme di dimensioni molto grandi o i motori di ricerca di dimensioni molto grandi saranno pertanto soggetti a obblighi più rigorosi a seconda del numero di utenti che utilizzano i loro servizi.

    Ambito di applicazione

    La legge sui servizi digitali stabilisce un quadro giuridico orizzontale e si applica ai servizi intermediari quali quelli offerti da prestatori di servizi di hosting, motori di ricerca, piattaforme e mercati online. Nell’ambito di questi servizi intermediari, tra le piattaforme e i motori di ricerca online di dimensioni molto grandi si opera una distinzione quando tali servizi sono utilizzati da oltre 45 milioni di utenti attivi al mese nell’UE.

    Al fine di salvaguardare lo sviluppo delle start-up nel mercato interno, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno convenuto che le microimprese e le piccole imprese con meno di 45 milioni di utenti attivi al mese nell’UE sono esentate da alcuni nuovi obblighi.

    Governance

    Per garantire un’attuazione efficace e uniforme degli obblighi della legge sui servizi digitali, il Consiglio e il Parlamento hanno deciso di conferire alla Commissione il potere esclusivo di vigilare sulle piattaforme e sui motori di ricerca di dimensioni molto grandi per quanto riguarda gli obblighi specifici a questo tipo di operatori.

    I principali operatori digitali saranno quindi controllati a livello europeo grazie allo sviluppo di competenze in seno alla Commissione e in collaborazione con gli Stati membri. In tal modo sarà garantita una risposta efficace e uniforme ai rischi sistemici posti da tali operatori di dimensioni molto grandi. Questo modello di governance preserva il principio del paese d’origine che si applica a tutti gli altri intermediari di servizi e agli altri obblighi stabiliti dalla legge sui servizi digitali.

    Per finanziare le attività di vigilanza della Commissione europea sugli operatori di dimensioni molto grandi, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio per creare un meccanismo di commissioni annuali da imporre a tali operatori, direttamente collegato ai compiti della Commissione.

    Mercati online

    I colegislatori hanno convenuto di rafforzare gli obblighi relativi ai mercati online nell’ambito della legge sui servizi digitali. In effetti, considerato il ruolo importante svolto da tali operatori nella vita quotidiana dei cittadini europei, la legge sui servizi digitali impone ai mercati un dovere di diligenza nei confronti dei venditori i cui prodotti o servizi sono messi in vendita sulla loro piattaforma online.

    Al fine di limitare la diffusione di contenuti illegali, i mercati online devono compiere i massimi sforzi per verificare la corretta fornitura di informazioni da parte dei venditori prima di autorizzarli a vendere online. I mercati dovranno inoltre raccogliere e mostrare le informazioni sui prodotti e i servizi venduti, come la marca e la conformità al diritto dell’Unione, al fine di garantire che i consumatori siano adeguatamente informati.

    Rischi sistemici delle piattaforme e dei motori di ricerca di dimensioni molto grandi

    Data l’importanza degli operatori di dimensioni molto grandi nella vita quotidiana dei cittadini europei e dell’Unione in generale, la legge sui servizi digitali introduce l’obbligo per tali operatori di analizzare i rischi sistemici che generano e di mettere in atto misure per ridurre i rischi individuati.

    Tale analisi è effettuata annualmente e, grazie alla supervisione unificata di questi operatori da parte della Commissione europea, consente un monitoraggio continuo per ridurre i rischi di: i) diffusione di contenuti illegali; ii) effetti negativi sui diritti fondamentali come la libertà di espressione e di informazione; iii) manipolazione dei loro servizi a scapito dei processi democratici e della sicurezza pubblica; iv) effetti negativi in relazione alla violenza di genere e alla protezione dei minori e gravi conseguenze sulla salute fisica o mentale degli utenti.

    Interfacce fuorvianti

    Tenuto conto dell’obiettivo di proteggere gli utenti online, i colegislatori hanno convenuto di vietare le interfacce fuorvianti e i metodi finalizzati a indurre in errore gli utenti per le piattaforme e le interfacce online designate nell’ambito della legge sui servizi digitali, come le interfacce relative alla segnalazione di presunti contenuti illegali da parte di un utente.

