Francia

  • Gli Emirati Arabi costruiranno un mega data center in Francia

    Gli Emirati Arabi Uniti costruiranno un maxi data center in Francia. Lo ha reso noto l’Eliseo, spiegando che è stato firmato a Parigi un partenariato in presenza del presidente francese Emmanuel Macron e dell’omologo emiratino Mohamed Bin Zayed Al Nahyan. Il progetto prevede un investimento fra i 30 e i 50 miliardi di euro e, al momento, deve ancora essere deciso il sito in cui sorgerà la struttura. Il data center avrà una capacità di calcolo che potrà arrivare fino a un gigawatt e sorgerà all’interno di un campus dedicato all’Intelligenza artificiale (IA), che sarà sviluppato dal fondo di investimento emiratino Mgx coadiuvato da un consorzio di investitori francesi e del Paese del Golfo. Macron e Mohamed Bin Zayed “hanno espresso la volontà di creare una partnership strategica nel campo dell’Intelligenza artificiale e si sono impegnati a esplorare collaborazioni su progetti e investimenti a sostegno dello sviluppo della filiera dell’intelligenza artificiale”, si legge in una dichiarazione congiunta franco-emiratina.

    Un annuncio sulla prima parte dei finanziamenti arriverà a maggio durante il Summit Choose France 2025, appuntamento annuale che riunisce a Parigi aziende mondiali di diversi settori. Secondo quanto riferito dalla presidenza francese, Abu Dhabi si è impegnata anche a “esplorare delle collaborazioni su progetti di investimento che sostengono lo sviluppo della catena di valore dell’Intelligenza artificiale”. In particolare, questi dossier riguarderanno altri data center, i microchip e una collaborazione accademica tra la Francia e gli Emirati Arabi Uniti. Poco prima dell’annuncio dell’accordo, la ministra francese responsabile dell’Intelligenza artificiale, Clara Chappaz, ha annunciato che ben 35 siti in Francia sono pronti per la creazione di nuovi data center. Una spinta verso l’innovazione, quella francese, che giunge proprio in vista del vertice sull’Intelligenza artificiale che si terrà a Parigi i prossimi 10 e 11 febbraio, a cui è prevista la partecipazione di oltre cento Paesi. Fra i partecipanti più attesi al vertice figurano il vicepresidente degli Stati Uniti James David Vance, il vicepremier cinese Zhang Guoqing, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

    Gli Emirati Arabi Uniti, tra i maggiori paesi produttori di petrolio, sono partner di lunga data degli Stati Uniti in materia di sicurezza e puntano a occupare un ruolo sempre più importante nel campo dell’Intelligenza artificiale, in un contesto di crescente concorrenza con i vicini Qatar e Arabia Saudita. Non a caso il tema dell’IA, nel quadro della cooperazione tecnologica, è stato al centro dell’agenda del presidente emiratino Mohamed bin Zayed Al Nahyan durante una visita a Washington lo scorso dicembre. La spinta di Abu Dhabi verso l’Intelligenza artificiale è guidata dalla holding G42 e da Mgx, di cui è partner il fondo sovrano da 330 miliardi di dollari Mubadala. Il mese scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato una joint venture denominata Stargate, che coinvolge gli investitori azionari OpenAI, SoftBank e Oracle, alla quale partecipa anche Mgx. I partner di Stargate hanno promesso di investire inizialmente 100 miliardi di dollari per costruire i server che forniranno potenza di calcolo all’Intelligenza artificiale.

    Lo scorso settembre, Mgx, BlackRock, Global Infrastructure Partners (Gip), Microsoft hanno annunciato la Global IA Infrastructure Investment Partnership (Gaiip), con l’obiettivo di effettuare investimenti in nuovi data center per soddisfare la crescente domanda di potenza di calcolo, nonché in infrastrutture energetiche per creare nuove fonti di energia per queste strutture. Questa partnership contribuisce a sostenere un ampio ecosistema IA, fornendo pieno accesso su base non esclusiva a una vasta gamma di partner e aziende. Per esempio, Nvidia supporterà Gaiip offrendo la sua competenza nei data center, a beneficio dell’ecosistema dell’Intelligenza artificiale. La Gaiip si impegnerà attivamente anche con i leader del settore per aiutare a migliorare le catene di fornitura IA e l’approvvigionamento energetico a vantaggio dei suoi clienti e del settore.

    Fonti informate citate dalla stampa internazionale hanno riferito che Sam Altman, l’amministratore delegato di OpenAI (nota per lo sviluppo del popolare modello di linguaggio IA ChatGpt), ha programmato per questa settimana una visita negli Emirati Arabi Uniti per discutere con il gruppo di investimento Mgx della raccolta fondi da 40 miliardi di dollari lanciata per sostenere la prossima fase di crescita ed espansione. La tappa di Altman ad Abu Dhabi assume particolare rilievo alla luce della sfida statunitense rappresentata dalla cinese DeepSeek, modello di Intelligenza artificiale generativa più economica rispetto a OpenAI. L’obiettivo di Altman è quello di ottenere garanzie sui finanziamenti per i progetti in corso, tra cui Stargate.

