Google

  • La Commissione europea multa Google per pratiche abusive nella pubblicità online

    La Commissione europea ha inflitto a Google un’ammenda pari a 1,49 miliardi di euro per violazione delle norme antitrust dell’UE. Il motore di ricerca più noto al mondo ha abusato della propria posizione dominante sul mercato imponendo una serie di clausole restrittive nei contratti con siti web di terzi che hanno impedito ai concorrenti di Google di inserire su tali siti le proprie pubblicità collegate alle ricerche.

    Le pratiche di Google costituiscono un abuso della posizione dominante nel mercato dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca che impediscono la concorrenza basata sul merito.

    Detenere una posizione dominante non è di per sé illegale ai sensi delle norme antitrust dell’UE. Tuttavia, le imprese dominanti hanno la particolare responsabilità di non abusare di tale potere limitando la concorrenza nel mercato in cui sono dominanti o in mercati distinti.

    La decisione della Commissione conclude che Google detiene una posizione dominante nel mercato dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca nel SEE almeno dal 2006. Ciò dipende in particolare sulle quote di mercato molto elevate detenute da Google, che sono state superiori all’85 % per la maggior parte del periodo. Il mercato è inoltre caratterizzato da notevoli ostacoli all’accesso, tra cui gli ingenti investimenti iniziali e continui necessari per sviluppare e mantenere una tecnologia di ricerca generica, una piattaforma di pubblicità collegata alle ricerche e un portafoglio sufficientemente ampio sia di publisher che di inserzionisti.

    Sulla base di molteplici prove, la Commissione ha riscontrato che la condotta di Google ha danneggiato la concorrenza e i consumatori e soffocato l’innovazione. I concorrenti di Google non sono stati in grado di crescere e di offrire servizi di intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca alternativi a quelli di Google. Di conseguenza, i proprietari di siti web disponevano di opzioni limitate per monetizzare gli spazi sui siti web e sono stati costretti ad affidarsi quasi esclusivamente a Google che non ha dimostrato che le clausole creassero efficienze tali da giustificarne le pratiche.

    L’ammenda della Commissione, che è pari all’1,29 % del fatturato di Google nel 2018, tiene conto della durata e della gravità dell’infrazione ed è stata calcolata sulla base del valore delle entrate di Google provenienti dall’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca nel SEE.

    Google ha messo fine alle pratiche illegali alcuni mesi dopo che la Commissione aveva emesso, nel luglio 2016, una comunicazione degli addebiti riguardante il caso. La decisione impone a Google di porre quantomeno fine al suo comportamento illegale, nella misura in cui non lo abbia già fatto, e di astenersi da qualsiasi misura avente oggetto o effetto identico o equivalente.

    Infine, Google potrebbe anche dover rispondere in procedimenti civili di risarcimento di danni eventualmente intentati dinanzi alle autorità giudiziarie degli Stati membri da persone o imprese penalizzate dal suo comportamento anticoncorrenziale. La nuova direttiva dell’UE sulle azioni di risarcimento dei danni per violazione delle norme antitrust permette alle vittime di pratiche anticoncorrenziali di ottenere più facilmente un risarcimento dei danni.

  • I social media devono (e possono) conformarsi ancora di più alle normative UE per tutelare i consumatori

    Le società di social media devono fare di più per ottemperare alle richieste presentate lo scorso marzo dalla Commissione europea e dalle autorità nazionali di tutela dei consumatori per garantire il rispetto delle norme UE a tutela dei consumatori. Il 15 febbraio sono state pubblicate le modifiche apportate da Facebook, Twitter e Google+ per allineare le rispettive clausole contrattuali alle norme dell’UE a tutela dei consumatori. Queste modifiche andranno a beneficio di oltre 250 milioni di consumatori dell’UE che utilizzano i social media: i consumatori non saranno costretti a rinunciare ai diritti inderogabili che l’UE riconosce loro, come il diritto di recedere da un acquisto online; potranno presentare reclamo in Europa anziché in California; e le piattaforme si assumeranno le loro responsabilità verso i consumatori dell’Unione, analogamente ai prestatori di servizi offline. Tuttavia, le modifiche soddisfano solo in parte i requisiti della normativa UE in materia di consumatori.

    Mentre le ultime proposte di Google sembrano in linea con le richieste formulate dalle autorità di tutela dei consumatori, Facebook e, più significativamente, Twitter hanno rimediato solo in parte a importanti aspetti riguardanti le loro responsabilità e il modo in cui gli utenti sono informati della possibilità di rimuovere i contenuti o recedere dal contratto. Per quanto riguarda la procedura di “notifica e azione” usata dalle autorità di tutela dei consumatori per segnalare contenuti illeciti e richiederne la rimozione, le modifiche apportate da alcune società sono insufficienti. Mentre Google+ ha istituito un protocollo che prevede, tra l’altro, termini per il trattamento delle richieste, Facebook e Twitter hanno concordato solo di mettere a disposizione delle autorità nazionali un apposito indirizzo di posta elettronica per la notifica delle violazioni, senza impegnarsi a trattare le richieste entro termini precisi.

    A seguito di varie denunce di consumatori dell’UE che sono stati vittime di frodi o truffe durante la consultazione di siti di social media e ai quali sono state imposte clausole contrattuali non conformi alle norme UE a tutela dei consumatori, nel marzo 2016 è stata avviata un’azione per far rispettare la normativa UE. Gli operatori di social media hanno quindi convenuto di modificare: le clausole che limitano o escludono integralmente la responsabilità della rete di social media in relazione alla prestazione del servizio; le clausole che impongono ai consumatori di rinunciare ai diritti inderogabili che l’UE riconosce loro, come il diritto di recedere da un acquisto online; le clausole che privano il consumatore del diritto di rivolgersi a un organo giurisdizionale dello Stato membro di residenza e che prevedono l’applicazione della legge della California; le clausole che liberano la piattaforma dall’obbligo di individuare le comunicazioni commerciali e i contenuti sponsorizzati.

    Le società si sono impegnate ad attuare le modifiche delle clausole contrattuali in tutte le versioni linguistiche nel primo trimestre del 2018.

    Fonte: Commissione europea

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