    Sistemi di raccomandazione

    Data l’importanza dei sistemi di raccomandazione nell’esperienza degli utenti online, il Parlamento e il Consiglio hanno convenuto di stabilire requisiti di trasparenza per i parametri dei sistemi di raccomandazione al fine di migliorare l’informazione degli utenti e le loro possibili scelte. Ai sensi della legge sui servizi digitali, le piattaforme e i motori di ricerca di dimensioni molto grandi dovranno obbligatoriamente offrire agli utenti un sistema di raccomandazione dei contenuti che non sia basato sulla loro profilazione.

    Gestione delle crisi

    Nel contesto dell’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina e in particolare delle conseguenze sulla manipolazione delle informazioni online, i colegislatori hanno convenuto di includere un nuovo articolo che introduce un meccanismo di risposta alle crisi.

    Tale meccanismo sarà attivato da una decisione della Commissione su raccomandazione del comitato dei coordinatori nazionali dei servizi digitali e consentirà di analizzare l’impatto dell’attività delle piattaforme e dei motori di ricerca di dimensioni molto grandi sulla crisi in questione, come pure le misure proporzionate ed efficaci da attuare nel rispetto dei diritti fondamentali.

    Tutela dei minori online

    Diverse disposizioni della legge sui servizi digitali consentono la tutela dei minori online. Le piattaforme accessibili ai minori dovranno mettere in atto misure di protezione particolari per garantire la sicurezza dei minori online, specie quando sono a conoscenza del fatto che l’utente è un minore; alle piattaforme sarà fatto divieto di presentare ai minori messaggi pubblicitari mirati derivanti dall’uso dei loro dati personali quali definiti nel diritto dell’UE.

    Nel dicembre 2020 la Commissione europea ha presentato due proposte legislative nell’ambito di un pacchetto volto a regolamentare il settore digitale: la legge sui servizi digitali e la legge sui mercati digitali.

    La legge sui servizi digitali e la legge sui mercati digitali costituiscono i due pilastri di una regolamentazione digitale che rispetta i valori europei e il modello europeo; tali regolamenti definiscono insieme un quadro adeguato allo sviluppo economico dei giganti del digitale e alla protezione dei loro utenti.

    Il 24 marzo è intervenuto un accordo politico provvisorio tra il Consiglio e il Parlamento e oggi si è giunti a un accordo politico provvisorio riguardante la legge sui servizi digitali.

    L’accordo politico provvisorio odierno deve essere approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo prima di passare alle fasi formali della procedura di adozione di ciascuna istituzione.

    È stato raggiunto un ambizioso accordo provvisorio sul termine per l’entrata in applicazione della legge sui servizi digitali, poiché le disposizioni sulle piattaforme e sui motori di ricerca di dimensioni molto grandi che hanno il maggiore impatto sulla protezione degli utenti si applicheranno entro XX mesi, mentre le restanti disposizioni entreranno in vigore entro 12-18 mesi dall’entrata in vigore della legge sui servizi digitali.

    Fonte: Comunicato stampa del Consiglio europeo

  • Il PE si prepara a votare l’accordo sulle indicazioni geografiche UE-Cina

    Il 6 novembre 2019 l’UE e la Cina hanno concluso i negoziati su un accordo autonomo in merito alla cooperazione sulla protezione delle indicazioni geografiche (IG) di prodotti, perlopiù agricoli. Il reciproco accordo UE-Cina mira a proteggere 100 IG dell’UE in Cina e 100 IG cinesi nell’UE contro l’imitazione e l’appropriazione indebita. Il 20 luglio 2020 il Consiglio UE ha approvato la firma dell’accordo e il Parlamento europeo deve ora dare il suo consenso alla conclusione del contratto. Una volta entrato in vigore, l’accordo potrebbe contribuire a promuovere le esportazioni dei prodotti alimentari di alta qualità dell’UE, compresi vini e alcolici, verso la terza destinazione più grande per le esportazioni agroalimentari dell’UE, cioè la Cina.

