italiani

  • “Sembrava impossibile”: storie di imprenditori italiani di successo

    Giovedì 26 settembre alle ore 19.00 al MUDEC, Museo delle Culture, Via Tortona 56, Milano sarà presentato il libro “SEMBRAVA IMPOSSIBILE” Da 0 a 100 – Storie di imprenditori di successo di Stefano Zurlo, Giorgio Gandola e Manila Alfano, con la prefazione di Nicola Porro ed edito da Wise Society. A moderare l’incontro ci sarà Stefano Zurlo. L’iniziativa è patrocinata dal Politecnico di Milano e dal PoliDesign.

    Cosa hanno in Comune Iginio Straffi  e Marco Giapponese o Ennio Doris ed Ernesto Pellegrini? O ancora Enzo Catellani e Renato Crosti? L’essere tutti imprenditori partiti dal basso, o addirittura da zero, come si specifica nel libro, e avere raggiunto il successo, ciascuno nel proprio settore, ai massimi livelli. Delle vere eccellenze italiane!

  • Lavori il governo perché lavorino gli italiani

    La maggior parte degli italiani lo dice chiaramente: il problema principale è il lavoro, senza lavoro le persone diventano ogni giorno più povere e disperate. Agli italiani, più saggi di chi li ha governati e governa, in questo momento non interessa la quota 100, il reddito di cittadinanza, l’ipotetica diminuzione dei parlamentari o la decurtazione della loro indennità, e anche il problema dell’immigrazione, importante nel quadro generale, non è tra le  emergenze. Il lavoro è l’emergenza da troppo tempo e per far ripartire il lavoro le strade rimangono sempre le stesse come, non solo noi, si è detto più volte: diminuire le tasse, snellire la burocrazia, riordinare le leggi in modo comprensibile eliminando quelle inutili, far ripartire subito i cantieri delle opere pubbliche, rendere giustizia alle decine di migliaia di cittadini che, come prestatori d’opera occasionali, sono pagati dopo tre mesi o spesso non pagati, colpire la corruzione, l’evasione, la contraffazione. Ritornare ad essere credibili sul piano internazionale consentirà di attirare maggiore interesse verso la nostra realtà sfaccettata, dalla produzione industriale a quella agricola, dall’artigianato al turismo.

    Il lavoro passa anche da una maggiore e migliore capacita di accoglienza di coloro che in Italia vengono per lavoro o per turismo, dalla capacità di difendere i nostri prodotti senza grida proterve ma con una migliore presenza, una presenza culturalmente e tecnicamente preparata, nelle sedi europee ed internazionali. In buona sintesi nulla di quanto sta facendo questo governo che gode ancora della mancanza di una seria alternanza politica e che, forte di questo, si trastulla con boutade che nulla hanno a che vedere con un programma politico anche a breve termine.

  • L’Italia è prima nella Ue per export di vino, gli italiani sono penultimi per consumi etilici

    Dai dati Eurostat relativi al 2017 emerge che le famiglie italiane sono le penultime in Europa, a pari merito con quelle greche, per la spesa destinata agli alcolici (0,9% contro lo 0,8% delle famiglie spagnole, che sono il fantino di coda europeo), mentre quelle che spendono di più in consumi di bevande alcoliche sono quelle di Estonia (prima con 5,2%), Lettonia (4,9%) e Lituania (4%), e poi, a seguire, di Polonia (3,5%), Repubblica ceca (3,3%) e Ungheria (3%). I tedeschi si situano nella parte bassa della classifica, vicino agli italiani, con 1,4% insieme ad austriaci e portoghesi. I francesi, invece, sono in posizione intermedia, con 1,8%. 

    La spesa delle famiglie d’Italia è rimasta invariata nell’arco dell’ultimo decennio (0,9% anche nel 2007), sostanzialmente in linea con la media Ue che ha visto solo un leggerissimo aumento dello 0,1%, dall’1,5% all’1,6%. Grecia e Spagna hanno anche loro registrato una crescita simile (rispettivamente +0,2% e +0,1%). Ugualmente stabile la spesa dei tedeschi, mentre i francesi marcano un +0,2%. I Paesi che nell’arco degli ultimi dieci anni hanno segnato gli aumenti maggiori sono la Romania (+0,4%, da 2,3% a 2,7%) e il Portogallo (+0,3%, da 1,1% a 1,4%). Al contrario, c’è stato un netto calo di spesa in alcolici per le famiglie bulgare (-1,3%, da 3% da 1,7%), lituane (-0,7%, da 4,7% a 4%) e finlandesi (-0,5%, da 3,3% a 2,8%). Nel complesso, nel 2017 gli europei hanno ‘investito’ in media l’1,6% della loro spesa per i consumi in alcolici, per un totale di oltre 310 miliardi di euro equivalenti allo 0,9% del pil Ue e a oltre 300 euro per abitante. Queste cifre non includono, però, le bevande alcoliche consumate in ristoranti e hotel.

