malattie

  • Obesità adolescenziale in crescita, in particolare nei maschi: allarme per i rischi cardiovascolari già in giovane età

    Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero di bambini e adolescenti obesi tra i 5 e 19 anni nel mondo è aumentato di 10 volte negli ultimi 40 anni. Attualmente in Europa il 59% degli adulti e quasi 1 bambino su 3 è in sovrappeso od obeso, e in Italia la situazione non è migliore: il 43% degli adulti ha un eccesso ponderale, con punte del 49% in Puglia. Inoltre, secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre il 22% degli adolescenti italiani presenta un eccesso ponderale. Tra i maschi di 17 anni, la quota sale a quasi il 24%, con un 3,9% classificato come obeso.
    Il trend, che fino a pochi anni fa sembrava in lieve diminuzione, sta nuovamente crescendo, soprattutto nella fascia 11–14 anni. Inoltre, a livello globale, un rapporto OMS ha stimato che nel 2022 l’obesità infantile e adolescenziale in Italia ha raggiunto livelli circa quattro volte superiori rispetto al 1990 (​epicentro.iss.it). Ancora più preoccupante è la distribuzione geografica del fenomeno: le prevalenze più elevate di obesità tra i giovani si osservano nelle regioni del Sud Italia​ (epicentro.iss.it). Le regioni meridionali come la Campania presentano tassi di adolescenti sovrappeso/obesi superiori al 25-30%, con la Puglia al 27%, mentre in alcune regioni del Nord (es. Trentino Alto Adige) tali valori scendono sotto il 15%​ (epicentro.iss.it). In generale, almeno 1 adolescente su 4 nel Mezzogiorno risulta in eccesso di peso, a fronte di quote sensibilmente inferiori nelle regioni settentrionali​.
    Il Progetto Scuola della Fondazione Foresta ETS, partito lo scorso ottobre a Padova, ha coinvolto quasi seimila studenti delle scuole superiori. I dati raccolti confermano un quadro preoccupante: i giovani maschi sono più frequentemente obesi rispetto alle coetanee (18% vs 12%), e questa forbice è sempre più ampia rispetto a 8 anni fa quando la differenza era di soli due punti percentuali. Le conseguenze sulla salute non sono trascurabili e includono certamente le disfunzioni sessuali (già il 20% degli obesi dichiara di avere almeno una disfunzione sessuale già a 18 anni, contro meno del 10% dei coetanei normopeso), ma anche i tipici fattori di rischio cardiovascolare dell’adulto, come ipertensione, iperglicemia e ipercolesterolemia.

    Uno studio condotto dall’equipe del prof. Foresta in collaborazione col prof. Andrea Di Nisio dell’Università Pegaso, su oltre 100 ragazzi italiani tra 11 e 14 anni, nell’ambito di un progetto di prevenzione dell’obesità e della salute andrologica e pubblicato sulla rivista internazionale Endocrine, ha mostrato dati preoccupanti.
    Quasi la metà del campione era in sovrappeso o obeso. Un elemento chiave emerso è la diffusa carenza di vitamina D: Il 92% dei ragazzi obesi e il 76% dei normopeso risultavano avere livelli insufficienti. Tale carenza si è rivelata essere un indicatore indipendente di accumulo di fattori di rischio cardiovascolare, anche nei soggetti normopeso. In condizioni di ipovitaminosi D, cioè con livelli inferiori a 30 ng/ml, la probabilità di presentare almeno un fattore di rischio risultava aumentata del 31% nella popolazione totale e del 41% tra i ragazzi in eccesso ponderale. Nei casi di carenza grave (inferiore a 20 ng/ml), il rischio risultava addirittura raddoppiato.
    “Questo studio dimostra che l’obesità adolescenziale espone i ragazzi, già in tenera età, a fattori di rischio cardiometabolico, che se non corretti nell’adulto possono svilupparsi precocemente in patologie cardiovascolari severe, per non parlare del rischio di ipogonadismo ed infertilità, confermato già da diversi studi che mostrano come la funzionalità testicolare del giovane obeso sia già alterata e si mantenga tale durante tutto la fase di sviluppo sessuale dell’adolescenza” conclude Foresta.
    Lo studio, illustrato a Lecce presso il Mercure Hotel President, nelle giornate del 9 e del 10 maggio all’interno del XVIII convegno di endocrinologia e medicina della sessualità sul tema “Obesità, osteoporosi, infertilità: un complesso sindromico dilagante” dimostra come queste tre patologie sono frequentemente interconnesse, soprattutto nel maschio infertile e indipendentemente dall’invecchiamento. Basti pensare che quasi il 50% dei giovani infertili è infatti obeso, ipogonadico e presenta una ridotta densità dell’osso, prodromica all’osteoporosi.

