Google

  • Google rischia di monopolizzare il web grazie all’intelligenza artificiale

    Alphabet (la casa madre di Google) ha chiuso il primo trimestre 2025 con utili oltre le attese, in crescita del 46% anno su anno, anche grazie alla buona resa della pubblicità sul motore di ricerca. E grazie all’intelligenza artificiale, sembra poter monopolizzare le ricerche online.

    Da quando il motore di Google ha incorporato l’intelligenza artificiale (servizio “AI Overview”), chi naviga non cerca più link da cui trarre informazioni ma tende a chiedere risposte dirette fornite dall’intelligenza artificiale: l’80% degli utenti nel 40% dei casi non clicca sui link che appaiono nella ricerca Google, secondo uno studio della società di consulenza Bain di dicembre 2024.

    I manager americani di Google ripetono costantemente che anche AI Overview, come la search tradizionale, porterà traffico ai siti. Ma i primi studi sugli effetti globali di AI Overview attestano un tracollo del 20-30% per i clic da Google verso i siti (riportano gli osservatori Ahrefs e Amsive) e quindi un calo di introiti pubblicitari per questi ultimi, con potenziale depauperamento del pluralismo del web.

    A metà aprile un giudice americano ha dato ragione all’antitrust Usa che accusa Google di monopolio illecito sul mercato della pubblicità digitale (e poche settimane prima, un altro giudice ha affermato lo stesso per il mercato della search). A settembre partirà il processo per trovare rimedi a questo monopolio. Si valuterà la richiesta del governo degli Stati Uniti di scorporare dal colosso alcune aree che si occupano di pubblicità.

    «Il giudice ha riscontrato che Google controlla tutti i tasselli del mercato pubblicitario digitale; è intermediario dominante nei confronti sia di chi compra sia di chi vende la pubblicità. E controlla anche il punto di incontro tra i due», spiega Marianna Tramontano, esperta di marketing digitale. Insomma, rappresenta i due giocatori ed è persino arbitro e campo da gioco. E così – ha accertato il giudice – può distorcere i meccanismi pubblicitari a proprio vantaggio: più profitti per sé, meno per gli editori web. Qui inclusi non solo siti di notizie, ma chiunque faccia informazione in senso lato o contenuti digitali, come ad esempio recensioni indipendenti di aspirapolveri o di automobili.

    Su questa distorsione di fondo arriva ora l’intelligenza artificiale, come sale su una ferita. All’Ia di Google per altro si sommano anche quelle di ChatGpt, Perplexity e altri servizi, sempre più capaci di setacciare il web per rispondere agli utenti. Il controsenso è che l’Ia toglie traffico ai siti ma, per rispondere, ne sfrutta i contenuti. Li “legge” e rielabora.

    Dovremo aspettare l’esito delle cause legali avviate da editori (come da musicisti, scrittori di libri e altri creatori di contenuti) contro le aziende dell’Ia per capire se siamo di fronte al più grande furto di proprietà intellettuale nella storia. E, forse, solo i grandi editori avranno la forza di fare causa o trattare con le aziende per accordi di licenza sui contenuti. Come quelli già ottenuti da giganti come il Wall Street Journal e Reuters.

    «Non si tratta più solo di copyright o di concorrenza. È una questione democratica», dice Alessandro Massolo, consulente a Bruxelles su questi temi in Forward Global (già collaboratore per la Commissione Ue e l’Antitrust italiano). «Se l’informazione passa attraverso un’unica piattaforma (Google con l’Ia), il rischio è quello di una monocultura algoritmica dove le opinioni si omologano e il pensiero critico si indebolisce», aggiunge. Concorda Antonio Nicita (senatore Pd e professore di politica economica alla Lumsa di Palermo): «Così va a morire l’abitudine degli utenti all’accesso diretto agli editori e al controllo del fonti».

    Nicita, Massolo e altri esperti (come Umberto Gambini, partner di Forward Global e Francesco Ricchi della Luiss Guido Carli) concordano sulle soluzioni: serve un approccio sistemico dove norme antitrust e copyright agiscano assieme, a tutela dei più deboli. «Per fortuna l’Europa ha gli strumenti giusti, le norme del Digital markets act (Dma), per imporre obblighi alle big tech», nota Massolo. Si vedrà: una causa dell’Ue come quella appena persa da Google negli Usa è ferma dal 2021. Il Dma è entrato in vigore a maggio 2023. Nel frattempo, la morte del web si avvicina. E se sarà così, delle big tech si dovrà davvero dire (parafrasando Tacito): «Hanno fatto il deserto e l’hanno chiamato innovazione».