  • Il ritiro delle forze francesi dal Senegal sarà completato entro l’estate del 2025

    La Francia prevede di ritirare i suoi militari dal Senegal e da altri Paesi dell’Africa occidentale e centrale entro l’estate del 2025. È quanto riferiscono fonti militari francesi citate dall’agenzia di stampa senegalese “Aps”, secondo cui sarebbero in corso delle trattative per organizzare il ritiro. “Entro l’estate del 2025 non ci saranno più basi militari francesi permanenti in Senegal”, ha affermato la fonte, aggiungendo che Parigi favorirà la cooperazione con le autorità senegalesi in base alle loro esigenze. “La presenza militare francese è oggi percepita come un affronto alla sovranità. Ne siamo consapevoli”, ha aggiunto. La decisione, se confermata, rientra in un cambiamento strategico volto a rispondere alle aspirazioni di sovranità di recente espresse da diversi Paesi africani. Già lo scorso 31 dicembre il presidente senegalese Bassirou Diomaye Faye aveva già annunciato la fine di ogni presenza militare straniera sul territorio senegalese a partire dal 2025, propugnando una nuova dottrina di cooperazione militare.

    In base all’attuale accordo di cooperazione militare tra Francia e Senegal, siglato nel 2012, le forze francesi hanno libero accesso a diverse infrastrutture strategiche, come il sito di Camp Ouakam e la base navale senegalese, nonché esenzioni fiscali per le attrezzature e i servizi necessari alle loro operazioni, oltre a beneficiare della libertà di movimento e dell’organizzazione di esercitazioni militari. In cambio, il Senegal beneficia di un sostegno rafforzato, in particolare attraverso l’accesso prioritario del suo personale militare alle scuole francesi, l’assistenza tecnica e il trasferimento di equipaggiamento militare. Sono agevolati anche gli scali marittimi e aerei senegalesi in Francia. In base a quanto prevede l’accordo, il contratto può essere risolto mediante comunicazione scritta con preavviso di sei mesi, con conseguente restituzione delle strutture senza indennizzo, salvo specifico accordo. L’eventuale ritiro delle forze francesi dal Senegal rientra in una più ampia riorganizzazione della presenza militare di Parigi nell’area del Sahel, iniziata nell’estate del 2023 con le partenze da Mali, Burkina Faso, Niger e, più recentemente, dal Ciad.

    Le autorità di N’Djamena hanno denunciato l’accordo di cooperazione militare con la Francia lo scorso 28 novembre e all’inizio di dicembre Parigi ha iniziato a rimpatriare la sua flotta aerea e a lasciare gradualmente le sue basi, in particolare quelle di Faya-Largeau e Abeché. La base Adji Kossey di N’Djamena, la più grande, sarà invece restituita entro il 31 gennaio 2025, termine ultimo fissato dal governo ciadiano. Il graduale ritiro militare francese avviene in un clima di forte tensione, reso incandescente dopo che il presidente Emmanuel Macron, nel suo discorso recente agli ambasciatori, ha accusato i Paesi africani di “irriconoscenza” nei confronti di Parigi. In risposta alle dichiarazioni di Macron, il primo ministro senegalese Ousmane Sonko ha contestato in particolare l’affermazione del capo dell’Eliseo secondo cui la partenza delle forze francesi è il risultato di precedenti negoziati con le autorità di Dakar, sostenendo al contrario che “la decisione del Senegal deriva dalla sua volontà, in quanto Paese libero e sovrano”. Anche il governo ciadiano ha esortato la Francia e i suoi partner a rispettare le aspirazioni all’autonomia dei popoli africani. “Invece di attaccare l’Africa, il presidente Macron dovrebbe concentrare i suoi sforzi sulla risoluzione dei problemi che preoccupano il popolo francese”, ha affermato un comunicato del governo di N’Djamena, definendo non più negoziabile il termine del 31 gennaio per il completo ritiro dei militari francesi.

  • Africa sempre più lontana dall’Occidente: il Ciad si riprende un’altra base militare della Francia

    Prosegue il ritiro delle forze armate francesi in Ciad, dove la base militare di Abeché sarà riconsegnata alle Forze armate locali. Lo riferiscono i media francesi, sottolineando che la cerimonia ufficiale per il passaggio di consegne segue la decisione delle autorità al potere a N’Djamena di interrompere la cooperazione con Parigi in materia di difesa e sicurezza.

    La presiederà il ministro ciadiano delle Forze armate e dei veterani, Issakha Maloua Djamous, che ha raggiunto la base dalla capitale N’Djamena. Ad Abeché, decine di persone si sono radunate nei pressi della base militare, salutando con urla e grida di gioia il passaggio del ministro ciadiano. La partenza delle truppe francesi da Abeché è vista con particolare favore, commenta “Rfi”, ricordando che questa città nell’est del Paese, che costituisce un crocevia tra il nord e il sud del Ciad, è stata segnata da diversi massacri durante la colonizzazione francese.

