Mafia

  • Palese mancanza di giustizia

    Una volta ancora pericolosi aderenti alla organizzazione mafiosa sono stati scarcerati per decorrenza dei termini.

    Il problema giustizia, nel senso più pieno della parola, rimane uno dei più gravi problemi italiani, non abbiamo remore a sostenere che è delittuoso tenere in carcere delle persone per anni senza fare loro il processo per accertare la verità e che è altrettanto delittuoso che da tempo, e sempre più spesso, riottengano la libertà, per decorrenza dei termini, persone che sono state messe in carcere perché sospettate, a buon ragioni, di delitti gravissimi.

    In questa ultima occasione hanno ritrovato la libertà dieci complici di Messina Denaro, il famoso boss trapanese, i fiancheggiatori del quale, dopo il suo arresto, non sono stati ancora tutti identificati.

    Far uscire dal carcere per decorrenza dei termini individui sospettati di gravi misfatti non solo è una palese mancanza di giustizia ma anche il modo per far sentire sempre più insicura la società e sempre più arroganti, impunite le associazioni criminali.

    La politica dovrebbe finalmente è più seriamente interpellarsi sui motivi di questo mal funzionamento del sistema giustizia in Italia e correre, senza ulteriore indugio, ai ripari tenendo anche conto di una ulteriore pericolosa conseguenza e cioè quella di demotivare le Forze dell’Ordine che con tanta dedizione, e spesso sprezzo del pericolo, arrestano pericolosi malviventi che poi, senza processo, sono rimessi in libertà.

  • Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo

    L’abuso e la disubbidienza alla legge non può essere impedita da nessuna legge.

    Giacomo Leopardi

    Il nostro lettore da anni ormai è stato informato di quello che accade in Albania. E sempre con la dovuta e necessaria oggettività, riferendosi a fatti accaduti, verificati e verificabili, a testimonianze, documentazione e denunce rese pubbliche. Ma la situazione in Albania, membro della NATO dall’aprile 2009 e Paese candidato all’adesione nell’Unione europea dal giugno 2014, però e purtroppo sta peggiorando sempre di più. La corruzione, partendo dai massimi livelli delle istituzioni statali e governative, è diventata una divorante cancrena che sta corrodendo tutto il tessuto sociale. Una realtà, quella albanese, che non poteva mai e poi mai diventare talmente allarmante se non ci fosse un diretto coinvolgimento, beneplacito ma anche il beneficio dei massimi rappresentanti del potere politico, partendo dal primo ministro. Anzi, lui per primo.

    In Albania, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, da alcuni anni è stata restaurata e si sta consolidando una nuova dittatura sui generis, un regime che cerca di camuffarsi dietro ad una fasulla parvenza pluripartitica. In Albania una persona, il primo ministro, controlla tutti i poteri, definiti dal 1748 da Montesquieu nella sua ben nota opera De l’esprit des lois (“Spirito delle leggi”; n.d.a.). Il che significa che in Albania ormai è stato annientato e reso non funzionante il principio base in qualsiasi società democratica, quello della divisione dei poteri. Il primo ministro (e/o chi per lui) controlla, oltre al potere esecutivo e legislativo, anche il sistema “riformato” della giustizia. Bisogna purtroppo sottolineare, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, che tutto ciò è successo anche con il preoccupante sostegno dei “rappresentanti internazionali” in Albania. Proprio coloro che, guarda caso, non vedono, non sentono e non capiscono la vera, vissuta e sofferta realtà, ma “applaudono ed elogiano” i successi del governo (Sic!). Il primo ministro controlla però anche la maggior parte di quello che ormai è noto come il quarto potere, i media. Mentre il presidente della Repubblica, da lui scelto, è diventato un suo ridicolo ed ubbidiente subordinato. Quello albanese è un regime autoritario che, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, ha basato la sua esistenza alla pericolosa connivenza con la criminalità organizzata, nonché al sostegno lobbistico, ma non solo, di alcuni raggruppamenti occulti internazionali. Il nostro lettore è stato, da anni, informato anche di questa grave e pericolosa realtà.

    Una realtà preoccupante che domenica scorsa è stata trattata anche dal programma investigativo Report, trasmesso da Rai 3 in prima serata. Ovviamente Rai 3 segue una sua linea editoriale, perciò il documentario cominciava con il trattamento dell’Accordo ufficializzato il 6 novembre 2023 tra l’Italia e l’Albania. L’Accordo, noto come il Protocollo sui migranti, è un documento di 14 articoli che è stato contestato sia in Italia ed in Albania, sia da diverse organizzazioni che si occupano dei diritti dell’uomo. Sull’Accordo hanno espresso riserve anche alcuni rappresentanti delle strutture dell’Unione europea. L’autore di queste righe informava il nostro lettore: “…Lunedì scorso, il 6 novembre, a Roma è stato firmato, dai rispettivi primi ministri, un accordo tra l’Italia e l’Albania. Secondo quell’accordo l’Italia potrà beneficiare dei territori in Albania per organizzare e gestire due campi dove arriveranno circa 36.000 profughi all’anno per almeno cinque anni! Profughi di quelli che l’Italia non vuole e/o può tenere […] Profughi che l’Italia non ha potuto, nonostante un accordo firmato recentemente con la Tunisia, fermare ad arrivare nelle coste italiane. Ma per fortuna il primo ministro italiano ha un ‘caro amico” in Albania, il primo ministro albanese.”(Un autocrate irresponsabile e altri che seguono i propri interessi; 14 novembre 2023). Proprio lui che solo due anni fa, ed esattamente il 18 novembre 2021, dichiarava convinto e perentorio che “L’Albania non sarà mai un Paese dove paesi molto ricchi possano creare campi per i loro rifugiati. Mai!”. Chissà perché ha cambiato opinione solo due anni dopo?!

    Il giornalista di Rai 3, domenica scorsa durante il programma Report, ha trattato anche la parte finanziaria del Protocollo, sottolineando che “…A fronte dei 650 milioni di euro inizialmente preventivati per 5 anni, la spesa complessiva potrebbe superare la soglia di 1 miliardo di euro. E anche le previsioni fatte dal governo sul numero dei migranti sembrerebbero troppo ottimistiche. Verrebbero spese, dunque, cifre spropositate, rispetto ai costi di gestione ordinari in Italia, per spedire in Albania a mala pena 3000 migranti all’anno che comunque dovranno successivamente essere trasferiti in Italia”. E poi faceva la naturale domanda: “Ma chi beneficerà davvero di questo accordo?”. La risposta, oltre al giornalista, la possono dare tutti coloro che conoscono bene la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese. E la risposta, essendo l’Albania ormai considerato da molte istituzioni e strutture specializzate internazionali come un “narcostato”, è semplice, evidente e chiara: la criminalità organizzata locale che ormai è diventata molto attiva e pericolosa anche in Europa ed altrove. Sì, perchè i profughi diventeranno preda del traffico dei clandestini. E si tratta proprio di quella criminalità organizzata che collabora con il potere politico e che determina non poche decisioni del governo albanese.