  • L’antitrust del Canada avvia un’azione legale contro Google per la pubblicità online

    L’Ufficio per la concorrenza canadese ha avviato un’azione legale contro Google per condotta anticoncorrenziale nei servizi tecnologici di pubblicità online in Canada: dopo un’indagine approfondita ha presentato una domanda al Tribunale per la concorrenza per chiedere di porre rimedio a tale condotta a vantaggio dei canadesi. Lo rende noto un comunicato dell’Ufficio. Il caso, spiega l’organismo antitrust, riguarda la pubblicità online, ovvero gli annunci mostrati agli utenti quando visitano i siti web. Lo spazio pubblicitario digitale viene spesso acquistato e venduto tramite aste automatizzate utilizzando piattaforme note come strumenti tecnologici pubblicitari. Dall’indagine è emerso che, in Canada, Google è il più grande fornitore di tecnologia pubblicitaria per la pubblicità sul web e ha abusato della sua posizione dominante attraverso una condotta volta a mantenere e consolidare il suo potere di mercato.

    Tale condotta costringe i partecipanti al mercato a utilizzare gli strumenti di tecnologia pubblicitaria di Google, impedendo ai rivali di competere in base ai meriti della loro offerta e distorcendo il processo competitivo. In particolare, l’Ufficio ha scoperto che Google ha collegato illegalmente i suoi vari strumenti tecnologici pubblicitari per mantenere il suo predominio e ha sfruttato la sua posizione per distorcere le dinamiche delle aste dando ai propri strumenti un accesso preferenziale, adottando in alcune circostanze margini negativi per svantaggiare i rivali e dettando le condizioni alle quali i propri clienti possono effettuare transazioni con gli strumenti tecnologici pubblicitari concorrenti.

    L’Ufficio ritiene, pertanto, che attuando questa condotta anticoncorrenziale, Google abbia consolidato la propria posizione dominante, impedito ai rivali di competere, inibito l’innovazione, aumentato i costi pubblicitari e ridotto i ricavi degli editori. Al Tribunale per la concorrenza, cui spetta la decisione finale, si chiede, quindi, un’ordinanza volta a ottenere che Google venda due dei suoi strumenti tecnologici pubblicitari, paghi una penale e metta fine alle pratiche anticoncorrenziali.

  • Google si impegna a fornire ai consumatori informazioni più chiare e accurate per conformarsi alle norme dell’UE

    Al fine di allineare le sue pratiche al diritto dell’UE – in particolare per quanto riguarda la mancanza di trasparenza e di informazioni chiare ai consumatori – Google si è impegnata a introdurre modifiche in diversi dei suoi prodotti e servizi. A seguito di un dialogo avviato nel 2021 con la rete di cooperazione per la tutela dei consumatori (CPC), coordinata dalla Commissione europea e guidata dall’Autorità olandese per i consumatori e i mercati e dalla direzione generale belga per l’ispezione economica, Google ha accettato di affrontare le questioni sollevate dalle autorità e di apportare modifiche a Google Store, Google Play Store, Google Hotels e Google Flights, per garantire il rispetto delle norme dell’UE in materia di tutela dei consumatori.

    A seguito del dialogo, Google si è impegnata a limitare la propria capacità di apportare modifiche unilaterali agli ordini per quanto riguarda prezzi o cancellazioni e a creare un indirizzo di posta elettronica riservato alle autorità per la tutela dei consumatori, in modo che quest’ultime possano segnalare e richiedere la rapida rimozione di contenuti illegali.

    Google ha inoltre accettato di introdurre una serie di modifiche alle sue pratiche, quali:

    Google Flights e Google Hotels

    • Chiarire ai consumatori se stipulano un contratto direttamente con Google o se la società agisce semplicemente come intermediario;
    • indicare chiaramente il prezzo utilizzato come riferimento quando la piattaforma pubblicizza offerte promozionali, come pure il fatto che le recensioni su Google Hotels non sono verificate;
    •  accettare gli stessi impegni in materia di trasparenza assunti da altre grandi piattaforme ricettive, per quanto riguarda le modalità con cui presentano le informazioni ai consumatori, ad esempio in materia di prezzi o disponibilità.

    Google Play Store e Google Store

    • Fornire informazioni precontrattuali chiare sui costi di consegna, sul diritto di recesso e sulla disponibilità di opzioni di riparazione o sostituzione. Google faciliterà inoltre l’acquisizione di informazioni sulla società (ad esempio la ragione sociale e l’indirizzo), indicando punti di contatto diretti ed efficaci (ad esempio, la possibilità di parlare con un operatore telefonico);
    • chiarire le modalità di consultazione delle differenti versioni nazionali di Google Play Store e informare gli sviluppatori dell’obbligo di rendere le loro applicazioni disponibili in tutta l’UE (ai sensi del regolamento sui blocchi geografici) e consentire ai consumatori di utilizzare mezzi di pagamento di tutti i paesi dell’UE.