    Quella di Abeché è la seconda delle tre basi francesi che Parigi sta riconsegnando all’esercito ciadiano dopo la richiesta di ritiro formulata dalle autorità di N’Djamena a fine novembre. Il 26 dicembre, le truppe francesi di stanza in Ciad hanno riconsegnato all’esercito ciadiano la base militare di Faya-Largeau, principale città del nord del Paese. Secondo fonti di “Rfi”, i circa 30 uomini che gestivano l’aerodromo di Faya-Largeau hanno lasciato la base al termine di una cerimonia ufficiale, per raggiungere la capitale N’Djamena. Il trasferimento, su una distanza di quasi 800 chilometri, richiede diversi giorni di cammino. Per quanto riguarda le attrezzature, che rappresentano diverse decine di tonnellate, sono state rimpatriate direttamente in Francia tramite aereo cargo. In generale, hanno confermato fonti francesi, tutti i veicoli militari provenienti dalle basi di Faya-Largeau, Abéché e N’Djamena dovranno essere rimpatriati in Francia attraverso il porto di Douala entro il 31 gennaio. Lo Stato maggiore delle Forze armate francesi ha definito l’operazione “conforme al calendario stabilito con il partner ciadiano”. In precedenza, una prima unità di 120 militari francesi è partita da N’Djamena per la Francia, dieci giorni dopo la partenza di due aerei da combattimento.

    La Francia ha avviato il ritiro delle sue forze armate dal Ciad lo scorso 10 dicembre, con il decollo di due aerei da guerra Mirage di base nella capitale N’Djamena. “(La partenza) segna l’inizio del rientro delle attrezzature francesi di stanza a N’Djamena”, ha affermato in quel frangente il portavoce dell’esercito, il colonnello Guillaume Vernet, aggiungendo tuttavia che un calendario per il ritiro delle operazioni avrebbe richiesto ancora diverse settimane per essere finalizzato dai entrambi i governi. Lo scorso 20 dicembre, tuttavia, il governo del Ciad ha chiesto di accelerare le operazioni, affermando che Parigi dovrà terminare il ritiro di tutte le sue forze militari presenti nel Paese – circa mille uomini – entro il prossimo 31 gennaio. La data limite è stata confermata di recente dalle autorità ciadiane come “non negoziabile” in seguito alle dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron, che nel suo discorso agli ambasciatori, lo scorso 6 gennaio, ha accusato i leader africani di “ingratitudine” rispetto agli sforzi effettuati dalle truppe francesi nel Sahel per contrastare il terrorismo.

  • Importanti insegnamenti

    Ci sono principi che non ammettono compromessi e per la

    cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

    Mohandas Gandhi

    La primavera del 1789 segnò anche l’inizio di quella che ormai è nota a tutti come la Rivoluzione francese. La maggior parte della popolazione, quella che veniva riconosciuta come ‘il terzo stato’, ma anche i nobili, non potevano e non volevano sottomettersi a quello che allora veniva chiamato l’Ancien régime, il regime monarchico assoluto. Consapevole di una tale situazione Luigi XVI cercò di convocare gli Stati generali, ossia le tre principali classi sociali che rappresentavano la società francese. Si trattava della classe del clero, della nobiltà e del ‘terzo stato’. Il giorno stabilito dal Re per quella convocazione era il 5 maggio 1789. I rappresentanti del ‘terzo stato’, del popolo, sono stati riuniti separatamente, definendo delle richieste da presentare al Re, mentre il 17 giugno 1789 hanno proclamato l’Assemblea nazionale. Ai rappresentati del ‘terzo stato’ si unirono molti altri rappresentanti del clero e dei nobili. E tutti insieme il 9 luglio 1789 hanno istituito l’Assemblea generale costituente. Solo cinque giorni dopo, in seguito ad una massiccia ribellione, il 14 luglio 1789 fu presa la Bastiglia, la fortezza prigione, nel pieno centro di Parigi, che rappresentava uno dei simboli del dispotismo della monarchia assoluta. La Rivoluzione francese era cominciata.

    L’Assemblea generale costituente il 4 agosto 1789 approvò delle leggi che sopprimevano alcuni diritti della nobiltà francese e liberavano i contadini da determinati vincoli e obblighi nei confronti dei feudatari. Mentre tre settimane dopo, il 26 agosto, l’Assemblea approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini (Déclaration des droits de l’homme et du citoyen; n.d.a.). Con quella Dichiarazione veniva finalmente abolita la monarchia assoluta in Francia. Un testo quello che insieme con la Carta dei diritti (Bill of Rights), approvata il 15 dicembre 1791 dal primo congresso degli appena costituiti Stati Uniti d’America, sono stati alla base di un altro documento: la Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata a Parigi durante la terza sezione dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

    Il 1793 è stato un altro anno pieno di avvenimenti importanti in Francia che hanno segnato anche la storia del Paese. Era l’anno dell’approvazione della Costituzione del 1793 che in seguito è stata ignorata con un decreto entrato in vigore il 10  ottobre 1793. Un decreto con il quale si sanciva che il governo doveva essere “rivoluzionario fino alla pace”. Un decreto firmato da Maximilien de Robespierre, che era il presidente della Convenzione nazionale. Cominciò così quello che è noto come il Regime del Terrore (Régime de la Terreur; n.d.a.). Quello che nel 1789 cominciò come un movimento rivoluzionario che doveva rispettare la libertà, l’uguaglianza e la fraternità (Liberté, Égalité, Fraternité; n.d.a.), in seguito degenerò in un nuovo regime.

