ONU

  • La Ue terrà fino al 2027 la sua flotta di difesa davanti alla Libia

    Il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di estendere fino al 31 marzo 2027 il mandato della missione militare EuNavFor Med-Irini, attiva nel Mediterraneo nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune (Psdc). La decisione è stata presa a seguito della revisione strategica condotta dal Comitato politico e di sicurezza dell’Ue. Oltre alla proroga, il Consiglio ha anche deciso di ampliare il mandato dell’operazione, aggiungendo nuovi compiti alle sue attività. Oltre a contrastare il traffico di armi e le esportazioni illecite di petrolio dalla Libia, Irini sarà ora incaricata di sorvegliare e raccogliere informazioni su altre attività illecite nella regione, nonché di monitorare le infrastrutture marittime critiche e supportare la pianificazione di eventuali interventi di emergenza. Questa nuova competenza “rafforzerà la capacità dell’Ue di avere una maggiore consapevolezza situazionale marittima nel Mediterraneo”, riferisce il Consiglio in una nota. Per sostenere le operazioni della missione, l’Ue ha stanziato 16,35 milioni di euro per il periodo dal primo aprile 2025 al 31 marzo 2027.

    L’operazione Irini (che in greco significa “pace”) è stata lanciata il 31 marzo 2020 con l’obiettivo di sostenere il processo di pace in Libia, attuando le restrizioni imposte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (risoluzione 1970 del 2011). Dopo la prima Conferenza di Berlino, il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di lanciare, il 31 marzo 2020, l’operazione militare denominata EuNavFor Med–Irini, principalmente marittima e incentrata sull’attuazione dell’embargo delle Nazioni Unite sulle armi alla Libia. Irini fa parte dell’approccio integrato europeo alla Libia che prevede sforzi politici, militari, economici e umanitari per portare stabilità e sicurezza nel Paese. I compiti dell’operazione sono: contrastare il traffico illegale di armi, sostenendo l’attuazione dell’embargo sulle armi nei confronti della Libia sulla base delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (compito principale); raccogliere informazioni sul contrabbando di petrolio, in particolare per le sue conseguenze sull’economia libica e il suo possibile utilizzo per finanziare il mercato delle armi; contribuire all’interruzione del modello commerciale del traffico di migranti raccogliendo informazioni con mezzi aerei e condividendole con Frontex e le autorità nazionali competenti; sostenere lo sviluppo della capacità di ricerca e soccorso delle pertinenti istituzioni libiche attraverso la formazione. In particolare, quest’ultima attività non è stata ancora attuata.

    Nel mese di gennaio 2025, la missione aeronavale dell’Unione europea incaricata di applicare l’embargo Onu sulle armi in Libia ha svolto dieci ispezioni a bordo con il consenso dei comandanti (contro le quattro di dicembre per un totale di 702 cosiddetti “approcci amichevoli” da inizio mandato) e indagato 381 navi mercantili tramite chiamate radio (a ottobre erano 501, per un totale di 17.142). L’operazione ha inoltre monitorato 52 voli sospetti (a dicembre erano 44, 1.750 in totale) e ha continuato a vigilare su 25 aeroporti e 16 porti e terminali petroliferi. In base all’ultimo rapporto disponibile, dal lancio della missione il 31 marzo 2020, EuNavFor Med–Irini ha sequestrato carichi violatori dell’embargo in tre occasioni, dirottando le navi verso porti dell’Unione europea. Irini ha prodotto 68 rapporti per il Panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, la maggior parte dei quali riguarda violazioni dell’embargo sulle armi e attività di contrabbando di petrolio. Attraverso la Cellula di informazione sulla criminalità, integrata nella missione, sono state emesse 92 raccomandazioni per ispezioni in porti europei (di cui una emessa a dicembre 2024), con 73 ispezioni effettivamente condotte dalle autorità competenti.

    Lo scorso mese di gennaio 2025, il Consiglio di sicurezza Onu ha aggiornato il regime di sanzioni sulla Libia, esentando alcune attività dall’embargo sulle armi. In particolare, il Consiglio ha deciso che il suddetto embargo sulle armi non si applicherà a nessuna assistenza tecnica o formazione fornita dagli Stati membri alle forze di sicurezza libiche, intesa esclusivamente a promuovere il processo di riunificazione delle istituzioni militari e di sicurezza libiche. Inoltre, il Palazzo di vetro ha affermato che tale embargo sulle armi non deve essere applicato ad aeromobili militari o navi militari temporaneamente introdotti nel territorio libico esclusivamente per consegnare articoli o facilitare attività altrimenti esentate o non coperte dall’embargo.