    La rete di cooperazione per la tutela dei consumatori effettuerà un attivo monitoraggio dell’attuazione di tali impegni e le autorità nazionali eserciteranno un controllo sugli stessi, intervenendo per garantirne l’osservanza, qualora permangano elementi di preoccupazione. In particolare, vi è una pratica di Google che non è pienamente conforme al regolamento sui blocchi geografici, in quanto la società applica limitazioni tecniche all’uso di applicazioni che sarebbero normalmente disponibili nel paese in cui l’utente si trova in via temporanea. Google si è giustificata dicendo che gli utenti possono cambiare il proprio paese di residenza una volta all’anno per avere accesso alle applicazioni e ai giochi locali in un altro Stato membro. Una modifica di questo tipo, tuttavia, può comportare la perdita di contenuti acquisiti e del credito rimanente in violazione del regolamento sui blocchi geografici.

  • Google and Microsoft hit by slowing economy

    Sales at the tech giants Alphabet and Microsoft have slowed sharply, adding to fears of a downturn in the economy.

    Alphabet, which owns Google and YouTube, said sales rose just 6% in the three months to September, to $69bn, as firms cut their advertising budgets.

    It marked the US firm’s weakest quarterly growth in nearly a decade outside of the start of the pandemic.

    Microsoft meanwhile said demand for its computers and other technology had weakened.

    Its sales rose by 11% to $50.1bn, marking its slowest revenue growth in five years.

    Consumers and businesses around the world are cutting back as prices rise and interest rates go up, fuelling fears of a global recession.

    A strong US dollar has also hurt American multinationals, making it more expensive to sell products abroad.

    Profits at Alphabet dropped nearly 30% to $13.9bn in the quarter, as YouTube ad revenues declined for the first time since the firm started to report them publicly.

    Sales growth at the firm has slowed for five consecutive quarters.

    Boss Sundar Pichai said that Alphabet was “sharpening” its focus and “being responsive to the economic environment”.

    “When Google stumbles, it’s a bad omen for digital advertising at large,” said Evelyn Mitchell, principal analyst at Insider Intelligence, noting that Google’s core website has in the past been more resilient to ad spending downturns than social media sites like Facebook or Snap.

    “This disappointing quarter for Google signifies hard times ahead if market conditions continue to deteriorate.”

    Microsoft said it expected demand for its PC and cloud computing technology to continue falling this year as business customers cut back.

    Sales in its Xbox video game business have also slumped.

    Big tech firms saw their sales jump in the pandemic as locked-down consumers and workers came to rely more on their technology. But the sector’s fortunes look bleaker in the current climate.

    In recent months, Alphabet has said it was slowing hiring, while Microsoft has cut jobs.

    Many other tech companies have decided to lay off staff, including Netflix and Twitter, or slow the pace of recruitment, such as social media platform Snap.

    Shares in both Alphabet and Microsoft fell sharply in after-hours trading on Tuesday.

  • Google to invest $1 billion in Africa over five years

    LAGOS, Oct 6 (Reuters) – Google plans to invest $1 billion in Africa over the next five years to ensure access to fast and cheaper internet and will back startups to support the continent’s digital transformation, it said on Wednesday.

    The unit of U.S. tech company Alphabet Inc (GOOGL.O) made the announcement at a virtual event where it launched an Africa Investment Fund, through which it will invest $50 million in startups, providing them with access to its employees, network and technologies.

    Nitin Gajria, managing director for Google in Africa told Reuters in a virtual interview that the company would among others, target startups focusing on fintech, e-commerce and local language content.

    “We are looking at areas that may have some strategic overlap with Google and where Google could potentially add value in partnering with some of these startups,” Gajria said.

    In collaboration with not-for-profit organisation Kiva, Google will also provide $10 million in low interest loans to help small businesses and entrepreneurs in Ghana, Kenya, Nigeria and South Africa so they can get through the economic hardship created by COVID-19.

    Small businesses in Africa often struggle to get capital because they lack the necessary collateral required by banks in case they default. When credit is available, interest rates are usually too high.

    Google said a programme pioneered last year in Kenya in partnership with Safaricom that allows customers to pay for 4G-enabled phones in instalments would be expanded across the continent with mobile operators such as MTN, Orange and Vodacom.