  • Allarme sanitario dell’Unicef per l’Africa sudorientale

    Le emergenze sanitarie, tra cui i focolai di colera, di vaiolo e, più recentemente, di febbri emorragiche virali, rappresentano una minaccia significativa per la sicurezza e il benessere di milioni di bambini nell’Africa orientale e meridionale. Lo denuncia in una nota il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), secondo cui l’elevato numero di crisi sanitarie, spesso aggravate da shock climatici, sta colpendo comunità già vulnerabili e aggrava i rischi per i bambini della regione. “L’allarmante frequenza delle emergenze sanitarie e delle epidemie nella regione sta distruggendo le reti di sicurezza vitali per i bambini, privandoli del diritto a un ambiente sicuro e accogliente”, ha dichiarato Etleva Kadilli, direttrice regionale dell’Unicef per l’Africa orientale e meridionale. “Le parti interessate a livello globale e regionale devono unirsi per rafforzare i sistemi di protezione offerti dalle famiglie, dalle comunità e dai servizi statali per garantire che ogni bambino possa crescere, anche di fronte a molteplici sfide”, ha aggiunto.

    Nel 2025, 17 Paesi dell’Africa orientale e meridionale sono alle prese con molteplici emergenze sanitarie, la maggior parte delle quali è costituita da focolai di malattie prevenibili da vaccino come la poliomielite, il morbillo e la difterite. Anni di tassi di immunizzazione stagnanti e in calo in molti Paesi della regione hanno portato a una recrudescenza di queste malattie prevenibili. La regione sta vivendo importanti focolai di febbri emorragiche virali, tra cui la malattia da virus Marburg in Tanzania e la malattia di Ebola causata dal virus Sudan in Uganda. Inoltre, il vaiolo continua a rappresentare un problema sanitario significativo, in particolare in Burundi e Uganda, con rischi di trasmissione transfrontaliera a causa degli elevati livelli di movimento della popolazione. Inoltre, il colera sta attualmente colpendo 12 Paesi, tra cui Angola, Burundi, Sud Sudan, Zambia e Zimbabwe, con la regione che registra il maggior numero di decessi per colera e diarrea acquosa acuta a livello globale. I bambini sono intrinsecamente più vulnerabili all’impatto fisico di queste malattie a causa del loro sistema immunitario in via di sviluppo e delle loro caratteristiche fisiologiche uniche. I rischi sono ancora maggiori per i bambini che soffrono di malnutrizione.

    Inoltre, quando un membro della famiglia si ammala, è più probabile che i bambini sperimentino un disagio psicologico e siano maggiormente a rischio di abusi, violenze o addirittura lavoro minorile come strategia di sopravvivenza per le famiglie colpite. I rischi per i bambini, in particolare per le bambine, che spesso sono responsabili dell’assistenza ai membri della famiglia colpiti, aumentano con il convergere di crisi multiple. Durante le emergenze sanitarie, le donne e le bambine sono spesso a maggior rischio di abusi sessuali, violenza e sfruttamento a causa della separazione familiare, dell’interruzione dei servizi sociali come l’istruzione e l’assistenza sanitaria e della maggiore vulnerabilità economica. Queste emergenze concomitanti e spesso cicliche mettono a dura prova le capacità di risposta, compromettendo gli importanti risultati ottenuti nel rafforzamento dei servizi sociali. Oltre a fornire forniture essenziali, lavorare con le comunità e sostenere l’accesso all’istruzione, alla salute, alla nutrizione, all’acqua e ai servizi igienici, l’Unicef sta lavorando in tutta la regione per proteggere i bambini da abusi, sfruttamento e violenza.

