mostra

  • Dopo trent’anni la Madonna Litta di Leonardo torna a Milano

    E’ tra gli scrigni più belli e preziosi di Milano il Museo Poldi Pezzoli e per onorare la sua fama, forse non giunta come dovrebbe davvero alle orecchie dei milanesi, dal prossimo 7 novembre al 10 febbraio 2020 ospiterà Leonardo e la Madonna Litta, una mostra di grandissimo rilievo, in cui sarà esposto eccezionalmente nel capoluogo meneghino, per la prima volta dopo quasi trent’anni, il celebre dipinto dell’Ermitage di San Pietroburgo, fra i massimi capolavori del museo nazionale russo. L’esposizione viene organizzata grazie al sostegno di Fondazione Bracco, Main Partner, cui si affiancano Regione Lombardia e Comune di Milano, è curata da Pietro C. Marani e Andrea Di Lorenzo e rientra fra le celebrazioni nazionali dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci promosse e sostenute dal MiBACT – Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, e tra quelle promosse dal comitato territoriale di Milano e della Lombardia e nel palinsesto Milano Leonardo 500, promosso dal Comune di Milano | Cultura.

    La Madonna Litta è strettamente legata alla città di Milano: eseguita nel capoluogo lombardo nel 1490 circa, mostra notevoli affinità stilistiche con la seconda versione della Vergine delle rocce conservata alla National Gallery di Londra. Nel Ducato milanese il dipinto oggi all’Ermitage conobbe una notevole fortuna, come dimostra il grande numero di copie e derivazioni eseguite da artisti lombardi che ci sono pervenute. Nell’Ottocento, inoltre, era l’opera più rinomata di una delle più importanti collezioni di opere d’arte milanesi, quella dei duchi Litta (da cui deriva il soprannome con cui è conosciuta in tutto il mondo) ed era conservata nel grande palazzo di Corso Magenta; l’Ermitage l’acquistò nel 1865 dal duca Antonio Litta Visconti Arese.

    Nella mostra la Madonna Litta sarà affiancata ad un altro capolavoro nato da una raffinata composizione di Leonardo, la Madonna con il Bambino del Museo Poldi Pezzoli: il dipinto, eseguito verso il 1485-1487 da Giovanni Antonio Boltraffio, con ogni probabilità sulla base di studi preparatori messi a punto dal maestro, è accostabile, dal punto di vista stilistico, alla prima versione della Vergine delle rocce del Louvre. Nella prima metà dell’Ottocento anche la Madonna con il Bambino apparteneva alla collezione dei duchi Litta (fu acquistata da Gian Giacomo Poldi Pezzoli nel 1864): sarà quindi un’importante occasione poter riunire nuovamente a Milano, dopo oltre un secolo e mezzo, questi due straordinari e affascinanti dipinti leonardeschi raffiguranti la Madonna con il Bambino.

    Insieme alla Madonna Litta verrà presentato un nucleo selezionatissimo di opere – una ventina tra dipinti e disegni di raffinata qualità – provenienti dalle collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, eseguiti da Leonardo e dai suoi allievi più vicini (da Giovanni Antonio Boltraffio a Marco d’Oggiono, dall’ancora misterioso Maestro della Pala Sforzesca a Francesco Napoletano) negli ultimi due decenni del Quattrocento, quando il maestro viveva ed era attivo a Milano, presso la corte di Ludovico il Moro.

    Un evento straordinario, quindi, da non perdere assolutamente!

     

