Francia

  • Le sei ore di Robert Brasillach, romanzo poliziesco

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Franco Maestrelli pubblicato su destra.it il 28 gennaio 2024

    Nel 1974 il raffinato e coraggioso editore Vanni Scheiwiller pubblicò un piccolo libro di Robert Brasillach (1909 – 1945), André Chenier (All’insegna del pesce d’oro, Milano) di cui curai l’edizione e una breve introduzione ed ora, a cinquanta anni di distanza, quasi per un debito agli anni giovanili, torno a occuparmi dello scrittore francese in occasione dell’edizione di un suo romanzo poliziesco, Sei ore da perdere (Edizioni Settecolori, Milano 2023). In questo mezzo secolo l’atteggiamento nei confronti dello scrittore è mutato. Allora Brasillach era noto solo in ambienti di nicchia fortemente politicizzati e altrove era oggetto dell’anatema che colpiva alcuni autori maudits.

    Negli anni Sessanta l’editore Giovanni Volpe gli aveva dedicato un volume collettaneo intitolato Omaggio a Brasillach (1967) e Il Borghese aveva tradotto il suo romanzo più compiuto I sette colori (1966) più una precedente edizione da samizdat dei Poemi di Fresnes (Edizioni del Solstizio, Roma s.d.). Oggi rilevo invece che anche in Italia la critica letteraria si occupa di lui e tende seppure timidamente a riconoscergli il suo ruolo nel mondo delle lettere francesi. Infatti negli anni tra le due guerre Brasillach si fece conoscere e apprezzare già in giovane età per le sue collaborazioni giornalistiche, per i suoi romanzi, per le sue opere teatrali e per la sua celebre Histoire du cinéma (1935) e contro la sua condanna a morte molti di intellettuali francesi, come François Mauriac, Paul Valery, Paul Claudel, Jean Cocteau, Colette e altri, chiesero invano la grazia al Generale De Gaulle.

    Già dal 1931 l’Action Française di Charles Maurras gli aveva affidato la pagina letteraria e dal 1937 divenne caporedattore della rivista Je suis partout. Dall’iniziale maurassismo Brasillach si orientò verso un filo fascismo sempre più accentuato fino alla rottura con Maurras. Scoppiata la guerra Brasillach partecipò come tenente e fatto prigioniero dai tedeschi finì in campo di prigionia ed è appunto da lì che prende avvio la trama del romanzo. Sei ore da perdere tra un treno e l’altro alla Gare de Lyon – e per gioco del destino sei ore furono i brevissimi tempi con cui il Tribunale gollista decise la sua condanna a morte per tradimento e collaborazionismo eseguita nel forte di Montrouge il 6 febbraio 1945 – è il tempo a disposizione del tenente B., liberato dalla prigionia e di passaggio a Parigi prima di ritornare a casa, per cercare notizie di una misteriosa fanciulla di cui il suo compagno di prigionia Bruno Berthier si era invaghito durante una breve licenza.

    Il tenente B. ha poche informazioni, un nome e un indirizzo, raccolte durante i lunghi dialoghi di prigionia ma deve recapitare un messaggio del commilitone in una Parigi occupata, siamo a novembre 1943, ben diversa da quella che aveva conosciuto prima della guerra. E’ una Parigi senza auto, nei ristoranti i menu sono limitati e si devono usare i buoni pasto a cui il tenente B. non è abituato. Dai colloqui con la ragazza, con la sua affittacamere, con un agente di polizia che sta indagando su un omicidio, il tenente B. scopre una realtà ben diversa anche da quella che aveva appreso dai giornali giunti in prigionia. Una realtà sconvolta dalla guerra, dalla paura dei bombardamenti, dai traffici del mercato nero e delle forti contrapposizioni politiche tra resistenti e volontari nella LVF sul fronte russo.

    Una Parigi che ricorda quella del regista Marcel Carné e dello scrittore Georges Simenon, che Brasillach aveva apprezzato da critico letterario negli anni Trenta, cupa, piena di incertezza e di ambiguità umane. In questo romanzo si rivela un Brasillach disilluso, ben lontano dalla solarità giovanile e piena di speranza degli altri romanzi: la vittoria degli Alleati e dei gollisti si avvicina e per chi, come il Maresciallo Pétain, Charles Maurras e lo stesso Brasillach che avevano puntato sulla Germania seppure con diverse modalità di comportamento e di motivazioni, si avvicina la inevitabile e prevedibile resa dei conti. Il tenente B. in questa Parigi occupata si improvvisa investigatore alla Maigret per portare a termine l’incarico affidatogli dal compagno di prigionia e che lo porterà a scoprire un delitto e l’imprevedibile colpevole. Un vero romanzo poliziesco dunque che originariamente fu pubblicato a puntate come feuilleton sul settimanale La Révolution nationale dal marzo al giugno 1944 e in volume solo nel 1953 e che non può che avvincere il lettore, anche quello di oggi particolarmente attirato da questo genere letterario, anche per l’accurata ed elegante edizione nella collana diretta da Stenio Solinas che con Manuel Grillo ha rilanciato la casa editrice Settecolori e che già nel 1985 aveva stampato l’altro romanzo di Brasillach La ruota del tempo (Comme le temps passe).