    L’Agenzia Onu sta inoltre lavorando per garantire la continuazione dei servizi essenziali per i bambini in modo sicuro, rispettoso e dignitoso per le bambine e i bambini di tutte le età, compresi i bambini con disabilità e altri gruppi vulnerabili. Tuttavia, data la portata delle emergenze sanitarie, l’aumento dei finanziamenti e il sostegno internazionale restano fondamentali. “In qualsiasi emergenza, i bambini e le persone più vulnerabili sono quelli che soffrono di più”, ha dichiarato Kadilli. “Oltre agli investimenti nelle infrastrutture e nei servizi essenziali, alla promozione dell’immunizzazione di routine e all’intervento sui determinanti sociali della salute, è necessario continuare a dare priorità a finanziamenti sostenuti per gli sforzi di protezione, al fine di sostenere il benessere generale dei bambini nella regione”, ha concluso.

  • L’Ue apre alle terapie a base di psichedelici

    Si chiama PsyPal ed è il primo progetto di ricerca clinica finanziato con 6,5 milioni di euro del programma Horizon Europe dell’Ue che indagherà sui trattamenti per la salute mentale assistiti da sostanze psichedeliche. PsyPal ricercherà i potenziali della terapia assistita da psilocibina per alleviare l’ansia e la depressione nei pazienti in cure palliative e in particolar modo si concentrerà su pazienti con malattia polmonare ostruttiva cronica, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica e morbo di Parkinson atipico. Il progetto coinvolge 19 organizzazioni provenienti da 9 Paesi europei, con circa 100 pazienti che saranno reclutati in 4 diversi siti clinici in tutta Europa.

    Il progetto è stato presentato al Parlamento europeo il 9 aprile 2024 grazie all’eurodeputato Cyrus Engerer del “Gruppo di interesse MEP per la salute mentale e le condizioni neurologiche” e del “Gruppo d’azione per l’uso medico delle sostanze psichedeliche”.

    Gli psichedelici sono per la maggior parte illegali in tutta Europa perché nelle Convenzioni delle Nazioni Unite si trovano nella tabella 1, quella per cui non sono riconosciuti ufficialmente per uso medico, ma recentemente la ricerca è tornata a suggerire che gli psichedelici hanno un potenziale significativo per la gestione dei disturbi di salute mentale come il disturbo da stress post-traumatico, l’anoressia e la depressione. L’Australia è stata il primo paese al mondo a regolamentarne ufficialmente l’uso medico mentre negli Usa l’apertura alla sperimentazione di simile terapia si è bloccata. L’Italia ha recentemente ospitato un convengo tra specialisti di tutto il mondo per fare il punto sia sul percorso terapeutico che sul quadro normativo entro cui l’apertura della Ue possa concretizzarsi nei singoli Paesi.

  • I cibi pronti vanno consumati con parsimonia

    Non soltanto piatti pronti, ma anche il pane quando confezionato con emulsionanti o stabilizzanti chimici, persino l’inimmaginabile yogurt se prodotto con additivi e aromi. I cibi ultra processati, cioè trasformati secondo processi industriali, stanno pian piano diventando la base della nostra dieta quotidiana. Il loro consumo è in aumento in tutto il mondo: costituiscono circa il 60% dell’apporto calorico giornaliero di Paesi ad alto reddito come Stati Uniti e Regno Unito.

    Gli alimenti ultra-processati sono però ricchi di additivi e grassi ma poveri di fibre e nutrienti, e quindi sono tanto invitanti per il palato quanto estremamente dannosi per la salute. Contengono infatti una lunga lista di ingredienti (da cinque in su) di cui molti sono additivi artificiali (coloranti, emulsionanti, edulcoranti o addensanti) usati allo scopo di esaltarne i sapori e renderne più gradevole la consistenza. Nel fare la spesa bisognerebbe tenere a mente innanzitutto che meno ingredienti ci sono sull’etichetta, più è probabile che il prodotto sia salutare mentre quando ingredienti ed additivi si moltiplicano aumenta la possibilità che il cibo sia super-lavorato e quindi da consumare con parsimonia.

    “Un consiglio che possiamo dare per ridurre il consumo di cibi ultra-processati – afferma Carlotta Franchi, responsabile del Laboratorio di Farmacoepidemiologia e Nutrizione Umana dell’Istituto Mario Negri – è quello di imparare a leggere con attenzione le etichette alimentari per fare acquisti consapevoli. È importante cercare di riempire il carrello della propria spesa prevalentemente con cibi freschi o minimamente processati come frutta, verdura, cereali integrali, legumi, pesce e carne magra, da cucinare a casa. È anche importante imparare a pianificare i pasti, così da non trovarsi a dover ricorrere a soluzioni rapide e poco salutari, al di fuori dell’ambiente domestico. Inoltre iniziare a fare piccoli cambiamenti, come sostituire uno snack confezionato con della frutta o uno yogurt naturale, può fare una grande differenza nel tempo. E per le mamme è importante adottare ed educare i loro bambini ad uno stile alimentare sano fin dai primi mesi di vita, in modo da non trascinare abitudini scorrette negli anni a venire”.

