Jugendamt

  • A 35 anni dalla Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia, nell’Unione europea persiste lo Jugendamt tedesco

    Nel trentacinquesimo anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia Borrell ha giustamente ricordato le sofferenze alle quali i bambini sono ogni giorno sottoposti a causa delle molte guerre o delle tragiche situazioni economiche e climatiche di molti paesi.

    Bambini uccisi, feriti, rimasti soli, bambini rapiti dalla Russia di Putin o massacrati nella guerra in Medio Oriente, bambini denutriti, costretti a lavorare invece di studiare o giocare, bambini che non hanno possibilità di cure o usati come schiavi.

    Bambini violentati ed abusati quando non diventano addirittura serbatoio di organi da espiantare, bambini avviati alla prostituzione.

    Tra tutti drammi che Borrell ha giustamente ricordato non ha però citato quella che, ancor oggi, resta una vergogna della civilissima Europa e cioè la presenza nell’Unione di una organizzazione tedesca, lo Jugendamt, nata durante il nazismo, che continua a separare i figli delle coppie binazionali imponendo che debbano vivere in Germania e non avere più contatti, in caso di separazione tra i genitori, con quello non tedesco.

    Decine e decine di casi che hanno visto la strenue battaglia di tanti padri e madri, prima di tutti Marinella Colombo, che vogliamo ogni giorno ricordare come esempio di coraggio, separati a forza dai loro figli che non possono più incontrare.

    Bambini che perdono metà della loro identità, della loro famiglia, che in gran parte rimarranno segnati da queste criminali privazioni.

    L’Europa ha le frontiere aperte per le persone e per le merci ma le frontiere tedesche sono chiuse per tutti quei bambini che lo Jugendamt ha di fatto sequestrato.

    Intanto l’Unione tace, nonostante le molte interrogazioni che, almeno dal 2009, sono state presentate e nonostante le commissioni d’inchiesta che sono finite in nulla anche perché le traduzioni erano state falsate, dorme l’Europa e dorme l’Italia, i bambini restano sequestrati dalla Germania ed i loro genitori non tedeschi continuano a pagare ed a soffrire.

  • A Radio Radicale, oggi pomeriggio alle ore 18, Niccolò Rinaldi ricorderà Marinella Colombo

    Oggi pomeriggio, alle ore 18, l’On. Niccolò Rinaldi, già eurodeputato, interverrà a Radio Radicale per parlare della vicenda di Marinella Colombo, di minori, diritti, Jugendamt,  Germania e ricordare una donna donna ed una madre che ha lottato per la giustizia sua e di tanti genitori.

  • In attesa di Giustizia: tenetevi la farina di grilli, ridateci i bambini

    Difendere non è un lavoro, è un ministero e la difesa non è mai del reato ma delle garanzie che assistono i cittadini, a volte è un privilegio tali sono valori in campo.

    Per me lo è stato difendere Marinella Colombo: per quella che considero una scelta condivisibile non scrivo mai di vicende processuali personali in questa rubrica ma per Marinella è doveroso fare un’eccezione.

    Doveroso ma anche doloroso per ricordare questa donna coraggiosa, fulminata in poche settimane da una malattia inesorabile, che per amore dei propri figli ha sfidato la giustizia (si fa per dire) tedesca, quella italiana, lanciato segnali e richieste di intervento a quell’Europa tanto preoccupata di legalizzare il commercio della farina di grilli, ad imporre irrealizzabili interventi di manutenzione degli immobili nel nome della eco sostenibilità ma che continua a paludarsi – forse più a nascondersi – dietro il simulacro del mutuo riconoscimento delle decisioni sul falso presupposto che vi sia una identità culturale, di struttura e affidamento delle parti in causa tra i sistemi giudiziari UE senza muovere un passo nella direzione di un ravvicinamento di questi sistemi che, tra di loro, spesso non sono nemmeno lontani parenti.

    Marinella Colombo si è battuta contro il potentissimo Jugendamt, una struttura tedesca (tra l’altro di natura amministrativa, neppure legale) che decide sul destino dei figli  “bi-genitoriali”, cioè a dire con un genitore tedesco e l’altro di nazionalità diversa in caso di separazione o, comunque, di accudimento della prole: lo Jugendamt si potrebbe anche sopprimere e sostituire con un unico articolo di legge contenuto nel codice civile tedesco che preveda, in quei casi, che il minore resta sempre e comunque in Germania, affidato al genitore tedesco, fosse anche un serial killer o lo facesse abitare in una grotta nella Selva di Turingia.

