Francia

  • Africa sempre più lontana dall’Occidente: il Ciad si riprende un’altra base militare della Francia

    Prosegue il ritiro delle forze armate francesi in Ciad, dove la base militare di Abeché sarà riconsegnata alle Forze armate locali. Lo riferiscono i media francesi, sottolineando che la cerimonia ufficiale per il passaggio di consegne segue la decisione delle autorità al potere a N’Djamena di interrompere la cooperazione con Parigi in materia di difesa e sicurezza.

    La presiederà il ministro ciadiano delle Forze armate e dei veterani, Issakha Maloua Djamous, che ha raggiunto la base dalla capitale N’Djamena. Ad Abeché, decine di persone si sono radunate nei pressi della base militare, salutando con urla e grida di gioia il passaggio del ministro ciadiano. La partenza delle truppe francesi da Abeché è vista con particolare favore, commenta “Rfi”, ricordando che questa città nell’est del Paese, che costituisce un crocevia tra il nord e il sud del Ciad, è stata segnata da diversi massacri durante la colonizzazione francese.

    Quella di Abeché è la seconda delle tre basi francesi che Parigi sta riconsegnando all’esercito ciadiano dopo la richiesta di ritiro formulata dalle autorità di N’Djamena a fine novembre. Il 26 dicembre, le truppe francesi di stanza in Ciad hanno riconsegnato all’esercito ciadiano la base militare di Faya-Largeau, principale città del nord del Paese. Secondo fonti di “Rfi”, i circa 30 uomini che gestivano l’aerodromo di Faya-Largeau hanno lasciato la base al termine di una cerimonia ufficiale, per raggiungere la capitale N’Djamena. Il trasferimento, su una distanza di quasi 800 chilometri, richiede diversi giorni di cammino. Per quanto riguarda le attrezzature, che rappresentano diverse decine di tonnellate, sono state rimpatriate direttamente in Francia tramite aereo cargo. In generale, hanno confermato fonti francesi, tutti i veicoli militari provenienti dalle basi di Faya-Largeau, Abéché e N’Djamena dovranno essere rimpatriati in Francia attraverso il porto di Douala entro il 31 gennaio. Lo Stato maggiore delle Forze armate francesi ha definito l’operazione “conforme al calendario stabilito con il partner ciadiano”. In precedenza, una prima unità di 120 militari francesi è partita da N’Djamena per la Francia, dieci giorni dopo la partenza di due aerei da combattimento.

    La Francia ha avviato il ritiro delle sue forze armate dal Ciad lo scorso 10 dicembre, con il decollo di due aerei da guerra Mirage di base nella capitale N’Djamena. “(La partenza) segna l’inizio del rientro delle attrezzature francesi di stanza a N’Djamena”, ha affermato in quel frangente il portavoce dell’esercito, il colonnello Guillaume Vernet, aggiungendo tuttavia che un calendario per il ritiro delle operazioni avrebbe richiesto ancora diverse settimane per essere finalizzato dai entrambi i governi. Lo scorso 20 dicembre, tuttavia, il governo del Ciad ha chiesto di accelerare le operazioni, affermando che Parigi dovrà terminare il ritiro di tutte le sue forze militari presenti nel Paese – circa mille uomini – entro il prossimo 31 gennaio. La data limite è stata confermata di recente dalle autorità ciadiane come “non negoziabile” in seguito alle dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron, che nel suo discorso agli ambasciatori, lo scorso 6 gennaio, ha accusato i leader africani di “ingratitudine” rispetto agli sforzi effettuati dalle truppe francesi nel Sahel per contrastare il terrorismo.

  • Importanti insegnamenti

    Ci sono principi che non ammettono compromessi e per la

    cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

    Mohandas Gandhi

    La primavera del 1789 segnò anche l’inizio di quella che ormai è nota a tutti come la Rivoluzione francese. La maggior parte della popolazione, quella che veniva riconosciuta come ‘il terzo stato’, ma anche i nobili, non potevano e non volevano sottomettersi a quello che allora veniva chiamato l’Ancien régime, il regime monarchico assoluto. Consapevole di una tale situazione Luigi XVI cercò di convocare gli Stati generali, ossia le tre principali classi sociali che rappresentavano la società francese. Si trattava della classe del clero, della nobiltà e del ‘terzo stato’. Il giorno stabilito dal Re per quella convocazione era il 5 maggio 1789. I rappresentanti del ‘terzo stato’, del popolo, sono stati riuniti separatamente, definendo delle richieste da presentare al Re, mentre il 17 giugno 1789 hanno proclamato l’Assemblea nazionale. Ai rappresentati del ‘terzo stato’ si unirono molti altri rappresentanti del clero e dei nobili. E tutti insieme il 9 luglio 1789 hanno istituito l’Assemblea generale costituente. Solo cinque giorni dopo, in seguito ad una massiccia ribellione, il 14 luglio 1789 fu presa la Bastiglia, la fortezza prigione, nel pieno centro di Parigi, che rappresentava uno dei simboli del dispotismo della monarchia assoluta. La Rivoluzione francese era cominciata.