    Robert Brasillach – Sei ore da perdere – con introduzione di Roberto Alfatti Appetiti e postfazione di Fausta Garavini – Edizioni Settecolori, Milano, 2023 – pagine 242 – euro 22,00

  • Le giunte militari di Mali e Niger ripristinano la doppia imposizione fiscale con la Francia

    Le giunte militari di Mali e Niger hanno firmato il 5 dicembre un comunicato stampa congiunto in cui denunciano le convenzioni firmate con la Francia per il superamento della doppia imposizione fiscale. La decisione, si legge nella nota congiunta, fa seguito al “persistente atteggiamento ostile della Francia” e al “carattere squilibrato” di queste convenzioni che costituiscono “un notevole deficit per il Mali e il Niger”. Le convenzioni fiscali denunciate dalle giunte golpiste disciplinano le norme per la tassazione del reddito o delle successioni e permettono inoltre lo scambio di informazioni e la collaborazione tra amministrazioni, ad esempio per la riscossione delle imposte. Tali convenzioni verranno quindi abolite “entro tre mesi”, secondo quanto affermato nel comunicato. La decisione è destinata ad avere serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono un’attività in Mali o in Niger, e viceversa, con conseguenze inevitabili sia per i francesi che lavorano in Niger, sia per i maliani della diaspora in Francia, ma anche per le aziende che espatriano alcune filiali. La mossa segna una nuova tappa nel riavvicinamento tra i Paesi golpisti del Sahel – Mali, Niger e Burkina Faso – che a settembre hanno dato vita a una coalizione militare, nota come Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).

    La decisione fa peraltro seguito a quella con cui ieri la giunta militare del Niger – salita al potere dopo il colpo di Stato dello scorso 26 luglio – ha annunciato l’intenzione di porre fine agli accordi di difesa e sicurezza con l’Unione europea, stipulati per sostenere le autorità nigerine nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare. In un comunicato pubblicato lunedì sera, il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su circa 130 gendarmi e agenti di polizia messi a disposizione dagli Stati membri dell’Ue per svolgere la sua azione. Oltre alla missione Eucap, la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso concesso per il dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (Eumpm), attualmente a guida italiana.

  • La lezione non compresa

    Mentre l’Italia e l’intera Unione Europea sono ancora all’interno di una economia di guerra, e contemporaneamente cercano di riparare ai disastrosi effetti economici e sociali della pandemia, il nostro Paese conferma di non avere compreso alcuna lezione ma soprattutto di non avere alcuna visione relativa al futuro sviluppo economico.

    Mentre i nostri competitor europei varano delle azioni concrete con l’obiettivo di rafforzare gli asset strategici in modo da trasformarli in fattori competitivi a favore del sistema economico ed industriale, nel nostro Paese si continua con la scolastica applicazione dei principi tardo liberali del secolo scorso e di matrice accademica. Tutti esprimono la modesta espressione di “competenze” obsolete ed ampiamente ridicolizzate dal mercato globale.

    In altre parole, scendendo nel mondo reale, la Francia ha varato a maggio 2023 un piano finanziario operativo nel campo energetico, la nazionalizzazione di Edf, con il dichiarato obiettivo di offrire nelle prossime stagioni al sistema industriale ed alle famiglie francesi il più basso costo dell’energia (*).

    Viceversa, in Italia continua l’opera di sciacallaggio dei fondi privati, come Bkackrock, interessata all’acquisizione di quote di multiutility locali, che creeranno alte rendite di posizione in quanto estranee ad ogni possibile applicazione del principio della concorrenza.

    In questo contesto, diversamente da quanto accadrà in Francia, l’aumento delle tariffe rappresenterà il vero ed unico fattore di crescita della remunerazione del Roi (Return of Investiment) e si manifesterà come il maggiore fattore anticompetitivo per il nostro sistema industriale ed economico.

    In più, l’esito di questa deriva “energetica” si rivelerà come una vera e propria catastrofe per le famiglie italiane che già dal 10 gennaio 2024 vedranno abrogato il mercato tutelato per l’energia elettrica ed il gas.

    Mai come ora si avverte, tanto a livello nazionale quanto locale, una imperdonabile incapacità nella comprensione ed elaborazione di strategie che possano assicurare un supporto allo sviluppo economico del nostro Paese e contemporaneamente un aiuto alle famiglie.

    Le opportunità di crescita future dovrebbero essere individuate ora e poste all’interno del programma del PNRR (invece si pensa di approvare il Mes) con l’obiettivo di ottenere dei benefici generali nel prossimo futuro come conseguenze di scelte odierne.