    Forse ricorderò male ma fu Hitler a dire che “lo stato nazista deve considerare il bambino il bene più prezioso della nazione” ed è a Himmler che si deve il Progetto Lebensborn volto a realizzare le teorie eugenetiche sulla razza portando la popolazione sino alla soglia di centoventi milioni in una quarantina d’anni: chi mi legge abitualmente sa che “non le mando a dire” e questo Jugendamt mi sembra tanto una eredità dei tempi della croce uncinata.

    Marinella Colombo, sposata con un tedesco e madre di due figli piccoli al momento della separazione, avendo trovato un impiego in Italia ha sfidato la giustizia (si fa sempre per dire) tedesca per amore di due bambini che qualsiasi altra giurisdizione avrebbe affidato ad una madre giovane e colta di professione interprete e con ottime prospettive di lavoro in Italia…con tutti i diritti di visita, condivisione delle festività, contatto da parte del padre. Non lo Jugendamt, allineato ai dettami del “Progetto Sorgente di Vita” (Heil, Heinrich!): a Marinella sono stati tolti, negato qualsiasi contatto che non fosse in Germania e sotto l’occhiuto controllo di questa preoccupante istituzione e quei bambini se li è andati a prendere, è stata in fuga con loro per mesi inseguita da un Mandato d’ Arresto Europeo, formalmente legale come il processo cui è stata sottoposta in Italia per sottrazione di minori. Tutto ineccepibile perché in questo caso la forma è sostanza sebbene basata su presupposti ampiamente opinabili; ma tant’è, siamo partner europei e va sempre tutto bene quello che succede in uno dei Paesi Membri, anche la costituzione di un partito politico dei pedofili come pure è capitato, tutt’al più si rischia una ramanzina senza seguito da Strasburgo.

    A Strasburgo ci sono andato, con Marinella, grazie a Cristiana Muscardini, l’unica veramente pronta a mettersi in gioco: all’epoca avevo un insegnamento all’Università di Ferrara di Cooperazione Giudiziaria Internazionale e ho tenuto una relazione sul necessario ravvicinamento dei sistemi penali europei portando come esempio da non seguire quello della ingiustizia che stava subendo Marinella. Bravo, bravo ma adesso torna pure a casa: sulle tue parole e sulla denuncia di questa Signora Colombo possiamo tornare a dormire sonni tranquilli. E a casa sono tornato, per difendere Marinella insieme a quella splendida collega che è Laura Cossar che seguiva principalmente il versante del diritto di famiglia facendone una difesa dei principi e ben sapendo che si sarebbe andati incontro ad una condanna. Dura lex, sed lex: questa autentica eroina è stata condannata, ha scontato la sua pena (se non altro agli arresti domiciliari), ha raccontato la sua vicenda in un libro, si è battuta in tutte le sedi perché qualcosa cambiasse per la tutela dei minori in Germania tentando persino la “discesa in campo” politica e ha continuato a battersi anche dopo aver potuto riabbracciare i suoi figli, solo quando sono diventati maggiorenni e potuto scegliere liberamente di lasciare immediatamente la Germania per raggiungere la madre.

    Auf Wiedersehen, Jugendamt…chissà quanto hanno pesato questi interminabili lustri di dolore e battaglie sul fisico di una donna minuta ma indomabile e ora se n’è andata lasciandomi un vuoto difficile da colmare anche con il ricordo dei momenti passati insieme in nome della difesa di vincoli etici ed indicazioni culturali inderogabili e di una bellissima amicizia nata dalla stima reciproca seppure nella consapevolezza che la legge avrebbe sconfitto la giustizia.

    Buon viaggio Marinella, mi piace salutarti rubando le parole al Giulio Cesare di Shakespeare che mi sembrano scritte per te: non è importante sapere come finirà la battaglia, è importante che il giorno finisca e se ci rivedremo sorrideremo, altrimenti sarà stato comunque un bell’addio.