    L’accordo amplierebbe inoltre il riconoscimento globale del regime di protezione delle IG sui generis dell’UE, un obiettivo chiave della politica commerciale dell’UE.

  • Il Consiglio dell’UE nomina 22 procuratori dell’EPPO

    Il Consiglio dell’UE ha nominato i pubblici ministeri della Procura europea (EPPO) che lavoreranno insieme sotto la guida della nuova responsabile, Laura Codruta Kovesi, entrato in carica in autunno. Nel momento del suo insediamento aveva immediatamente sottolineato che all’EPPO mancava il personale e che tale carenza avrebbe gravemente ostacolato il lavoro della procura.

    La decisione è arrivata con ritardo a causa degli ostacoli che Malta stava affrontando nella nomina di un procuratore europeo poiché aveva un numero limitato di candidati ammissibili. I pubblici ministeri dell’UE avranno una durata non rinnovabile di sei anni, con la possibilità di una proroga di tre anni.

    Nel suo incarico, Kovesi, ex capo dell’unità anticorruzione della Romania, indagherà sui crimini finanziari nell’UE, come la frode IVA transfrontaliera, il riciclaggio di denaro e la corruzione. L’EPPO è stato creato per indagare e perseguire le frodi contro il bilancio dell’UE, al di là dei confini nazionali e delle autorità nazionali, poiché gli organismi dell’UE già esistenti come Eurojust, Europol e l’ufficio antifrode dell’UE (OLAF) non dispongono dei poteri necessari per svolgere attività di indagini criminali e azioni penali.

    L’EPPO dovrebbe diventare operativo entro la fine dell’anno ed è incaricato di indagare, perseguire e assicurare alla giustizia i crimini contro gli interessi finanziari dell’UE.

    22 paesi stanno attualmente partecipando all’EPPO: Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Spagna.

  • Oltre il tifo com’è andata a Bruxelles

    Riportiamo di seguito il commento di Carlo Calenda sul vertice straordinario del Consiglio europeo diramato attraverso il sito del suo movimento AZIONE.

    A Bruxelles l’Italia non ha né “vinto” né “perso”. Non è così che si ragiona sull’esito di un vertice internazionale. Ho cercato di spiegare in un video cos’è successo al Consiglio Europeo, per chi vuole capire e non tifare. Gli aspetti positivi e quelli negativi di un accordo importante e, per alcuni versi, rischioso per l’Italia.
    Il nostro Paese riceverà più prestiti del previsto, 38 miliardi di euro in più, e 4 miliardi in meno di sussidi a fondo perduto. L’ammontare complessivo del Recovery Fund è comunque superiore alla proposta iniziale. Attenzione però, i sussidi non sono realmente 80 miliardi perché dal 2028 ne daremo 55 al budget europeo, quindi il saldo netto è di 25 miliardi. Una somma importante, ma non decisiva.
    Ricordiamoci inoltre che questi fondi hanno condizioni stringenti, molto più del MES “sanitario”. Occorrerà presentare entro il 15 ottobre un piano – molto dettagliato – alla Commissione europea, che attribuirà una valutazione basata su sei criteri. È anche giusto che sia così, perché quei soldi non vanno buttati.
    C’è, in questo importante accordo, una sconfitta per l’Europa. Nel corso del Consiglio europeo sono state tolte le risorse che erano destinate a rafforzare gli strumenti comunitari, gestiti dalla Commissione, a favore di strumenti gestiti dai singoli Stati. È un problema per due motivi: primo, i Paesi si indebitano, secondo, rallenta il cammino verso un’Unione più forte.
    Altri due punti critici. Uno, è sparito il vincolo del rispetto dei principi dello Stato di diritto per ricevere i fondi. Sbagliatissimo, chi fa parte di un’Unione e ne trae i benefici deve rispettarne le regole, penso in particolare all’Ungheria. Due, rimane il tema del “freno” che consente a un Paese di richiedere la sospensione dell’erogazione dei fondi a un altro Stato, se ritiene che non stia rispettando il piano previsto.
    Questo piano è un compromesso, importante, ma con qualche rischio per l’Italia. Uno in particolare, che come conseguenza del piano di aiuti la BCE riduca l’intensità del quantitative easing – l’acquisto di titoli di Stato – che è fondamentale per il nostro Paese. Quindi mettiamoci subito al lavoro per scrivere un piano serio. Azione, come sempre, è pronta a dare il suo contributo.