    Nel silenzio, invece, tanto dell’attuale governo quanto dei due precedenti, in relazione alla miopia ideologica parlamentare accecata da argomenti etici e morali, il nostro Paese si avvia alla sua ultima discesa verso un irrimediabile declino economico e sociale.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

  • Il diverso destino di Italia e Francia

    Un qualsiasi paese europeo, ormai stremato da tre anni terribili segnati dalle conseguenze umane, sanitarie, sociali ed economiche della pandemia e della guerra in corso, dovrebbe ora dimostrarsi in grado di elaborare le scelte fondamentali per la propria rinascita. La stessa recessione della Germania dovrebbe allarmare i paesi come l’Italia, esportatrice di componenti della filiera industriale e di beni di consumo alto di gamma.

    Una corretta volontà politica potrebbe manifestarsi attraverso la elaborazione di strategie la cui attivazione possa accrescere, solo per cominciare, la propria capacità energetica in grado porla nelle condizioni di affrontare un’altra situazione imprevista. La logica conseguenza potrebbe delinearsi con l’attivazione di investimenti quasi interamente dirottati verso la realizzazione di infrastrutture di valenza nazionale.

    Le uniche in grado di esprimere il proprio apporto a favore dell’intero sistema economico industriale nazionale: di certo lontane anni luce rispetto alle scelte italiane caratterizzate invece da politiche settoriali (bonus 110%) e generatrici di inflazione.

    In questo senso, allora, da un semplice raffronto tra i due paesi limitrofi si delinea un acquarello inquietante.

    Nel nostro Paese si continua ad aumentare la spesa pubblica con bonus imbarazzanti (zanzariere, occhiali etc.) o finanziando ciclopiche infrastrutture come il ponte sullo stretto di Messina.

    Contemporaneamente la Francia, dopo l’assenso ottenuto dal tribunale, ha avviato la procedura di nazionalizzane di Edf (la società di produzione e distribuzione dell’energia elettrica). L’obiettivo ambizioso che ha determinato la realizzazione del progetto è quello di assicurare il minore costo possibile dell’energia elettrica all’utenza sia industriale che familiare. Questa scelta politica francese, in più, raggiungerà i propri obiettivi anche con investimenti persino inferiori del 33,3% rispetto a quelli necessari per la realizzazione del solo Ponte (*).

    Una scelta, quindi, con un grado di sostenibilità economica maggiore e che si delinea come un fattore strategico determinante ma anche come un importante elemento di sostegno sociale alle famiglie e alle piccole imprese. Diventa, in altre parole, il raggiungimento di questo obiettivo del minore costo energetico, non solo un fattore competitivo per un sistema economico industriale, ma anche un importante strumento di pacificazione sociale per i cittadini. Gli effetti di queste due diverse strategie di politica economica espresse dalla Francia e dall’Italia emergeranno evidenti in soli pochi anni.

    Il sistema industriale ed economico francese, usufruendo dei minori costi energetici, risulterà assolutamente più competitivo nello scenario internazionale ma soprattutto nei confronti del maggiore concorrente cioè quello italiano. Viceversa il mondo industriale italiano pagherà una crescente emarginazione dal contesto economico internazionale proprio a causa delle diverse strategie espresse dalle due classi politiche nazionali (risultato 1). Contemporaneamente il costo sociale pagato dalle famiglie italiane (2) diventerà sempre più gravoso e per due motivi. Va ricordato, infatti, come da giugno 2023 verranno mantenuti gli sconti sui costi impropri solo per i redditi inferiori ai 15.000 euro (il 21% del prezzo pagato dall’utenza) nelle bollette elettriche.

    Come se non bastasse, a partire dal 10 gennaio 2024 verrà annullato, nell’approvvigionamento energetico, il “mercato tutelato” per nove milioni di utenze familiari e di piccole imprese (2).  L’ennesima conseguenza di quelle fasulle “liberalizzazioni e privatizzazioni” le quali hanno determinato l’aumento negli ultimi dieci anni delle tariffe elettriche del 240% del gas del 65% dell’acqua del 57% (fonte Il Sole 24 Ore).

    Nella medesima logica speculativa la privatizzazione delle infrastrutture autostradali non merita alcuna menzione in relazione a quanto sta emergendo dalle carte processuali in relazione al crollo del Ponte Morandi.

    Il nostro Paese, quindi, continua nelle strategie adottate alle fine degli anni ‘90 in assoluta antitesi rispetto alla strategia francese privilegiando la logica speculativa privata a quella dell’interesse nazionale.

    Già da ora, quindi, si delinea chiaramente il diverso destino al quale sono indirizzati i due Paesi. Un quadro le cui tinte fosche esprimono, nel nostro italiano, la inadeguatezza delle strategie adottate.