  • L’Onu stanzia 110 milioni di dollari per le crisi umanitarie

    Con i finanziamenti umanitari globali ridotti drasticamente, le Nazioni Unite hanno stanziato 110 milioni di dollari dal Fondo centrale di risposta alle emergenze (Cerf) per incrementare l’assistenza salvavita in 10 delle crisi più sottofinanziate e trascurate al mondo in Africa, Asia e America latina. È quanto affermato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari in un comunicato, secondo cui oltre 300 milioni di persone in tutto il mondo hanno urgente bisogno di aiuti umanitari ma i finanziamenti sono diminuiti ogni anno, con i livelli di quest’anno destinati a scendere a un minimo storico. “Per i Paesi colpiti da conflitti, cambiamenti climatici e turbolenze economiche, i tagli brutali ai finanziamenti non significano che le esigenze umanitarie scompaiano”, ha affermato Tom Fletcher, sottosegretario generale per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza. “L’attuale stanziamento del fondo di emergenza convoglia rapidamente le risorse dove sono più necessarie”, ha aggiunto. Un terzo dei nuovi finanziamenti del Cerf sosterrà il Sudan, che è alle prese con violenza, sfollamenti e fame, e il vicino Ciad, dove molti sono fuggiti. I fondi rafforzeranno anche la risposta umanitaria in Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Honduras, Mauritania, Niger, Somalia, Venezuela e Zambia. I fondi sosterranno anche iniziative salvavita per proteggere le persone vulnerabili dagli shock climatici, rese possibili dal Climate Action Account del Cerf.

    Due volte l’anno il Fondo stanzia risorse per emergenze sottofinanziate come allerta globale per evidenziare la necessità di finanziamenti aggiuntivi da parte degli Stati membri, del settore privato e di altri. Alla fine del 2024 sono stati erogati 110 milioni di per aiutare oltre 3 milioni di persone in emergenze sottofinanziate in Burkina Faso, Burundi, Camerun, Etiopia, Haiti, Malawi, Mali, Mozambico, Myanmar e Yemen. Quest’anno, la comunità umanitaria sta cercando quasi 45 miliardi di dollari per raggiungere 185 milioni di persone tra le più vulnerabili coinvolte in crisi in tutto il mondo. Ad oggi, è stato ricevuto solo il 5 percento di questi finanziamenti, lasciando un divario di oltre 42 miliardi di dollari. Il Cerf è uno degli strumenti di finanziamento più rapidi disponibili per aiutare le persone colpite da crisi. Gestito dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari per conto del Segretario generale delle Nazioni Unite, il Cerf consente un’azione umanitaria tempestiva, efficace e salvavita da parte delle agenzie delle Nazioni Unite e di altre per avviare o rafforzare le risposte di emergenza ovunque siano necessarie. Le decisioni di finanziamento per le emergenze sottofinanziate si basano su un’analisi dettagliata di oltre 90 indicatori umanitari e su un’ampia consultazione con i partner.

  • Totale disorientamento diplomatico di un regime corrotto

    Dove sono troppi a comandare nasce la confusione.

    Luigi Einaudi

    Il 24 febbraio scorso ricorrevano tre anni dall’inizio dell’aggressione russa sull’Ucraina. Un’aggressione voluta ed ordinata personalmente dal dittatore russo. Un’aggressione che ha causato, ad ora, decine di migliaia di vittime e tante, tantissime sofferenze. Basta fare riferimento al drammatico massacro di Bucha per rendere l’idea della crudeltà e l’efferatezza dei militari russi, nell’ambito di quella che il dittatore russo ha sempre chiamato “un’operazione speciale”.