    Quanto accadeva durante il periodo del Terrore in Francia è stato maestosamente presentato dal noto scrittore francese Victor Hugo, che viene riconosciuto anche come il padre del romanticismo francese. E, guarda caso, lo ha fatto con il suo ultimo romanzo, intitolato “Novantatré” e pubblicato nel 1874. L’autore del romanzo tratta proprio quanto accadeva allora in Francia e soprattutto nella regione della Vandea. Una regione in cui i monarchici si scontravano con i tre battaglioni repubblicani lì mandati da Parigi. L’autore affermava: “In tutta questa parte della Vandea la repubblica ebbe il sopravvento, questo lasciò molti dubbi. Ma quale repubblica? Nel trionfo emergente erano presenti due forme di repubblica; la repubblica del terrore e la repubblica della clemenza, l’una che vuole vincere con il rigore e l’altra con la dolcezza. Quale prevarrebbe?” (Terza parte; Libro II/VII). In più l’autore del romanzo ci ricorda che ai repubblicani è stato ordinato: “Nessun perdono; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro I/I). Mentre ai monarchici è stato chiesto “Insorgetevi; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro III/II). L’autore ci ricorda, altresì, che “…93 è la guerra dell’Europa contro la Francia e della Francia contro Parigi”. Invece la rivoluzione “…è la vittoria della Francia contro l’Europa e di Parigi contro la Francia. Da lì l’immensità di questo terribile minuto. 93, più grande di tutto il resto del secolo” (Seconda parte; Libro I/II).

    Sono diversi i personaggi del romanzo “Novantatré” di Victor Hugo. Ma tra i tanti personaggi del romanzo tre sono quelli che attirano di più l’attenzione del lettore. Tutti e tre sono legati tra di loro, nonostante siano rappresentanti di ideologie, di credenze e di raggruppamenti antagonisti. E tutti e tre si distinguono per la loro forte moralità, per la loro determinazione, per la loro forza di carattere e per la loro disponibilità a sacrificare la propria vita in difesa dei principi. Di quei principi che tutti e tre ne sono convinti sostenitori.

    Il più giovane di loro è Gauvain, il comandate dei volontari repubblicani arrivati in Vandea per combattere e reprimere i contadini ribellati contro la Convenzione. Nato in una famiglia aristocratica e rimasto da molto piccolo orfano del padre, era l’unico pronipote del marchese di Lantenac, il comandante della ribellione di Vandea. Lantenac era, invece, un convinto sostenitore della monarchia. Mentre il terzo personaggio era Cimourdain. Proprio colui che era stato il maestro del piccolo Gauvain. E tra loro due c’era stato sempre un legame profondo, anche se avevano delle convinzioni diverse. Cimordain era stato prima un prete, ma dopo aveva avuto una piccola eredità che lo ha reso libero dal dogma. Nel ’93 lui era l’alto rappresentante dei repubblicani in Vandea. E lì incontrò di nuovo il suo benamato Gauvain e gli salvo, per la seconda volta, la vita.

    L’autore del romanzo ha descritto molte scene dove si sono incrociati diversi personaggi del romanzo. Egli ha maestosamente messo in evidenza anche le diversità e quello che univa i suoi personaggi. E nell’ultima parte del romanzo il lettore conosce anche le ultime azioni dei tre personaggi principali. Lantenac, per salvare tre orfani bambini che si stavano bruciando nella Torre della Tourgue, proprietà della sua famiglia, è ritornato ed ha affrontato il fuoco. Proprio lui che poco prima era riuscito miracolosamente a liberarsi proprio dall’assedio dei repubblicani, comandati dal Gauvain. Lantenac è riuscito a portare in salvo i bambini, ma è stato catturato dai repubblicani. Gauvain, invece, presente durante l’arresto di Lantenac, ha avuto in seguito delle ore difficili, durante le quali le sue idee e i suoi principi si confrontavano. Alla fine però Gauvain entrò nella cella dove avevano chiuso Lantenac, mise addosso a lui il suo lungo mantello di comandate, gli coprì la testa con il grande cappuccio del mantello e lo spinse fuori, dandoli la libertà. E quando i soldati, l’indomani andarono a prendere Lantenac per giudicarlo e condannarlo alla ghigliottina invece hanno portato davanti alla corte, capeggiata da Cimordain, proprio il comandate Gauvain. La corte decise di ghigliottinare Gauvain. E mentre la lama della ghigliottina tagliava la testa del suo amato Gauvain, si senti un colpo di pistola. Cimopurdain si era suicidato.

    Chi scrive queste righe, nel suo piccolo, ha molto imparato dai romanzi di Victor Hugo e anche dal “Novantatré”. Egli auspica che gli importanti insegnamenti del romanzo possano servire anche a coloro che hanno delle responsabilità pubbliche ed istituzionali a livello internazionale, in Europa, negli Stati Uniti d’America ed altrove. Ma purtroppo, fatti accaduti alla mano, molti di loro parlano di principi e poi, con le proprie azioni, decisioni ed alleanze, calpestano proprio quei principi. Fino al punto che diventano incredibili. Mentre come ci insegna Mahatma Gandhi ci sono principi che non ammettono compromessi e per la cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

  • France backs Morocco in dispute over Western Sahara

    France’s President Emmanuel Macron has told Morocco’s parliament that he believes Western Sahara should be under Moroccan sovereignty, and has pledged to invest French money there.