    (*) La nazionalizzazione di Edf costerà allo stato francese dieci (10) miliardi di euro, il 33,3% in meno del ponte sullo Stretto di Messina il cui costo ai valori attuali è di quindici (15) miliardi

  • Le HCE demande que la protection des femmes soit intégrée au projet de loi de régulation du numérique

    Les femmes ne doivent pas être les grandes oubliées du projet de loi de régulation du numérique adopté au Conseil des ministres ce matin. Si le HCE salue la volonté du gouvernement de «sécuriser et réguler l’espace numérique» notamment en protégeant les jeunes des images pornographiques sur internet, il réclame que soit élargi le champ d’action du projet pour y inclure la protection des femmes. Elles sont les premières victimes de la haine en ligne et de la diffusion de contenus pornographiques de plus en plus violents et illicites (traitement contraire à la dignité humaine, torture, barbarie). Le rapport du Sénat de septembre 2022 l’a amplement démontré.

    Dans son 5ème rapport annuel sur l’état du sexisme en France, le HCE a déjà formulé des propositions concrètes :

    Réguler les contenus numériques pour lutter contre les stéréotypes, représentations dégradantes, et traitements inégaux ou violents des femmes ;

    Etendre les compétences et renforcer les moyens de la plateforme policière de traitement des signalements (Pharos) et de l’Autorité de régulation de la communication audiovisuelle et numérique (Arcom), pour éliminer efficacement les séquences illicites des vidéos pornographiques.

    En septembre, le HCE publiera un rapport d’envergure sur la pornographie et ses conséquences intolérables pour les femmes. Des propositions précises y seront faites pour mieux combattre les séquences illicites. Mais d’ores et déjà, le HCE propose de dialoguer avec le gouvernement et le Parlement pour faire adopter des amendements protecteurs pour les femmes.

    Les violences qu’elles subissent dans le monde numérique ne doivent plus rester impunies. Sur internet, comme dans le monde réel, elles doivent être sévèrement sanctionnées.

  • Immigrazione: l’Europa non conclude, la Francia nasconde i problemi di Mayotte

    Mentre in Italia continuano gli sbarchi manca ancora una soluzione europea, vera ed applicata, per i ricollocamenti dei profughi, di quella moltitudine di migranti che troppo spesso per cercare una vita migliore o per scappare da guerre e violenze trovano la morte in mare o sulla rotta dei Balcani. La incapacità di decidere crea situazioni sempre più drammatiche e molti governi, di Orban in testa, hanno dimostrato la totale indisponibilità a quella collaborazione che è il collante dell’Europa.
    Manca anche un intervento europeo per contrastare i trafficanti di uomini, per imporre condizioni di vita più umane nei lager libici, né siamo a conoscenza della reale situazione in Turchia nonostante il grande flusso di denaro che dall’Europa è arrivato ad Erdogan.
    Nelle scorse settimane abbiamo assistito, stupefatti ed increduli, alle polemiche innescate dal governo francese contro l’Italia.
    Vale la pena allora, con calma e senza rivalse inutili ma per onore della verità, ricordare alcune realtà.
    Il governo francese deve affrontare uno dei più gravi problemi legati all’immigrazione ma al momento è risultato incapace e la sua politica è diventata un vero colabrodo che consente l’arrivo di migliaia di migranti a Mayotte, in Africa, il centunesimo dipartimento dell’esagono costituito principalmente dalle isole di Petite Terre e di Grande Terre dove i clandestini arrivano da ogni parte per tentare di diventare cittadini europei. Gli ospedali sono pieni di donne immigrate che partorendo a Mayotte, in territorio francese, per lo ius soli avranno figli francesi e cioè europei. E poi il ricongiungimento familiare farà il resto.
    Nelle isole di Mayotte, senza che Parigi sia intervenuta concretamente, vi sono vere e proprie guerre tra bande di ragazzini mandati avanti dai mercanti di esseri umani e i clandestini sono ormai quasi il doppio degli abitanti regolari. Da fonti giornalistiche risulta che l’unico aeroporto sia praticamente in mano ai trafficanti di uomini e i dieci reparti speciali mandati, più o meno tre mesi fa, da Parigi non ha che incrementato gli scontri.

    Mentre la Francia fa barriera a Ventimiglia contro i migranti, mentre chiude i suoi porti e contesta l’Italia, di fatto non è in grado di impedire quella che sta diventando una vera catastrofe ed un serio pericolo per tutta l’Europa, per questo è arrivato il momento che questo problema sia affrontato anche dagli altri membri dell’Unione.

  • L’Europa sull’immigrazione è colpevole

    L’assurda e pericolosa polemica che il governo francese ha intrapreso contro l’Italia è l’ennesima testimonianza di quanta strada l’Unione Europea debba ancora fare per essere un’Unione a tutti gli effetti.

    Anche l’Italia ha delle gravi responsabilità, infatti i tanti governi che si sono succeduti hanno prima firmato l’accordo di Dublino, senza comprenderne le conseguenze, e poi, in tutti questi anni, non hanno mai avuto la capacità e la volontà politica di chiederne la revisione.

    L’Europa ha lasciato che il problema immigrazione diventasse sempre più drammatico ed esplosivo senza trovare soluzioni adeguate per impedire il lercio mercato di esseri umani e per garantire degne possibilità di vita ai tanti che scappavano e scappano da guerre, soprusi, siccità e miseria.