    E proprio il 24 febbraio scorso, alla ricorrenza del terzo anniversario dell’aggressione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato due risoluzioni sull’Ucraina. Una delle due risoluzioni, presentata dalla stessa Ucraina ed appoggiata dall’Unione europea, affermava che l’aggressione russa “ha continuato per tre anni e continua ad avere delle ripercussioni distruttive a lungo termine non solo per l’Ucraina, ma anche per altre regioni e la stabilità globale”. Questa risoluzione ha ottenuto 93 voti a favore, 65 astensioni e 10 voti contrari, tra cui quelli degli Stati Uniti d’America e della Russia. Mentre la seconda risoluzione, presentata dagli Stati Uniti d’America e nominata “Path to Peace” (La via verso la pace; n.d.a.), in poche righe si riferiva ad una rapida fine del conflitto e ad una “pace duratura” tra l’Ucraina e la Russia. Ma in quella risoluzione non si faceva mai riferimento alla tutela dell’integrità territoriale dell’Ucraina, mentre la Russia non veniva mai considerata come il Paese aggressore.

    La Francia, uno dei cinque Paesi con il diritto al veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha presentato però due emendamenti al testo della risoluzione statunitense. Il primo emendamento chiedeva “….una pace giusta, duratura e complessiva tra Ucraina e Federazione Russa”. Tutto nell’ambito ed in pieno rispetto “della Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e i principi di sovranità, eguaglianza e integrità territoriale degli Stati”. Mentre con il secondo emendamento si chiedeva l’impegno per garantire “… la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti, comprese le sue acque territoriali”. E siccome l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato i due emendamenti presentati dalla Francia, il Paese proponente della risoluzione, gli Stati Uniti d’America, durante il voto finale, hanno deciso di astenersi. Il testo modificato della risoluzione presentata dagli Stati Uniti d’America è stato approvato con 93 voti favorevoli, 73 astensioni (tra cui anche quello statunitense) e 8 contrari.

    Bisogna sottolineare che le risoluzioni approvate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite non sono vincolanti per i 193 Paesi membri. Invece le decisioni prese dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sono vincolanti per tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite. Bisogna sottolineare, altresì, che il Consiglio di Sicurezza è l’organo esecutivo delle Nazioni Unite ed è composto da 15 Paesi. Cinque sono i Paesi membri permanenti con il diritto di veto (Stati Uniti d’America, Russia, Cina, regno Unito e Francia), mentre gli altri dieci hanno solo un mandato di due anni.

    Ebbene, gli Stati Uniti d’America hanno ripresentato, nel pomeriggio del 24 febbraio scorso, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la loro breve risoluzione sull’Ucraina. Questa volta il Consiglio ha approvato la risoluzione statunitense, in cui si chiedeva “una rapida fine della guerra”, con 10 voti a favore e cinque astensioni (Regno Unito, Francia, Slovenia, Danimarca e Grecia). Il Consiglio di Sicurezza ha così adottato la risoluzione riproposta dagli Stati Uniti d’America, che chiede una pace in Ucraina senza riconoscerne “l’integrità territoriale” del Paese. Nel testo della risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si afferma, tra l’altro, che bisogna “ribadire che lo scopo principale delle Nazioni Unite è mantenere la pace e la sicurezza internazionale e risolvere pacificamente le controversie”. In più si chiede di “implorare una rapida fine del conflitto e sollecitare inoltre una pace duratura tra l’Ucraina e la Federazione Russa”. Dopo la votazione nel Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore della Russia presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato che “…la risoluzione è un passo che va nella giusta direzione”, mentre, riferendosi agli emendamenti presentati dai rappresentanti europei, dopo aver dichiarato per due volte il suo veto, ha affermato che si trattava “dell’ennesimo ultimatum anti-russo”.

    Durante le sopracitate votazioni del 24 febbraio scorso, sia nell’Assemblea generale, che poi nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si è verificato anche un confuso e del tutto ridicolo comportamento della delegazione dell’Albania presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Lo confermano fonti mediatiche ben informate. Secondo quelle fonti, che non sono state né smentite e neanche contestate in seguito, l’ambasciatrice albanese presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite si è trovata e non solo una vota, in situazioni molto imbarazzanti. Prima delle votazioni del 24 febbraio scorso, la delegazione albanese è stata tra le rappresentanze diplomatiche che hanno sostenuto la risoluzione dell’Ucraina prima della votazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il che significherebbe che anche durante la votazione della stessa risoluzione la delegazione albanese dovrebbe dare il suo consenso. E ovviamente quello non era l’opinione e la convinzione personale dell’ambasciatrice albanese. Erano proprio le direttive arrivate da chi di dovere in Albania. E secondo le stesse fonti mediatiche, visto l’importanza del caso, niente poteva essere fatto senza il beneplacito del primo ministro. Di colui che pubblicamente si era schierato dalla parte dell’Ucraina e dell’Unione europea. Di colui che si vantava pubblicamente di aver fortemente contestato, a settembre scorso, l’ambasciatore russo presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, durante l’ultima sezione dell’Assemblea generale.