    Western Sahara is a territory on the north-western coast of Africa that has been the subject of a decades-long dispute.

    It was once a Spanish colony, and is now mostly controlled by Morocco and partly by the Algerian-backed Polisario Front – which says it represents the indigenous Sahrawi people and wants an independent state.

    France was the former colonial power in both Morocco and Algeria. It joins other nations including Spain, the US and Israel in backing Morocco’s plan.

    Lawmakers rose to their feet and applauded Macron on Tuesday when he said, “for France, this territory’s present and future fall under Morocco’s sovereignty”.

    His comments on Tuesday in Rabat echo surprise remarks he first made in July.

    Signalling a change in France’s long-held stance on Morocco’s plan to grant Western Sahara autonomy under Moroccan sovereignty, the French president said it was the “only basis” for a just and lasting political settlement.

    France’s backing of Morocco’s territorial claim angered Algeria, which responded to the news by withdrawing its ambassador to Paris.

    Algiers regards Morocco’s presence there as an illegal occupation.

    Analysts say France’s decision to back Morocco’s claim is an attempt to repair relations between the two nations, which had soured after Rabat was accused of attempting to spy on President Macron and France tightened visa restrictions for visiting Moroccan nationals.

    Relations between Morocco and Algeria have become especially tense in recent years, with Algiers announcing in 2021 that it had severed diplomatic ties with its neighbour to the west.

    On Tuesday, Macron also addressed colonialism but stopped short of an apology.

    “Our common history also has dark parts. The time came for unequal treaties, when hubris and the mechanical force of European countries imposed themselves around the world, and when, even disguised as a protectorate, Morocco did not escape the ambitions and the violence of colonial history,” he said.

    In a sign of closening ties, France and Morocco are reported to have struck deals on energy and infrastructure among other things.

    The AFP news agency says they have a total value of “up to €10bn”, equivalent to $10.8bn or £8.3bn.

    On Tuesday, Macron also pledged an unspecified sum of “investments and sustainable support initiatives to benefit local populations” in Western Sahara.

    ‘Significant’ development

    Macron’s invitation to Morocco came from King Mohammed VI, two months after his royal court hailed France’s change of heart on Western Sahara as a “significant” development.

    But Algeria has expressed its deep disapproval, saying France is denying Sahrawi people their right to self-determination.

    The Polisario Front, meanwhile, has hit out at France for supporting what it says is a “violent and illegal occupation” by Morocco.

    Western Sahara was annexed by Morocco in 1975.

    A 16-year-long insurgency ended with a UN-brokered truce in 1991 and the promise of a referendum on independence, which has yet to take place because of disagreements over how it should be conducted and who should be eligible to take part.

    Today, the African Union is the only international organisation to recognise Western Sahara as a state in its own right.

    Additional reporting by Danny Aeberhard

  • Luci spente a Notre-Dame di Strasburgo per risparmio energetico

    Un nostro lettore ci segnala un articolo tratto dalla rivista ‘Tempi’ che pubblichiamo di seguito

    L’ultima deriva delle iniziative degli pseudo ambientalisti è stata registrata a Strasburgo, dove la sindaca ecologista, Jeanne Barseghian, ha deciso, a partire dalle 23, di spegnere l’illuminazione della cattedrale della città alsaziana in nome della “politica di sobrietà energetica” del suo Comune. «Questo spegnimento anticipato non è semplicemente un risparmio economico. Per la città di Strasburgo si tratta di dare l’esempio in un momento in cui si chiede a tutti i cittadini di impegnarsi per risparmiare energia», si è difesa la giunta ecologista.

    Prima di settembre, le luci di Notre-Dame de Strasbourg, gioiello dell’arte gotica con il suo meraviglioso “Pilastro degli Angeli” che Victor Hugo descrisse come un “prodigio di grandezza e leggiadria”, venivano spente all’una di notte. Il costo del risparmio energetico per il Comune? 4,80 euro al giorno di elettricità.

    «23.04, una tristezza inaudita», ha scritto pochi giorni fa su X il fotografo Olivier Hannauer, che per primo ha lanciato l’allarme sulla follia green della sindaca. Da quando al Comune c’è Eelv, «la città è piombata progressivamente nell’oscurità. Le chiese, i musei, i ponti», ha denunciato Hannauer. La sua battaglia estetica per restituire agli abitanti di Strasburgo il loro “faro”, come ama definire Notre-Dame, ha spinto Barseghian a fare retromarcia e a ripristinare momentaneamente “l’illuminazione abituale della cattedrale”. Ma quanto durerà?

    Jean-Philippe Vetter, capogruppo dell’opposizione gollista, ha parlato di una vittoria «di tutti quelli che amano Strasburgo», sottolineando tuttavia che la battaglia contro le derive dell’ecologismo deve essere combattuta ogni giorno.