  • Marinella Colombo una mamma, una donna, una vita d’amore in cerca di giustizia

    Ci sono momenti nella vita nei quali è difficile esprimere a parole il proprio dolore, l’angoscia che ti costringe a fissare una parete, un albero, il vuoto chiedendoti perché?
    Marinella, oggi è mancata all’amore dei suoi figli, all’affetto del suo compagno e dei suoi amici, alle speranze che tanti riponevano in lei perché travolti dalle ingiustizie dello Jugendamt e dal silenzio delle autorità nazionali ed europee.
    E lo Jugendamt ,che ha strappato tanti bambini ad uno dei loro genitori, oggi ha fatto una nuova vittima perché il male che ha portato via Marinella, in un tempo spaventosamente rapido, è anche il frutto delle immense sofferenze che questa organizzazione tedesca, nata sotto il nazismo ed ancora vigente, le ha causato
    dopo anni di battaglie, di scontri con la burocrazia e con il sistema giudiziario, con tutte le indifferenze delle autorità italiane ed europee, dopo arresti, detenzione, blocchi delle disponibilità economiche personali, di sua mamma, e non solo, dopo aver vissuto anni senza poter vedere i propri bambini e, spesso, senza neanche poterli sentire per telefono, Marinella, una donna minuta, fragile ma con una determinazione ed un amore gigantesco, non ha potuto che per poco trovare quiete con i suoi figli perché i grandi stress avevano minato il suo corpo non certo il suo spirito.
    In questi ultimi anni aveva finalmente ritrovato un po’ di serenità, i suoi figli, gli adorati Leonardo e Nicolò, vicino a lei, un compagno affettuoso ed un lavoro nuovo, il rimpianto per la morte della mamma che tanto le era stata vicina, l’affetto degli amici, la consapevolezza di essere di grande aiuto a chi stava vivendo le stesse ingiustizie da lei subite.
    Ora Marinella ci ha lasciato vinta dalla malattia mentre era ancora indominata nello spirito.
    La Storia  di Marinella è stata più volte agli onori della cronaca ed Il Patto Sociale le è sempre stato vicino, insieme ad altri che hanno condiviso il suo dolore, la sua tragica esperienza, narrata anche in libri e film, ma, come molte volte accade, sono mancate la politica e la giustizia.
    A tutti coloro che l’hanno conosciuto resta ora l’impegno di adoperarsi per continuare nella sua battaglia ed impedire che altri bambini possano subire le stesse privazioni affettive dei suoi figli, che altre mamme e papà debbano soffrire come lei.
    Marinella non ci sei ma Ci Sei perché anime limpide come la tua ci accompagneranno sempre indicandoci la strada per impedire ingiustizie e sofferenze
    A Leonardo e Nicolò la certezza di sapere che la loro mamma è stata e rimarrà una grande mamma, una grande donna, una persona che resterà con loro e con noi.

  • ‘Kinderswohl’, il film tratto dalla storia di Marinella Colombo presentato a Milano

    Sarà presentato a Milano, nell’Ufficio del Parlamento europeo, il film Kinderswohl del regista Franco Angeli, tratto dal libro Non vi lascerò soli di Marinella Colombo. Interpretata dall’attrice Livia Bonifazi la pellicola narra la vicenda umana e giudiziaria della dottoressa Marinella Colombo, la manager milanese alla quale nel 2008, dopo la separazione dal marito tedesco, lo Jugendamt, l’ufficio tedesco per la tutela del minore, sottrasse i due figli affidandoli al padre in Germania, privandola della possibilità di vederli e sentirli.

    Lo Jugendamt, istituto in vigore da decenni, tra l’altro stabilisce che i figli di coppie nelle quali uno dei genitori non sia di nazionalità tedesca siano affidati esclusivamente al genitore tedesco, sia esso padre o madre, poiché prima che della sua famiglia il bambino è figlio della Germania.

    Su queste colonne ci siamo occupati più volte, attraverso la rubrica Achtung Binational Babies, e non solo, della battaglia di Marinella, arrivata al Parlamento europeo grazie all’interessamento dell’On. Cristiana Muscardini, e di altre storie simili alla sua in cui il genitore non tedesco si è visto sottrarre, con motivazioni discutibili, i propri figli privando questi ultimi dell’affetto dell’altro genitore, dell’altra cultura di appartenenza, della propria storia.