    L’Italia, e non solo, è stata per anni, ed è ancora, abbandonata di fronte a flussi migratori che nessuno Stato può reggere da solo, mentre ad altri paesi è stato concesso, senza tante polemiche e ritorsioni, di chiudere di fatto le loro frontiere ai migranti e su questo tema né Francia né Spagna hanno il diritto di parlare.

    Già molti anni fa l’Europa mandò commissioni d’inchiesta a Lampedusa e già molti anni fa fu chiaro che i cittadini italiani e le istituzioni locali facevano tutto quanto potevano per soccorrere i migranti e già da allora l’Italia chiedeva, ma non con sufficiente determinazione, e comunque rimanendo inascoltata, una politica comune per l’immigrazione.

    Vale inoltre ricordare che altri immigrazioni sono aumentate, basti pensare all’Afghanistan, e che i molti soldi europei dati alla Turchia, per evitare che gli immigrati entrassero in occidente, non sono stati una soluzione né per contrastare l’immigrazione né per garantire condizioni di vita umane Ai tanti profughi.
    Ora la storia continua a ripetersi e tutti i buoni propositi, a parole, di dividersi i migranti per quote sono rimasti lettera morta e la situazione, non solo in Africa, è diventata sempre più esplosiva.

    Quanti denari europei e dei singoli paesi sono stati dati per aiuti alla cooperazione ma sono mai arrivati dove servivano e cioè alle popolazioni che, in troppe aree, hanno continuato a rimanere prive di acqua e perciò impossibilitate a qualunque attività, alla stessa sopravvivenza, prive di sanità, prive di un minimo di sicurezza?

    Si sarebbero dovuti portare direttamente aiuti concreti sul territorio, si sarebbe dovuto dar vita ad accordi, con quegli Stati africani con i quali era possibile, per instaurare controlli corretti e non lasciare decine di migliaia di persone in balia dei trafficanti di esseri umani, si sarebbe dovuto affidare alle Marine dei Paesi dell’Unione il controllo del mare e Il soccorso a coloro che ne avevano bisogno.

    Si sarebbero potute affittare grandi aree, nei paesi come il Marocco, la Tunisia, l’Egitto, con i soldi ed il controllo costante dell’Europa, per costruire villaggi di transito con scuole, laboratori artigianali, assistenza sanitaria. In questi villaggi i profughi avrebbero potuto essere identificati, controllati, i richiedenti asilo avrebbero potuto presentare le loro richieste, i bambini, i ragazzi studiare, imparare le lingue europee, imparare un mestiere per potere poi, arrivati in Europa, essere preparati alla nuova vita. Si sarebbero in questo modo evitate le tante, troppe, atroci violenze subite da donne ed uomini lasciati alla mercé di feroci aguzzini e i morti per mare.

    Si dovevano e potevano prendere molte iniziative concrete e invece siamo agli scazzi tra Paesi, alle infruttuose e sterili polemiche mentre i migranti continuano a morire ed i trafficanti di uomini ad arricchirsi.

  • Scontri diplomatici e governativi sui migranti

    Se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica

    per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!

    Sandro Pertini

    Continuano gli sbarchi dei migranti a Lampedusa. Anche durante tutta la scorsa settimana sono arrivati con delle piccole imbarcazioni, centinaia di uomini, donne e bambini provenienti da diversi Paesi dell’Africa. Un continuo flusso di migranti, sofferenti, sfruttati e anche violentati esseri umani che da anni stanno cercando di trovare accoglienza in Italia e, tramite l’Italia, anche in altri Paesi europei. Un flusso quello che da anni ha generato anche molti problemi logistici, ma non solo, sia a Lampedusa che altrove in Italia. Si tratta soprattutto di migranti dai Paesi subsahariani ma anche dall’Asia e dall’Africa settentrionale. Prima una parte di quei flussi migratori, soprattutto siriani, che scappavano dalla guerra in corso nel loro Paese, passavano attraverso quella che venne denominata come la rotta del Mediterraneo orientale. Facendo tappa in Turchia e nelle isole della Grecia, i migranti poi cercavano di entrare nei Paesi dell’Unione europea attraversando la Grecia, la Bulgaria ed altri Paesi balcanici. Si creò un serio e preoccupante problema, sia per i Paesi lungo la rotta che per quelli che rappresentavano l’obiettivo finale dei migranti. Sono ancora vive nella memoria collettiva le reti di filo spinato che sono state messe per impedire il passaggio delle frontiere tra gli Stati europei da migliaia di migranti in cerca di un posto sicuro. I capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione europea, nell’ambito del Consiglio europeo convocato il 17 e 18 marzo 2016, insieme con i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione, hanno deciso di stabilire un accordo tra l’Unione europea e la Turchia per gestire la grave crisi generata dai flussi dei migranti, soprattutto siriani, ma non solo, che cercavano di arrivare nei Paesi dell’Europa occidentale. Il 18 marzo 2016 è stata firmata dai rappresentanti dell’Unione europea e dal presidente della Turchia quella che ormai è nota come la Dichiarazione dell’Unione europea con la stessa Turchia. Quel documento prevedeva e sanciva che “…tutti i nuovi migranti irregolari che arrivano sulle isole greche saranno rimpatriati in Turchia se non fanno domanda d’asilo o se la loro domanda è respinta”. Si sanciva anche che “Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà reinsediato nell’Unione europea”. Si trattava di “misure straordinarie volte a porre fine alle sofferenze umane e a ripristinare l’ordine pubblico”. Si trattava di misure e regole che dovevano essere attuate “nel pieno rispetto del diritto dell’Unione europea ed internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva”. Con la sottoscrizione di quella Dichiarazione la Turchia si impegnava ad “…adottare misure più severe per evitare l’apertura di nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare verso l’Unione europea”. Per sostenere quanto prevedeva e sanciva la Dichiarazione, il 24 novembre 2015, in seguito alla richiesta degli Stati membri dell’Unione, è stato costituito lo Strumento dell’Unione europea per i rifugiati in Turchia. Si tratta di un meccanismo di coordinamento tramite il quale si garantisce tutta l’assistenza necessaria per i rifugiati. Sono stati previsti ed allocati 6 miliardi di euro, stanziati in due rate. La prima, di 3 miliardi, era stata resa disponibile il 29 novembre 2015, mentre la seconda rata, sempre di 3 miliardi di euro, è stata erogata nel marzo 2018. Ma due anni dopo, nel marzo 2020, l’Unione europea ha dovuto stanziare anche altri 700.000 milioni di euro, questa volta per la Grecia, sempre però riguardanti i migranti.