    Lo confermano anche due noti procuratori italiani, intervistati dall’autore del programma Report, Nicola Gratteri e Francesco Mandoi. Nicola Gratteri, uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla ‘ndrangheta, attualmente procuratore della Repubblica di Napoli, ha dichiarato che “…La mafia albanese è forte, perché è attiva in uno Stato dova la corruzione e ampiamente diffusa”. Aggiungendo anche: “…Le organizzazioni criminali che arrivano dall’Albania sono ricche, forti e potenti. […] Da alcuni anni la mafia albanese la troviamo anche in America latina. È in grado di portare, autonomamente, tonnellate di cocaina in Italia ed in Europa”. Anche Francesco Mandoi, già procuratore nazionale antimafia, ormai in pensione, conosce molto bene la realtà albanese. Lui è stato assunto come consigliere speciale proprio dal primo ministro albanese. Ha lavorato molto per quattro anni in Albania. Ma, come ha affermato lui stesso al giornalista del Report, il primo ministro non ha chiesto mai da lui un consiglio! “…Sono stato consigliere sulla carta, perché non ho mai dato un solo consiglio”, ha dichiarato Mandoi. Sottolineando che “…la mafia albanese ha i suoi rappresentanti nel governo ed orienta molte scelte dello stesso governo.”.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per trattare tutti gli argomenti affrontati domenica scorsa dal programma Report. Ma troverà il modo di informare il nostro lettore nelle prossime settimane sugli altri clamorosi abusi rivelati dal giornalista di Report. È sempre attuale però l’affermazione di Giacomo Leopardi: “L’abuso e la disubbidienza alla legge non può essere impedita da nessuna legge”. Lo conferma anche la grave e pericolosa realtà albanese.

  • Borsellino e Falcone: le verità negate

    Giusto, doveroso, necessario ricordare i due magistrati martiri non solo  della mafia perché ormai è chiaro che non sono solo gli esecutori materiali gli assassini

    Mancano ancora le borse, le agende, l’esamina approfondita e pubblica, lo studio vero, dei tanti documenti di Borsellino e Falcone e quanti altri documenti mancano all’appello?

    Quanti sono i morti: magistrati, carabinieri, poliziotti, giornalisti e persone della società civile che la mafia ha ucciso? Dov’è l’elenco completo dei loro nomi che possa ricordare a tutti gli italiani quale sacrificio di sangue è costata la ricerca di una verità che tutt’ora è negata!

    Quante di queste morti potevano essere evitate con una politica differente?

    Ricordare, ogni giorno, per dare vita ad una società diversa dove la commemorazione è seguita da azioni concrete che portino a squarciare, finalmente, il velo che ancora ricopre  azioni nebulose, complicità, silenzi dei quali tanti sono responsabili cominciando dall’alto perché, come diceva un vecchio tassista romano, il pesce puzza dalla testa.

  • E’ tempo di alzare il velo sulle omissioni

    Trent’anni sono passati dalla strage di Capaci, trent’anni nei quali abbiamo ricordato Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino e i tanti uccisi, le tante vittime di quella che non è solo mafia. Trent’anni in un crescendo di coscienze liberate, di giovani impegnati a dire per sempre no ai ricatti ed alle violenze, anche se ancora troppi si rifugiano nel proprio privato e non comprendono quanto spetti a ciascuno di noi la difesa della vita e della libertà altrui.

    Trent’anni ma i misteri restano e troppi documenti spariti, o volutamente sottaciuti, continuano a lasciare aperto nella nostra democrazia il più importante vulnus, quello che ci fa in molte occasioni pensare che dietro alla mafia, con la mafia, si muovano ben più importanti ed inquietanti poteri.

    Oltre alle numerose manifestazioni, alle vibranti parole di commemorazione, ai ricordi che dobbiamo tenere sempre vivi perché ci siano d’esempio ora è il momento di alzare finalmente il velo sulle omissioni, i depistaggi, gli errori di quegli anni, cominciando dall’uccisione del Generale dalla Chiesa. Solo così sarà fatta giustizia alla memoria di coloro che hanno sacrificato la loro vita per l’Italia, per noi.

  • Realtà malavitose che preoccupano

    Seguite i soldi e troverete la mafia, è tutto lì!

    Giovanni Falcone

    Era proprio il pomeriggio del 23 maggio di trent’anni fa, quando lo scoppio tremendo e pauroso di una miscela esplosiva di una mezza tonnellata di tritolo, nitrato d’ammonio e T4 ha ucciso il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie e tre uomini della sua scorta. Un’attentato da tempo ideato, programmato e finalmente attuato alle 17.56 del 23 maggio 1992, da Cosa Nostra.  Il 23 maggio 2022, al Foro italico di Palermo, la Fondazione Giovanni Falcone ha organizzato una cerimonia di commemorazione di quella barbara uccisione, intitolata “La memoria di tutti, Palermo trent’anni dopo”. In quella cerimonia il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto: “Sono trascorsi trent’anni da quel terribile 23 maggio allorché la storia della nostra Repubblica sembrò fermarsi come annientata dal dolore e dalla paura”. Poi ha aggiunto che “…Falcone era un grande magistrato e un uomo con forte senso delle istituzioni. Non ebbe mai la tentazione di distruggere le due identità perché aveva ben chiaro che la funzione del magistrato rappresenta una delle maggiori espressioni della nostra democrazia”. Il Presidente Mattarella ha in seguito ribadito che Giovanni Falcone, come magistrato, “…fu il primo ad intuire e a credere nel coordinamento investigativo, sia nazionale sia internazionale, quale strumento per far emergere i traffici illeciti che sostenevano economicamente la mafia”.