  • Recovery Plan: quattro successi e quattro sfide

    Altre volte, in vista di decisioni importanti, c’è voluto molto più tempo per siglare l’accordo. Anche per il Recovery, un rinvio a fine agosto avrebbe potuto starci, data la posta in gioco. Ma il Consiglio e la Commissione devono aver avuto una certa paura: di abbassare le cifre iniziali della proposta, di aspettare ancora, di non controllare la qualità della spesa. Paura di perdere la faccia presso i proprio elettori, con attese diverse in ciascun paese dell’Unione, di far crollare le borse, di farsi ridere da chi, da posizioni certo diverse, nell’Europa non vuole credere – Cina, Erdogan, Putin, e gli stessi Trump e Boris Johnson.

    Intrinsecamente più forte rispetto ad altre aree del mondo, soprattutto se davvero lo volesse, l’Europa ha fatto dei suoi timori la sua arma e ha sfoderato l’accordo. Una perla rara in un mondo dove si prova a uscire dal Covid con un Oriente diviso e spaventato dal crescente ruolo cinese, un mondo arabo in preda a rinnovati egoisti, un’America latina in stato confusionale, e con gli Stati Uniti che ancora devono trovare la propria strada tra problemi interni e la rinuncia al multilateralismo. In questo contesto e seppure con le sue contraddizioni, l’Europa ha sorpreso, si è voluta sorprendere lei stessa per ampiezza della risposta alla crisi innescata dal Covid. Per almeno quattro ragioni.

    1. Mai si è vista in Europa una mobilitazione finanziaria così elevata: 750 miliardi (390 di sovvenzioni e 360 di prestiti di cui 209 destinati all’Italia, il paese che ne ottiene più di altri), più i 1.074 miliardi del bilancio pluriannuale 2021-2027. A queste risorse si aggiungono le altre già stanziate – SURE, la Banca Europea degli Investimenti, le aggiunte ai fondi per la ricerca e la protezione civile – tanto da giungere ai duemila miliardi che molti ritenevano una balla propagandistica.
    2. Cifre così elevate mettono in ombra la rivoluzione più profonda del nuovo Fondo: il ricorso all’emissione di titoli di debito comune per 750 miliardi, con interessi che saranno pagati dal bilancio comunitario. Strumenti di finanza europea che i federalisti hanno chiesto invano per quasi vent’anni. Che ci si arrivi tardi non è una ragione per non festeggiare.
    3. Com’era giusto che fosse, lo scontro non è stato tanto sulle cifre (di fatto inalterate rispetto alla proposta della Commissione), ma sulle condizioni di utilizzo: una preoccupazione non solo di Paesi Bassi e altri “frugali”, ma anche di chi come noi hanno assistito per decenni allo spreco o al mancato utilizzo dei fondi europei destinati all’Italia e hanno già più volte denunciato i sette primati negativi del paese rispetto al resto d’Europa – inefficienza della pubblica amministrazione, corruzione, economia sommersa, evasione e giungla tributaria, crimine organizzato, costo delle istituzioni, moltiplicazione dei centri decisionale e di spesa. La formula finale è tipica di un compromesso che fa contenti tutti: vi sono ottime aree prioritarie di spesa – agenda digitale, sostenibilità ambientale, aggiornamento della burocrazia e della giustizia, e altre priorità europee – e un meccanismo di controllo dell’impiego delle risorse che impegna il governo beneficiario, poi la Commissione e se necessario il Consiglio, a maggioranza qualificata e con tempi certi.