  • Liu Bolin in Bocconi

    Ha fatto da prologo alla mostra di scatti selezionati a lui dedicata, visitabile all’Università Bocconi di Milano fino al 15 gennaio 2020, la performance di fotografia mimetica dell’artista cinese Liu Bolin e riservata alla comunità dell’Ateneo.  Esposta nel campus Bocconi, la mostra personale dell’artista “La Forma Profonda del Reale” è organizzata in collaborazione con MIA Photo Fair. Le fotografie ritraggono proprio la sua sagoma mimetizzata nei luoghi che ha deciso di immortalare. Bolin, definito ‘l’uomo invisibile’, assai popolare, geniale e sorprendente ha cominciato ad effettuare le sue performance a seguito della distruzione del villaggio in cui viveva, a nord-est di Pechino, avvenuta su ordine delle autorità governative nel 2005. Da quel momento Bolin fa ricorso alla matrice prospettica per creare l’immagine che ha dato origine alla serie di scatti intitolata Hiding in the city (Nascondersi nella città). Tracciando sul proprio corpo le linee delle macerie del suo quartiere, ottiene un’immagine in cui l’elemento perturbativo dello spazio, costituito dalla sua sagoma, costringe lo spettatore a soffermare lo sguardo su quella esatta porzione di realtà. Il significato che dà l’artista al suo celarsi nello spazio è proprio questo: attirare l’attenzione su determinati luoghi e paesaggi, rendendosi quasi invisibile. La mostra, ad ingresso libero e gratuito, è visitabile dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 20 e il sabato dalle ore 10 alle 18 nel piano seminterrato di via Sarfatti, 25.

  • Le memorie di Palmira

    Sarà inaugurata mercoledì 2 ottobre, alle ore 18, alla ‘Fabbrica del Vapore’ di Milano (Via Procaccini, 4), dopo essere stata ospitata alla ‘Sconci Art Gallery’ di Dubai, la mostra Dal deserto alla tela – Memorie di Palmira di Michela Zasio. Prodotta da ‘Vento&Associati’, allestita dall’architetto Giuliana Zanella e visitabile fino al 24 novembre, dal lunedì al venerdì, dalle ore 10 alle 19, la personale dell’artista romana rappresenta l’urgenza di fermare il ricordo prima che scompaia del tutto. La città siriana di Palamira, tra i più importanti siti archeologici del mondo, tra il 2015 e il 2017 infatti è stata distrutta e depredata dai miliziani dell’Isis. Allo scempio è stato posto fine solo quando unità militari russe e siriane hanno definitivamente debellato le truppe dello Stato Islamico. La terribile violenza che Palmira aveva subito era stata testimoniata dalle immagini satellitari dell’Onu che confermavano la notizia, diffusa il 30 agosto del 2015, della distruzione del tempio di Bel alla quale era seguita quella del  Tempio di Baalshamin.

    Non una scelta casuale quella della Fabbrica del Vapore perché i quattordici grandi gli oli su tela della Zasio, che ricordano la storia millenaria e la bellezza della città siriana prima di cadere sotto i colpi della furia iconoclasta dell’Isis, ben si sposano con gli ampi ambienti di archeologia industriale di un luogo che un tempo era sede di fiorente attività e produttività meneghina. E così i resti del Teatro, il Tempio di Bel, l’Arco monumentale del Grande Colonnato, il Temenos, visitati anni prima dall’artista e impressi nei suoi ricordi, sopravvivono in queste tele sconfiggendo la follia di chi ha cercato di cancellarli dalla memoria dell’umanità. Fermati per sempre sulla tela con mano sapiente, rivivono oggi davanti allo spettatore forti del loro carattere eterno. “Quando ho potuto ammirare i recenti lavori di Michela Zasio dedicati ai templi palmireni distrutti dall’ISIS – scrive Andrea Vento nella prefazione al catalogo – non ho avuto dubbi sulla necessità di produrre ed ospitare questa bella mostra presso lo Spazio V&A alla Fabbrica di Vapore di Milano. Una mostra che potremmo dedicare a Khaled Al-Asaad, archeologo e custode del Parco Archeologico di Palmira che fu ucciso dai sicari dell’ISIS per non aver voluto rivelare dove aveva nascosto importanti cimeli. Forse non a caso – conclude Vento – il volto di Al-Asaad è ritratto in un bel murale del perimetro della Fabbrica del Vapore”.

  • Da Van Gogh a Picasso: in mostra a Milano ‘Guggenheim. La collezione Thannhauser’