    Il Presidente, durante il suo intervento, si è riferito anche a quanto sta accadendo in Ucraina in questi 89 giorni di sanguinosa, crudele e orribile guerra. Perché, secondo lui, “la giustizia è dunque la linea costante”. Poi ha sottolineato che in Ucraina si subiscono “…quegli stessi orrori di cui l’Italia conserva ancora il ricordo e che mai avremmo immaginato che si ripresentassero nel nostro Continente”. Il Presidente Mattarella è convinto che “…Ancora una volta sono in gioco valori fondanti della nostra convivenza”. E che ancora una volta “la violenza della prevaricazione pretende, nella nostra Europa, di sostituirsi alla forza del diritto”. Per il presidente “…il ripristino degli ordinamenti internazionali, anche in questo caso, è fare giustizia. Porre cioè la vita e la dignità delle persone al centro dell’azione della comunità internazionale”. Anche perché “…raccogliere il testimone della ‘visione’ di Falcone significa affrontare con la stessa lucidità le prove dell’oggi, perché a prevalere sia ovunque, in ogni dimensione, la causa della giustizia: al servizio della libertà e della democrazia”. Cosi ha concluso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il suo discorso al Foro italico Umberto I di Palermo, nell’ambito della commemorazione del trentesimo anniversario della barbara uccisione di Giovanni Falcone, di sua moglie e dei tre uomini della sua scorta.

    Soltanto 57 giorni dopo quel barbaro ed orrendo attentato a Giovanni Falcone Cosa Nostra ne attuò un altro simile. Erano le 17.15 di pomeriggio del 19 luglio 1992. Questa volta il bersaglio era uno dei più cari e stretti amici e collaboratori di Falcone, un magistrato come lui, Paolo Borsellino. Il tragico evento è ormai noto come l’attentato di via D’Amelio a Palermo. Sempre un attentato dinamitardo, che tolse la vita, oltre a Borsellino, anche a cinque uomini della sua scorta. Loro due, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con la loro devozione professionale, con la loro determinazione, con il loro operato stavano sconvolgendo e scombussolando i tanti e diversi interessi della mafia siciliana, ma non solo. Le loro inchieste diedero inizio ad un nuovo ed efficace svolgimento della lotta contro la criminalità organizzata, non solo in Italia. Con le loro inchieste e il loro continuo e determinato lavoro quotidiano, essi cominciarono a svelare le allora esistenti relazioni tra la Cosa Nostra e alcuni massimi rappresentanti del potere politico, sia locale che centrale. In più cominciarono ad indagare anche sui grossi trasferimenti finanziari, verso banche di altri Paesi, di denaro proveniente dalle attività malavitose. In una lettera che Giovanni Falcone indirizzava ad un suo collega ed amico ticinese, scriveva: “Caro Paolo, dopo i soldi della mafia arriveranno in Svizzera anche i mafiosi”. Una collaborazione lavorativa e di amicizia quella tra valorosi colleghi, che continuava da anni. Parte di quella collaborazione professionale era anche la ben nota e fruttuosa indagine, denominata “Pizza connection”, sui traffici dei stupefacenti tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America. Nonostante gli attentati mafiosi tolsero prematuramente la vita ai due coraggiosi e valorosi magistrati, che avevano messo in grosse difficoltà i vertici di Cosa Nostra, la loro opera continua con successo. I cittadini, milioni di cittadini e non solo in Italia, ricordano e ricorderanno con rispetto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, così come anche tanti altri loro colleghi e collaboratori che hanno perso la vita in altri attentati mafiosi.

    La criminalità organizzata, nelle sue varie forme di organizzazione malavitosa, non è attiva solo in Italia. Lo avevano previsto e fortemente ribadito, più di trent’anni fa ormai, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma anche altri loro collaboratori. Una realtà questa che si sta ormai verificando e sta venendo denunciata da altri determinati, devoti e valorosi procuratori e magistrati, sia in Italia che in altri Paesi. E si tratta non solo delle tradizionali organizzazioni malavitose italiane ma anche di altre organizzazioni della criminalità organizzata, operanti in diversi Paesi. Organizzazioni che tentano e fanno di tutto per procurare sempre più spazio di operatività, compresa anche quella degli investimenti miliardari, una volta riciclato e diventato “pulito” il denaro sporco, proveniente da varie attività criminali. Organizzazioni che tentano e non di rado ci riescono, a coinvolgere anche rappresentanti del potere politico. Come avevano capito e denunciato, più di tren’anni fa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ed altri loro colleghi.

    Una simile realtà si sta verificando, con tutta la sua drammaticità e con tutte le sue preoccupanti conseguenze, anche in Albania. Da alcuni anni ormai e purtroppo, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo, fatti facilmente verificabili, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, si sta consolidando una paurosa ed allarmante connivenza tra alcuni dei massimi dirigenti del potere politico e la criminalità organizzata. Una connivenza quella che è anche alla base di una nuova e sui generis dittatura ormai restaurata e che si sta consolidando in Albania. Una dittatura pericolosa, perché cerca di camuffarsi dietro una parvenza di pluripartitismo di facciata, coinvolgendo alcune “ubbidienti stampelle”, come il capo del partito democratico albanese, il maggiore partito dell’opposizione, dimissionario ormai dal marzo scorso. Da anni l’autore di queste righe ha cercato di informare il nostro lettore su questa preoccupante realtà, con la necessaria e dovuta oggettività. Così come ha informato da anni il nostro lettore anche sulla crescente attività, su tutto il territorio nazionale, sia della criminalità organizzata locale, sia della sua collaborazione con alcune delle più pericolose organizzazioni malavitose italiane, ‘Ndrangheta compresa. L’autore di queste righe ha informato, altresì, il nostro lettore anche delle ingenti somme di denaro, di miliardi che da alcuni anni si stanno riciclando in Albania. Denaro sporco proveniente dalla ormai ben radicata e diffusa corruzione, dall’abuso di potere, ma anche dalle attività criminali, sia in Albania che in altri Paesi, Italia compresa. Denaro sporco in possesso non solo della criminalità organizzata locale e di molti politici corrotti, partendo dai più alti livelli istituzionali e/o di rappresentanza in Albania. Ma anche denaro sporco in possesso delle organizzazioni criminali di altri Paesi, Italia compresa (Abusi e corruzione anche in tempi di pandemia, 4 maggio 2020; Realtà nascoste con inganno da falsari di parola, 19 ottobre 2020 ecc..).