  • Achtung, binational babies: il mercato dei diritti

    Nella maggior parte dei paesi europei sono previsti diritti naturali che vengono limitati o cancellati solo se il titolare di tale diritto ha commesso azioni che ne pregiudicano l’esercizio. Per esempio in una separazione si prevede che il bambino mantenga rapporti significativi con entrambi i rami genitoriali. Tutto ciò è considerato un diritto naturale e dunque non un diritto che debba prima essere acquisito. E’ un diritto che viene sempre riconosciuto e solo in presenza di fatti gravi viene limitato o tolto. In Germania, ancora una volta, la situazione è ribaltata. Il nonno non ha diritto ad un rapporto con il nipote per il semplice fatto di essere il nonno, deve invece dimostrare di essere una persona importante di riferimento per il bambino e soprattutto favorire il suo “bene” per poter acquisire tale diritto. A chiunque racconti che il diritto dei nonni ad avere contatti con i nipoti è fissato nel codice tedesco, chiedo di andarsi a rileggere il testo che presuntamente garantisce questo diritto, precisamente il §1685 del Codice civile tedesco che recita: “(1) I nonni e i fratelli hanno diritto al contatto con il bambino se questo corrisponde al bene del bambino [Wohl des Kindes].” Significativamente questo articolo si intitola “Contatto del bambino con altre persone di riferimento”. Non si parla dunque dei nonni in quanto tali, o in quanto persone facenti parte della stessa famiglia, ma solo di altre persone di riferimento. Tra queste potrebbero esserci anche i nonni, ma non necessariamente. Va poi ricordato che il concetto di bene del bambino [Wohl des Kindes, Kindeswohl] non è definito nei codici tedeschi e deve essere sempre interpretato. Di conseguenza, se già la presenza del genitore non-tedesco è nella quasi totalità dei casi considerata negativa o superflua nella vita e nell’educazione del figlio, a maggior ragione lo saranno i nonni non-tedeschi. Inoltre il fatto di vivere in un altro paese, per esempio in Italia, e di non parlare fluentemente la lingua tedesca costituisce un ulteriore fattore pregiudizievole. Tali nonni non sono “i nonni”, bensì “altre persone di riferimento” che non debbono avere nessun ruolo nella vita del nipote in quanto non favoriscono in nessun modo (lingua diversa dal tedesco e paese di residenza che non è la Germania) il suo bene, così come interpretato nei tribunali, nei codici e in una grande parte dell’opinione pubblica tedesca.

    Sarà utile ricordare che la parola famiglia non è praticamente mai evocata nei testi di legge, se non nei titoli delle varie sezioni del codice civile. I testi riportano espressioni come “altre persone di riferimento”, “comunità domestica”, ma non “famiglia”.

  • Achtung, binational babies: Kindeswohl, il bene del bambino, un film di Franco Angeli

    Questa rubrica si occupa da anni delle ingiustizie subite dai bambini binazionali in Germania e dai loro genitori. Il sistema familiare tedesco, controllato dallo Jugendamt e dai suoi collaboratori interni ed esterni (psicologi, controllore del procedimento, controllore delle viste, ecc…) arriva a cancellare il genitore non-tedesco dalla vita del bambino, privando quest’ultimo della sua parte di identità italiana, e non-tedesca in genere, e di ogni diritto fondamentale. Nel 2012 la casa editrice Rizzoli pubblicò un libro, Non vi lascerò soli, scritto da Marinella Colombo. Poiché la “giustizia” italiana non solo l’aveva arrestata e incarcerata su richiesta tedesca, ma le aveva anche comminato il divieto di comunicazione (ciò che non viene fatto nemmeno con i boss mafiosi), il libro non è arrivato come avrebbe dovuto al grande pubblico. Livia Bonifazi (attrice) e Franco Angeli (regista) lo hanno però letto e hanno contattato Marinella Colombo. E’ nata una collaborazione e un’amicizia che ha portato alla realizzazione prima di una pièce teatrale e poi di un film, quello di cui si vede qui il manifesto. Il film sarà presentato al Bifest di Bari il 28 marzo fuori concorso e speriamo di poterlo poi vedere in tutti i cinema d’Italia.

    A conclusione riportiamo le note di regia di Franco Angeli: “Kindeswohl, il bene del bambino vuole essere un film di impegno civile. Ma come mettere questo materiale in un film? Come per lo spettacolo teatrale, mi sono letteralmente aggrappato alle parole. Dovevamo raccontare, dovevo raccontare, affidandomi alle parole. È la vita di Marinella Colombo, quella che viene ricostruita, che prende forma, in questa stanza buia, chiusa e soffocante. È la spiegazione di un sistema che opprime, rinchiude e toglie il fiato. Al di là dell’incompatibilità delle diverse leggi riguardanti i diritti di famiglia degli Stati dell’Unione Europea, la domanda che mi sono sempre posto, e credo sia una parte drammaticamente interessante di questa storia, è: cosa sei disposto a fare, cosa sei disposto a rischiare, per riavere i tuoi figli?”