    Uno studio pubblicato su Nature Review Immunology ha evidenziato un collegamento tra diete ricche di cibi ultra-processati e un aumento del rischio di sviluppare malattie legate a disfunzioni del sistema immunitario, come la malattia infiammatoria intestinale (disturbo legato a varie patologie tra cui colite ulcerosa, Morbo di Crohn e colite ischemica) e malattie autoimmuni (ad esempio la celiachia, la tiroidite di Hashimoto, la sclerosi multipla, il lupus eritematoso sistemico o il diabete di tipo1).

    Un alto studio, pubblicato su The Lancet, “European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (Epic)”, che ha coinvolto più di 250mila volontari di sette paesi europei, ha evidenziato che maggiore è il consumo di alimenti ultra-processati, più alto è il rischio di soffrire di multimorbilità, ossia di una combinazione di due o più malattie croniche tra cui cancro, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. Infine, un altro studio, durato ben 30 anni condotto dalla TH Chan School of Public Health dell’Università di Harvard e pubblicato sul British Medical Journal, ha rivelato che un consumo eccessivo di alimenti ultra-processati è associato a un aumento del 4% del tasso di mortalità. L’aumento del rischio di mortalità per i consumatori assidui di cibi ultra-processati è stato confermato anche da una ricerca condotta dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli (IS) e pubblicata sull’ American Journal of Clinical Nutrition.

  • Bimba allergica al frumento muore dopo aver mangiato un piatto di gnocchi

    Una bambina di 9 anni allergica al frumento è morta in seguito a uno shock anafilattico a Roma, dopo aver mangiato un piatto di gnocchi.

    “L’allergia e le forme pseudoallergiche legate al frumento sono molto rare si va dallo 0,1% nel primo caso all’1,3% nel secondo caso rispetto alla popolazione generale”. Lo ha detto all’AGI, Vincenzo Patella, allergologo e presidente della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC). La minorenne aveva mangiato un piatto di gnocchi. “Una situazione del genere – ha continuato Patella – è legata spesso a delle sensibilizzazione crociate. La bambina potrebbe essersi sensibilizzata con qualche altra sostanza poi ha incontrato di nuovo l’allergene nascosto nella pasta e si è avuta la reazione violenta. Se in passato invece non c’è mai stata una sensibilizzazione, va valutato se all’interno di questo cibo c’era una quantità di sostanze istamino-liberatrici che ha potuto scatenare una crisi anafilattica. Di solito è il tempo rivelatore: una reazione che avviene entro mezz’ora dal pasto senza alcun esercizio fisico molto spesso è legata alla sensibilizzazione precedente. Se invece la reazione c’è stata dopo il pasto ma è passato più tempo o addirittura è stata associata anche un’attività fisica allora ci troveremo di fronte a queste forme pseudoallergiche dove l’elemento scatenante è legato a sostanze istamino-liberatrici. Naturalmente vanno anche considerati dati più specifici come ad esempio se la bambina era figlia di soggetti allergici, se in passato aveva avuto altre manifestazioni anche allo svezzamento come problemi di dermatite atopica o di asma”.

    Per quel che riguarda i consigli per affrontare situazioni del genere “E’ bene – ha concluso Patella – in via preventiva che chi è un soggetto allergico e ha avuto una piccola avvisaglia con una reazione come un gonfiore alle labbra o un prurito mangiando ad esempio frutta a guscio ma anche alcune verdure come la rucola, faccia un approfondimento diagnostico per valutare se ha delle reazioni crociate con il cibo e i pollini. Nel momento della crisi è importante chiamare i soccorsi al 118, liberare le vie aeree e alzare le gambe della persona colpita dopo averla fatta stendere per favorire la circolazione. In queste situazioni poi sarà necessaria la somministrazione di adrenalina che rappresenta il farmaco d’elezione in questi casi”.