    Per regolamentare i flussi migratori e il trattamento delle richieste d’asilo da parte dei migranti che entrano in un Paese dell’Unione europea, dal 1 gennaio 2014 è entrato in vigore il Regolamento di Dublino. Quel documento stabilisce i criteri ed i meccanismi necessari per l’esame, da parte di uno Stato membro dell’Unione, di una domanda d’asilo e di protezione internazionale, presentata da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. Il regolamento di Dublino, tra l’altro, stabilisce anche quale sia lo Stato membro dell’Unione europea che dovrebbe farsi carico del trattamento della richiesta d’asilo presentata da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. Secondo il Regolamento di Dublino si stabilisce che “…qualsiasi domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro, quello individuato come competente e la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primo luogo sullo Stato che ha espletato il ruolo maggiore relativamente all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni”. Perciò una richiesta d’asilo deve essere presentata dal richiedente nel primo Paese dell’Unione europea dove lui entra fisicamente.

    Dall’inizio della settimana scorsa ha avuto inizio uno scontro diplomatico tra l’Italia e la Francia. Tutto cominciò dopo che la nave Ocean Viking, appartenente all’organizzazione non governativa SOS Mediterranée e battente bandiera norvegese, con a bordo 234 migranti, aveva chiesto il permesso di attraccare in un porto sicuro in Italia. Non avendo avuto il richiesto permesso da parte delle autorità italiane, la nave si è diretta verso la costa francese. Si era parlato del porto di Marsiglia e di Tolone. Ma nel frattempo si era generato anche uno scontro diplomatico tra l’Italia e la Francia. Citando e facendo riferimento anche al sopracitato Regolamento di Dublino. Lunedì 7 novembre, durante la Conferenza sul clima dell’ONU in Egitto, c’è stato un incontro tra la presidente italiana del Consiglio dei Ministri ed il Presidente della Repubblica francese. Nonostante non ci siano degli annunci ufficiali di quello che hanno discusso e trattato i due durante quell’incontro, da fonti mediatiche risulterebbe che abbiano trattato anche la spinosa questione dei migranti nel mediterraneo e della nave Ocean Viking. Risulterebbe che durante quell’incontro in Egitto, il presidente francese avesse, tra l’altro, garantito la disponibilità di dare accoglienza ai migranti che si trovavano nella nave diretta, nel frattempo, verso un porto francese.