    Una simile, grave, pericolosa e preoccupante realtà è stata evidenziata da anni ormai anche da due note organizzazioni specializzate internazionali. Una è la FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); n.d.a.). Questo Gruppo d’Azione Finanziaria è stato costituito a Parigi nel 1989, durante il vertice dei capi di Stato e di governo dei sette paesi più industrializzati del mondo, noto anche come il vertice del G7. Il Gruppo rappresenta un organo intergovernativo ed ha come compito anche il coordinamento e l’armonizzazione degli ordinamenti legali di vari Paesi, allo scopo di permettere ed attuare una coordinata operazione di contrasto contro la criminalità organizzata. L’altra organizzazione internazionale specializzata è MONEYVAL (nome comunemente riconosciuto al Committee of Experts on the Evaluation of Anti-Money Laundering Measures and the Financing of Terrorism – Comitato d’Esperti per la Valutazione delle Misure contro il Riciclaggio di Denaro e il Finanziamento del Terrorismo; è una struttura di monitoraggio del Consiglio d’Europa; n.d.a.). Il compito di questa struttura è quello di valutare la conformità dei principali standard internazionali per contrastare il riciclaggio del denaro sporco ed il finanziamento del terrorismo. Un altro suo compito è quello di fare delle raccomandazioni alle autorità nazionali per migliorare il loro sistema legale a fare fronte a simili obiettivi.

    Ebbene, dal 2018 ad oggi, tutti i rapporti annuali di MONEYVAL sono molto critici con l’Albania per quanto riguarda il riciclaggio del denaro sporco. L’autore di queste righe ha informato, a tempo debito, il nostro lettore di una simile e preoccupante situazione. Riferendosi al Rapporto ufficiale per il 2018 di MONEYVAL, nel capitolo sull’Albania si evidenziava che “…la corruzione rappresenta grandi pericoli per il riciclaggio del denaro [sporco] in Albania”. In più il Rapporto, riferendosi all’altolocata corruzione, specificava che essendo “…legata spesso alle attività della criminalità organizzata, genera ingenti quantità di introiti criminali”. Lo stesso Rapporto di MONEYVAL per il 2018, riferendosi alla [mancata] responsabilità delle autorità, specificava che “…l’attuazione della legge, ad oggi, ha avuto una limitata attenzione per combattere la corruzione legata al riciclaggio del denaro [sporco]…”! Una situazione quella albanese che, invece di essere stata presa seriamente in considerazione dalle autorità, è stata ulteriormente peggiorata. Lo mette ben in evidenza il seguente Rapporto ufficiale del MONEYVAL per il 2019. L’Albania è stata addirittura declassata e messa nella cosiddetta “zona grigia”. Il che significava che l’Albania doveva rimanere “sorvegliata e sotto un allargato monitoraggio”. Secondo quanto previsto dalle normative che regolano il funzionamento di MONEYVAL, si stabilisce che “…gli Stati si possono mettere sotto sorveglianza allargata nel caso in cui si identificano delle serie incompatibilità con gli standard…”.  E si fa riferimento agli standard delle istituzioni dell’Unione europea! I paesi di quella “zona grigia” sono continuamente monitorati da parte di FATF e di MONEYVAL. L’autore di queste righe in quel periodo, riferendosi alle conclusioni dei due sopracitati rapporti e alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, scriveva che “…Cercare di corrompere tutti, tutti che si prestano alla tentazione della corruzione e ai profitti che ne derivano, nonostante nazionalità, madre lingue e cittadinanza, fa parte della strategia di gestione della cosa pubblica, quella realmente attuata in Albania” (Abusi e corruzione anche in tempi di pandemia; 4 maggio 2020). L’Albania, anche secondo l’ultimo Rapporto ufficiale del MONEYVAL per il 2021 e pubblicato nel marzo scorso, dopo le apposite verifiche fatte dal FATF, continua ad essere nella sopracitata “zona grigia”!

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di continuare ad informare il nostro lettore sul riciclaggio pericolosamente in aumento del denaro sporco in Albania, nonché della connivenza dei massimi rappresentanti del potere politico con la criminalità organizzata, sia quella locale che internazionale, ‘Ndrangheta compresa. Ma lo spazio non glielo permette. Egli è però convinto che si tratta di realtà malavitose che dovrebbero preoccupare molto. E non solo in Albania. Diventa perciò importante il consiglio di Giovanni Falcone “Seguite i soldi e troverete la mafia, è tutto lì!”.

  • Pericolose e preoccupanti presenze mafiose

    Quanto terribile è il pericolo che giace nascosto!

    Publilio Siro

    “In Europa, nel futuro, credo che ci impegneremo molto con l’Albania, perché la mafia albanese è molto forte. In Albania c’è un pauroso livello della [sua] diffusione e della corruzione”. Così dichiarava, nel 2019, ad un media italiano, Nicola Gratteri, il procuratore capo della Dda (Direzione distrettuale antimafia; n.d.a.) di Catanzaro. Un procuratore di lunga, spiccata ed apprezzata carriera professionale nella lotta contro le organizzazioni malavitose in Italia e, in particolare, contro la ‘Ndrangheta calabrese. Lo stesso procuratore ha coordinato e condotto con successo anche l’operazione denominata “Basso profilo”. Un’operazione avviata nel 2016 e finalizzata una decina di giorni fa. Sono state 48 le persone raggiunte da un provvedimento restrittivo; 13 sono finite in carcere e 35 agli arresti domiciliari. In più, l’operazione ha portato anche al sequestro di ingenti valori monetari, oggetti preziosi ed altri beni materiali. Il principale indagato è un imprenditore, Antonio Gallo, accusato di “associazione a delinquere di stampo mafioso e di essere l’imprenditore in grado di interloquire, anche direttamente, con i boss delle cosche”. In seguito l’imprenditore, ritenuto il “braccio imprenditoriale delle cosche”, durante gli interrogatori di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il 21 gennaio scorso, durante una conferenza stampa, il procuratore capo Gratteri ha reso noto anche alcuni importanti dettagli di quell’operazione contro la ‘Ndrangheta nella provincia di Crotone. “Quella di oggi è un’indagine che dimostra il rapporto diretto tra ‘Ndrangheta, imprenditoria e politica. Epicentro di tutto è l’imprenditore Antonio Gallo, una persona eclettica che lavorava su più piani, che si muoveva con grande disinvoltura quando aveva di fronte lo ’ndranghetista doc, l’imprenditore o il politico” ha dichiarato Gratteri. L’obiettivo dell’imprenditore, secondo il procuratore, era quello di “…creare un monopolio sul territorio, per avere la possibilità di vincere gare truccate per la fornitura di prodotti per la sicurezza sul lavoro o per le pulizie anche a livello nazionale. Ed ecco qui che avviene l’aggancio con la politica”.