  • Oltre 1400 le specie di pipistrelli. Infettive, se l’uomo va a distruggere i loro habitat

    Su Sette del Corriere della Sera la virologa Ilaria Capua ricorda che in natura esistono oltre 1400 specie di pipistrelli (come paragone ci sono 38 specie di felini, dal leone al micetto, e 36 di canidi, dal lupo al chihuahua) e che sono animali davvero peculiari: mammiferi che volano (una caratteristica più unica che rara), possono avere anche oltre un metro e mezzo di apertura alare o pesare meno di due grammi; alcuni mangiano la frutta, altri succhiano il sangue dal bestiame, altri ancora sono insettivori e mangiano le zanzare.

    «I pipistrelli – scrive Capua – ospitano e trasportano i Coronavirus (Sars Cov1 ed il progenitore di Sars Cov2, che ha causato il COVID) oltre al Coronavirus mediorientale (MERS), ai Lyssavirus, responsabili di alcune forme di rabbia, ma anche virus molto aggressivi come Nipah e Hendra che arrivano all’uomo dopo un passaggio dal pipistrello rispettivamente nel suino e nel cavallo.
    Proprio in questi giorni (novembre ndr) si parla di un’epidemia di virus di Marburg in Ruanda ed anche questo virus, insieme con il suo cugino virus di Ebola, sono mantenuti in natura dai pipistrelli che in alcune zone dell’Africa vengono cacciati e poi mangiati. Questi due cuginetti appartengono alla famiglia Filoviridae e sono fra i virus più letali che conosciamo. Alcune varianti virali arrivano a toccare tassi di mortalità del 90% nell’uomo: se si infettano 100 persone, 90 muoiono».

    La scienziata avverte ancora che «molti focolai di queste brutte malattie che sono ospitate dai pipistrelli avvengono nel Sud del mondo oppure nel Sud-est asiatico, lì dove la povertà fa da regina e le norme igieniche non esistono. Esiste però la possibilità che queste infezioni raggiungano le grandi città e poi salgano sulle ali di un aereo grazie ad un passeggero infetto. Ed ecco che un’infezione presente in una caverna della giungla africana può arrivare in occidente». E suggerisce: «Dobbiamo soltanto lasciarli in pace. Le attività di deforestazione e di crescita degli insediamenti urbani verso le foreste, o verso zone segregate come le caverne, fanno sì che i pipistrelli entrino sempre più a contatto con gli esseri umani e con gli animali domestici con la conseguenza che le occasioni di spillover si moltiplichino in maniera esponenziale. In sintesi: se noi lasciamo in pace loro, loro lasceranno in pace noi».

  • Pandemie no, ma epidemie tante. E i virus sono sempre più evoluti e pericolosi per l’uomo

    Solo nel 2024 si sono già verificate nel mondo 17 epidemie di malattie pericolose e in particolare quelle dovute al virus Marburg, al vaiolo delle scimmie (Mpox) e all’ultimo ceppo di influenza aviaria. Si tratta di «un duro promemoria della vulnerabilità del mondo alle pandemie» secondo quanto ha scritto l’organizzazione mondiale della Sanità nel rapporto del Global Preparedness Monitoring Board (Consiglio di monitoraggio della preparazione globale), col quale mette in guardia da «una serie di rischi che aumentano la probabilità di nuove pandemie».

    La mancanza di fiducia tra e all’interno dei Paesi, la disuguaglianza, l’agricoltura intensiva e la probabilità di contaminazione tra esseri umani e animali sono tra le principali minacce identificate, ma c’è anche una buona notizia, seppur passibile di smentite future. Fino a metà 2024, non esistono prove di trasmissione da uomo a uomo del virus H5N1. Tra il 2003 e l’1 aprile 2024, l’Oms ha dichiarato di aver registrato un totale di 889 casi umani di influenza aviaria in 23 paesi, inclusi 463 decessi, portando il tasso di mortalità al 52%, ma complessivamente i casi di trasmissione all’uomo sono molto rari. Il problema però è che il virus ha colpito e provocato la morte anche molte specie di mammiferi e tra questi ultimi vi sono molti animali con cui l’uomo ha molta prossimità, come ha sottolineato Jeremy Farrar, capo dell’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite, in una conferenza stampa a Ginevra, avvertendo che «questo virus è solo alla ricerca di nuovi ospiti. È una vera preoccupazione». Farrar ha anche affermato che sono in corso sforzi per lo sviluppo di vaccini e terapie per l’H5N1 e ha sottolineato la necessità di garantire che le autorità sanitarie regionali e nazionali di tutto il mondo abbiano la capacità di diagnosticare il virus, in modo che «se l’H5N1 arrivasse agli esseri umani, con trasmissione da uomo a uomo, il mondo sarebbe in grado di rispondere immediatamente».