    L’Assemblea generale costituente il 4 agosto 1789 approvò delle leggi che sopprimevano alcuni diritti della nobiltà francese e liberavano i contadini da determinati vincoli e obblighi nei confronti dei feudatari. Mentre tre settimane dopo, il 26 agosto, l’Assemblea approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini (Déclaration des droits de l’homme et du citoyen; n.d.a.). Con quella Dichiarazione veniva finalmente abolita la monarchia assoluta in Francia. Un testo quello che insieme con la Carta dei diritti (Bill of Rights), approvata il 15 dicembre 1791 dal primo congresso degli appena costituiti Stati Uniti d’America, sono stati alla base di un altro documento: la Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata a Parigi durante la terza sezione dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

    Il 1793 è stato un altro anno pieno di avvenimenti importanti in Francia che hanno segnato anche la storia del Paese. Era l’anno dell’approvazione della Costituzione del 1793 che in seguito è stata ignorata con un decreto entrato in vigore il 10  ottobre 1793. Un decreto con il quale si sanciva che il governo doveva essere “rivoluzionario fino alla pace”. Un decreto firmato da Maximilien de Robespierre, che era il presidente della Convenzione nazionale. Cominciò così quello che è noto come il Regime del Terrore (Régime de la Terreur; n.d.a.). Quello che nel 1789 cominciò come un movimento rivoluzionario che doveva rispettare la libertà, l’uguaglianza e la fraternità (Liberté, Égalité, Fraternité; n.d.a.), in seguito degenerò in un nuovo regime.

    Quanto accadeva durante il periodo del Terrore in Francia è stato maestosamente presentato dal noto scrittore francese Victor Hugo, che viene riconosciuto anche come il padre del romanticismo francese. E, guarda caso, lo ha fatto con il suo ultimo romanzo, intitolato “Novantatré” e pubblicato nel 1874. L’autore del romanzo tratta proprio quanto accadeva allora in Francia e soprattutto nella regione della Vandea. Una regione in cui i monarchici si scontravano con i tre battaglioni repubblicani lì mandati da Parigi. L’autore affermava: “In tutta questa parte della Vandea la repubblica ebbe il sopravvento, questo lasciò molti dubbi. Ma quale repubblica? Nel trionfo emergente erano presenti due forme di repubblica; la repubblica del terrore e la repubblica della clemenza, l’una che vuole vincere con il rigore e l’altra con la dolcezza. Quale prevarrebbe?” (Terza parte; Libro II/VII). In più l’autore del romanzo ci ricorda che ai repubblicani è stato ordinato: “Nessun perdono; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro I/I). Mentre ai monarchici è stato chiesto “Insorgetevi; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro III/II). L’autore ci ricorda, altresì, che “…93 è la guerra dell’Europa contro la Francia e della Francia contro Parigi”. Invece la rivoluzione “…è la vittoria della Francia contro l’Europa e di Parigi contro la Francia. Da lì l’immensità di questo terribile minuto. 93, più grande di tutto il resto del secolo” (Seconda parte; Libro I/II).

    Sono diversi i personaggi del romanzo “Novantatré” di Victor Hugo. Ma tra i tanti personaggi del romanzo tre sono quelli che attirano di più l’attenzione del lettore. Tutti e tre sono legati tra di loro, nonostante siano rappresentanti di ideologie, di credenze e di raggruppamenti antagonisti. E tutti e tre si distinguono per la loro forte moralità, per la loro determinazione, per la loro forza di carattere e per la loro disponibilità a sacrificare la propria vita in difesa dei principi. Di quei principi che tutti e tre ne sono convinti sostenitori.

    Il più giovane di loro è Gauvain, il comandate dei volontari repubblicani arrivati in Vandea per combattere e reprimere i contadini ribellati contro la Convenzione. Nato in una famiglia aristocratica e rimasto da molto piccolo orfano del padre, era l’unico pronipote del marchese di Lantenac, il comandante della ribellione di Vandea. Lantenac era, invece, un convinto sostenitore della monarchia. Mentre il terzo personaggio era Cimourdain. Proprio colui che era stato il maestro del piccolo Gauvain. E tra loro due c’era stato sempre un legame profondo, anche se avevano delle convinzioni diverse. Cimordain era stato prima un prete, ma dopo aveva avuto una piccola eredità che lo ha reso libero dal dogma. Nel ’93 lui era l’alto rappresentante dei repubblicani in Vandea. E lì incontrò di nuovo il suo benamato Gauvain e gli salvo, per la seconda volta, la vita.