    Gajria said an undersea cable being built by Google to link Africa and Europe should come into service in the second half of next year and is expected to increase internet speeds by five times and lower data costs by up to 21% in countries like South Africa and Nigeria.

    Reporting by MacDonald Dzirutwe; editing by Jason Neely, Kirsten Donovan

  • La rabbia di Amazon, Uber, Google, Twitter per il nuovo blocco dei visti di lavoro negli Stati Uniti

    Amazon, Uber, Google, Twitter e altre importanti società tecnologiche tutte contro il presidente americano Donald J. Trump perché ha firmato un ordine esecutivo il 22 giugno sospendendo nuovi visti per lavoratori stranieri, incluso l’H-1B per lavoratori altamente qualificati.

    L’intento è quello di garantire opportunità professionali agli americani che stanno pagando pesantissime conseguenze a causa del Coronavirus. Le restrizioni sono entrano in vigore dal 24 giugno e dureranno fino alla fine dell’anno. I colossi della tecnologia hanno affermato che il divieto renderebbe le aziende americane meno competitive e meno diversificate e hanno definito l’ordine esecutivo “una politica incredibilmente sbagliata” che minerebbe la ripresa economica dell’America e la sua competitività.

    L’H-1B in genere spinge i lavoratori del campo della tecnologia verso gli Stati Uniti in modo che possano aiutare le aziende americane a essere più competitive e aumentare la tecnologia e l’innovazione.

  • La Svezia multa con 7 milioni di euro Google per violazione del “diritto all’oblio”

    L’autorità svedese per la protezione dei dati (DPA) ha deciso di imporre un’ammenda di 75 milioni di corone svedesi (7 milioni di euro) a Google per non aver rispettato il diritto all’oblio come previsto dal regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).

    La normativa europea del 2014 sul “diritto all’oblio” è stata progettata per aiutare le persone a eliminare determinate pagine Web che contengono informazioni potenzialmente “dannose”. Da quando è entrato in vigore, Google ha ricevuto milioni di richieste simili, ma meno della metà è stata soddisfatta.

    Dopo un audit del 2017, che mirava a valutare la gestione da parte di Google dei diritti delle persone a rimuovere le schede dei risultati di ricerca che includevano il loro nome, il DPA ha concluso che un certo numero di schede dei risultati di ricerca deve essere rimosso e ha ordinato a Google di farlo.

    L’audit di follow-up di DPA nel 2018 ha rilevato che Google non aveva rispettato gli ordini di rimozione degli elenchi di ricerca e ha dichiarato perciò che avrebbe emesso una multa nei confronti dell’azienda.

    Un portavoce ha riferito ai media che Google non è d’accordo con la decisione e ha pianificato di presentare ricorso. Il colosso americano del web adesso ha tre settimane di tempo per farlo, prima che la decisione entri in vigore.

  • Sonos fa causa a Google per sottrazione di brevetti

    Sonos ha fatto causa a Google lanciando la sfida alla crescente dipendenza da Mountain View e Amazon che, a suo avviso, usano il loro peso per mettere all’angolo e schiacciare le società più piccole. Nell’azione legale il produttore di speaker wireless accusa Google di aver infranto cinque dei suoi brevetti e chiede il risarcimento dei danni e il divieto di vendita negli Stati Uniti di speaker, smartphone e laptop Google. «Google palesemente e consapevolmente copia la nostra tecnologia brevettata. Nonostante i nostri ripetuti sforzi negli ultimi anni, Google non ha mostrato alcuna volontà di lavorare con noi per una soluzione» ha affermato l’amministratore delegato di Sonos, Patrick Spence. 

    Sonos pubblicizza i suoi speaker su Google e li vende su Amazon: i servizi musicali e le assistenti virtuali dei due colossi sono inseriti direttamente nei prodotti Sonos. I dipendenti Sonos usano Gmail e il cloud computing di Amazon. Tutto ha funzionato fino a che Google e Amazon non hanno prodotto e lanciato i loro speaker, mettendo sotto pressione i prezzi di Sonos e, secondo i manager della stessa Sonos, rubato la sua tecnologia. I manager di Sonos, riporta il New York Times, hanno deciso di fare causa a Google perché non se la sono sentita di combattere i due giganti in un colpo solo in tribunale.