    Per la prima volta a Milano, terza e conclusiva tappa di un tour europeo che è partito dal Guggenheim di Bilbao per approdare poi all’Hotel de Caumont di Aix-en-Provence, la mostra Guggenheim. La collezione Thannhauser, da Van Gogh a Picasso. Dal 17 ottobre 2019 al 9 febbraio 2020, infatti, Palazzo Reale ospiterà circa cinquanta capolavori dei grandi maestri impressionisti, post-impressionisti e delle avanguardie dei primi del Novecento, tra cui Paul Cézanne, Edgar Degas, Paul Gauguin, Édouard Manet, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Vincent van Gogh e un nucleo importante di opere di Pablo Picasso. Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale, MondoMostre Skira e organizzata in collaborazione con The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York, la mostra è curata da Megan Fontanella, curatrice di arte moderna al Guggenheim ed è stata presentata in anteprima il 9 luglio, per la sua importanza e unicità, alla presenza, tra gli altri, del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e Karole P.B. Vail., Direttrice della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
    La mostra racconta la straordinaria collezione che negli anni Justin K. Thannhauser costruì per poi donarla, nel 1963, alla Solomon R. Guggenheim Foundation, che da allora la espone in modo permanente in una sezione del grande museo di New York. Per la prima volta i capolavori usciranno dagli Stati Uniti permettendo così a cultori, esperti, neofiti e amanti dell’arte di ammirare una delle collezioni più prestigiose del mondo. Tra le opere presenti a Milano ci saranno due dipinti di Pierre-Auguste Renoir, Donna con pappagallino e Natura morta: fiori; quattro dipinti di Georges Braque, tra cui Paesaggio vicino ad Anversa, Chitarra, bicchiere e piatto di frutta su un buffet, Teiera su fondo giallo; sei opere di Paul Cézanne, tra cui i due paesaggi Dintorni del Jas de Bouffan e il magnifico Bibémus. Spazio anche per Edgar Degas con tre splendide sculture in bronzo realizzate tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento: Ballerina che avanza con le braccia alzate, Danza spagnola e Donna seduta che si asciuga il lato sinistro; e poi il paesaggio Haere Mai di Paul Gauguin, opere di Monet (Il Palazzo Ducale, visto da San Giorgio Maggiore) e Manet (Davanti allo specchio e Donna col vestito a righe). Attesissimi Le viaduc, Paesaggio innevato e Montagne a Saint-Rémy di Vincent van Gogh e ben 13 opere di Pablo Picassom tra le quali Le Moulin de la Galette, Il torero, Al Caffè e Il quattordici luglio.
    Insieme alle magnifiche opere della collezione Thannhauser, la Guggenheim Foundation ha scelto, per arricchire maggiormente la mostra e dimostrare la profonda convergenza tra le due collezioni, di esporre alcuni altri prestigiosi lavori degli stessi celebri artisti o di altri grandi maestri. A Milano saranno perciò presenti: di Henri Rousseau Gli artiglieri e I giocatori di football; di Georges Seurat Contadine al lavoro, Contadino con la vanga e Contadina seduta nell’erba; di Robert Delaunay La città; di André Derain Ritratto di giovane uomo; di Juan Gris Le ciliegie, di Vasily Kandinsky, Montagna blu; di Paul Klee Letto di fiori; di Franz Marc Mucca gialla, di Henri Matisse Nudo, paesaggio soleggiato.
    Insomma, una meraviglia da non perdere assolutamente!

  • Le ‘Impronte’ di Remo Bianco in mostra a Milano

    A Milano la cultura non va in vacanza. Dal 5 luglio al 6 ottobre, infatti, al Museo del Novecento, si potrà visitare la mostra Remo Bianco Le impronte della memoria, in cui sono esposte più di 70 opere dell’artista che, grazie ad ironia ed eclettismo, si colloca perfettamente negli anni del boom economico del capoluogo meneghino. Remo Bianco (all’anagrafe Bianchi) torna nella ‘sua’ Milano a 28 anni di distanza dall’ultima personale, postuma (morì nel 1988), che fu allestita al 1991. Promossa da Comune di Milano e curata da Lorella Giudici con la collaborazione della Fondazione Remo Bianco, la mostra, a detta degli organizzatori, riapre una ‘capsula chiusa nel tempo’ dalla quale emerge un artista in linea con i fermenti culturali e la vivacità dei suoi tempi ma estremamente in anticipo. In quella Milano dinamica ed elettrizzante conosce e frequenta il grande pittore Filippo de Pisis dal quale mutua il concetto del ricordo che sarà il fil rouge di tutta la sua produzione. Bianco, infatti, nato in un quartiere popolare della città al quale rimarrà sempre legato (in via Giusti aveva il suo studio), farà dei piccoli ricordi della vita di ogni giorno (a quelli grandi ci pensa già la storia) il simbolo della sua produzione artistica e così giocattolini, oggetti adoperati quotidianamente, sacchetti di plastica saranno utilizzati in maniera eclettica ma al tempo stesso lucida perché se è vero che assumono una dimensione metafisica sono comunque portatori di malinconia, come solo i ricordi sanno essere. Lui, che ha cavalcato gli anni ’50, ’60 e ’70, si è autodefinito “ricercatore solitario”, sempre pronto a sperimentare idee nuove, frutto della sua fervida fantasia che gli ha garantito un approccio ironico e divertito alla sua arte. Dai banchi di Brera al viaggio in Persia del 1961, il suo lavoro si è arricchito costantemente di spunti, di riflessioni e nuovi percorsi da intraprendere, compreso lo stimolante incontro negli Stati Uniti con Jackson Pollock dal quale apprende la tecnica del dripping che trasforma in immagine razionale  e geometrica.