    Il trailer del film della Panama film è visibile cliccando su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=twhFERaWV0w&ab_channel=FrancoAngeli

  • Achtung, binational babies: il padre, il padre-sociale e il postino

    Riproponiamo un articolo pubblicato nel giugno del 2014, per comprendere la ragione di questa ripetizione, leggete fino alla fine.

    Succede ogni giorno decine di volte, nel cuore dell’Europa teoricamente senza frontiere, ma con una barriera attorno alla Germania, dove i bambini entrano, ma non ne escono mai.

    Ecco una delle tante vicende e dei tanti genitori al fianco dei quali mi sto battendo.

    Una donna tedesca si trasferisce in Italia, dove trova lavoro. Conosce un ragazzo italiano. Dopo un certo periodo di fidanzamento, quando hanno ormai deciso di sposarsi, lei resta incinta. Grande gioia di entrambi, acquisto della casa e progetti per il futuro. Lei dice di voler partorire in Germania, lui cerca di comprendere e asseconda. Il bambino nasce, ma lei ha intanto deciso che il padre di questo bambino non sarà italiano (peccato che è con un italiano che ha procreato) e dunque glielo lascia riconoscere perché così potrà chiedergli gli alimenti, ma non gli dà la possibilità di avere la potestà genitoriale sul figlio (in Germania è la madre tedesca non sposata che decide tutto ciò, dunque lei sta agendo in perfetta legalità). Poi chiede al padre-italiano-senza-diritti che si era recato in Germania per il parto di sparire.

    Preso atto della penosa situazione, dopo essere stato ingannato da diversi avvocati sia italiani che tedeschi, sia in buonafede (gli avvocati italiani non conoscono necessariamente il codice di famiglia tedesco) che in malafede (gli avvocati tedeschi sono sinceramente convinti che crescere senza contatti con l’Italia, un paese “problematico”, sia la soluzione migliore per il bambino), questo padre intraprende la via del tribunale per riuscire almeno ad incontrare ogni tanto suo figlio, per il quale comunque paga gli alimenti.

    Precisiamo che si tratta di una persona educata e pacifica e che non è né violenta, né affetta da disturbi.

    Mentre spende migliaia e migliaia di euro in avvocati, spese processuali e viaggi (ovviamente di far venire il bambino in Italia non se ne parla neanche), riesce a vedere suo figlio, nell’arco di sei anni, solo una manciata di ore, sempre sotto la supervisione di altre persone. Infatti, essendo lui italiano, potrebbe rapire il bambino, quindi meglio tenerlo d’occhio. Forse superfluo aggiungere che la famiglia italiana è completamente esclusa, così come l’utilizzo della lingua italiana è strettamente da evitare.

    Dopo anni di procedimenti, il suo caso è ancora in prima istanza (quindi molto lontano dal poter adire la Corte per i Diritti umani), sia perché ogni volta che la signora tedesca cambia casa, cambia la competenza territoriale del tribunale e si ricomincia daccapo, sia perché quando il giudice stabilisce un calendario di incontri (tipo un’ora ogni due mesi), una volta esaurite le data indicate, quest’uomo deve ricominciare un procedimento in tribunale per ottenere altre date. Per capirci, il giudice non sentenzia mai stabilendo una volta per tutte, o fino all’accadimento di fatti nuovi, l’intervallo degli incontri, ma scrive invece “dalle ore tot alle ore tot del giorno tale, del tal mese e del tal anno”. Passato quel giorno, si ricomincia da zero. Questo padre deve cioè ogni volta tornare a dimostrare di essere eccezionale affinché gli vengano concessi dei contatti con il figlio. In pratica il contrario del buon senso e della legge di natura: non sono eventuali accuse, vere o false, a togliergli la possibilità di vedere suo figlio; si parte dal principio che la possibilità di incontrare suo figlio lui non ce l’ha e solo se dimostra di essere fantastico, forse gentilmente gli concedono qualche ora.

    Poi la signora tedesca si sposa con un tedesco. A questo punto il bambino ha finalmente un padre (!) sociale, un padre tedesco. Allora il vero padre, per di più italiano, diventa del tutto superfluo. Ma lui insiste, dice di voler bene a suo figlio e il bambino, pur incontrandolo raramente, mostra di essergli affezionato. Soluzione: si dispone una perizia psicologica familiare.