    Sonos ha fatto causa a Google alla corte federale di Los Angeles e all’International Trade Commissione americana, l’organismo chiamato a pronunciarsi sui casi riguardanti i brevetti e che ha la capacità di bloccare le importazioni dei prodotti che li violano. La causa di Sonos riguarda la violazione di cinque brevetti da parte di Google, ma Sonos ritiene che complessivamente Google e Amazon abbiano violato ognuna circa 100 brevetti. Google e Amazon respingono le accuse. «Siamo delusi dal fatto che Sonos abbia fatto causa invece di continuare le trattative in buona fede. Respingiamo le accuse e ci difenderemo» ha affermato Jose Castaneda, portavoce di Google. «La famiglia dei dispositivi Echo e la nostra tecnologia per la musica è stata sviluppata in modo indipendente da Amazon» ha messo in evidenza Natalie Hereth, portavoce del colosso di Jeff Bezos.

    L’evoluzione del rapporto fra Sonos e i giganti tecnologici riflette – sottolinea il New York Times – una lamentela ormai divenuta comune: i big hi tech sono diventati essenziali per raggiungere i consumatori ma il prezzo da pagare è alto, con i giganti che usano il loro peso per far leva sulle società più piccole per rubare le loro idee e i loro clienti.

  • Google founders Page, Brin step back from top roles

    Co-founders of the internet giant Google, Larry Page and Sergey Brin, have stepped down from their executive positions at Alphabet Inc., Google’s parent company, that does ambitious research projects, including artificial intelligence and driverless vehicles.

    Page, chief executive and Brin, president of Alphabet, said on 3 December they would hand control to Sundar Pichai, Google’s existing CEO. He will lead Alphabet as well, and will have to tackle global regulatory threats as well as employee discontent.

    “With Alphabet now well-established, and Google and the Other Bets operating effectively as independent companies, it’s the natural time to simplify our management structure”, Page and Brin wrote in a blog post. “We’ve never been ones to hold on to management roles when we think there’s a better way to run the company. And Alphabet and Google no longer need two CEOs and a President”.

    Page and Brin, both 46, met in 1995 when they were Stanford students, and founded Google in 1998. Google’s services, ranging from online search, digital advertising and video, to email, cloud computing systems, phones and smart speaker hardware, make it one of the world’s most profitable companies today. Pichai has contributed to making such technology available globally.

    The duo have rarely made public appearances, which hardly makes their announcement a surprise. They will, however, remain on Alphabet’s board and will control more than 51% of shares. As of April, Page held 26.1% of Alphabet’s total voting power, Brin 25.25% and Pichai less than 1%.

    The move comes as at a turbulent period for Google, who showed lower profit compared to the previous year, after facing series of controversies. Governments on five continents demand better safeguards, less anti-competitive conduct and more taxes from Google. Thousands of employees have protested, and some have even resigned.

    “This process of continuous evolution – which the founders often refer to as ‘uncomfortably exciting’ – is part of who we are.”, Pichai said in an email to Google employees.

    Both in Europe and in the US, antitrust investigations into Google have been focusing on its advertising and search businesses. Google’s subsidiary, Youtube, has also faced series of complaints, related to child exploitation and radicalization content.

    The European Union has opened preliminary investigations into Google and Facebook’s data practices:

    “These investigations concern the way data is gathered, processed, used and monetized, including for advertising purposes”, said a spokesperson for the EU Commission.

    “I want to be clear that this transition won’t affect the Alphabet structure or the work we do day to day”, Pichai said. “I will continue to be very focused on Google and the deep work we’re doing to push the boundaries of computing and build a more helpful Google for everyone”.

    Page’s voice has been impaired because of a chronic condition, but Alphabed confirmed his health did not influence the decision to step back.

    Page and Brin are also involved in other activities. Page is attempting to develop flying cars, while Brin expressed his interest in cryptocurrency.

    “We are deeply humbled to have seen a small research project develop into a source of knowledge and empowerment for billions – a bet we made as two Stanford students that led to a multitude of other technology bets. We could not have imagined, back in 1998 when we moved our servers from a dorm room to a garage, the journey that would follow”, the duo concludes in their blog post.

     

  • Pratiche scorrette di geolocalizzazione: l’Australia fa causa a Google

    L’Australia porta Google in tribunale per le pratiche adottate per raccogliere i dati di geolocalizzazione.
    L’Australian Consumer Commission (ACC) ha intentato infatti un’azione legale accusando il colosso dell’elettronica perché indurrebbe in errore il pubblico sulle modalità con le quali vengono raccolti, conservati e utilizzati i dati sulla posizione. In particolare, la società non ha informato i consumatori della necessità di cambiare due impostazioni Android qualora desiderassero che la società interrompesse il monitoraggio della propria posizione. Oltre alla “Cronologia delle posizioni”, anche “Attività web e app” può segnalare la posizione.
    Google ha risposto che la società sta esaminando il caso e non ha affrontato le accuse nella sostanza. La prima udienza è prevista per il 14 novembre.

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