    L’autore del romanzo ha descritto molte scene dove si sono incrociati diversi personaggi del romanzo. Egli ha maestosamente messo in evidenza anche le diversità e quello che univa i suoi personaggi. E nell’ultima parte del romanzo il lettore conosce anche le ultime azioni dei tre personaggi principali. Lantenac, per salvare tre orfani bambini che si stavano bruciando nella Torre della Tourgue, proprietà della sua famiglia, è ritornato ed ha affrontato il fuoco. Proprio lui che poco prima era riuscito miracolosamente a liberarsi proprio dall’assedio dei repubblicani, comandati dal Gauvain. Lantenac è riuscito a portare in salvo i bambini, ma è stato catturato dai repubblicani. Gauvain, invece, presente durante l’arresto di Lantenac, ha avuto in seguito delle ore difficili, durante le quali le sue idee e i suoi principi si confrontavano. Alla fine però Gauvain entrò nella cella dove avevano chiuso Lantenac, mise addosso a lui il suo lungo mantello di comandate, gli coprì la testa con il grande cappuccio del mantello e lo spinse fuori, dandoli la libertà. E quando i soldati, l’indomani andarono a prendere Lantenac per giudicarlo e condannarlo alla ghigliottina invece hanno portato davanti alla corte, capeggiata da Cimordain, proprio il comandate Gauvain. La corte decise di ghigliottinare Gauvain. E mentre la lama della ghigliottina tagliava la testa del suo amato Gauvain, si senti un colpo di pistola. Cimopurdain si era suicidato.

    Chi scrive queste righe, nel suo piccolo, ha molto imparato dai romanzi di Victor Hugo e anche dal “Novantatré”. Egli auspica che gli importanti insegnamenti del romanzo possano servire anche a coloro che hanno delle responsabilità pubbliche ed istituzionali a livello internazionale, in Europa, negli Stati Uniti d’America ed altrove. Ma purtroppo, fatti accaduti alla mano, molti di loro parlano di principi e poi, con le proprie azioni, decisioni ed alleanze, calpestano proprio quei principi. Fino al punto che diventano incredibili. Mentre come ci insegna Mahatma Gandhi ci sono principi che non ammettono compromessi e per la cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

  • France backs Morocco in dispute over Western Sahara

    France’s President Emmanuel Macron has told Morocco’s parliament that he believes Western Sahara should be under Moroccan sovereignty, and has pledged to invest French money there.

    Western Sahara is a territory on the north-western coast of Africa that has been the subject of a decades-long dispute.

    It was once a Spanish colony, and is now mostly controlled by Morocco and partly by the Algerian-backed Polisario Front – which says it represents the indigenous Sahrawi people and wants an independent state.

    France was the former colonial power in both Morocco and Algeria. It joins other nations including Spain, the US and Israel in backing Morocco’s plan.

    Lawmakers rose to their feet and applauded Macron on Tuesday when he said, “for France, this territory’s present and future fall under Morocco’s sovereignty”.

    His comments on Tuesday in Rabat echo surprise remarks he first made in July.

    Signalling a change in France’s long-held stance on Morocco’s plan to grant Western Sahara autonomy under Moroccan sovereignty, the French president said it was the “only basis” for a just and lasting political settlement.

    France’s backing of Morocco’s territorial claim angered Algeria, which responded to the news by withdrawing its ambassador to Paris.

    Algiers regards Morocco’s presence there as an illegal occupation.

    Analysts say France’s decision to back Morocco’s claim is an attempt to repair relations between the two nations, which had soured after Rabat was accused of attempting to spy on President Macron and France tightened visa restrictions for visiting Moroccan nationals.

    Relations between Morocco and Algeria have become especially tense in recent years, with Algiers announcing in 2021 that it had severed diplomatic ties with its neighbour to the west.

    On Tuesday, Macron also addressed colonialism but stopped short of an apology.

    “Our common history also has dark parts. The time came for unequal treaties, when hubris and the mechanical force of European countries imposed themselves around the world, and when, even disguised as a protectorate, Morocco did not escape the ambitions and the violence of colonial history,” he said.

    In a sign of closening ties, France and Morocco are reported to have struck deals on energy and infrastructure among other things.

    The AFP news agency says they have a total value of “up to €10bn”, equivalent to $10.8bn or £8.3bn.

    On Tuesday, Macron also pledged an unspecified sum of “investments and sustainable support initiatives to benefit local populations” in Western Sahara.

    ‘Significant’ development

    Macron’s invitation to Morocco came from King Mohammed VI, two months after his royal court hailed France’s change of heart on Western Sahara as a “significant” development.

    But Algeria has expressed its deep disapproval, saying France is denying Sahrawi people their right to self-determination.

    The Polisario Front, meanwhile, has hit out at France for supporting what it says is a “violent and illegal occupation” by Morocco.

    Western Sahara was annexed by Morocco in 1975.

    A 16-year-long insurgency ended with a UN-brokered truce in 1991 and the promise of a referendum on independence, which has yet to take place because of disagreements over how it should be conducted and who should be eligible to take part.

    Today, the African Union is the only international organisation to recognise Western Sahara as a state in its own right.