  • Macron torna al lavoro, per ingaggiare il nuovo primo ministro

    Il presidente francese Emmanuel Macron ha dato il via il 23 agosto alle consultazioni con i partiti politici con rappresentanza parlamentare per identificare un nuovo primo ministro. A più di un mese dalle elezioni legislative risultanti dallo scioglimento dell’Assemblea nazionale, il capo dello Stato riceverà questa mattina i leader della coalizione di sinistra Nuovo fronte popolare e la loro candidata all’incarico di prima ministra, Lucie Castets. Anche i rappresentanti del campo presidenziale (Renaissance, Horizons, MoDem, Parti radical), dell’Unione dei democratici e degli indipendenti, dei Repubblicani e del gruppo centrista Libertés, indépendants, outre-mer et territoires saranno ricevuti venerdì, prima del Rassemblement national e del partito di Eric Ciotti, i cui incontri avverranno lunedì. In una nota pubblicata ieri, l’Eliseo ha fatto sapere che la nomina del primo ministro avverrà al termine delle consultazioni e che, tenendo conto dell’obiettivo di cercare la “maggioranza più ampia e stabile” fissato da Macron a luglio, lo scopo di queste consultazioni è “scoprire a quali condizioni le forze politiche possono raggiungere questo obiettivo”. “La decisione di nominare il primo ministro o i primi ministri sarà presa in considerazione di questi due criteri”, ha spiegato l’Eliseo.

    “Il presidente è dalla parte del popolo francese, garante delle istituzioni e soprattutto dell’espressione del suo voto del 7 luglio”, ed è “sulla forza di questo ruolo costituzionale che incontrerà i partiti”, si legge nella nota. La persona che si insedierà a Matignon – sede del primo ministro – avrà comunque un lavoro difficile sin dai primi mesi: a settembre, infatti, inizieranno i lavori parlamentari volti ad approvare la legge di bilancio e ciò in una fase in cui la Francia è sotto pressione da parte della Commissione europea e dei mercati alla luce del deficit elevato. Per Macron la decisione di convocare elezioni parlamentari anticipate dopo il pessimo risultato elettorale delle europee del 9 giugno scorso non si è rivelata certamente positiva. L’esito delle consultazioni del 30 giugno e del 7 luglio ha visto la coalizione del presidente perdere decine di seggi e un’ulteriore frammentazione del Parlamento.

    Il titolare dell’Eliseo sembra intenzionato, per il momento, a non prendere in considerazione la nomina di Lucie Castets, candidata del Nuovo fronte popolare. E questo perché i partiti di destra e il Rassemblement National minacciano una mozione di sfiducia nel caso di un governo guidato dal Nuovo fronte popolare che includa anche ministri di La France Insoumise, la forza politica guidata da Jean-Luc Melenchon. La “stabilità” che cerca il presidente sta nella “capacità di un governo di non cadere alla prima mozione di sfiducia presentata”, conclude la nota diramata ieri dall’Eliseo. Tuttavia, anche Castets non sembra intenzionata a cedere. “Ricorderemo al presidente il suo obbligo di rispettare la scelta dei cittadini francesi”, ha detto ieri sera la 37enne durante un comizio nella città di Tours, nella Francia occidentale. “Abbiamo vinto le elezioni, che a Emmanuel Macron piaccia o no”, ha aggiunto la leader dei Verdi, Marine Tondelier, durante lo stesso comizio, appoggiando quindi la nomina di Castets. Secondo il leader del Partito comunista, Fabien Roussel, la mancata nomina della candidata del Nuovo fronte popolare scatenerebbe una grave crisi.

    Al momento, tuttavia, le possibilità che Macron opti per la nomina di Castets sembrano veramente minime. In precedenza diverse fonti hanno riferito che il titolare dell’Eliseo voglia puntare ancora sul “suo” centro o su un orientamento di centrodestra. Non a caso, uno dei nomi più gettonati è quello di Xavier Bertrand, repubblicano e presidente della regione dell’Alta Francia: lo scorso 6 agosto “Le Figaro” riferiva che Bertrand, tramite delle persone a lui vicine, avrebbe manifestato il suo interesse all’incarico. Non mancherebbero, peraltro, gli esponenti del governo uscente, figure vicine al presidente Emmanuel Macron, favorevoli a una nomina di Bertrand: fra questi il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, secondo il quale l’esponente repubblicano può vantare “una solida esperienza di governo, in Parlamento e capacità di compromesso”. Un ostacolo non trascurabile, tuttavia, secondo “Le Figaro”, risiede nel fatto che Emmanuel Macron e Xavier Bertrand non si sopporterebbero.