    Subito dopo la conferenza stampa del procuratore Gratteri, i media in Albania sono riusciti ad avere anche altre informazioni più dettagliate, contenute in centinaia di pagine. Si tratta di trascrizioni delle intercettazioni ambientali e telefoniche degli indagati dal 2016 in poi. In Albania l’impatto è stato immediato e forte, suscitando irritazione e sdegno pubblico e reazione politica e mediatica, soprattutto da parte di quei pochi media non controllati dal governo. E non poteva essere altrimenti. Dalle intercettazioni telefoniche, nell’ambito dell’operazione “Basso profilo”, risultava che il soprannominato imprenditore calabrese, il “braccio imprenditoriale delle cosche”, parlava e si riferiva anche ai suoi altolocati contatti in Albania. Contatti che, grazie alle sue conoscenze ed amicizie con politici in Italia portavano, oltre a degli imprenditori e funzionari pubblici albanesi, anche direttamente al sindaco di Tirana e al primo ministro. L’imprenditore calabrese si è già inserito in Albania da qualche anno ormai, aprendo, in un’area centrale e molto frequentata di Tirana, un negozio di prodotti per la sicurezza sul lavoro. Una delle attività che cita anche il procuratore Gratteri durante la sua sopracitata conferenza stampa. Un negozio che è stato tra gli argomenti discussi in questi giorni in Albania. L’imprenditore era molto interessato a trovare i giusti contatti ed appoggi istituzionali in Albania per avere delle licenze di costruzione, soprattutto a Tirana. Ma era altresì interessato a vincere degli appalti nel campo delle infrastrutture, del trattamento dei rifiuti, della sanità ed altro. Era disposto, lui e/o chi lui rappresentava, di riconoscere e pagare anche le dovute “percentuali” che, nel caso delle costruzioni a Tirana, arrivavano fino al 20%! E, “guarda caso”, tutti gli scandali milionari in Albania durante questi ultimi anni, alcuni dei quali confermati anche dalla Corte dei Conti, riguardano proprio quelle attività. Attività che risulterebbero essere molto “ambite” ed altrettanto “appetitose” anche per la ‘Ndrangheta, come viene confermato dalle intercettazioni telefoniche relative all’operazione “Basso profile”. Come mai e chissà perché?!

    Sia dalla conferenza stampa del procuratore Gratteri che dalle affermazioni di questi giorni degli specialisti, italiani ed albanesi, risulterebbe che in Albania la ‘Ndrangheta stia cercando, tra l’altro, di riciclare ingenti somme di denaro sporco provenienti dalle sue attività malavitose. Una realtà questa, evidenziata e confermata durante questi ultimi anni anche da diverse istituzioni specializzate internazionali. Secondo il rapporto per il 2019 del MONEYVAL (Istituzione del Consiglio d’Europa, specializzata nella lotta contro il riciclaggio del denaro sporco ed il terrorismo; n.d.a.), l’Albania è stata inserita nella “zona grigia”, dove si raggruppano tutti i Paesi con grande rischio per il riciclaggio del denaro sporco. Dagli studi delle istituzioni internazionali specializzate risulterebbe altresì che delle 141 imprese edili che tra il 2017 ed il 2019 hanno avuto delle licenze di costruzioni più alte di sei piani il 59% di queste non avevano le necessarie capacità finanziarie per finire le costruzioni stesse. Ma hanno, comunque, finito di costruire! Il che significherebbe che in Albania realmente si stanno riciclando ingenti somme di denaro sporco provenienti dalle attività illecite e dalla corruzione.

    La pubblicazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche ha travolto e scombussolato i massimi rappresentanti della maggioranza governativa in Albania ed ha colto alla sprovvista e del tutto impreparata la propaganda governativa. Ma non è la prima volta durante queste ultime settimane (Peccati madornali e abusi peccaminosi, 25 gennaio 2021). Per cinque lunghi giorni, dopo la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, il primo ministro albanese non ha detto e neanche ha scritto niente in merito. Ha lasciato quel difficile compito ad alcuni, pochissimi suoi zelanti e fedeli collaboratori e a degli opinionisti a pagamento. Ma siccome l’eco dello scandalo stava seriamente e gravemente aumentando, allora, il 26 gennaio scorso, lui ha deciso finalmente di parlare. E parlando, con area molto turbata, non ha fatto altro che ripetere uno scenario già noto e mettere in scena tutte le volte in cui lui si è trovato in grandi difficoltà. Il primo ministro, come suo solito in queste situazioni, ha negato tutto, ha cercato di minimizzare e ridicolizzare quanto risultava dalle intercettazioni ed ha anche minacciato i giornalisti, gli opinionisti e i media che lui non controlla. Ha offeso tutti loro con parole degne soltanto degli ubriaconi e dei coatti. Il primo ministro ha dichiarato tra l’altro, ma con aria cupa, anche che il negozio di Tirana del “braccio imprenditoriale delle cosche” era ormai un’attività fallita. Mentre, guarda caso, circa un mese fa, il ministero degli Esteri aveva fatto molti acquisti proprio in quel “negozio fallito”!

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per meglio informare il nostro lettore su questi gravi sviluppi. Perché ci sono tanti significativi dettagli che confermerebbero le attività della criminalità organizzata, sia locale che internazionale, in Albania. Compresa quella della ‘Ndrangheta. Presenze apparentemente di “basso profilo” con dei “negozi”, spesso sull’orlo di “fallimento”, ma che, in realtà, sono stati concepiti proprio per permettere diverse operazioni societarie e trasferimenti bancari offshore, nonché per intervenire, raccomandati, ad avere appalti pubblici e rappresentare grandi interessi occulti e criminali. L’autore di queste righe è convinto che negare tutto e con forza, quando si trova in grandi difficoltà, è la prima propensione del primo ministro albanese. Negare tutto con arroganza e determinazione, usando insulti, offese e minacce, è ormai un misero ed accusatorio “déjà vu”. Il suo modo di reagire, negando tutto, dimostra e testimonia proprio l’opposto contrario di quello che lui cerca di affermare. Nel caso in questione, la sua reazione testimonierebbe la reale, pericolosa e preoccupante presenza delle cosche mafiose in Albania, ‘Ndrangheta compresa. Ma niente di tutto ciò poteva facilmente accadere senza il suo consenso e il suo beneplacito. E se lo ha fatto avrà avuto, senz’altro, anche lui il suo tornaconto. I cittadini albanesi e chi di dovere nelle cancellerie occidentali e nelle istituzioni dell’Unione europea devono sapere, però, che si tratta sempre di presenze terribili. Anche perché si sta cercando di tenere nascosto il pericolo. Un pericolo non solo per l’Albania e gli albanesi, ma anche per molti altri Paesi europei, Italia compresa. Come ha dichiarato già nel 2019 anche il procuratore capo Nicola Gratteri. E cioè che “In Europa, nel futuro, credo che ci impegneremo molto con l’Albania”.