    Additional reporting by Danny Aeberhard

  • Luci spente a Notre-Dame di Strasburgo per risparmio energetico

    Un nostro lettore ci segnala un articolo tratto dalla rivista ‘Tempi’ che pubblichiamo di seguito

    L’ultima deriva delle iniziative degli pseudo ambientalisti è stata registrata a Strasburgo, dove la sindaca ecologista, Jeanne Barseghian, ha deciso, a partire dalle 23, di spegnere l’illuminazione della cattedrale della città alsaziana in nome della “politica di sobrietà energetica” del suo Comune. «Questo spegnimento anticipato non è semplicemente un risparmio economico. Per la città di Strasburgo si tratta di dare l’esempio in un momento in cui si chiede a tutti i cittadini di impegnarsi per risparmiare energia», si è difesa la giunta ecologista.

    Prima di settembre, le luci di Notre-Dame de Strasbourg, gioiello dell’arte gotica con il suo meraviglioso “Pilastro degli Angeli” che Victor Hugo descrisse come un “prodigio di grandezza e leggiadria”, venivano spente all’una di notte. Il costo del risparmio energetico per il Comune? 4,80 euro al giorno di elettricità.

    «23.04, una tristezza inaudita», ha scritto pochi giorni fa su X il fotografo Olivier Hannauer, che per primo ha lanciato l’allarme sulla follia green della sindaca. Da quando al Comune c’è Eelv, «la città è piombata progressivamente nell’oscurità. Le chiese, i musei, i ponti», ha denunciato Hannauer. La sua battaglia estetica per restituire agli abitanti di Strasburgo il loro “faro”, come ama definire Notre-Dame, ha spinto Barseghian a fare retromarcia e a ripristinare momentaneamente “l’illuminazione abituale della cattedrale”. Ma quanto durerà?

    Jean-Philippe Vetter, capogruppo dell’opposizione gollista, ha parlato di una vittoria «di tutti quelli che amano Strasburgo», sottolineando tuttavia che la battaglia contro le derive dell’ecologismo deve essere combattuta ogni giorno.

  • Macron torna al lavoro, per ingaggiare il nuovo primo ministro

    Il presidente francese Emmanuel Macron ha dato il via il 23 agosto alle consultazioni con i partiti politici con rappresentanza parlamentare per identificare un nuovo primo ministro. A più di un mese dalle elezioni legislative risultanti dallo scioglimento dell’Assemblea nazionale, il capo dello Stato riceverà questa mattina i leader della coalizione di sinistra Nuovo fronte popolare e la loro candidata all’incarico di prima ministra, Lucie Castets. Anche i rappresentanti del campo presidenziale (Renaissance, Horizons, MoDem, Parti radical), dell’Unione dei democratici e degli indipendenti, dei Repubblicani e del gruppo centrista Libertés, indépendants, outre-mer et territoires saranno ricevuti venerdì, prima del Rassemblement national e del partito di Eric Ciotti, i cui incontri avverranno lunedì. In una nota pubblicata ieri, l’Eliseo ha fatto sapere che la nomina del primo ministro avverrà al termine delle consultazioni e che, tenendo conto dell’obiettivo di cercare la “maggioranza più ampia e stabile” fissato da Macron a luglio, lo scopo di queste consultazioni è “scoprire a quali condizioni le forze politiche possono raggiungere questo obiettivo”. “La decisione di nominare il primo ministro o i primi ministri sarà presa in considerazione di questi due criteri”, ha spiegato l’Eliseo.

    “Il presidente è dalla parte del popolo francese, garante delle istituzioni e soprattutto dell’espressione del suo voto del 7 luglio”, ed è “sulla forza di questo ruolo costituzionale che incontrerà i partiti”, si legge nella nota. La persona che si insedierà a Matignon – sede del primo ministro – avrà comunque un lavoro difficile sin dai primi mesi: a settembre, infatti, inizieranno i lavori parlamentari volti ad approvare la legge di bilancio e ciò in una fase in cui la Francia è sotto pressione da parte della Commissione europea e dei mercati alla luce del deficit elevato. Per Macron la decisione di convocare elezioni parlamentari anticipate dopo il pessimo risultato elettorale delle europee del 9 giugno scorso non si è rivelata certamente positiva. L’esito delle consultazioni del 30 giugno e del 7 luglio ha visto la coalizione del presidente perdere decine di seggi e un’ulteriore frammentazione del Parlamento.

    Il titolare dell’Eliseo sembra intenzionato, per il momento, a non prendere in considerazione la nomina di Lucie Castets, candidata del Nuovo fronte popolare. E questo perché i partiti di destra e il Rassemblement National minacciano una mozione di sfiducia nel caso di un governo guidato dal Nuovo fronte popolare che includa anche ministri di La France Insoumise, la forza politica guidata da Jean-Luc Melenchon. La “stabilità” che cerca il presidente sta nella “capacità di un governo di non cadere alla prima mozione di sfiducia presentata”, conclude la nota diramata ieri dall’Eliseo. Tuttavia, anche Castets non sembra intenzionata a cedere. “Ricorderemo al presidente il suo obbligo di rispettare la scelta dei cittadini francesi”, ha detto ieri sera la 37enne durante un comizio nella città di Tours, nella Francia occidentale. “Abbiamo vinto le elezioni, che a Emmanuel Macron piaccia o no”, ha aggiunto la leader dei Verdi, Marine Tondelier, durante lo stesso comizio, appoggiando quindi la nomina di Castets. Secondo il leader del Partito comunista, Fabien Roussel, la mancata nomina della candidata del Nuovo fronte popolare scatenerebbe una grave crisi.