    Altre fonti indicano come possibili nomi quello del socialista Bernard Cazeneuve che, per circa sei mesi fra il 2016 e il 2017 ha già occupato l’incarico di primo ministro durante la presidenza di Francois Hollande. Altro nome apparso sulla stampa francese è quello di Karim Bouamrane, anch’egli socialista e sindaco di Saint-Ouen-sur-Seine. Bouamrane vanta anche un passato nel settore informatico dove ha lavorato con ruoli dirigenziali in aziende con Xirrus, Bitglass e Aruba. Resta valida, tuttavia, la possibilità che Macron indichi un nome totalmente fuori dai radar, come già accaduto in passato con la nomina di Elizabeth Borne e dello stesso Gabriel Attal, che tutt’ora detiene l’incarico di primo ministro facente funzione nonostante le dimissioni presentate in seguito al pessimo risultato delle elezioni parlamentari. La Costituzione francese, d’altronde, consente al titolare dell’Eliseo di nominare chi più gli aggrada anche se logica vuole che sia una figura – soprattutto con un Parlamento così frammentato – in grado di sopravvivere alle inevitabili mozioni di sfiducia che verranno presentate dall’opposizione.

  • Ustica e Mattei continuano ad alimentare la polemica dell’Italia verso la Francia

    Qualcuno non ama la Francia in Italia. A decenni di distanza, vengono ancora agitati i casi di Ustica e di Mattei per accusare Parigi di aver orchestrato i due episodi.

    Per la morte di Mattei le indagini giudiziarie si sono concluse senza colpe accertare ma a 60 e passa anni dalla sua morte si ricorda che tra i tanti nemici che il fondatore dell’Eni si era fatto vi era anche la Francia, al cui interno vi era chi (l’Osa, Organisation de l’Armée Secrète) era ben poco felice della fornitura d’armi al Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Nel corso delle indagini, Fulvio Martini, ex direttore del Sismi, aveva parlato senza indugi di «responsabilità francese, tenuto conto della determinazione con cui agivano nel Continente africano». Anche il professor Francesco Forte, vicepresidente Eni dal 1971 al 1975, dichiarò che all’interno dell’ente di Stato «era pacifico per tutti che Mattei fosse stato ucciso dai francesi». A riproporre accuse alla Francia sono stati peraltro saggi sia transalpini che italiani, come il libro pubblicato nel 1968 da Fayard in Francia: “Le Monde parallèle ou la Vérité sur l’espionnage” e “L’Italia nel petrolio e il sogno infranto dell’indipendenza energetica”, dei giornalisti Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani .

    Come per Mattei, anche per Ustica, 81 vittime dell’aereo dell’Itavia precipitato il 27 giugno 1980, all’inizio si accreditò la tesi dell’incidente, di un “cedimento strutturale”, ma è poi spuntata la tesi di un missile francese. La tesi fu lanciata da un personaggio di assoluto rilievo e grande conoscenza delle relazioni internazionali, come Francesco Cossiga, che nel 1980 era presidente del Consiglio. Nel 2008 dichiarò che «i servizi segreti italiani mi informarono, così come fecero con l’allora sottosegretario Giuliano Amato, che erano stati i francesi con un aereo della Marina a lanciare un missile non ad impatto ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell’aereo». Lo stesso Giuliano Amato l’anno scorso ha improvvisamente rilanciato quella pista, con un’intervista al Corriere della Sera in cui lanciava il dubbio che la Francia continui a nascondere qualcosa all’Italia.

  • Le sei ore di Robert Brasillach, romanzo poliziesco

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Franco Maestrelli pubblicato su destra.it il 28 gennaio 2024

    Nel 1974 il raffinato e coraggioso editore Vanni Scheiwiller pubblicò un piccolo libro di Robert Brasillach (1909 – 1945), André Chenier (All’insegna del pesce d’oro, Milano) di cui curai l’edizione e una breve introduzione ed ora, a cinquanta anni di distanza, quasi per un debito agli anni giovanili, torno a occuparmi dello scrittore francese in occasione dell’edizione di un suo romanzo poliziesco, Sei ore da perdere (Edizioni Settecolori, Milano 2023). In questo mezzo secolo l’atteggiamento nei confronti dello scrittore è mutato. Allora Brasillach era noto solo in ambienti di nicchia fortemente politicizzati e altrove era oggetto dell’anatema che colpiva alcuni autori maudits.

    Negli anni Sessanta l’editore Giovanni Volpe gli aveva dedicato un volume collettaneo intitolato Omaggio a Brasillach (1967) e Il Borghese aveva tradotto il suo romanzo più compiuto I sette colori (1966) più una precedente edizione da samizdat dei Poemi di Fresnes (Edizioni del Solstizio, Roma s.d.). Oggi rilevo invece che anche in Italia la critica letteraria si occupa di lui e tende seppure timidamente a riconoscergli il suo ruolo nel mondo delle lettere francesi. Infatti negli anni tra le due guerre Brasillach si fece conoscere e apprezzare già in giovane età per le sue collaborazioni giornalistiche, per i suoi romanzi, per le sue opere teatrali e per la sua celebre Histoire du cinéma (1935) e contro la sua condanna a morte molti di intellettuali francesi, come François Mauriac, Paul Valery, Paul Claudel, Jean Cocteau, Colette e altri, chiesero invano la grazia al Generale De Gaulle.