    Ma dopo l’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America il 20 gennaio scorso, il primo ministro albanese sta facendo di tutto per essere “ben visto” dalla nuova amministrazione statunitense. Anche perché, come si sa pubblicamente, lui è una persona sponsorizzata e sostenuta in tutto e per tutto da Geroge Soros. E siccome il nuovo presidente statunitense ha dichiarato guerra a tutto campo a Soros, il primo ministro albanese sta cercando, costi quel che costi, di presentarsi come un forte sostenitore del presidente statunitense, negando il suo benefattore. Ma non solo; il primo ministro albanese risulterebbe coinvolto in atti corruttivi sui quali stanno indagando alcune commissioni del Congresso e del Senato statunitense. Ragion per cui lui adesso sta cercando di essere “collaborativo” con la nuova amministrazione, così com’è anche con il genero dell’attuale presidente statunitense. Il nostro lettore, a tempo debito, è stato informato di questa “collaborazione”.

    Ebbene, siccome la risoluzione dell’Ucraina non ha avuto l’appoggio degli Stati Uniti, e siccome loro avrebbero presentato un’altra risoluzione, allora l’ambasciatrice albanese è stata ordinata di sostenere la risoluzione statunitense come proponente. Come aveva fatto prima con la risoluzione dell’Ucraina. E questo radicale cambiamento di comportamento solo nell’arco di poche ore!

    Chi scrive queste righe considera il sopracitato comportamento della delegazione albanese come un totale disorientamento diplomatico di un regime corrotto. E siccome adesso il primo ministro albanese deve “ubbidire” a molti, allora diventa attuale quanto affermava Luigi Einaudi. E cioè che dove sono troppi a comandare, nasce la confusione. E il primo ministro albanese attualmente, non è solo confuso, è soprattutto spaventato per tutto quello che ha fatto.

  • A chi giova?

    Tutti coloro che hanno a cuore la vita umana, non solo la propria ma anche altrui, non possono che essere preoccupati, angosciati, per ì civili che sono morti e moriranno a Gaza. Sperando che provino gli stessi sentimenti per i morti israeliani.

    Ciascuno dovrebbe chiedersi perché è cominciato tutto questo sapendo bene che l’inizio è stato il 7 ottobre quando Hamas è entrato in Israele trucidando ragazzi, persone normali e tanti bambini, anziani e donne inermi.

    Se Hamas non fosse entrato in Israele, se non avesse ucciso, secondo le stime attuali, ma sembra non ancora finito il riconoscimento, più di 1400 persone, se Hamas non avesse rapiti 240 ostaggi, se non avesse lanciato un numero enorme di razzi contro Israele, dimostrando di avere a disposizione una grande potenza di fuoco e una moderna tecnologia, come i droni, oggi non ci sarebbero tanti morti e feriti palestinesi.

    Se Hamas avesse usato i forti finanziamenti, arrivati sia dall’Europa che da alcuni paesi arabi, per rendere più giusta la vita degli abitanti di Gaza, mentre invece scavava, da anni, tunnel lunghi chilometri e vere e proprie roccaforti sotterranee per arrivare in territorio israeliano e commettere atrocità delle quali troppo poco si è parlato, se Hamas avesse voluto quella mediazione politica necessaria per raggiungere l’accordo: due popoli, due Stati, oggi, con buona pace di tutti quelli che sfilano bruciando le bandiere israeliane, i morti non ci sarebbero stati, né a Gaza né in Israele

    Se Hamas non avesse avuto da tempo l’obiettivo di cercare di distruggere Israele, Stato che, secondo alcuni, non esiste, non è neppure sulle loro carte geografiche di certi paesi musulmani, se avesse aperto la strada al reciproco riconoscimento, se non fosse collegato con l’Iran, finanziato dal Qatar, blandito dai russi di Putin, se, se, con i se non andiamo da nessuna parte.