    Nella mostra milanese sono esposte tutte le tipologie di opere prodotte nell’arco di un quarantennio: dalle prime Impronte, calchi in gesso, cartone pressato o gomma ricavate dai segni lasciati da un’automobile sull’asfalto o da tracce di oggetti comuni, giocattoli o attrezzi ai Sacchettini – Testimonianze, realizzati assemblando oggetti di poco valore – monete, conchiglie, piccoli giocattoli, frammenti – in sacchetti di plastica fissati su legno in una disposizione regolare e appesi come un quadro tradizionale. Senza dimenticare i magnifici i Tableau Dorè e le Pagode. E poi le opere tridimensionali – i 3D – in materiale plastico trasparente o vetro e poi su legno, lamiera e plexiglas colorato, la serie dei Collages, con un effetto combinatorio di immagini, realizzate con la tecnica del dripping su un unico piano, di tela, carta o stoffa, le opere di “Arte sovrastrutturale” che esprimono l’esigenza di fissare nella memoria in modo indelebile ricordi e realtà, le Sculture neve i cui protagonisti sono oggetti comuni tratti dal mondo dell’infanzia, della natura o della vita quotidiana ricoperti di neve artificiale e disposti in teche trasparenti che trasportano lo spettatore in una dimensione incantata e senza tempo. Per finire (solo per la collocazione fisica all’interno della mostra) con i Quadri parlanti, esposti per la prima volta nel 1974, tele sul cui retro sono posizionati degli amplificatori che, all’avvicinarsi dello spettatore, si attivano emettendo suoni o frasi registrate dall’artista. Il più noto è “Scusi signore…” dove Bianco si auto-ritrae con il dito puntato, immagine già utilizzata nel 1965 quando, in occasione di una personale alla Galleria del Naviglio, la foto compariva su tutti i tram milanesi a coinvolgere l’intera comunità.

    Con la Mostra Remo Bianco Le impronte della memoria il Museo del Novecento continua le esposizioni dedicate agli artisti che hanno operato, con felici esiti sperimentali, nel contesto milanese della seconda metà del ‘900.

  • La movimentata vita di Ettore Modigliani, storico soprintendente della Pinacoteca di Brera, raccontata da di Marco Carminati

    Una vita movimentata ed intensa quella di Ettore Modigliani, un uomo il cui nome si lega totalmente alla Pinacoteca di Brera e ad una pagina tragica della nostra storia. Alla sua figura e al suo operato  Marco Carminati ha dedicato il libro Memorie. La vita movimentata di un grande soprintendente di Brera (edito da Skira) che sarà presentato mercoledì 29 maggio, alle ore 18, nella Sala della Passione alla Pinacoteca di Brera di Milano (Via Brera, 28).