    Se per alcuni aspetti avremmo auspicato un coinvolgimento anche maggiore da parte della Commissione, la combinazione di elevate risorse, programmazione di aree strategiche e procedure di controllo, remano verso la creazione di quel governo economico europeo invocato dai federalisti e osteggiato dai sovranisti, ma che seppure a piccoli passi si sta plasmando come una necessità per gestire la sempre più interdipendente e complessa Europa.

    1. Dal vertice escono vincitori i governi più europeisti: il solito asse franco-tedesco, la Spagna e il Portogallo, il Belgio e il Lussemburgo, e soprattutto l’Italia e in particolare il Presidente del Consiglio. Conte torna a Roma perfino con più risorse di quelle che si potevano prevedere alla vigilia e con condizionalità comunque virtuose: una lezione a chi, nell’opposizione ma anche nella maggioranza, ha gufato contro la scommessa europeista.

    Non sono successi che s’improvvisano: per quanto possa sorprendere, la capacità di intessere relazioni umane dirette, di crearsi una propria credibilità personale, sono elementi cruciali in un negoziato europeo – quasi quanto la forza di cui un paese dispone a monte. Giuseppe Conte, già dal suo primo governo, ha saputo creare questi rapporti e si è districato ammirevolmente tra Rutte e Orban, tra Macron e la Merkel, tra la van der Leyen e Michel, usando a giuste dose i toni forti e la persuasione. Gli italiani che invocano una maggioranza di centro-destra dovrebbero capire che essa non avrebbe mai potuto ottenere 209 miliardi dall’Europa, di cui 81 a fondo perduto. E con i fondi ordinari del periodo 2021-2027 si arriva a 250 miliardi…

    Questa storia però non è un “lieto fine”. Perché è solo l’inizio di quattro partite ben più difficili, tre per il governo e per tutta l’Italia, e una per l’Europa.

    1. La prima è la questione dei 37 miliardi aggiuntivi del MES, su cui maggioranza e opposizione sono divise al loro interno. L’ottimo risultato sul Recovery non dovrebbe far calare l’interesse per il MES. Tenendo conto delle condizioni di controllo previste dal Recovery, il MES offre addirittura margini di autonomia maggiori, seppure indirizzati nel solo, ma vitale, settore della spesa sanitaria. E dopo aver ricevuto oltre 200 miliardi di altri fondi UE non possiamo credere che l’Italia si possa trovare nell’impossibilitò di rimborsare un prestito a tassi zero e lunga scadenza, condizioni mille volte migliori di quelle offerte dal mercato, e dunque di cadere sotto l’amministrazione controllata della troika. Se questo accadesse, vorrebbe dire che il paese sarebbe già al collasso, e la classe politica italiana si meriterebbe di essere messa sotto libertà vigilata.
    2. MES o non MES, resta il nodo del buon utilizzo di questo improvviso patrimonio. I precedenti italiani e anche le esitazioni dell’esecutivo in carica non promettono niente di buono e le preoccupazioni di certi paesi europei sono anche nostre. Con venti regioni, l’unico parlamento al mondo con un bicameralismo perfetto, una confusione normativa e di ruoli sistemica e una cultura nazionale piegata al modello assistenzialistico, Conte e il governo rischiano di trasformare il successo europeo in un fallimento paradossale se non sapranno impiegare presto e bene questi oltre duecento miliardi. Sotto questo profilo, finora non si vedono elementi che possano rassicurare.

    Giorgio La Malfa ha lanciato una proposta forte: creare una sorta di commissario alla gestione di queste risorse, nella persona di Mario Draghi. La garanzia non sta solo nel nome, super-partes e di alta credibilità internazionale, ma anche in un meccanismo che eviti una “spartizione del bottino” con logiche del tanto-a-me-tanto-a-te, tra ministeri e tra regioni, senza una visione di fondo. Draghi saprebbe come fare per il bene del paese.