    Non mi soffermo sull’impegno di tempo, risorse e denaro necessari allo svolgimento della perizia (siamo nell’ordine di importi a cinque cifre, ovviamente a carico del genitore non-tedesco), né sul fatto che la signora tedesca non ritenga di doversi sempre presentare, né di ottemperare a quanto disposto dal giudice, lei ha tutti i diritti in maniera esclusiva sul bambino e dunque le si perdona tutto. Passo direttamente all’esito di questa perizia di quasi 100 pagine:

    • il bambino percepisce che la madre non approva che lui instauri una relazione con suo padre [ndr. e d’altronde non gli ha mai permesso di chiamarlo papà]
    • per questo il bambino vive un conflitto di lealtà
    • il conflitto di lealtà crea stress nel bambino
    • per eliminare lo stress del bambino si annulla ogni contatto con il papà italiano per almeno un anno

    Il tribunale nomina allora un intermediario, un estraneo che durante questo anno dovrà parlare del padre al bambino e del bambino al padre, consegnando anche lettere, fotografie e regali;

    anche questo intermediario non ottempera e si rifiuta di conoscere il padre, mentre al padre dice di suo figlio banalità del tipo “pare gli piaccia il gelato”, lui stesso si definisce un semplice “postino”[1];

    avvisato il giudice di questo comportamento da parte dell’intermediario e delle sue non ottemperanze, così come di quelle della madre, il giudice ritiene che vada bene così.

    Ora l’anno è passato, il rapporto padre-figlio è stato finalmente reso inesistente; qualsiasi cosa pensi di volere questo genitore italiano deve ricominciare daccapo, con l’aggravante che, essendo il rapporto con il bambino ormai inesistente, sarà impossibile dimostrare che mantenere i contatti con il papà giovi al bambino.

    Ma deve pagare! Deve pagare gli alimenti, le spese processuali, gli psicologi, e tutti gli altri “personaggi” intervenuti ad allontanare suo figlio. Non è più in grado di far fronte a questi costi, così diventerà anche lui un “criminale” –come tutti coloro che hanno tentato di opporsi a queste ingiustizie- contro il quale verrà spiccato un mandato d’arresto?

    Cosa farà l’Italia a difesa di questi suoi due concittadini, un adulto e un minorenne?

    Questo è quello che succede in Germania ogni giorno centinaia di volte, contro i padri e le madri non tedesche, ma soprattutto a discapito dei bambini binazionali.

    Questo è quello che non posso e non possiamo più accettare, è la palese negazione dei diritti fondamentali e naturali, è l’arroganza fatta legge e sistema, è la distruzione dei valori sui quali -ci hanno fatto credere- avrebbe dovuto essere costruita l’Europa della pace.

    Non possiamo cambiare la Germania, ma possiamo tutelare gli Italiani. Chiedo un impegno ed un incontro a breve con i Ministri degli Esteri e della Giustizia. 

    8 marzo 2022 – Dopo otto anni nulla è cambiato. Il sistema tedesco ha affilato ancor più le unghie e quello italiano è sempre più confuso e cieco.

    Membro della European Press Federation
    Responsabile nazionale dello Sportello Jugendamt, Associazione C.S.IN. Onlus – Roma
    Membro dell’Associazione European Children Aid (ECA) – Svizzera
    Membro dell’Associazione Enfants Otages – Francia

     

    [1]What you still want to know in detail about your son? What should I ask him or his mother at the next meet? I do not think it makes sense that you come to Germany to talk to me. it would change nothing in the situation. I’m just the mailman”.

  • Achtung, binational babies: i due pesi del sistema familiare tedesco

    Questa settimana cerchiamo di dare ai nostri lettori un paio di esempi pratici di ciò che succede in Germania ai bambini binazionali, per esempio italo-tedeschi (ma non solo), quando i genitori si separano. Le due categorie da prendere in considerazione sono: mamma italiana/papà tedesco, oppure mamma tedesca/papà italiano. Ovviamente non sorge nessun problema se la coppia si separa ma entrambi gli adulti mantengono il dialogo tra loro e la capacità di svolgere e lasciar svolgere all’altro il suo ruolo genitoriale. Purtroppo è sufficiente che uno dei due non si comporti in questo modo per rompere questo difficile equilibrio. Nella quasi totalità dei casi vengono dunque coinvolte le amministrazioni e le autorità tedesche che portano, nel breve o medio termine, alle situazioni che andiamo ad illustrare.