    Già dal 1931 l’Action Française di Charles Maurras gli aveva affidato la pagina letteraria e dal 1937 divenne caporedattore della rivista Je suis partout. Dall’iniziale maurassismo Brasillach si orientò verso un filo fascismo sempre più accentuato fino alla rottura con Maurras. Scoppiata la guerra Brasillach partecipò come tenente e fatto prigioniero dai tedeschi finì in campo di prigionia ed è appunto da lì che prende avvio la trama del romanzo. Sei ore da perdere tra un treno e l’altro alla Gare de Lyon – e per gioco del destino sei ore furono i brevissimi tempi con cui il Tribunale gollista decise la sua condanna a morte per tradimento e collaborazionismo eseguita nel forte di Montrouge il 6 febbraio 1945 – è il tempo a disposizione del tenente B., liberato dalla prigionia e di passaggio a Parigi prima di ritornare a casa, per cercare notizie di una misteriosa fanciulla di cui il suo compagno di prigionia Bruno Berthier si era invaghito durante una breve licenza.

    Il tenente B. ha poche informazioni, un nome e un indirizzo, raccolte durante i lunghi dialoghi di prigionia ma deve recapitare un messaggio del commilitone in una Parigi occupata, siamo a novembre 1943, ben diversa da quella che aveva conosciuto prima della guerra. E’ una Parigi senza auto, nei ristoranti i menu sono limitati e si devono usare i buoni pasto a cui il tenente B. non è abituato. Dai colloqui con la ragazza, con la sua affittacamere, con un agente di polizia che sta indagando su un omicidio, il tenente B. scopre una realtà ben diversa anche da quella che aveva appreso dai giornali giunti in prigionia. Una realtà sconvolta dalla guerra, dalla paura dei bombardamenti, dai traffici del mercato nero e delle forti contrapposizioni politiche tra resistenti e volontari nella LVF sul fronte russo.

    Una Parigi che ricorda quella del regista Marcel Carné e dello scrittore Georges Simenon, che Brasillach aveva apprezzato da critico letterario negli anni Trenta, cupa, piena di incertezza e di ambiguità umane. In questo romanzo si rivela un Brasillach disilluso, ben lontano dalla solarità giovanile e piena di speranza degli altri romanzi: la vittoria degli Alleati e dei gollisti si avvicina e per chi, come il Maresciallo Pétain, Charles Maurras e lo stesso Brasillach che avevano puntato sulla Germania seppure con diverse modalità di comportamento e di motivazioni, si avvicina la inevitabile e prevedibile resa dei conti. Il tenente B. in questa Parigi occupata si improvvisa investigatore alla Maigret per portare a termine l’incarico affidatogli dal compagno di prigionia e che lo porterà a scoprire un delitto e l’imprevedibile colpevole. Un vero romanzo poliziesco dunque che originariamente fu pubblicato a puntate come feuilleton sul settimanale La Révolution nationale dal marzo al giugno 1944 e in volume solo nel 1953 e che non può che avvincere il lettore, anche quello di oggi particolarmente attirato da questo genere letterario, anche per l’accurata ed elegante edizione nella collana diretta da Stenio Solinas che con Manuel Grillo ha rilanciato la casa editrice Settecolori e che già nel 1985 aveva stampato l’altro romanzo di Brasillach La ruota del tempo (Comme le temps passe).

    Robert Brasillach – Sei ore da perdere – con introduzione di Roberto Alfatti Appetiti e postfazione di Fausta Garavini – Edizioni Settecolori, Milano, 2023 – pagine 242 – euro 22,00

  • Le giunte militari di Mali e Niger ripristinano la doppia imposizione fiscale con la Francia

    Le giunte militari di Mali e Niger hanno firmato il 5 dicembre un comunicato stampa congiunto in cui denunciano le convenzioni firmate con la Francia per il superamento della doppia imposizione fiscale. La decisione, si legge nella nota congiunta, fa seguito al “persistente atteggiamento ostile della Francia” e al “carattere squilibrato” di queste convenzioni che costituiscono “un notevole deficit per il Mali e il Niger”. Le convenzioni fiscali denunciate dalle giunte golpiste disciplinano le norme per la tassazione del reddito o delle successioni e permettono inoltre lo scambio di informazioni e la collaborazione tra amministrazioni, ad esempio per la riscossione delle imposte. Tali convenzioni verranno quindi abolite “entro tre mesi”, secondo quanto affermato nel comunicato. La decisione è destinata ad avere serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono un’attività in Mali o in Niger, e viceversa, con conseguenze inevitabili sia per i francesi che lavorano in Niger, sia per i maliani della diaspora in Francia, ma anche per le aziende che espatriano alcune filiali. La mossa segna una nuova tappa nel riavvicinamento tra i Paesi golpisti del Sahel – Mali, Niger e Burkina Faso – che a settembre hanno dato vita a una coalizione militare, nota come Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).

    La decisione fa peraltro seguito a quella con cui ieri la giunta militare del Niger – salita al potere dopo il colpo di Stato dello scorso 26 luglio – ha annunciato l’intenzione di porre fine agli accordi di difesa e sicurezza con l’Unione europea, stipulati per sostenere le autorità nigerine nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare. In un comunicato pubblicato lunedì sera, il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su circa 130 gendarmi e agenti di polizia messi a disposizione dagli Stati membri dell’Ue per svolgere la sua azione. Oltre alla missione Eucap, la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso concesso per il dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (Eumpm), attualmente a guida italiana.

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