    Le vicende di Ettore Modigliani (1873-1947), sino a oggi inedite, rappresentano un’eccezionale testimonianza di un’esistenza a tratti autenticamente avventurosa, che venne interamente spesa al servizio del patrimonio artistico italiano. Direttore della Pinacoteca di Brera dal 1908 al 1935, soprintendente della Lombardia dal 1910 al 1935 e organizzatore della mostra più importante mai realizzata sull’arte antica italiana (che si tenne a Londra nel 1930), Ettore Modigliani ha avuto il privilegio (ma anche il peso) di attraversare tutta la prima parte del Novecento vivendo esaltanti momenti professionali, come l’esposizione a Brera della Gioconda di Leonardo da Vinci (1913), il recupero delle opere d’arte trafugate dall’Austria all’Italia (1920), il grande riordino della Pinacoteca Braidense (1925) e la fondazione dell’Associazione degli Amici di Brera (1926). Lo stesso Modigliani, però, fu costretto a subire cocenti umiliazioni, come l’allontanamento forzato dalla sua amatissima Brera nel 1935 e il trasferimento a L’Aquila (a seguito di uno scontro frontale con il potente “quadrumviro” fascista Cesare Maria De Vecchi), e come la vergognosa espulsione dall’amministrazione pubblica (lui cittadino e funzionario modello) per gli effetti delle infauste leggi razziali del 1938, che lo costrinsero nel 1943 a nascondersi tra i monti delle Marche per sopravvivere alle persecuzioni. Modigliani superò la catastrofe ed ebbe la soddisfazione di ritornare a Brera come ispettore incaricato nel 1945. Dotato di una scrittura brillante e coinvolgente, il direttore utilizzò i suoi ultimi anni di vita per redigere questo libro, che stese per far conoscere che cosa si nasconda dietro una professione ritenuta contemplativa, per “soddisfare la curiosità del prossimo” e per non cadere nell’oblio, dopo essere stato così “ferocemente imbavagliato”. Modigliani terminò il racconto delle sue Memorie l’11 febbraio 1946 (giorno del suo reintegro come soprintendente a Brera) con un messaggio di grande speranza: Brera “è un ammasso di macerie”, “eppure tutti questi beni culturali risorgeranno a gloria della città, come prima e migliori di prima. Io ringrazio la sorte di avermi concesso, innanzi lo scoccare della mia ora fatale, di essere un operaio di questa ricostruzione. Possano le forze assistermi! Non chiedo altro”. Modigliani morì nel 1947. Sarà Fernanda Wittgens, la sua più fedele e stretta collaboratrice, a portare a compimento il sogno del suo “mentore”: nel 1950 Brera riaprirà, più bella e più viva di prima.

  • Antonello contemporaneo

    Una delle mostre più attese e di successo della stagione sta per chiudere i battenti  e lo fa con tutti fasti che si richiedono per l’occasione. Antonello da Messina, infatti, prima di congedarsi  dalle sale di Palazzo Reale a Milano, sarà celebrato con una visita speciale con Vittorio Sgarbi, lunedì 27 maggio alle ore 19.00,  che, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro Antonello contemporaneo edito da Skira, racconterà la bellezza dell’opera del grande artista siciliano. Il volume riunisce una selezione dei suoi saggi sull’opera di Antonello a confronto con altre opere del maestro o di altri artisti a lui contemporanei o successivi, fino ad arrivare all’arte dei nostri giorni rivelandosi così uno strumento importante e di originale rilettura del grande artista quattrocentesco. “Che Antonello da Messina fosse un pittore veneziano, lo si è creduto a lungo, anche in Sicilia, fino all’Ottocento” – scrive Sgarbi – “che il suo quadro-simbolo, la luminosissima Annunciata del museo di Palermo, fosse scambiato per un’opera del pittore tedesco Albrecht Dürer o considerato la copia di un’altra Annunciata, conservata a Venezia, è successo fino al 1904. Che ci siano nelle pieghe di chissà quali collezioni quadri di Antonello ancora da scoprire lo rivela la Pietà acquistata dal Prado di Madrid nel 1966: un Cristo morto, ancora palpitante, sorretto da un angelo di fronte a un paesaggio in cui si riconosce la torre campanaria dell’antico duomo di Messina. Basta perciò contare le opere riscoperte dopo il Novecento, almeno sei, per capire che la grandezza di Antonello (“una grandezza che spaura”, ha scritto nel 1953 lo storico dell’arte Roberto Longhi) appartiene tutta a questo secolo”. La storia di Antonello e quella delle sue opere, poco più di una trentina arrivate fino a noi, infatti, si è persa a partire dal ‘500 sebbene, come racconta Giorgio Vasari, aurore delle Vite e citato da Sgarbi, fosse stato proprio lui a rubare al pittore fiammingo Jan van Eyck il segreto della pittura a olio per rivelarlo agli artisti italiani del Rinascimento. Gli elementi sicuri della sua biografia sono scarsi e lacunosi, le opere datate pochissime, quelle perdute sono molte, almeno quaranta. Ogni tanto affiora qualche indizio che ci fa pensare a quanto ancora poco si sappia di lui. Quello di Antonello è un vero e proprio ‘caso’ che Sgarbi proverà se non a risolvere almeno a raccontare con tutti i dettagli che una vicenda così bella, misteriosa e importante per la storia dell’arte merita.