    Ma quanto è accaduto dopo quell’incontro ha generato, invece, uno scontro diplomatico con dei toni aspri. Dopo che le autorità italiane hanno rifiutato il permesso di attraccare in un porto sicuro italiano per la nave Ocean Viking, il ministro dell’Interno francese ha criticato il comportamento del governo italiano, considerandolo come un “comportamento inaccettabile”. Aggiungendo anche che il governo italiano aveva preso una “decisione incomprensibile”. In seguito c’è stato uno scontro verbale che ha coinvolto direttamente, con delle accuse reciproche, anche la presidente del Consiglio dei ministri italiano e la segretaria di Stato per gli Affari Europei del governo francese. Durante una sua conferenza stampa l’11 novembre scorso, la Presidente del Consiglio ha detto che “La Francia aveva dichiarato a voi [giornalisti] che il ministero degli Interni francese avrebbe accolto l’Ocean Viking. Addirittura dichiarava che non avrebbero fatto una selezione come invece accadeva in Italia, e la notizia non è stata smentita per circa otto ore e dopo otto ore ho ringraziato per il gesto di solidarietà”. In più, dopo le reazioni della scorsa settimana delle autorità del governo francese sulla crisi dei migranti a bordo della nave Ocean Viking, la Presidente del Consiglio dei ministri italiano ha considerato quella della Francia una “reazione aggressiva”. Lei ha anche ribadito che “non bisogna isolare l’Italia ma gli scafisti”. La presidente del Consiglio ha dichiarato convinta che “Quando si parla di ritorsioni in una dinamica dell’Unione europea qualcosa non funziona”. Aggiungendo che era rimasta “molto colpita dalla reazione aggressiva del governo francese, incomprensibile e ingiustificabile”. Riferendosi poi agli obblighi internazionali derivanti dagli accordi da rispettare, lei ha chiesto: “Cosa fa arrabbiare? Il fatto che l’Italia deve essere l’unico porto di sbarco per i migranti del Mediterraneo? Questo non c’è scritto in nessun accordo!”. Mentre la segretaria di Stato per gli Affari Europei del governo francese ha dichiarato, sempre riferendosi alla crisi dei migranti, che “Con l’Italia si è rotta la fiducia”. In seguito lei si è riferita agli accordi presi dall’Italia nell’ambito del meccanismo di solidarietà dell’Unione europea. Ragion per cui “…i trattati si applicano al di là della vita di un governo, altrimenti se dovessimo cambiare ogni volta le regole sarebbe insostenibile”. Aggiungendo che il governo italiano “non ha rispettato il meccanismo per il quale si era impegnato”. Per lei da parte del governo italiano “… c’è stata una decisione unilaterale che ha messo vite in pericolo e che, del resto, non è conforme al diritto internazionale”.

    Dopo questi aspri scontri verbali, nella mattinata di lunedì, 14 novembre, c’è stato un pacificatore colloquio telefonico tra il Presidente della Repubblica italiana ed il suo omologo francese. Dopo delle trattative diplomatiche durante questi ultimissimi giorni e dopo quel colloquio c’è stata anche una nota ufficiale congiunta delle due presidenze. Secondo questa nota “Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha avuto con il Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron un colloquio telefonico, nel corso del quale entrambi hanno affermato la grande importanza della relazione tra i due Paesi e hanno condiviso la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia dell’Unione Europea”. Lo stesso giorno, lunedì 14 novembre, a Bruxelles si è riunito il Consiglio degli Affari esteri dell’Unione europea. I temi previsti, su cui discutere, erano l’aggressione russa in Ucraina, la regione dei Grandi Laghi in Africa ed i Balcani occidentali. Ma dopo lo scontro diplomatico della scorsa settimana tra l’Italia e la Francia sui migranti, è stata presentata, da parte della delegazione italiana, la richiesta di trattare anche la “…cooperazione in materia di flussi migratori, con particolare riferimento alla gestione dei soccorsi operati da navi private e all’attuazione di meccanismi effettivi di solidarietà europei”.

    Da due settimane ormai è in corso un altro scontro diplomatico tra due altri Paesi europei. Anche questo scontro, con lo scambio di aspre accuse reciproche verbali, riguarda i flussi migratori che arrivano dall’Albania nel Regno Unito. Sono dati veramente preoccupanti. Secondo il ministero britannico della Difesa nella sola giornata di sabato scorso hanno attraversato il canale della Manica 972 migranti con 22 piccole imbarcazioni. Mentre il numero totale dei migranti entrati nello stesso modo nel Regno Unito è, ad oggi, 40.885. Lo stesso ministero conferma che la maggior parte di quei migranti arrivano dall’Albania. Due settimane fa la ben nota agenzia inglese BBC (British Broadcasting Corporation – Corporazione britannica di trasmissione; n.d.a.) ha pubblicato i dati ufficiali riguardanti il numero dei migranti che arrivano nel Regno Unito con delle piccole imbarcazioni, attraversando il canale della Manica. Ebbene, dai dati risulta che durante i primi sei mesi di quest’anno nel Regno Unito sono arrivati 2165 albanesi, 2066 afghani, 1723 iraniani, 1573 iracheni, 1041 siriani, 850 eritrei, 460 sudanesi, 305 egiziani, 279 vietnamiti e 198 kuwaitiani. I numeri parlano da soli e meglio di qualsiasi commento!

    Subito dopo la pubblicazione di questi dati si è generato lo scontro diplomatico tra l’Albania ed il Regno Unito. Uno scontro verbale con delle accuse da parte del primo ministro albanese, seguito dalle repliche della segretaria di Stato britannico per l’Interno. Anche in questo caso, il primo ministro, cercando come sempre di sfuggire alle sue responsabilità per la grave e drammatica realtà albanese, ha “attaccato” verbalmente le autorità britanniche. Si tratta di un nuovo scandalo tuttora in corso, sul quale il nostro lettore verrà informato di nuovo.