  • Relazione della Dia al Parlamento: la criminalità organizzata dietro il gioco d’azzardo

    Con il gioco d’azzardo la criminalità organizzata dimostra tutta la sua abilità nel saper gestire attività lecite e illecite e nel far sembrare legale ciò che è in realtà illegale. E dimostra, ancora, tutta la sua abilità nel creare “relazioni internazionali” e nel sapersi muovere tra legislazioni di Paesi diversi, sapendo sfruttare le falle di ognuna. E’ quanto emerge dall’ultima relazione sull’attività della Direzione Investigativa Antimafia (Dia), presentata dal Ministro dell’Interno al Parlamento e relativa al periodo gennaio-giugno 2019.

    Le indagini della Dia hanno confermato che mafia, camorra, ‘ndrangheta, Sacra Corona Unita e i clan della mafie straniere (cinese e romena in particolare) sono coinvolte sia nel settore illegale delle scommesse, del gioco on line e delle slot machine, sia nella gestione legale di sale da gioco o punti di raccolta scommesse. Quando l’attività è legale serve soprattutto per riciclare denaro sporco.

    Diverse indagine hanno anche evidenziato che mafia, camorra e Sacra Corona collaborano tra loro per mettere in piedi sistemi di gioco illegale. “Un ambito in cui le cosche pugliesi continuano a dimostrare elevate competenze tecniche e capacità di interazione con le mafie tradizionali è quello del riciclaggio nei settori del gioco d’azzardo e delle scommesse on-line – si legge nel rapporto della Dia – . L’illecita raccolta delle puntate su giochi e scommesse, posta in essere sul territorio italiano attraverso società ubicate all’estero (al fine di aggirare la più rigida normativa sul sistema concessorio-autorizzatorio del nostro Paese), costituisce un indotto di portata strategica, come dimostrato dalle inchieste parallelamente condotte, a novembre del 2018, dalle Dda di Bari (operazione “Scommessa”), Reggio Calabria (operazione “Galassia”) e Catania (operazione “Gaming offline”) che hanno ricostruito una rete tra criminalità organizzata barese, ‘ndrangheta e  mafia siciliana. L’attività, svolta in modo pressoché sovrapponibile dalle tre consorterie criminali, ha consentito una capillare infiltrazione dell’intero settore della raccolta del gioco, assicurando di fatto una posizione di predominio alle famiglie mafiose rispetto agli operatori del circuito legale e contribuendo in maniera determinante a rendere difficoltosa l’attività di controllo da parte degli organi istituzionali preposti, favorendo così il reimpiego di capitali illeciti”.

    La criminalità organizzata inoltre sta puntando molto sul gioco d’azzardo on line, in particolare le scommesse sportive. L’online, tra l’altro, permette ai clan di mettere in piedi vere e proprie truffe, sempre legate al gioco d’azzardo, con il metodo del match fixing, ossia truccando e manipolando i risultati di incontri sportivi. Le indagini della Dia hanno così documentato “come anche le tecnologie offrano opportunità di infiltrazione, soprattutto in ambito transnazionale attraverso il sistematico ricorso a piattaforme di gioco predisposte per frodi informatiche, spesso allocate all’estero, che consentono l’evasione fiscale di consistenti somme di denaro”. Vengono aperte società di gaming e di betting in altri Paesi dell’Unione europea (soprattutto a Malta), che poi di fatto raccolgono scommesse o offrono giochi on line anche sul territorio italiano.

    E se non sono direttamente i clan a gestire il traffico, ci sono comunque imprenditori che, dietro una facciata di legalità, si appoggiano ai boss mafiosi per fare affari. “Recenti indagini di polizia giudiziaria hanno dimostrato che, non di rado, concessionari di siti legali (sovente proprietari anche di siti illegali) ed i loro ‘master’, per garantire la diffusione del proprio circuito di centri scommesse nel territorio, si sono rivolti direttamente ai vertici delle varie articolazioni territoriali di Cosa nostra, stringendo accordi illeciti”. Grazie all’operazione Game Over, è emerso, per esempio, che un imprenditore del settore, con l’appoggio della famiglia mafiosa di Partinico, riusciva a imporre il proprio circuito illegale di raccolta scommesse sportive in una vasta area anche di Palermo.

    Nelle 700 pagine della relazione della Dia (dedicata ovviamente a tutte le attività della criminalità organizzata) il gioco d’azzardo, legale o illegale, compare ormai come attività scelta dai clan a fianco ad altri settori più “classici” come il traffico di stupefacenti, le estorsioni o l’usura. E il fenomeno non riguarda solo le regioni del Sud Italia. Arresti e sequestri sono stati eseguiti un po’ in tutte le regioni, sia nelle grandi città come in piccoli comuni. A Roma e provincia “la vastità del territorio della città e la presenza di numerose attività commerciali fanno della Capitale un luogo favorevole per una silente infiltrazione delle organizzazioni mafiose del sud – scrive la Dia – . L’area metropolitana viene considerata un mercato su cui svolgere affari, piuttosto che un territorio da controllare. Pertanto, le presenze criminali autoctone sono diventate per le mafie tradizionali il volano per intessere relazioni e rapporti affaristici di reciproca convenienza. Rapporti che non possono prescindere da una rete di professionisti e di pubblici funzionari compiacenti e necessari per la gestione e il reinvestimento dei capitali mafiosi. Questo approccio ha indubbiamente favorito lo sviluppo di una ‘criminalità dei colletti bianchi’ che, attraverso prestanome e società fittizie, sfrutta il contesto per riciclare e reinvestire capitali illeciti”.

    La più attiva nel settore del gioco d’azzardo a Roma è la camorra, “attraverso la gestione diretta di attività imprenditoriali correlate al settore dei giochi e delle scommesse, costituite o rilevate con il reinvestimento di attività illecite, ma a propria volta produttrici di ulteriore ricchezza in favore della consorteria criminale”. Le indagini hanno fatto emergere anche il coinvolgimento dei Casamonica e del clan Spada nella gestione del gioco illecito.

  • E’ giunto il tempo di dare alle parole un senso compiuto

    Dopo 27 anni il ricordo di Paolo Borsellino sembra ancora vivo, dico sembra perché di lui, della sua tragica fine, insieme alla sua scorta, si parla molto nei giorni precedenti l’anniversario della strage ed ogni volta escono piccole verità, notizie fino a quel momento misteriosamente segregate o ignorate, e autorevoli voci  chiedono verità e giustizia ma, a distanza di tanti anni la verità e la giustizia ancora non ci sono date. Rimangono i misteri sulle indagini, sulla sua borsa, sulla sua agenda misteriosamente sparite e mai ritrovate.