    La mamma italiana, se anche apparentemente ben integrata in Germania, nel momento in cui si separa è l’elemento straniero che continua a vivere con i figli dopo la separazione. Essa non potrà, proprio perché italiana, crescere i bambini nella più pura mentalità tedesca. Il sistema (Jugendamt – Verfahrensbeistand – Umgangspfleger – Sachverständiger – Giudice) cercherà dunque di costruire qualsiasi tipo di sospetto o accusa contro di lei in modo da allontanarne sempre più i bambini. Superfluo ricordare che le prove sono inutili in un paese in cui è mentalità corrente considerare la mamma italiana una madre non equilibrata e sicuramente con moltissimi difetti. Se il papà tedesco non è in grado o non vuole far passare ai bambini dei bei momenti insieme e i piccoli si rifiutano o non sono particolarmente felici di vederlo scatta l’accusa della madre malevola: se i bambini non vogliono vedere il papà è perché la mamma non li ha preparati ed invogliati a stare con il padre o addirittura li ha manipolati contro di lui. E’ dunque una madre alla quale i bambini vanno tolti. Togliere l’affido o anche la responsabilità genitoriale (già chiamata potestà) è qualcosa che succede con estrema facilità e leggerezza nei tribunali tedeschi. A volte i bambini sono invece davvero manipolati, ma in Germania questa accusa viene sistematicamente usata contro e soltanto contro le madri non-tedesche, anche quando il poco entusiasmo dei figli non è dovuto a manipolazione materna, ma a gravi problematiche paterne. Abbiamo fascicoli riguardanti bambini chiusi dal papà per tutto il giorno in bagno, o con papà apertamente e ufficialmente tossicodipendenti e che per questo motivi registrano difficoltà nel rapporto con il genitore tedesco, ma per questa stessa difficoltà vengono tolti alla mamma non-tedesca. Ben diversa, anzi diametralmente opposta, è la condizione della madre tedesca. Lei può fare ciò che vuole e può anche manipolare i bambini poiché il genitore da allontanare è il papà non-tedesco. La manipolazione serve al sistema, pertanto non è identificata come tale. Se i bambini non vogliono incontrare il papà italiano, pur in mancanza di qualsiasi motivazione concreta e dell’incapacità del bambino di giustificare il suo rifiuto, gli incontri non ci saranno. Il sistema si appella al Kindeswille, il voler del bambino. Detto volere diventa legge e su di esso si basa la decisione del giudice che cancellerà, non solo ogni incontro, ma anche qualsiasi tipo di contatto, cioè telefonate e messaggi. Spesso il papà italiano non può neanche inviare un regalo o gli auguri di compleanno e di Natale. Per facilitare l’attuazione di questo sistema finalizzato alla realizzazione di un Kindeswohl, cioè di un bene del bambino che coincide con il “benessere della comunità dei tedeschi attraverso il bambino”, germanizzandolo, dobbiamo ricordare come avvengono le audizioni in Germania. La legge vieta qualsiasi tipo di registrazione. Il bambino viene “ascoltato” senza testimoni e senza che domande e risposte vengano fissate in un protocollo e, come ricordato, neppure registrate. Nelle note relative all’audizione (una sorta di riassunto estremamente conciso) che vengono poi inviate alle parti gli autori della germanizzazione posso scrivere ciò che vogliono e possono omettere, come d’uso, il tenore delle domande sempre suggestive. Lo stesso succede con le cosiddette “perizie psicologiche familiari” che altro non sono se non la maniera di fornire al giudice le motivazioni da indicare in sentenza per la cancellazione dei rapporti con il genitore italiano. Nessuna possibilità di contraddittorio, nessun perito di parte, nessuna controperizia ammessa.

    Fate infine attenzione a chi vi dirà “conosco un bravo avvocato che ha aiutato tante mamme”, oppure ” un “ti posso consigliare ottimo avvocato bilingue”. In Germania l’unica domanda preliminare da fare all’avvocato è: “quanti bambini binazionali ha ricondotto al genitore non-tedesco?”. Se la risposta è sincera, difficilmente sarà di vostro gradimento.

    Purtroppo, come ho già scritto, i bambini binazionali sono bambini senza voce e senza diritti.