    La prenotazione per la visita è obbligatoria perché i posti disponibili sono solo 200, chi vuole deve inviare una e-mail a: rfasan@momoskira.it

  • Le mani dell’uomo sul Pianeta Terra: a Bologna la mostra evento Anthropocene

    Un’esplorazione multimediale che documenta l’indelebile impronta umana sulla terra. E’ il progetto Antrhopocene, al MAST di Bologna dal 16 maggio al 22 settembre, una mostra multidisciplinare che indaga l’impatto dell’uomo sul pianeta attraverso le straordinarie immagini del fotografo di fama mondiale Edward Burtynsky, i filmati dei registi pluripremiati Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, installazioni di realtà aumentata e il film sul progetto. Scorre così un racconto sulle barriere frangiflutti edificate sul 60% delle coste cinesi, le ciclopiche macchine costruite in Germania, le psichedeliche miniere di potassio nei monti Urali in Russia, la devastazione della Grande barriera corallina australiana, le surreali vasche di evaporazione del litio nel Deserto di Atacama, le cave di marmo di Carrara, una delle più grandi discariche del mondo a Dandora, in Kenya.

    Il progetto si basa sulla ricerca del gruppo internazionale di scienziati Anthropocene Working Group impegnato nel raccogliere prove del passaggio dall’attuale epoca geologica – l’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa – all’Antropocene (dal greco anthropos, uomo). La ricerca dimostra che gli esseri umani sono diventati la singola forza più determinante sul pianeta.

    Il progetto ha debuttato in Canada a settembre 2018 con il film “Anthropocene: The Human Epoch” proiettato in anteprima mondiale al ‘Toronto International Film Festival’ (in Italia distribuito da settembre) e con la mostra allestita in contemporanea all’Art Gallery of Ontario di Toronto e alla National Gallery of Canada di Ottawa – organizzata in partnership con la Fondazione MAST

    La mostra bolognese, suddivisa in quattro sezioni (trentacinque fotografie di grande formato di Edward Burtynsky, quattro murales ad alta risoluzione, in cui si abbinano tecniche fotografiche e filmiche che evidenziano il lavoro sinergico dei tre artisti, tredici videoinstallazioni HD curate dai due registi e tre installazioni di Realtà Aumentata [RA] che ricreano su smartphone e tablet un modello fotorealistico tridimensionale a grandezza naturale), è curata da Urs Stahel, curatore della PhotoGallery e della collezione MAST, Sophie Hackett, curatrice della fotografia dell’Art Gallery of Ontario di Toronto e da Andrea Kunard, curatrice del Canadian Photography Institute della National Gallery of Canada.

  • Dalla copia all’originale: le Multiple Visions di Roy Lichenstein al Mudec di Milano

    Torna a Milano, dopo nove anni, l’arte di un grande maestro americano, tra i più importanti  del ventesimo secolo. Roy Lichtenstein approda al Mudec – Museo delle Culture di Milano con la mostra Roy Lichtenstein. Multiple Visions, dal primo maggio all’8 settembre 2019, curata da Gianni Mercurio e promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE.