    In un recente rapporto anche l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa) hanno espresso forte preoccupazione: «Se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala». In piena pandemia, nel 2020, è inoltre comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione. Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti.

  • Firmato il primo accordo HERA Invest per sostenere ricerca e sviluppo nel settore delle minacce per la salute a carattere transfrontaliero

    La Commissione, mediante l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA) e la Banca europea per gli investimenti, ha firmato un accordo da 20 milioni di € con la società biofarmaceutica francese Fabentech. Ciò aiuterà l’azienda a sviluppare e diffondere medicinali ad ampio spettro al fine di combattere le minacce biologiche per la salute pubblica.

    L’accordo odierno è il primo nel suo genere nell’ambito di HERA Invest. Sono in fase di preparazione ulteriori investimenti con altre imprese europee, che permetteranno di stimolare l’innovazione per rispondere a minacce sanitarie prioritarie quali patogeni ad alto potenziale pandemico, minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari (CBRN) e resistenza agli antibiotici.

    Nel 2022 l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, insieme agli Stati membri, ha individuato tre specifiche minacce per la salute ad alto impatto alle quali è fondamentale prepararsi a rispondere. Per garantire la disponibilità e l’accessibilità delle contromisure mediche, l’HERA sostiene lo sviluppo, la capacità di produzione e l’espansione della produzione, dell’approvvigionamento e della potenziale costituzione di scorte di medicinali, strumenti diagnostici, dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale, nonché di altre contromisure mediche. In quest’ottica l’HERA ha collaborato con la Banca europea per gli investimenti per predisporre HERA Invest.

  • Consegnate al Congo le prime 200mila dosi di vaccini per il vaiolo delle scimmie

    Le prime 200 mila dosi di vaccini contro il Mpox, precedentemente noto come vaiolo delle scimmie, sono state consegnate a partire dal giovedì 5 settembre 2024, alla Repubblica democratica del Congo (Rdc). Lo ha annunciato oggi all’emittente “Rfi” il direttore generale dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc Africa), Jean Kaseya, secondo cui le dosi, che saranno consegnate in due lotti da 100 mila l’uno, sono state trasportate in aereo a Kinshasa tra giovedì 5 e venerdì 6 settembre e poi distribuite tra la capitale, Goma e Lubumbashi. La distribuzione di un totale di 3,6 milioni di dosi assicurate dall’Africa Cdc è programmata poi nei successivi 15 giorni, in altri Paesi africani colpiti dall’epidemia di Mpox: Gabon, Burundi, Repubblica Centrafricana e Costa d’Avorio. “Siamo molto soddisfatti dell’arrivo di questo primo lotto di vaccini nella Rdc. Si tratta di 99.100 dosi che arriveranno domani giovedì 5 settembre alle 12:10 all’aeroporto di Kinshasa”, ha detto Kaseya. “Ringraziamo l’Unione europea, attraverso l’Autorità europea di risposta alle emergenze sanitarie, per aver risposto immediatamente al nostro appello di solidarietà volto a garantire l’accesso al vaccino contro il morbo nei paesi colpiti dall’Unione africana”, ha aggiunto.

    Il continente africano è oggi l’epicentro dell’infezione. Con oltre 15.600 casi segnalati e 537 decessi dall’inizio dell’anno, la Repubblica democratica del Congo (Rdc) è il Paese più colpito dal Mpox in Africa, dove la maggior parte dei decessi sono bambini sotto i 15 anni di età, ma casi – seppur in entità minore – sono stati registrati anche in altri 11 paesi africani (Sudafrica, Kenya, Ruanda, Uganda, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Camerun, Nigeria, Costa d’Avorio e Liberia). Un caso della nuova variante Clade 1b è stato segnalato in Svezia, il primo al di fuori del continente. Un bilancio che lo scorso 14 agosto ha spinto l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) a dichiarare l’Mpox “emergenza di salute pubblica internazionale”. In Africa, la Nigeria è stato il primo Paese a ricevere vaccini per combattere l’epidemia: dagli Stati Uniti sono state donate 10 mila dosi, destinate alle persone più a rischio.