    La verità è come una coperta corta che ciascuno tira dalla sua parte ma, con buona pace di Guterres e di quel personale dell’Onu che non si è mai accorto dei tunnel o delle condizioni miserrime dei palestinesi, nonostante i molti sostanziosi aiuti economici, la realtà è inconfutabile: Hamas è entrata in Israele per uccidere, fare più male possibile sapendo che vi sarebbe stata la ovvia reazione dell’esercito israeliano, con le conseguenze che tutti conosciamo.

    La realtà, che non può essere più di tanto manipolata dalle false notizie, è che il piano, concordato non solo con l’Iran, era di cercare di attirare Israele in una strada senza uscita e la Russia ne era ben contenta sia perché è noto il suo antisemitismo sia perché sperava di distogliere l’attenzione dalla turpe guerra che da quasi due anni ha portato in Ucraina.

    Gli antichi romani avrebbero detto: cui prodest? A chi giova?

    Non certo ai civili palestinesi usati come scudi umani, non certo agli israeliani che, in un attimo, si sono trovati meno forti e sicuri ed hanno visto, in gran parte, vanificare i faticosi progressi fatti con l’accordo di Abramo, certo giova ai nemici del diritto, della democrazia, della pacifica convivenza ed anche ai propugnatori di un nuovo ordine mondiale.

    Certo il diritto alla difesa non può portare a perpetrare uccisioni indiscriminate ma se i miliziani di Hamas si nascondono tra i civili ed i miliziani di Hamas continuano a lanciare razzi ed a fare incursioni in territorio israeliano, tenendo prigionieri 240 cittadini, non solo israeliani, cosa deve fare Israele, concedere una tregua per ritrovarsi come al 7 ottobre attaccata proditoriamente!

    Quella parte di comunità internazionale che tanto si agita a condannare Israele, partendo dal ras turco Erdogan, cosa ha fatto o intende fare per rendere inoffensivo Hamas, quando si deciderà a condannarlo?

    Mentre vediamo manifestazioni pro Hamas e contro Israele ci chiediamo perché queste sfilate e prese di posizione, Onu compresa, non le abbiamo viste e non le vediamo per le persone uccise, seviziate, rimaste senza nulla in Ucraina dove i bombardamenti hanno raso al suolo, completamente, numerose città e dove gran parte del terreno ucraino non potrà essere coltivato per anni, portando lo spetro della fame non solo per la popolazione locale ma per i paesi più poveri nel mondo.

    Ma di questo la piazza non parla, non urla e l’Onu è non solo inutile ma pericoloso se non sarà cambiato radicalmente.

    La verità appartiene alla visione della vita che noi o la nostra idea politica o religiosa ci suggerisce, la realtà si basa sui fatti ed è incontrovertibile che Hamas è entrato in Israele per uccidere e per trascinare Israele in guerra, i palestinesi che da anni non hanno avuto la capacità, il coraggio, la volontà di liberarsi di Hamas ne pagano le conseguenze, ma c’è una chiamata di correo per tutti quelli che oggi non condannano Hamas ed ogni terrorismo.

  • Adesso è tutto chiaro

    Dopo le dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite Guterres è chiaro il motivo per il quale le Nazioni Unite da tempo non contano più nulla e non ottengono risultati, anzi aggravano i problemi.

    Se da un lato è giusto e doveroso preoccuparsi per i civili palestinesi, quelli che non sono complici e correi di Hamas, è improvvido, sbagliato, pericoloso, è una negazione di quanto Israele ha subito, pronunciare le parole che Guterres ha detto alle Nazioni Unite, parole che di fatto giustificano gli eccidi, le torture, le violenze perpetrate da Hamas il 7 ottobre.

    La richiesta di dimissioni di un uomo che di fatto ha reso le Nazioni Unite un organismo inutile ed imbelle e che, con le ultime dichiarazioni, fa da sponda al terrorismo non solo è legittima ma necessaria.

  • UN chief ‘appalled’ by Darfur’s ethnic and sexual violence

    UN chief António Guterres says he is appalled by reports of large-scale violence in the Darfur region of Sudan.

    His spokesperson says Mr Guterres has called on all warring parties to stop fighting and commit to a durable cessation of hostilities.

    “He is highly worried about the increasing ethnic dimension of the violence, as well as by reports of sexual violence,” Stéphane Dujarric said.

    “With nearly nine million people now urgently requiring humanitarian aid and protection in Darfur, he stresses the need for an end to looting and widened access so aid can reach those who most need it.”