    1. Tuttavia, il paese non può perversare nell’abitudine di risolvere i suoi problemi con task-force e commissari, e dunque in deroga. Occorre mettere mano alle regole ordinarie e approfittare di questa bizzarra congiuntura – massimo crollo del pil e massimo aiuto europeo – per procedere a riforme che procedano per riduzione e non per aggiunte, attaccando con decisione quei sette vizi che abbiamo già ricordato, riformando le pensioni, giustizia, scuola. Se ne parla da secoli, così come da secoli si era parlato di eurobond – ora non ci sono più scuse. Senza questa svolta avremo perso una delle migliori occasioni per rendere l’Italia un paese più giusto, più coeso più moderno, più prospero; avremo perso solo altro tempo e denaro e li avremo fatti perdere all’Europa. Qualcuno dirà che non sarebbe un dramma: manterremo la nostra “sovranità”, i nostri giovani continueranno a cercare lavoro in Europa e gli europei continueranno a volerci bene e a venire in Italia – ma solo in vacanza.
    2. Se l’Italia deve affrontare senza paura le sue riforme, anche l’Unione Europea deve riscrivere le sue regole. La crisi del Covid non si ripresenterà spesso, ma chissà, e non si possono fare le cinque di mattina ogni volta. In ogni caso c’è qualcosa di folle nello stanziamento di duemila miliardi senza disporre alle spalle di una vera Europa federale. Come gli italiani a casa loro, anche tutta l’Europa non deve trasformare un successo in una perdita di tempo, e deve procedere a un nuovo trattato, con fiscalità comune, difesa comune, politica estera veramente comune, ricerca comune, e anche sanità pubblica comune. Per come vanno le cose altrove, da questa scelta di fondo ne va della prosperità degli europei, ma anche del futuro del mondo libero.

    Niccolò Rinaldi

    Responsabile politiche europee PRI e Presidente di Liberi Cittadini

  • L’Europarlamento in difesa dei diritti umani e della democrazia

    Diritti umani e democrazia al centro dell’agenda dell’ultima Sessione plenaria del Parlamento europeo prima della sosta estiva. Previsti, infatti, una dichiarazione dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Sicurezza, Josep Borrell, e un dibattito sul ‘Rapporto annuale dell’UE sui diritti umani e la democrazia nel mondo 2019’, di recente pubblicazione, ai quali il Parlamento è chiamato a rispondere proponendo raccomandazioni per il futuro.

    Il Consiglio ha approvato la relazione annuale attraverso una procedura scritta semplificata lo scorso 15 giugno. Al centro le sfide più urgenti con una mappatura completa delle azioni condotte dall’Unione in materia di diritti umani e democrazia a livello multilaterale, regionale e bilaterale.

    La relazione del 2019 segna la fase finale dell’attuazione del piano d’azione dell’UE per il 2015-2019 su diritti e democrazia, con un nuovo piano d’azione che dovrebbe essere adottato presto dal Consiglio.

    La situazione che emerge dal rapporto 2019 non è delle migliori perchè il concetto di democrazia diminuisce sempre più e crescono le repressioni dei diritti umani. Nell’ottobre 2019, in risposta a queste tendenze, il Consiglio aveva adottato nuove conclusioni sul sostegno alla democrazia nelle relazioni esterne dell’UE.

    Le tecnologie digitali hanno fornito nuove opportunità di partecipazione politica ma hanno anche creato pericolosi strumenti per l’incitamento alla violenza o all’odio, campagne di disinformazione e violazioni dei diritti umani online (tutte questioni che richiedono l’attenzione dell’UE). Nel 2019 l’Unione ha continuato a sostenere chi difende i diritti umani in situazioni difficili in tutto il mondo e a fornire assistenza legale e finanziaria. Nei dialoghi bilaterali e multilaterali, l’UE ha continuato a sostenere con forza la libertà di espressione e dei media, nonché a favorire libertà di religione e credo. Ha inoltre lavorato molto sulla lotta alla disinformazione coinvolgendo i giornalisti nei contesti locali. L’uguaglianza e la lotta alla discriminazione sono in cima all’agenda dell’UE, in particolare la parità di genere e l’empowerment delle donne, i diritti del bambino, delle persone LGBT e delle popolazioni indigene.

