Era una mattina del tardo autunno del 1989, il codice di procedura penale era entrato in vigore da pochi giorni ed aveva comportato una modifica degli arredi nelle aule di Tribunale, non da tutti gradita, con il banco del P.M. che – nel rispetto della proclamata parità tra le parti – era stato spostato dal pretorio a fianco di quelli dei difensori: il rappresentante dell’accusa, in attesa che iniziasse l’udienza borbottava il suo dissenso non facendo mistero dell’avversione a quella novità e non è ben chiaro se dipendesse dall’allontanamento dai giudici o dalla maggiore prossimità con gli avvocati, probabilmente da entrambe le cose.
E’ una storia vera, un ricordo legato a quel primo timido tentativo di affermare, sia pure solo visivamente, la terzietà del giudicante che solo dieci anni dopo sarà conclamata dalla modifica dell’art. 111 quando il dibattito sulla separazione delle carriere, visto come necessario passaggio per una completa attuazione del processo di impostazione anglosassone, aveva già iniziato ad infuocarsi.
Il borbottio di un magistrato di quel giorno si è trasformato nel tempo in un’accanita battaglia di retroguardia contro ogni ipotesi di separazione anche solo delle funzioni già – peraltro – sancita dall’articolo 107 della Costituzione e la protesta è divampata dopo che l’ora segnata dal destino ha bussato sui cieli della Magistratura Associata con l’approvazione, in prima lettura, del disegno di legge su quella delle carriere: un iter che potrebbe concludersi entro l’estate considerato l’appoggio di alcune forze politiche esterne alla maggioranza che garantisce i numeri per l’approvazione di una norma di rango costituzionale a dispetto della indignazione manifestata in Aula dagli sherpa delle Procure.
Nel mentre l’A.N.M. ha dissotterrato l’ascia di guerra preannunciando uno sciopero e manifestazioni di dissenso in occorso della inaugurazione dell’Anno Giudiziario con l’ostentazione di cartelli inneggianti a valori di una Costituzione asseritamente tradita, di coccarde tricolori sulla toga e minacciando anche di uscire dall’Aula durante l’intervento del Guardasigilli. Tutto molto scenografico ma non si tiene conto dell’inconsistenza di timori che la riforma sia servente a porre il Pubblico Ministero alle dipendenze dell’Esecutivo.
Si tratta di un rischio non postulato dal disegno di legge e si potrebbe ottenere solo modificando altri articoli della Costituzione tra cui il 108 e il 109: quest’ultimo previsto per evitare che ciò che è uscito dalla porta rientri da una finestra…del Viminale.
E’ il vizio della memoria: se si vuole ricordare la Costituzione è necessario farlo per intero e se si vogliono commentare – il che è legittimo – riforme in corso d’opera è indispensabile farlo esaminandole prive di interpolazioni non contemplate dal testo e neppure dalla relazione di accompagnamento
E’ il vizio della memoria, non bisognerebbe dimenticare neppure un altro dettaglio: che una proposta normativa sulla separazione delle carriere è stata oggetto di una raccolta di firme largamente superiore al minimo richiesto il che offre una chiave di lettura non trascurabile.
La rivolta dei magistrati, alla stregua di queste considerazioni si propone non solo come contro il Governo ed il Parlamento ma contro quel popolo italiano cui spetta il controllo sulla giurisdizione, quei cittadini il cui gradimento nei confronti dell’Ordine Giudiziario è ai minimi storici grazie agli inquietanti backstages rivelati da Luca Palamara ed a qualche altra marachella conosciuta per vie diverse.
Sia ben chiaro, la separazione delle carriere non sarà la soluzione di tutti i mali, serviranno un graduale cambio di mentalità e di tradizioni (e le nostre affondano nella storia della Colonna Infame come rammenta Cordero in uno splendido saggio) però è ineludibile: l’A.N.M. se ne faccia una ragione, è un primo passaggio e non è voluto solo da un pugno di deputati e senatori ma da milioni di italiani…e la memoria non tradisca riguardando alla nostra Costituzione che è una vecchia signora un po’ rigida che quei cittadini tutela e coinvolge nella vita pubblica ed è ricca di principi che costituiscono un baluardo per la distinzione dei Poteri dello Stato che nessuno è intenzionato a stravolgere.