    Di fronte alla rapida diffusione del virus Mpox (in precedenza noto come vaiolo delle scimmie) nell’Africa orientale, nel Corno d’Africa e nell’Africa meridionale, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) ha lanciato un appello a raccogliere 18,5 milioni di dollari per sostenere gli sforzi di prevenzione, controllo e risposta all’infezione, in particolare per le popolazioni migranti e sfollate. Queste, sottolinea in una nota Oim, sono più esposte al contagio a causa delle condizioni di vita precarie e dei numerosi ostacoli all’accesso alle cure. Secondo Unicef, i casi di bambini e persone vulnerabili sono in aumento soprattutto in cinque Paesi dell’Africa orientale e meridionale: Kenya, Uganda, Burundi, Ruanda e Sudafrica. La nuova variante Clade 1b è stata identificata in tutti i Paesi colpiti, tranne il Sudafrica, e desta preoccupazione per il suo potenziale di trasmissione a gruppi di età più ampi, in particolare ai bambini piccoli. Il Burundi sta registrando il maggior numero di infezioni in tutta la regione: al 20 agosto 2024, sono stati rilevati 170 casi confermati di Mpox in 26 dei 49 distretti del Paese, di cui il 45,3 per cento sono donne. I bambini e gli adolescenti di età inferiore ai 20 anni costituiscono quasi il 60 per cento dei casi rilevati, mentre i bambini sotto i 5 anni rappresentano il 21 per cento dei casi.

    Fra i Paesi dell’Unione europea che hanno annunciato l’invio di vaccini ci sono la Germania e la Spagna. Da Berlino è arrivata la promessa di 100 mila dosi. Per Steffen Hebestreit, portavoce del cancelliere Olaf Scholz, lo scopo dell’iniziativa è di “sostenere in modo solidale gli sforzi internazionali per contenere l’mpox sul continente africano”. Le dosi saranno disponibili “a breve termine”, ha detto Hebestreit, annunciando anche la creazione di un laboratorio mobile in Congo. Da parte sua, la Spagna donerà 500 mila dosi di vaccino contro l’mpox, come annunciato dal ministero della Salute di Madrid. Il governo spagnolo ha informato la Commissione europea che donerà il 20 per cento del suo stock di vaccini, ossia 100 mila fiale equivalenti a 500 mila dosi, e ha chiesto all’istituzione di estendere agli altri Paesi membri la proposta di donare il 20% del loro stock di vaccini.

  • Nel 2024 in Italia 197 casi di dengue, tutti importati dall’estero

    Sono aumentati a 197 casi di infezione confermata da virus dengue segnalati all’Istituto superiore di sanità (Iss) dall’inizio dell’anno al 13 maggio 2024. Non sono stati segnalati decessi. Tutti i casi segnalati – spiega l’Iss in una nota – sono stati contratti durante viaggi all’estero, ed in seguito notificati in Italia. La maggior parte delle infezioni risultano contratte in Brasile, uno dei paesi più colpiti dalla epidemia di dengue che si sta diffondendo in Centro e Sud America dall’inizio dell’anno, e alle Maldive. Nel primo trimestre del 2024, il numero di segnalazioni di casi confermati da virus dengue è aumentato di circa 6 volte rispetto allo stesso periodo del 2023, questo aumento è coerente con l’aumento diffuso della trasmissione del virus dengue negli ultimi anni a livello globale.

    “La trasmissione locale della Dengue in Italia, così come in altri Paesi europei, è un evento raro. La maggioranza dei casi è contratta all’estero – sottolinea Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento di Malattie infettive dell’Iss -. Tuttavia, le condizioni climatiche e la presenza di una zanzara in grado di trasmettere il virus rendono possibile la trasmissione in alcuni mesi dell’anno, nel contesto di una elevata circolazione in molti paesi del mondo. L’attenzione nei confronti di questa infezione è alta nel nostro paese con un monitoraggio attento dei casi diagnosticati in Italia da parte delle Regioni/Pa, del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità. Consigliamo a chi intraprende viaggi internazionali, di verificare se è nota la trasmissione di questo virus nelle aree visitate e di adottare tutte le misure di prevenzione raccomandate. Al rientro in Italia, in caso si manifestino sintomi, consigliamo di rivolgersi rapidamente al proprio medico di riferimento”.

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