    Al momento, tuttavia, le possibilità che Macron opti per la nomina di Castets sembrano veramente minime. In precedenza diverse fonti hanno riferito che il titolare dell’Eliseo voglia puntare ancora sul “suo” centro o su un orientamento di centrodestra. Non a caso, uno dei nomi più gettonati è quello di Xavier Bertrand, repubblicano e presidente della regione dell’Alta Francia: lo scorso 6 agosto “Le Figaro” riferiva che Bertrand, tramite delle persone a lui vicine, avrebbe manifestato il suo interesse all’incarico. Non mancherebbero, peraltro, gli esponenti del governo uscente, figure vicine al presidente Emmanuel Macron, favorevoli a una nomina di Bertrand: fra questi il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, secondo il quale l’esponente repubblicano può vantare “una solida esperienza di governo, in Parlamento e capacità di compromesso”. Un ostacolo non trascurabile, tuttavia, secondo “Le Figaro”, risiede nel fatto che Emmanuel Macron e Xavier Bertrand non si sopporterebbero.

    Altre fonti indicano come possibili nomi quello del socialista Bernard Cazeneuve che, per circa sei mesi fra il 2016 e il 2017 ha già occupato l’incarico di primo ministro durante la presidenza di Francois Hollande. Altro nome apparso sulla stampa francese è quello di Karim Bouamrane, anch’egli socialista e sindaco di Saint-Ouen-sur-Seine. Bouamrane vanta anche un passato nel settore informatico dove ha lavorato con ruoli dirigenziali in aziende con Xirrus, Bitglass e Aruba. Resta valida, tuttavia, la possibilità che Macron indichi un nome totalmente fuori dai radar, come già accaduto in passato con la nomina di Elizabeth Borne e dello stesso Gabriel Attal, che tutt’ora detiene l’incarico di primo ministro facente funzione nonostante le dimissioni presentate in seguito al pessimo risultato delle elezioni parlamentari. La Costituzione francese, d’altronde, consente al titolare dell’Eliseo di nominare chi più gli aggrada anche se logica vuole che sia una figura – soprattutto con un Parlamento così frammentato – in grado di sopravvivere alle inevitabili mozioni di sfiducia che verranno presentate dall’opposizione.

  • Ustica e Mattei continuano ad alimentare la polemica dell’Italia verso la Francia

    Qualcuno non ama la Francia in Italia. A decenni di distanza, vengono ancora agitati i casi di Ustica e di Mattei per accusare Parigi di aver orchestrato i due episodi.

    Per la morte di Mattei le indagini giudiziarie si sono concluse senza colpe accertare ma a 60 e passa anni dalla sua morte si ricorda che tra i tanti nemici che il fondatore dell’Eni si era fatto vi era anche la Francia, al cui interno vi era chi (l’Osa, Organisation de l’Armée Secrète) era ben poco felice della fornitura d’armi al Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Nel corso delle indagini, Fulvio Martini, ex direttore del Sismi, aveva parlato senza indugi di «responsabilità francese, tenuto conto della determinazione con cui agivano nel Continente africano». Anche il professor Francesco Forte, vicepresidente Eni dal 1971 al 1975, dichiarò che all’interno dell’ente di Stato «era pacifico per tutti che Mattei fosse stato ucciso dai francesi». A riproporre accuse alla Francia sono stati peraltro saggi sia transalpini che italiani, come il libro pubblicato nel 1968 da Fayard in Francia: “Le Monde parallèle ou la Vérité sur l’espionnage” e “L’Italia nel petrolio e il sogno infranto dell’indipendenza energetica”, dei giornalisti Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani .

    Come per Mattei, anche per Ustica, 81 vittime dell’aereo dell’Itavia precipitato il 27 giugno 1980, all’inizio si accreditò la tesi dell’incidente, di un “cedimento strutturale”, ma è poi spuntata la tesi di un missile francese. La tesi fu lanciata da un personaggio di assoluto rilievo e grande conoscenza delle relazioni internazionali, come Francesco Cossiga, che nel 1980 era presidente del Consiglio. Nel 2008 dichiarò che «i servizi segreti italiani mi informarono, così come fecero con l’allora sottosegretario Giuliano Amato, che erano stati i francesi con un aereo della Marina a lanciare un missile non ad impatto ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell’aereo». Lo stesso Giuliano Amato l’anno scorso ha improvvisamente rilanciato quella pista, con un’intervista al Corriere della Sera in cui lanciava il dubbio che la Francia continui a nascondere qualcosa all’Italia.