    Earlier the UN’s head of mission for Sudan, Volker Perthes, said these attacks appeared to have been committed by Arab militia and the paramilitary Rapid Support Forces (RSF).

    “These reports are deeply worrying and, if verified, could amount to crimes against humanity,” he said in a statement.

    Meanwhile, Saudi Arabia has announced it will jointly lead a conference on the humanitarian response to the war in Sudan next week. Saudi Arabia and the US have been trying to mediate in the eight-week conflict between the army and the RSF.

  • L’Onu abbia la capacità di raddrizzare la schiena, di sospendere la Russia dalla Presidenza del Consiglio di Sicurezza e di rivedere il proprio funzionamento

    Mentre ogni giorno si fa più sanguinaria e devastante la guerra che la Russia ha portato in Ucraina non si fermano altri estesi focolai di violenza e la Cina sembra sempre più vicina a scatenare un altro conflitto contro Taipei.

    Rendono ulteriormente preoccupati la fuga di notizie di intelligence, vere o false che siano, perché comunque dimostrano un lavoro di spionaggio e controinformazione che rendono sempre più difficili i rapporti corretti tra gli Stati.

    Né può tranquillizzare che la massima autorità esistente, l’Onu, che dovrebbe impedire la costante violazione, da parte della Russia e non solo, del diritto internazionale abbia oggi proprio la Russia a presiedere di Consiglio di Sicurezza.

    Nei fatti la nazione che ha violato il diritto internazionale invadendo uno stato sovrano, radendo al suolo interi paesi e città, che ha usato bombe sporche, consentito che le sue truppe commettessero delitti di ogni genere contro la popolazione civile, messo a rischio centrali nucleari, che utilizza milizie mercenarie, note da anni per le efferatezze compite in ogni luogo ove sono state dislocate, è oggi la nazione che presiede il più delicato ed importante organismo internazionale che dovrebbe vigilare proprio su quel diritto calpestato da chi lo presiede

    Il Consiglio di Sicurezza ha il compito di vigilare, nel mondo, sulla pace ed sul rispetto del diritto internazionale, in sintesi la realtà è che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è presieduto da uno stato, la Russia, che ha violato ogni diritto internazionale e il cui presidente, Putin, ha un mandato d’arresto dalla Corte penale internazionale.

    C’è un senso comune, una logica in tutto questo?

    Possono i cittadini di qualunque parte del mondo sentirsi oggi rappresentati e difesi da un organismo che non è neppure in grado, se non di espellere, almeno di sanzionare con una sospensione la Russia e qualunque altro Paese membro compia le stesse violazioni?

    Non sanzionare la Russia, almeno togliendole la presidenza, non mettere subito in essere le necessarie modifiche ai regolamenti interni delle nazioni unite avrà come conseguenza che qualunque Stato si sentirà legittimato ad ignorare le regole internazionali e ad agire, con violenza, contro qualunque altro paese.

    Se l’Onu non avrà la capacità di raddrizzare la schiena e di rigenerarsi il futuro del diritto e delle regole comuni è segnato e tornerà a vincere i sopruso, il ricatto, la violenza.

  • UN chief condemns Taliban ban on its Afghan female staff

    The United Nations head has strongly condemned a Taliban ban on Afghan women working for the organisation.

    Secretary General Antonio Guterres demanded Afghanistan’s rulers immediately revoke the order, saying it was discriminatory and breached international human rights law.

    Female staff were “essential for UN operations” in the country, he said.

    The Taliban have increasingly restricted women’s freedoms since seizing power in 2021.

    There was no immediate word from their government on why the order had been issued. Foreign female UN workers are exempt.

    The UN has been working to bring humanitarian aid to 23 million people in Afghanistan, which is reeling from a severe economic and humanitarian crisis. Female workers play a vital role in on-the-ground aid operations, particularly in identifying other women in need.

    “Female staff members are essential for the United Nations operations, including in the delivery of life-saving assistance,” Secretary General Mr Guterres said in a statement.

    “The enforcement of this decision will harm the Afghan people, millions of whom are in need of this assistance.”

    He called on the Taliban to “reverse all measures that restrict women’s and girls’ rights to work, education and freedom of movement”.

    Earlier, the UN told its Afghan staff – men and women – not to report to work while it sought clarity from the Taliban. Local women had been stopped from going to work at UN facilities in eastern Nangarhar province on Tuesday.