    Sul fronte della produzione di vino, ancora Eurostat rileva che l’Italia è il primo Paese esportatore dell’Ue di vino con le ‘bollicine’: nel 2017, grazie in particolare a Prosecco e Asti spumante, sono stati raggiunti i 367 milioni di litri di vino frizzante italiano esportato, pari quasi alla metà (45%) dell’export totale dei 28 Paesi dell’Unione. In seconda posizione ma distaccata di quasi la metà arriva la Francia, dove a farla da padrone è lo Champagne, con 184 milioni di litri pari al 23% delle esportazioni europee. E terza, quasi a pari merito, c’è la Spagna, grazie al Cava, con 183 milioni di litri pari sempre circa al 23%. A distanza seguono poi la Germania (31 milioni di litri, 4%) e la Lettonia (10 milioni di litri, 1%). Insieme, quindi, Italia, Francia e Spagna costituiscono il 91% dell’export di vino frizzante prodotto nell’Ue. Il principale destinatario delle bottiglie con le ‘bolle’ al di fuori del mercato europeo sono gli Stati Uniti, che l’anno scorso hanno acquistato 127 milioni di litri di vino frizzante sui 315 milioni complessivi esportati extra-Ue, pari quindi al 40%. Seguono, ma con quantità decisamente inferiori, la Russia (32 milioni di litri, pari al 10%), il Giappone (26 milioni, 8%), la Svizzera (20 milioni, 6%), il Canada (14 milioni, 4%) e l’Australia (13 milioni, circa 4%). Anche se marginali (7,4 milioni complessivi di litri), le importazioni di ‘bollicine’ in Europa arrivano principalmente da Australia e Sudafrica (rispettivamente 1,9 milioni pari al 25%, e 1,7 milioni pari al 23%), che insieme costituiscono la metà dell’import. A seguire, altro vino frizzante arriva dal Cile (1,1 milioni di litri, 15%), Nuova Zelanda (0,6 milioni, 8%), poi Argentina, Usa e Moldavia (ognuno 0,4 milioni, 5%).

  • L’Italia non produce più cibo a sufficienza per festeggiare il Natale

    Per il terzo mese consecutivo cala in Italia la produzione alimentare che fa segnare una riduzione dello 0,6% a settembre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; una frenata preoccupante in vista del Natale, periodo tradizionalmente di picco per i consumi a tavola. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat sulla produzione industriale a settembre.

    Si tratta di un risultato che è anche il frutto di un profondo cambiamento nella scelta dei luoghi di acquisto con il calo delle vendite in tutte le diverse forme di dettaglio tradizionale, eccetto i discount alimentari, dove la spesa incrementa dell’1,5% a settembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

    L’aumento delle vendite alimentari nei soli discount, precisa Coldiretti, conferma l’importanza di aver scongiurato nella manovra il previsto aumento dell’Iva per non cadere in una pericolosa fase di recessione; ma allo stesso tempo rappresenta anche il segnale di difficoltà in cui versano molte famiglie italiane. Dietro la spesa low cost, conclude Coldiretti, si nascondono spesso ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi.

  • Italiani, popolo di risparmiatori malgrado il futuro incerto

    L’Acri – Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio, in occasione della 94esima edizione  della Giornata Mondiale del Risparmio, ha organizzato il convegno “Etica del risparmio e sviluppo” in cui, tra l’altro, ha presentato i risultati dell’indagine sugli Italiani e il Risparmio, che da diciotto anni realizza insieme a Ipsos per questa occasione.

    Dall’indagine emerge come gli italiani stiano attraversando una fase di incertezza, consapevoli di elementi di miglioramento rispetto al passato e sperando in una situazione più positiva per il futuro, anche se in maggioranza ritengono che la crisi durerà ancora qualche anno. I più positivi risultano i giovani fino ai 30 anni nel Centro Sud, lo sono molto meno i 31-44enni del Nord Est, per i quali si registra un calo di fiducia. Le prospettive dell’Italia sembrano fortemente legate all’Europa: se da una parte è forte la delusione per i progressi del processo di unificazione europea (il 53% ha una bassa fiducia), dall’altra, ancor più che in passato, si ritiene fondamentale la scelta europeista del Paese (il 66% è contro ogni ipotesi di uscita, in crescita rispetto al 61% del 2017; chi vuole uscire scende dal 17% al 14%, gli altri non hanno opinioni definite).

    In questo contesto si cerca di correre al risparmio – atteggiamento che da sempre ha contraddistinto gli italiani rispetto ad altre popolazioni – con segnali di ulteriore rafforzamento, soprattutto in un’ottica cautelativa. Cresce anche il valore sociale che al risparmio viene attribuito: l’80% degli italiani ritiene, infatti, che sia utile per lo sviluppo sociale e civile del Paese. ll numero di italiani propensi al risparmio rimane assai elevato: sono l’86% (come nel 2017); di questi sono il 38% quelli che non vivono tranquilli senza mettere da parte qualcosa (erano il 37%), il 48% coloro che ritengono sia bene fare dei risparmi senza troppe rinunce (erano il 49%).