  • Le sei ore di Robert Brasillach, romanzo poliziesco

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Franco Maestrelli pubblicato su destra.it il 28 gennaio 2024

    Nel 1974 il raffinato e coraggioso editore Vanni Scheiwiller pubblicò un piccolo libro di Robert Brasillach (1909 – 1945), André Chenier (All’insegna del pesce d’oro, Milano) di cui curai l’edizione e una breve introduzione ed ora, a cinquanta anni di distanza, quasi per un debito agli anni giovanili, torno a occuparmi dello scrittore francese in occasione dell’edizione di un suo romanzo poliziesco, Sei ore da perdere (Edizioni Settecolori, Milano 2023). In questo mezzo secolo l’atteggiamento nei confronti dello scrittore è mutato. Allora Brasillach era noto solo in ambienti di nicchia fortemente politicizzati e altrove era oggetto dell’anatema che colpiva alcuni autori maudits.

    Negli anni Sessanta l’editore Giovanni Volpe gli aveva dedicato un volume collettaneo intitolato Omaggio a Brasillach (1967) e Il Borghese aveva tradotto il suo romanzo più compiuto I sette colori (1966) più una precedente edizione da samizdat dei Poemi di Fresnes (Edizioni del Solstizio, Roma s.d.). Oggi rilevo invece che anche in Italia la critica letteraria si occupa di lui e tende seppure timidamente a riconoscergli il suo ruolo nel mondo delle lettere francesi. Infatti negli anni tra le due guerre Brasillach si fece conoscere e apprezzare già in giovane età per le sue collaborazioni giornalistiche, per i suoi romanzi, per le sue opere teatrali e per la sua celebre Histoire du cinéma (1935) e contro la sua condanna a morte molti di intellettuali francesi, come François Mauriac, Paul Valery, Paul Claudel, Jean Cocteau, Colette e altri, chiesero invano la grazia al Generale De Gaulle.

    Già dal 1931 l’Action Française di Charles Maurras gli aveva affidato la pagina letteraria e dal 1937 divenne caporedattore della rivista Je suis partout. Dall’iniziale maurassismo Brasillach si orientò verso un filo fascismo sempre più accentuato fino alla rottura con Maurras. Scoppiata la guerra Brasillach partecipò come tenente e fatto prigioniero dai tedeschi finì in campo di prigionia ed è appunto da lì che prende avvio la trama del romanzo. Sei ore da perdere tra un treno e l’altro alla Gare de Lyon – e per gioco del destino sei ore furono i brevissimi tempi con cui il Tribunale gollista decise la sua condanna a morte per tradimento e collaborazionismo eseguita nel forte di Montrouge il 6 febbraio 1945 – è il tempo a disposizione del tenente B., liberato dalla prigionia e di passaggio a Parigi prima di ritornare a casa, per cercare notizie di una misteriosa fanciulla di cui il suo compagno di prigionia Bruno Berthier si era invaghito durante una breve licenza.

    Il tenente B. ha poche informazioni, un nome e un indirizzo, raccolte durante i lunghi dialoghi di prigionia ma deve recapitare un messaggio del commilitone in una Parigi occupata, siamo a novembre 1943, ben diversa da quella che aveva conosciuto prima della guerra. E’ una Parigi senza auto, nei ristoranti i menu sono limitati e si devono usare i buoni pasto a cui il tenente B. non è abituato. Dai colloqui con la ragazza, con la sua affittacamere, con un agente di polizia che sta indagando su un omicidio, il tenente B. scopre una realtà ben diversa anche da quella che aveva appreso dai giornali giunti in prigionia. Una realtà sconvolta dalla guerra, dalla paura dei bombardamenti, dai traffici del mercato nero e delle forti contrapposizioni politiche tra resistenti e volontari nella LVF sul fronte russo.

    Una Parigi che ricorda quella del regista Marcel Carné e dello scrittore Georges Simenon, che Brasillach aveva apprezzato da critico letterario negli anni Trenta, cupa, piena di incertezza e di ambiguità umane. In questo romanzo si rivela un Brasillach disilluso, ben lontano dalla solarità giovanile e piena di speranza degli altri romanzi: la vittoria degli Alleati e dei gollisti si avvicina e per chi, come il Maresciallo Pétain, Charles Maurras e lo stesso Brasillach che avevano puntato sulla Germania seppure con diverse modalità di comportamento e di motivazioni, si avvicina la inevitabile e prevedibile resa dei conti. Il tenente B. in questa Parigi occupata si improvvisa investigatore alla Maigret per portare a termine l’incarico affidatogli dal compagno di prigionia e che lo porterà a scoprire un delitto e l’imprevedibile colpevole. Un vero romanzo poliziesco dunque che originariamente fu pubblicato a puntate come feuilleton sul settimanale La Révolution nationale dal marzo al giugno 1944 e in volume solo nel 1953 e che non può che avvincere il lettore, anche quello di oggi particolarmente attirato da questo genere letterario, anche per l’accurata ed elegante edizione nella collana diretta da Stenio Solinas che con Manuel Grillo ha rilanciato la casa editrice Settecolori e che già nel 1985 aveva stampato l’altro romanzo di Brasillach La ruota del tempo (Comme le temps passe).