    Poche persone, nel corso degli anni, hanno continuato ad indagare, a portare nelle scuole e negli incontri con i cittadini il messaggio di un magistrato che consapevolmente ha messo la sua vita a disposizione del suo Paese, dello Stato che rappresentava anche se, altrettanto consapevolmente temeva, sapeva che molti rappresentanti dello Stato non avevano né la sua integrità né perseguivano i suoi stessi obiettivi ed ideali perché la criminalità, la mafia, il potere, la corruzione e l’infingardaggine appartengono anche ad una parte della così  dette élite, non sono prerogativa esclusiva del popolo, anzi.

    In Italia tanti, troppi misteri si assommano negli anni e la ricostruzione degli eventi, dopo tutto il tempo trascorso, non dà molta fiducia né per le poche sentenze né per i tanti casi rimasti aperti. Siamo il Paese che, fortunatamente, fino ad ora è scampato agli attacchi terroristici islamisti ma siamo anche il Paese che ha vissuto gli anni di piombo, che ha visto morire troppi magistrati, che, di fatto ha lasciato che il Generale Dalla Chiesa e sua moglie andassero incontro alla morte. Siamo il Paese nel quale la ‘ndrangheta ha potuto infiltrarsi non solo nell’economia e nella politica e dove per ogni importante arresto di mafia apprendiamo, poco dopo, che la mafia infiltra con i suoi voti troppe elezioni e troppe scelte. Perseguiamo  i piccoli evasori ma la corruzione regna sovrana e nessuno mette mano alla semplificazione e riduzione delle farraginose leggi e normative perché se lo si facesse sarebbe più facile, e perciò non funzionale al sistema delle corruttele, fare una giustizia giusta. Siamo il Paese delle parole e delle promesse non il paese dei fatti e delle certezze.

    Paolo Borsellino resta nei cuori delle persone semplici ed oneste, dei giovani che credono ancora che comunque vale la pena impegnarsi, che la vita è anche senso del dovere, rispetto per la missione che si è scelta, amore per la propria famiglia e perciò amore per la gente, per le persone e alle persone va garantita giustizia e libertà, anche a costo della vita. Troppi esempi nobili hanno versato il proprio sangue, è arrivato il tempo di dare alle parole un senso compiuto: le massime istituzioni hanno i mezzi per trovare e dirci quella verità che per troppo tempo è stata negata, lo facciano.

  • Le ecomafie lucrano sugli animali d’affezione, lo denuncia Legambiente

    In più occasioni abbiamo denunciato le attività criminali che guadagnano sulla pelle degli animali, dal traffico di cani per la vivisezione, alla vendita illegali di cuccioli importati, senza documenti e vaccinazioni, dai paesi dell’est agli innumerevoli combattimenti tra cani ed alle corse illegali di cavalli, per non parlare dei canili retti da gente di malaffare che fa morire gli animali e si intasca i soldi della pubblica amministrazione. Un giro criminale molto ampio e molto lucroso che, nonostante gli interventi di carabinieri e polizia, non si riesce ad arrestare. Nei giorni scorsi è stato presentato a Roma, alla  presenza anche del presidente dell’ANMVI, il rapporto 2018 sulle ecomafie redatto da Legambiente. Dal rapporto emergono i gravi danni derivanti dal ciclo illegale del cemento e delle costruzioni, dei rifiuti, dalla filiera alimentare ed dal racket degli animali. Il business delle ecomafie raggiunge ormai più di 16,6 miliardi di euro, un business che Legambiente denuncia sia gestito da 368 clan. Le illegalità nel settore agroalimentare sono 44.795, le infrazioni ai danni dei prodotti Made in Italy sono aumentate rispetto all’anno precedente del 35 per cento, il fatturato illegale, considerando il valore delle merci sequestrate, arriva a 1,4 miliardi. In aumento anche i reati che vedono coinvolti gli animali d’affezione e la fauna selvatica, circa 20 reati al giorno. Unica notizia positiva i risultati della Legge 68/2915 che recepisce la direttiva europea del 1999 sulla tutela biennale e che è stata applicata per 1100 eco reati, la legge innalza i controlli ambientali e prevede un aumento di pena quando il reato è perpetrato in un’area naturale protetta o commesso contro specie animali o vegetali tutelati. Legambiente ha chiesto un maggiore sforzo da parte del governo sia per formare operatori specifici sia per riconoscere diritti propri degli animali anche all’interno della nostra Costituzione e per inserire all’interno del titolo VI bis del Codice penale un articolo che preveda sanzioni veramente efficaci contro tutti coloro che commettano crimini contro gli animali e le specie protette di fauna e flora. Per combattere le frodi commesse nell’agroalimentare la storica associazione chiede siano introdotti i reati di disastro sanitario e di omesso ritiro di sostanze alimentari pericolose. Speriamo che il ministro dell’Ambiente abbia la capacità e la forza di accogliere queste richieste.