    Diminuisce lievemente la quota di coloro che preferiscono godersi la vita senza pensare a risparmiare: sono il 10% (-2 punti percentuali sul 2017). Il 4% non sa decidersi. Aumenta (e ritorna maggioritaria) di 2 punti percentuali la quota di italiani che affermano di aver risparmiato negli ultimi dodici mesi, passano dal 37% del 2017 al 39% attuale, mentre diminuiscono coloro che consumano tutto il reddito (il 37%, erano il 41% nel 2017). Al contempo aumentano lievemente le famiglie in saldo negativo di risparmio: dal 21% del 2017 al 22% attuale; in quest’ambito decresce il numero di coloro che intaccano il risparmio accumulato (dal 16% dello scorso anno al 14% attuale), ma aumentano coloro che ricorrono a prestiti (sono l’8% contro il 5% del 2017).

    Per il 64% degli italiani risparmio significa attenzione alle spese superflue e agli sprechi: cercare le offerte, differire i consumi non sono atteggiamenti diffusi. Si risparmia soprattutto per tutelarsi personalmente da rischi futuri (37%) o per accumulare risorse per un progetto da realizzare (26%); altri ritengono che risparmiare sia eticamente corretto, a prescindere dalla propria personale situazione (14%), altri ancora sentono la tensione al risparmio innata, parte della propria indole (13%).

    Altro dato che emerge dall’indagine è che 8 famiglie su 10 riuscirebbero a far fronte a una spesa imprevista di 1.000 euro con risorse proprie (il 78%, dato in calo di 2 punti percentuali rispetto al 2017); ma se la spesa imprevista fosse maggiore, 10.000 euro (ossia un furto d’auto, una complessa operazione dentistica, la sistemazione di un tetto o una cartella esattoriale non attesa), potrebbero farvi fronte con le sole proprie forze poco più di 1 famiglia su 3 (il 36%, 2 punti percentuali in più rispetto al 2017). In questa situazione abbastanza stabile si evidenzia come aumentino sia le famiglie in grado di avere almeno 10.000 euro da parte, sia quelle in maggiore difficoltà.

    Fonte: Wall Street Italia del 31 ottobre 2018

  • Aumenta la spesa degli italiani per comprare carne

    Nel 2018 le famiglie italiane hanno incrementato di oltre il 5% la spesa delle famiglie italiane per la carne, secondo quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Ismea relativi al primo trimestre dell’anno in corso.

    L’aumento dei consumi riguarda tutte le diverse tipologie di carne, da quella di pollame (+4%) a quella di maiale (+4%) fino a quella bovina (+5%) che fa registrare il maggior incremento nel primo trimestre rispetto all’anno precedente, in un quadro di sostanziale stagnazione della spesa alimentare (+1,4%). Il consumo medio annuo in Italia di carne (pollo, suino, bovino, ovino) è sceso ai livelli di 79 chilogrammi pro-capite, tra i più bassi in Europa dove i danesi sono a 109,8 chilogrammi, i portoghesi a 101 chilogrammi, gli spagnoli a 99,5 chilogrammi, i francesi e i tedeschi a 85,8 e 86 chilogrammi. E la situazione non cambia se il confronto viene fatto a livello internazionale visto che, secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, nel 2018 il consumatore medio americano mangerà 222,2 chili tra carne rossa e pollame.

    Nel Belpaese si assiste ad una decisa svolta verso la qualità con il 45% degli italiani che privilegia quella proveniente da allevamenti italiani, il 29% sceglie carni locali e il 20% quella con marchio Dop, Igp o con altre certificazioni di origine secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. Vola, infatti, il consumo di bistecca “Doc” con un balzo del 20% nel numero di animali di razze storiche italiane allevati negli ultimi 20 anni sulla base delle iscrizioni al libro genealogico. La domanda di qualità e di garanzia dell’origine ha portato ad un vero boom nell’allevamento delle razze storiche italiane da carne che, dopo aver rischiato l’estinzione, sono tornate a ripopolare le campagne dagli Appennini alle Alpi. La razza piemontese con lo storico riconoscimento comunitario dei “Vitelloni Piemontesi della Coscia” a Indicazione Geografica Protetta (Igp) è la più diffusa e può contare su oltre 315mila capi mentre sono più di 52mila quelli di razza marchigiana, quasi 46mila di chianina, 12mila di romagnola, 11mila di maremmana e più di 35mila di podolica per un totale di oltre 472mila animali allevati.

Pulsante per tornare all'inizio