    A giugno 2019 sono state adottate Linee guida sui diritti umani in materia di acqua potabile e servizi igienico-sanitari e, alla luce di quanto accaduto con il Covid 19, tale attenzione si è rivelata molto importante.

    L’UE, grazie alla sua politica estera, ha ridotto anche le agevolazioni commerciali alla Cambogia a causa delle continue violazioni dei diritti delle persone pesantemente sfruttate nel mondo del lavoro.

    Ogni anno, in risposta alla relazione dell’UE, la commissione per gli affari esteri (AFET) redige una relazione per l’adozione da parte del Parlamento. A differenza del rapporto dell’UE, tale la relazione, che viene generalmente votata durante la sessione plenaria di dicembre, formula raccomandazioni specifiche per guidare la futura politica dell’Unione.

  • La forma e la sostanza ora coincidono: Germania alla guida della Ue fino a fine anno

    Nei corridoi di Bruxelles e di Berlino la chiamano già “la presidenza Corona”. Quella della Germania sarà una presidenza del Consiglio Ue “completamente diversa” da quella che era stata programmata inizialmente. “Non sarà certo quella che avevamo preparato: abbiamo dovuto riprogrammare tutto”, ha spiegato alla vigilia una fonte diplomatica tedesca a Bruxelles.

    In ogni caso, per la prima potenza dell’Ue, che per sei mesi avrà la presidenza della Commissione e del Consiglio insieme, la “priorità” sarà “combattere la pandemia” di Covid-19 e le sue conseguenze economiche. Il successo o il fallimento della presidenza della Germania si misurerà su due dossier, che hanno la precedenza su tutti gli altri. Anzitutto, il pacchetto costituito dal Recovery Plan da 750 miliardi di euro e dall’Mff 2021-27, il bilancio pluriennale dell’Ue da 1.100 miliardi. E poi la Brexit che, anche se il Regno Unito è ormai uscito dall’Ue, continua a pendere come una spada di Damocle sul Vecchio Continente, perché alla crisi nera provocata dalla pandemia si aggiunge il rischio di una Brexit dura sul piano economico il 31 dicembre 2020, senza un accordo sulla relazione futura.

    Anche se è la premier più longeva del Continente e anche se la risposta alla pandemia le ha dato nuova forza politica, neppure Angela Merkel ha la bacchetta magica: “Ci sono troppe aspettative per la presidenza tedesca – spiega il diplomatico – se durante la presidenza avremo un accordo sul Recovery Plan e sull’Mff, questo per noi sarà un successo fantastico”. E “se avessimo anche un accordo” sulla relazione futura con il Regno Unito, sarebbe “magnifico”, ma anche in questo caso “bisogna essere in due per ballare il tango”. Per arrivare ad un accordo con Londra “serve maggiore realismo da parte britannica. Se avremo queste due cose, sarà un successo enorme”. Arrivare ad un accordo sul Recovery Plan e sull’Mff 2021-27 “è possibile”, ma “non sarà facile”, spiega il diplomatico. Le principali discussioni, che sono in corso, vertono sulla proporzione di trasferimenti e prestiti, con i Paesi Frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) contrari ai primi, oppure inclini a ridurne l’entità (nella proposta sono 500 mld i trasferimenti e 250 miliardi i prestiti), ma anche sui criteri di allocazione delle risorse che, anche se suonano “tecnici”, determinano “quanto ciascuno prende dalla torta”.

    Si discute anche della condizionalità, cioè sul fatto che “se prendi i soldi fai le riforme”. Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel dovrebbe proporre presto una “negobox”, un pacchetto negoziale, dopodiché si discuterà “intensamente” fino al Consiglio Europeo del 17-18 luglio, quando la palla sarà nelle mani dei leader. “Speriamo che sia possibile” arrivare ad un accordo “al più tardi entro la fine del mese”, dice la fonte. Per il diplomatico “ci sono buone possibilità di avere un accordo già il 17-18 luglio. Forse occorrerà arrivare a domenica mattina, ma è possibile. Siamo ottimisti”. Un accordo entro luglio è necessario, perché poi occorre negoziare con il Parlamento, che può bocciare il bilancio. Oggi il presidente della commissione Bilanci del Parlamento Johann van Overtveldt ha avvertito che l’Aula non si lascerà schiacciare da una fretta dovuta ai ritardi del Consiglio.