  • Di legalità si parla anche d’estate

    Si svolgerà a Mattinata (FG), dall’11 luglio al 27 settembre la seconda edizione di PacificAzione, rassegna di incontri organizzata dall’omonimo meet-up per la legalità e l’integrazione sociale nato nel centro garganico dall’idea di alcuni cittadini attivi con la volontà di non omologarsi ad uno stato di abbandono culturale nel quale l’illegalità ed il malaffare trovano linfa vitale. Tutti gli appuntamenti infatti avranno come fil rouge la cultura della legalità e la sua divulgazione, tema e luogo scelto non casuali visto che l’intero territorio del promontorio del Gargano, negli ultimi anni, è balzato agli onori della cronaca per una serie di efferati omicidi e numerosi casi di ‘lupara bianca’. ‘Quarta Mafia’ è stata definita, oggi che una serie di eventi sanguinosi ha destato l’attenzione dei media nazionali, ma nessuno sembrava avere mai avuto il sentore della sua esistenza, sottovalutandola e relegandola, solo in occasione di episodi particolarmente violenti, a moderna forma di ‘abigeato’, o di delinquenza locale, con la sua dote di omicidi e vendette trasversali. La mafia, si diceva, in Puglia, aveva altro campo di azione, il Salento, dove ‘operava’ dagli anni ’80 la Sacra Corona Unita, nata nel carcere di Bari da una costola della ‘drangheta calabrese per contrastare la diramazione della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Il tempo ha poi dimostrato che purtroppo la realtà era diversa e che tutta la regione, seppure a macchia di leopardo, aveva visto sviluppare il fenomeno mafioso sul proprio territorio. E così accade che il 9 agosto del 2017, nelle campagne di San Marco in Lamis, altro comune garganico, due fratelli, Luigi e Aurelio Luciani, vengono barbaramente assassinati per aver assistito, involontariamente, all’omicidio del boss Mario Luciano Romito e del cognato Matteo De Palma che gli faceva da autista. L’avvenimento suscita sdegno tra la gente e curiosità nei media. I primi reagiscono con manifestazioni di piazza denunciando quanto accade da anni, anche se taciuto o negato fino a quel giorno, gli altri decidono di approfondire la storia e la cronaca. E così, come il vaso di Pandora scoperchiato, emergono altre storie, passate e recenti, ogni omicidio successivo a quel 9 agosto è seguito con attenzione, si scoprono legami tra amministratori locali, imprenditori e personaggi legati alla malavita. La ‘Quarta Mafia’, purtroppo o finalmente, è degna di essere raccontata. E denunciata. Qualcuno trova il coraggio di reagire, cominciano a nascere associazioni antiracket e movimenti voluti dai cittadini, come PacificAzione che in pochi mesi ha realizzato numerose iniziative tra le quali il progetto FABLES “Formazione degli Adulti e dei Bambini alla Legalità e all’Educazione Sociale”, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Scolastico e la Parrocchia S. Maria della Luce, culminato lo scorso 18 maggio con “Un passo alla volta: in Marcia per la Legalità”, evento tenutosi per le vie cittadine di Mattinata al quale hanno partecipato i sindaci dei comuni limitrofi, le rappresentanze istituzionali e padre Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo.

    Nell’edizione 2019 numerose le testimonianze d’eccezione dei protagonisti della lotta alla Quarta Mafia, con particolare attenzione al mondo imprenditoriale con due incontri dedicati alle tematiche del racket e delle possibili strategie di sviluppo per arginare e combattere il sistema mafioso, presentazione di libri coraggiosi con la presenza degli autori con i quali sarà possibile dialogare e confrontarsi oltre all’analisi del rapporto tra giornalismo e fake news.

    Questo percorso di cultura della legalità è condiviso con altri soggetti ed associazioni che vivono quotidianamente il territorio garganico e dell’intera provincia di Foggia: Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane, Associazione Antiracket di Vieste, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Foggia, Confcommercio Foggia, Parrocchia Santa Maria della Luce di Mattinata, Azione Cattolica Diocesana – Manfredonia – San Giovanni – Rotondo – Vieste. Menzione speciale per l’Associazione LIBERA coordinamento provinciale di Foggia che oltre a sostenere PacificAzione si occupa anche di supportare tecnicamente l’iniziativa che rappresenta una tappa fondamentale del percorso avviato a settembre 2018 e che porterà associazioni e liberi cittadini di Mattinata alla costituzione ufficiale del presidio cittadino di LIBERA.

    Di seguito il calendario completo degli appuntamenti:

    Giovedì 11 luglio ore 19.30 – c/o Piazzale parrocchiale chiesa SS. Maria della Luce
    Presentazione del libro “TI MANGIO IL CUORE” – in collaborazione con FELTRINELLI EDITORE

    • Carlo BONINI e Giuliano Foschini (giornalisti di REPUBBLICA e autori del libro)
    • Modera Cristian PAOLINI – giornalista Sky

     

    Martedì 16 luglio ore 19.30 – c/o MadMall Via T. Tasso, snc
    La Quarta Mafia – Il racconto degli inquirenti –  in collaborazione con LIBERA Coordinamento di Foggia

    • Ludovico VACCARO procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Foggia
    • Daniela Marcone vice presidente nazionale di LIBERA
    • Modera Giovanna GRECO – giornalista foggiatoday.it

     

    Sabato 20 luglio ore 19.30 – c/o Piazzale parrocchiale chiesa SS. Maria della Luce
    Giornalismo VS Fake News – Presentazione del libro SLOW JOURNALISM – in collaborazione con FANDANGO EDITORE e ORDINE DEI GIORNALISTI DI PUGLIA

    • Daniele NALBONE co-autore del libro SLOW JOURNALISM
    • Piero RICCI presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia
    • Modera Antonella SOCCIO – giornalista bonculture

     

    Mercoledì 24 luglio ore 19.30 – c/o MadMall Via T. Tasso, snc
    La legalità attraverso la rinnovata fiducia nel progresso economico – in collaborazione con CCIAA di Foggia, Associazione FAI ANTIRACKET di Vieste e FAI Federazione Antiracket Italiana

    • Fabio PORRECA presidente della CCIAA di Foggia
    • Nicola ROSIELLO presidente della Associazione FAI ANTIRACKET di Vieste
    • Damiano GELSOMINO presidente Confcommercio Foggia
    • Modera Pietro LOFFREDO – giornalista Telenorba

     

    Giovedì 8 agosto ore 19.30 – c/o MadMall Via T. Tasso, snc
    La Quarta Mafia – Il racconto degli investigatori – Incontro pubblico in collaborazione con LIBERA Coordinamento di Foggia

    • Marco AQUILIO colonnello dell’Arma dei Carabinieri – Comandante Provinciale di Foggia
    • Modera Felice SBLENDORIO – giornalista bonculture

     

    Lunedì 26 agosto ore 19.30 – c/o MadMall Via T. Tasso, snc
    La Mafia esiste ma ora lo Stato c’è  – presentazione del libro “LA LUPA” – in collaborazione con SEM EDITORE

    • Piernicola SILVIS scrittore ed ex-questore di Foggia
    • Modera Giacinto PINTO – giornalista RAI

     

    Giovedì 19 settembre ore 18.30 – c/o Piazzale parrocchiale chiesa SS. Maria della Luce
    Il presidio di LIBERA di San Marco in Lamis incontra la comunità di Mattinata – in collaborazione con LIBERA Coordinamento di Foggia

    • Marianna e Arcangela LUCIANI vedove dei Fratelli Luciani
    • Modera Gennaro TEDESCO – giornalista e autore

     

    27 settembre ore 18.30 – c/o Piazzale parrocchiale chiesa SS. Maria della Luce
    Le nuove infrastrutture per lo sviluppo e la rinascita del Territorio – in collaborazione Studio VALLE, ALIDAUNIA

    • Gerardo NAPPA architetto e progettista ampliamento pista aeroporto Gino Lisa Foggia
    • Roberto PUCILLO proprietario e direttore generale Alidaunia Srl
    • Modera Dino SORGONA’ – giornalista RAI
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