    100 opere tra prints anche di grande formato, sculture, arazzi, un’ampia selezione di editions provenienti da prestigiosi musei, istituzioni e collezioni private europee e americane oltre a video e fotografie che raccontano l’artista delle stampe a puntini e del fumetto, dal tratto inconfondibile, apparentemente facile da comprendere ma sofisticato e fortemente ironico. Moderno e innovatore, Roy Lichtestein è considerato il padre della pop art e le sue opere esercitano, ancora oggi, un enorme potere seduttivo sulla cultura visiva così come avevano affascinato generazioni di creativi, dalla pittura alla pubblicità, dalla fotografia al design e alla moda sin dagli albori della pop art. La mostra evidenzia come gli elementi di diverse culture confluiscano nel lavoro di decostruzione e ricostruzione dell’immagine che opera Lichtenstein rielaborandola in chiave pop con  il suo linguaggio personalissimo. Ed ecco la Statua della Libertà e l’hot dog che raccontano la gloriosa storia degli Strati Uniti, dalle origini all’epopea del Far West, dai vernacoli e le espressioni artistiche etnografiche degli indiani d’America alla cultura pop esplosa in seguito all’espansione dell’economia mondiale del secondo dopoguerra, e poi la cultura artistica europea delle avanguardie e lo spirito contemplativo dei paesaggi orientali. La fascinazione per la “forma stampata”, cioè la riproduzione meccanica come fonte di ispirazione, che è alla base del lavoro di Roy Lichtenstein e che nella sua pittura viene attuata in un percorso che parte da una copia che viene trasformata in un originale, viene presentata nell’esposizione milanese nel suo processo inverso: da un’idea originale a una copia moltiplicata. Una ricerca che l’artista condusse nel corso di tutta la sua carriera grazie ad una personalissima visione estetica, costruita metodicamente parallelamente alla pittura e di cui questa mostra, organizzata in un percorso tematico, presenta l’evoluzione a partire dai primi lavori degli anni Cinquanta a quelli che sono entrati a far parte, di diritto, nell’immaginario collettivo di tutti noi.

  • Banksy: chiusura alla grande con finissage della mostra, performance dell’artista Tvboy e asta benefica

    Sta per chiudere i battenti e con numeri importanti (circa 230.000 visitatori) la mostra più discussa e più attesa dell’inverno culturale milanese. Banksy – A visual protest si avvia alla conclusione, domenica 14 aprile, e lo fa alla grande con due eventi il 4 e l’11 aprile.

    In occasione del Miart giovedì 4 aprile, alle ore 16,30, presso il cortile esterno del MUDEC (sede della mostra) in via Tortona 56,si volgerà una performance artistica aperta al pubblico, in cui Tvboy, artista di strada celebre per la sua critica alla cultura di massa, che dopo le prime settimane di apertura della mostra ha creato alcuni nuovi murales a Milano, verrà invitato a rielaborare per l’occasione, sul momento, l’opera da lui realizzata nei mesi scorsi sul muro di cinta esterno al Museo delle Culture. La performance durerà circa mezz’ora e la realizzazione – uno stencil su tela di 2m x 1m – e 10 multipli della stessa verranno poi trasportati presso il Nhow Hotel di Milano in via Tortona, dove alle ore 18.30 verranno battuti all’asta in collaborazione con Sotheby’s. Il ricavato della vendita all’asta andrà a finanziare il progetto “Un muro che unisce”, progetto di riqualificazione urbana voluto dal Municipio 6, Archivio Crepax e l’Associazione no profit Around Richard.

    Il momento clou si raggiungerà giovedì 11 aprile alle ore 19 con il finissage della mostra in cui si svolgerà la conferenza all’Auditorium del MUDEC aperta a tutti durante la quale Aviva Assicurazioni, sponsor della mostra, consegnerà ufficialmente il ricavato dell’asta al Presidente dell’Associazione no profit Around Richard che in concerto con il Municipio 6 finanzierà la realizzazione del progetto artistico “Un muro che unisce”. Protagonisti del dibattito saranno l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno, il curatore della mostra Gianni Mercurio, il Presidente del Municipio 6 Santo Minniti, Caterina Crepax, e l’esperto di street art Nicolas Ballario che modererà l’incontro: obiettivo della serata sarà quello di fare un censimento della street art in Italia e non solo, dove emerge sempre più l’attenzione di artisti singoli e collettivi per un’arte che ricopre anche il ruolo di riqualificazione artistica territoriale, sempre più spesso quindi in dialogo proficuo con le amministrazioni e con il territorio. Non è un caso che la mostra dedicata a Banksy, artista dall’identità ignota, abbia avuto il grande merito di spostare in questi mesi su Milano l’attenzione verso la street art e le sue implicazioni culturali e sociali da parte di pubblico, media e soprattutto degli stessi artisti di strada, noti anche sulla scena internazionale, che hanno manifestato il loro parere sull’artista Banksy e sulla mostra attraverso la loro “arte di protesta”.

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