    Per quanto riguarda invece la Brexit, o meglio l’accordo sulla relazione futura tra Ue e Regno Unito, che a fine anno uscirà da mercato unico e unione doganale, gli scogli sono il “level playing field”, cioè la concorrenza leale, ossia le condizioni alle quali le imprese britanniche potranno accedere al mercato unico, la pesca e la governance, incluso il ruolo della Corte di Giustizia Ue.

    Questi sono i punti “più difficili”, spiega il diplomatico. Ma non dipende tutto dall’Ue, né dalla Germania: per arrivare ad un accordo occorrerà “un approccio più pragmatico e meno ideologico” da parte del Regno Unito. Un’intesa deve essere trovata entro il Consiglio Europeo di ottobre, al più tardi entro l’inizio di novembre, per permettere le ratifiche parlamentari.

    Sul dossier migrazioni, che è diventato “tossico”, è inutile aspettarsi miracoli: “Non riusciremo a chiudere il file – prevede il diplomatico – se riusciremo a mettere un po’ di movimento nella discussione” sarà già un successo, “vista la situazione”.

    Bene ha fatto la Commissione, con una mossa “intelligente”, a rimandare la presentazione della riforma del sistema Ue di asilo a dopo l’accordo sul Recovery Plan. Una volta incassata l’intesa, allora “daremo un’occhiata al dossier, ma non mi aspetto che saremo in grado di chiuderlo”, dice la fonte.

    Mentre si sono già fatti grandi “progressi” sulla legge europea sul clima, sarà più complicato, anche a causa della pandemia, organizzare la conferenza sul futuro dell’Europa. Si pensa ad una soluzione mista, in parte conferenza fisica in parte on line, “forse a Bruxelles e a Strasburgo, forse negli Stati membri”. La conferenza si dovrebbe tenere, ma “quando è difficile da dire”. Se non arriverà una vera “seconda ondata” di Covid-19, potrebbe svolgersi nella “seconda metà della presidenza tedesca, cioè tra ottobre e dicembre. Un altro “tema complicato” che emergerà sarà la digital tax, anche se in vista delle elezioni presidenziali Usa non ci si aspetta una guerra commerciale.

    La presidenza tedesca sarà segnata da difficoltà operative dovute alla pandemia di Covid-19, come già quella croata. Il Consiglio Europeo del 17-18 luglio dovrebbe essere il “primo incontro fisico” nel Consiglio da marzo. Al massimo, gli incontri fisici nel Consiglio potranno essere portati al 30% del livello normale, ma non oltre, a causa del distanziamento sociale. Si rimedia con le videoconferenze che però, per il lavoro diplomatico, non sono l’ideale. “Abbiamo calcolato che sono efficienti il 20% di un incontro fisico”, spiega il diplomatico, perché non è possibile negoziare faccia a faccia, cosa indispensabile per arrivare ad un vero compromesso. Inoltre, “c’è un problema di riservatezza”, dato che la confidenzialità è difficile da garantire nel formato digitale. Persino a livello di capi di Stato e di governo “vediamo che le cose escono sulla stampa in tempo reale”. E questo “è un problema”. Senza contare le difficoltà che tutti hanno sperimentato durante il lockdown, cioè i problemi tecnici, con le disconnessioni, le difficoltà di comunicazione audio, i microfoni che non funzionano, i “can you hear me?”. In ogni caso, “dovremo convivere con tutto questo”. Senza contare che, Dio non voglia, potrebbe arrivare “una vera seconda ondata” e, in quel caso, si dovrebbe ritornare “al punto di partenza”, cioè al formato 100% digitale.

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