    Membro della European Press Federation

    Responsabile nazionale dello Sportello Jugendamt, Associazione C.S.IN. Onlus – Roma

    Membro dell’Associazione European Children Aid (ECA) – Svizzera

    Membro dell’Associazione Enfants Otages – Francia

  • Achtung, binational babies: “scappa in Germania con il figlio … denuncia alla polizia…”

    Quante volte leggiamo titoli di questo tipo che rimandano ad articoli nei quali si narrano le vicende di genitori italiani la cui compagna/o se ne è andata/o in Germania portando con sé la prole. Si tratta di vicende che sono la premessa a drammi ben più gravi di quelli già tremendi della sottrazione internazionale, perché la Germania tutela così tanto i propri concittadini da arrivare a privare sistematicamente i bambini binazionali della loro identità italiana. In altre parole il genitore italiano – e con lui tutta la sua famiglia – è destinato a perdere ogni contatto con il proprio figlio che dunque finirà per non parlare più neppure la lingua italiana. Peggio ancora, al bambino verrà trasmesso un senso di sospetto e quasi di disprezzo per quel paese e quella cultura che dovrebbero essere invece amati proprio perché parte integrante del proprio essere.

    Ma perché la denuncia alla polizia o ai carabinieri non serve a riportare a casa il bambino e può addirittura essere negativa? Senza entrare in disquisizioni troppo tecniche e giuridiche, basterà ricordare che la denuncia, e dunque il correlato procedimento penale, viene fatta nei confronti dell’altro genitore e dell’illecito commesso, ma non è finalizzata al rimpatrio del bambino. Ed ecco l’errore ulteriore: la legge tedesca non prevede l’estradizione del cittadino tedesco che dichiari di non voler essere estradato! A che pro dunque la denuncia e la successiva richiesta di estradizione se inevitabilmente non produrrà che un diniego? Dovremmo sicuramente chiedere a chi ha firmato a nome del popolo italiano gli accordi sul mandato d’arresto europeo perché lo ha fatto, dato che manca completamente la reciprocità, il cittadino tedesco non viene estradato, quello italiano sì. Ma torniamo al caso concreto. Per il rimpatrio del bambino bisognerà attivare il procedimento civile in Convenzione Aia, o meglio, per i paesi europei, la richiesta di rimpatrio in base al regolamento 2201/2003, al quale hanno aderito sia l’Italia che la Germania. Purtroppo non tutti gli avvocati hanno dimestichezza con questo strumento, ma soprattutto pochissimi sanno come in generale si svolgono le udienze in Germania e in particolare in questo genere di procedimenti. Anche a chi ha contatti con un collega in Germania sarebbe meglio chiedere quanti bambini ha concretamente riportato in Italia.

    A questo proposito, permettetemi di ricordare che, stando alle statistiche ufficiali del Ministero, l’Italia è ai primi posti tra i paesi che inviano i bambini all’estero e tra gli ultimi per bambini riportati in Italia. Tutto ciò al netto del fatto che solo una piccola parte dei casi di sottrazione viene comunicata e registrata dal Ministero. Nei casi che per la statistica si sono conclusi positivamente con un accordo tra le parti è successo in realtà quanto segue. Quando la richiesta di rimpatrio giunge in Germania e il giudice tedesco che deve decidere se rimpatriare il bambino si rende conto che il piccolo – secondo leggi e regolamenti – dovrebbe senz’altro tornare in Italia, si mette allora in moto in maniera più o meno conscia il meccanismo di tutela degli interessi tedeschi e del Kindeswohl, il bene del bambino inteso come sua completa germanizzazione. Tutto il sistema spingerà per una mediazione ed un conseguente accordo. In tale sistema sono inclusi: giudice, Jugendamt, controllore del procedimento (Verfahrensbeistand, falsamente tradotto come avvocato del bambino), avvocati ed eventuale organizzazione di mediazione internazionale. L’accordo prevedrà una autorizzazione al genitore tedesco a rimanere in Germania con il figlio e ampie visite per il genitore italiano. In questo modo la sottrazione viene derubricata e chiusa. Dopo sei mesi la competenza passa ufficialmente al giudice tedesco che, su richiesta del genitore tedesco e con un nuovo procedimento, cancellerà ogni accordo precedente e soprattutto ogni contatto tra il bambino e il suo genitore italiano. Così si concludono moltissimi dei “casi risolti” riportati nelle statistiche ufficiali dei nostri ministeri.

    Membro della European Press Federation

    Responsabile nazionale dello Sportello Jugendamt, Associazione C.S.IN. Onlus – Roma

    Membro dell’Associazione European Children Aid (ECA) – Svizzera

    Membro dell’Associazione Enfants Otages – Francia

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