    Robert Brasillach – Sei ore da perdere – con introduzione di Roberto Alfatti Appetiti e postfazione di Fausta Garavini – Edizioni Settecolori, Milano, 2023 – pagine 242 – euro 22,00

  • Le giunte militari di Mali e Niger ripristinano la doppia imposizione fiscale con la Francia

    Le giunte militari di Mali e Niger hanno firmato il 5 dicembre un comunicato stampa congiunto in cui denunciano le convenzioni firmate con la Francia per il superamento della doppia imposizione fiscale. La decisione, si legge nella nota congiunta, fa seguito al “persistente atteggiamento ostile della Francia” e al “carattere squilibrato” di queste convenzioni che costituiscono “un notevole deficit per il Mali e il Niger”. Le convenzioni fiscali denunciate dalle giunte golpiste disciplinano le norme per la tassazione del reddito o delle successioni e permettono inoltre lo scambio di informazioni e la collaborazione tra amministrazioni, ad esempio per la riscossione delle imposte. Tali convenzioni verranno quindi abolite “entro tre mesi”, secondo quanto affermato nel comunicato. La decisione è destinata ad avere serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono un’attività in Mali o in Niger, e viceversa, con conseguenze inevitabili sia per i francesi che lavorano in Niger, sia per i maliani della diaspora in Francia, ma anche per le aziende che espatriano alcune filiali. La mossa segna una nuova tappa nel riavvicinamento tra i Paesi golpisti del Sahel – Mali, Niger e Burkina Faso – che a settembre hanno dato vita a una coalizione militare, nota come Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).

    La decisione fa peraltro seguito a quella con cui ieri la giunta militare del Niger – salita al potere dopo il colpo di Stato dello scorso 26 luglio – ha annunciato l’intenzione di porre fine agli accordi di difesa e sicurezza con l’Unione europea, stipulati per sostenere le autorità nigerine nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare. In un comunicato pubblicato lunedì sera, il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su circa 130 gendarmi e agenti di polizia messi a disposizione dagli Stati membri dell’Ue per svolgere la sua azione. Oltre alla missione Eucap, la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso concesso per il dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (Eumpm), attualmente a guida italiana.

  • La lezione non compresa

    Mentre l’Italia e l’intera Unione Europea sono ancora all’interno di una economia di guerra, e contemporaneamente cercano di riparare ai disastrosi effetti economici e sociali della pandemia, il nostro Paese conferma di non avere compreso alcuna lezione ma soprattutto di non avere alcuna visione relativa al futuro sviluppo economico.

    Mentre i nostri competitor europei varano delle azioni concrete con l’obiettivo di rafforzare gli asset strategici in modo da trasformarli in fattori competitivi a favore del sistema economico ed industriale, nel nostro Paese si continua con la scolastica applicazione dei principi tardo liberali del secolo scorso e di matrice accademica. Tutti esprimono la modesta espressione di “competenze” obsolete ed ampiamente ridicolizzate dal mercato globale.

    In altre parole, scendendo nel mondo reale, la Francia ha varato a maggio 2023 un piano finanziario operativo nel campo energetico, la nazionalizzazione di Edf, con il dichiarato obiettivo di offrire nelle prossime stagioni al sistema industriale ed alle famiglie francesi il più basso costo dell’energia (*).

    Viceversa, in Italia continua l’opera di sciacallaggio dei fondi privati, come Bkackrock, interessata all’acquisizione di quote di multiutility locali, che creeranno alte rendite di posizione in quanto estranee ad ogni possibile applicazione del principio della concorrenza.

    In questo contesto, diversamente da quanto accadrà in Francia, l’aumento delle tariffe rappresenterà il vero ed unico fattore di crescita della remunerazione del Roi (Return of Investiment) e si manifesterà come il maggiore fattore anticompetitivo per il nostro sistema industriale ed economico.

    In più, l’esito di questa deriva “energetica” si rivelerà come una vera e propria catastrofe per le famiglie italiane che già dal 10 gennaio 2024 vedranno abrogato il mercato tutelato per l’energia elettrica ed il gas.

    Mai come ora si avverte, tanto a livello nazionale quanto locale, una imperdonabile incapacità nella comprensione ed elaborazione di strategie che possano assicurare un supporto allo sviluppo economico del nostro Paese e contemporaneamente un aiuto alle famiglie.

    Le opportunità di crescita future dovrebbero essere individuate ora e poste all’interno del programma del PNRR (invece si pensa di approvare il Mes) con l’obiettivo di ottenere dei benefici generali nel prossimo futuro come conseguenze di scelte odierne.