    Chi scrive queste righe pensa di non aggiungere altro. Condivide però pienamente quanto affermava Sandro Pertini. E cioè che se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!

  • Gli studi di Michele Allegri sui Templari in un capitolo di un libro pubblicato in Francia

    Si intitola Falicon – La pyramide entre deux mondes il libro dello scrittore e giornalista francese Pierre Beny in cui un intero capitolo è dedicato allo studioso della storia dei Templari Michele Allegri. Tutto nasce nel 2013 quando Allegri pubblicò il libro La religione segreta dei Templari e Beny lo contattò perchè interessato a saperne di più sulla piramide di Falicon, un tempo alta sei metri, ed i Templari in Provenza al cui studio Allegri si era dedicato dal 2010, anno in cui si recò in Francia per toccare con mano quel che restava della piramide. Erosa dal tempo ha un accesso in profondità, nelle grotte, accompagnate da aneddoti legati a riti pagani, alle legioni dei Templari di Montecarlo e all’azione di Papa Clemente V. Nel 2020 Beny decide di pubblicare il suo libro e di intervistare Allegri sulle sue scoperte e ricerche dedicandogli un intero capitolo.

  • In attesa di Giustizia: liberté, egalité, ospitalité

    Pietrostefani, Tornaghi, Manenti ed altri ancora sono nomi noti alle cronache sebbene a lungo dimenticati, almeno fino a quando non è sembrato che la Francia – Paese nel quale avevano trovato da decenni  rifugio – si fosse determinata ad estradarli verso l’Italia per scontare le pene a cui erano stati condannati per gravi reati di sangue e di eversione contro l’ordinamento dello Stato.

    Hassan Iquioussen, invece, è un personaggio sicuramente meno conosciuto, almeno al di qua delle Alpi Graie, e si tratta di un Imam nei cui confronti il Ministro dell’Interno francese aveva recentemente emesso un decreto di espulsione in quanto considerato pericoloso: vicino ai Fratelli Musulmani, che in varie occasioni non ha mancato di manifestare apertamente antisemitismo, omofobia, xenofobia e di legittimare l’omicidio di chi avesse tradito la fede musulmana, spesso abilmente impiegando i termini usati salvo poco tempo fa quando gli è sfuggita la frase “taglieremo loro le teste prima che loro taglino le nostre”. Chi siano i destinatari di tale auspicio è piuttosto chiaro: siamo noi, gli infedeli.

    Dunque, una personcina che sarebbe stato di tutta opportunità rispedire al suo Paese di origine ma… grazie ad un tempestivo ricorso, il Tribunale amministrativo ha annullato la decisione ministeriale e l’Imam può serenamente continuare a risiedere nella sua zona prediletta, al confine con il Belgio.

    La sentenza è un inno all’ospitalità affermando che qualche parolina di troppo, per quanto di esplicita provocazione non può giustificare l’espulsione di chi mantiene il pieno diritto di condurre una normale vita famigliare con i suoi congiunti nella terra che ha scelto come sua residenza.

    Insomma, tiene famiglia ed i  francesi, si vede, non hanno il corrispondente diritto a sentirsi un po’ più sicuri di non incappare in qualche giovanotto (Iquioussen è un idolo nella fascia di età andante dai quindici ai quarant’anni) indottrinato al taglio delle teste.

    Molto ospitali, i giudici francesi: per chi non lo sapesse anche gli ex brigatisti italiani, alla fine, non sono stati consegnati alla nostra giustizia perché – in fondo – è ormai storia vecchia, questi gentiluomini si sono comportati bene per tanti anni, hanno messo su famiglia pure loro, hanno un lavoro e qualche ammazzatina a fondamento ideologico anni ’70 non può certo giustificare la prigione proprio adesso che sono dei miti pensionati o quasi. Figuriamoci, poi, in Italia! Dove – sempre secondo la Corte parigina – non vi è garanzia che siano stati sottoposti ad un giusto processo nel quale non hanno neppure potuto difendersi personalmente. E, certo: hanno preferito restare serenamente seduti in qualche barettino della Rive Gauche a sorbirsi un Pernod o a gustarsi un croque monsieur piuttosto che accomodarsi sulle panche di una Corte d’Assise.

    Liberi tutti, allora! Del resto siamo nella terra della libertà, della uguaglianza ed – evidentemente – della ospitalità.

    Far scontare una pena, tuttavia, non equivale a riparare le vittime di un delitto o i loro famigliari ma non è neppure vendetta sociale, anche se sono passati molti anni dai fatti: è semplicemente quella giustizia degli uomini che prima o poi ci si aspetta che arrivi e si manifesti con uno dei suoi esiti possibili.

    Non sempre è così, e i lettori di questa rubrica lo sanno bene: se poi il Presidente di un Collegio giudicante – come quello che si è occupato dei nostri terroristi – si chiama Belin, forse non ci si deve sorprendere più di tanto delle idee che gli passano per la testa. Una testa di Belin, appunto, con licenza parlando.

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