    Nel silenzio, invece, tanto dell’attuale governo quanto dei due precedenti, in relazione alla miopia ideologica parlamentare accecata da argomenti etici e morali, il nostro Paese si avvia alla sua ultima discesa verso un irrimediabile declino economico e sociale.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

  • Il diverso destino di Italia e Francia

    Un qualsiasi paese europeo, ormai stremato da tre anni terribili segnati dalle conseguenze umane, sanitarie, sociali ed economiche della pandemia e della guerra in corso, dovrebbe ora dimostrarsi in grado di elaborare le scelte fondamentali per la propria rinascita. La stessa recessione della Germania dovrebbe allarmare i paesi come l’Italia, esportatrice di componenti della filiera industriale e di beni di consumo alto di gamma.

    Una corretta volontà politica potrebbe manifestarsi attraverso la elaborazione di strategie la cui attivazione possa accrescere, solo per cominciare, la propria capacità energetica in grado porla nelle condizioni di affrontare un’altra situazione imprevista. La logica conseguenza potrebbe delinearsi con l’attivazione di investimenti quasi interamente dirottati verso la realizzazione di infrastrutture di valenza nazionale.

    Le uniche in grado di esprimere il proprio apporto a favore dell’intero sistema economico industriale nazionale: di certo lontane anni luce rispetto alle scelte italiane caratterizzate invece da politiche settoriali (bonus 110%) e generatrici di inflazione.

    In questo senso, allora, da un semplice raffronto tra i due paesi limitrofi si delinea un acquarello inquietante.

    Nel nostro Paese si continua ad aumentare la spesa pubblica con bonus imbarazzanti (zanzariere, occhiali etc.) o finanziando ciclopiche infrastrutture come il ponte sullo stretto di Messina.

    Contemporaneamente la Francia, dopo l’assenso ottenuto dal tribunale, ha avviato la procedura di nazionalizzane di Edf (la società di produzione e distribuzione dell’energia elettrica). L’obiettivo ambizioso che ha determinato la realizzazione del progetto è quello di assicurare il minore costo possibile dell’energia elettrica all’utenza sia industriale che familiare. Questa scelta politica francese, in più, raggiungerà i propri obiettivi anche con investimenti persino inferiori del 33,3% rispetto a quelli necessari per la realizzazione del solo Ponte (*).

    Una scelta, quindi, con un grado di sostenibilità economica maggiore e che si delinea come un fattore strategico determinante ma anche come un importante elemento di sostegno sociale alle famiglie e alle piccole imprese. Diventa, in altre parole, il raggiungimento di questo obiettivo del minore costo energetico, non solo un fattore competitivo per un sistema economico industriale, ma anche un importante strumento di pacificazione sociale per i cittadini. Gli effetti di queste due diverse strategie di politica economica espresse dalla Francia e dall’Italia emergeranno evidenti in soli pochi anni.

    Il sistema industriale ed economico francese, usufruendo dei minori costi energetici, risulterà assolutamente più competitivo nello scenario internazionale ma soprattutto nei confronti del maggiore concorrente cioè quello italiano. Viceversa il mondo industriale italiano pagherà una crescente emarginazione dal contesto economico internazionale proprio a causa delle diverse strategie espresse dalle due classi politiche nazionali (risultato 1). Contemporaneamente il costo sociale pagato dalle famiglie italiane (2) diventerà sempre più gravoso e per due motivi. Va ricordato, infatti, come da giugno 2023 verranno mantenuti gli sconti sui costi impropri solo per i redditi inferiori ai 15.000 euro (il 21% del prezzo pagato dall’utenza) nelle bollette elettriche.

    Come se non bastasse, a partire dal 10 gennaio 2024 verrà annullato, nell’approvvigionamento energetico, il “mercato tutelato” per nove milioni di utenze familiari e di piccole imprese (2).  L’ennesima conseguenza di quelle fasulle “liberalizzazioni e privatizzazioni” le quali hanno determinato l’aumento negli ultimi dieci anni delle tariffe elettriche del 240% del gas del 65% dell’acqua del 57% (fonte Il Sole 24 Ore).

    Nella medesima logica speculativa la privatizzazione delle infrastrutture autostradali non merita alcuna menzione in relazione a quanto sta emergendo dalle carte processuali in relazione al crollo del Ponte Morandi.

    Il nostro Paese, quindi, continua nelle strategie adottate alle fine degli anni ‘90 in assoluta antitesi rispetto alla strategia francese privilegiando la logica speculativa privata a quella dell’interesse nazionale.

    Già da ora, quindi, si delinea chiaramente il diverso destino al quale sono indirizzati i due Paesi. Un quadro le cui tinte fosche esprimono, nel nostro italiano, la inadeguatezza delle strategie adottate.

    (*) La nazionalizzazione di Edf costerà allo stato francese dieci (10) miliardi di euro, il 33,3% in meno del ponte sullo Stretto di Messina il cui costo ai valori attuali è di quindici (15) miliardi

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