    The UN mission had been exempt from a previous Taliban ban issued in December that stopped all NGOs using women staff unless they were health workers.

    How health programmes in the country will be affected by the ban on UN staff remains unclear.

    The ban is being seen as the most significant test of the future of UN operations in Afghanistan, and the relationship between the organisation and the Taliban government, which is not recognised anywhere in the world.

    Since the Taliban’s return to power, teenage girls and women have been barred from schools, colleges and universities. Women are required to be dressed in a way that only reveals their eyes, and must be accompanied by a male relative if they are travelling more than 72km (48 miles).

    And last November, women were banned from parks, gyms and swimming pools, stripping away the simplest of freedoms.

    The Taliban have also cracked down on advocates for female education. Last month, Matiullah Wesa, a prominent Afghan campaigner for female education, was arrested for unknown reasons.

    In February Professor Ismail Mashal, an outspoken critic of the Taliban government’s ban on education for women, was also arrested in Kabul while handing out free books.

  • Il non senso

    La sospirata e tardiva decisione di Germania e Stati Uniti di fornire finalmente all’Ucraina i carri armati, dei quali ha bisogno da mesi e che da mesi Polonia e Repubbliche baltiche chiedono di poter inviare, non servirà nel breve tempo a dare un vero aiuto per impedire le scellerate violenze dei russi. Infatti, dato l’annuncio dell’invio è stato anche specificato che occorreranno circa tre mesi per addestrare i soldati ucraini al loro utilizzo.

    Ed eccoci ad uno dei tanti non senso di questa guerra perché non ha senso non aver addestrato per tempo i soldati Ucraini anche all’uso di questi super tecnologici carri armati, carri armati che rischiano di arrivare in un tempo troppo lontano, visti i massacri di oggi, ed in condizione meteo, il fango della primavera, che potrebbe renderli meno attivi per parecchio.

    Le guerre si fanno con molti strumenti che si possono predisporre in anticipo o in ritardo ma le condizioni meteo non dipendono né da presidenti o generali e non tenerne conto è improvvido e pericoloso.

    Tra tre mesi, se è questo il tempo che occorre, come comunicato ieri da Stati Uniti e da Germania, perché gli ucraini possano utilizzare i carri armati sarà aprile, la stagione del disgelo ed il fango regnerà sovrano più che mai rendendo molto più difficoltoso il passaggio dei tank, l’abbiamo già visto l’anno scorso.

    Tra pochi giorni entreremo nel secondo anno di guerra, l’Ucraina è stata quasi tutta rasa al suolo dalle bombe e dai missili russi ma i sistemi antimissili sono stati consegnati dagli alleati, anche questa volta, con molti ritardi e tutt’ora manca un supporto aereo adeguato per contrastare i bombardieri di Putin.

    Gli ucraini hanno dimostrato un coraggio fuori dal comune sia come soldati che come civili, sono inenarrabili le violenze fisiche ed i patimenti che questa popolazione ha dovuto sopportare senza cibo, acqua, luce, riscaldamento e troppo spesso senza casa, senza più nulla della propria vita passata.

    Inutile negarlo, per mettere d’accordo tra loro, per contemperare le paure, gli interessi, chiari o più oscuri, di ciascuno Stato dell’Unione e poi per mettersi d’accordo con Stati Uniti, Onu, Nato, ed altri alleati non è stato né semplice né veloce.

    I ritardi, le titubanze, le promesse non seguite da azioni immediate non hanno ammorbidito Putin, nessun tentativo, più o meno autorevole, di mediazione ha portato risultati se non quello di perdere ulteriore tempo mentre le varie milizie, dalla Wagner alle altre, hanno sempre intensificato le loro atrocità.

    Tutti coloro che conoscono un po’ di storia della guerre recenti sanno bene come la tempestività sia fondamentale mentre gli stalli, i tentennamenti, i ritardi incancreniscono i conflitti, né hanno grande esperienza i russi e gli americani in Afghanistan, gli americani anche in Vietnam.

    In questo conflitto non tutti gli interessi degli alleati sono chiari mentre è chiarissimo che se Putin continua a trovare sulla sua strada gli ucraini non armati a sufficienza, e tempestivamente, il destino, non solo dell’Ucraina, è segnato, sarà bene cominciare a tenerne conto in modo più adeguato.

    Molte possono essere le giustificazioni per i ritardi anche nell’addestramento degli ucraini ma in tempo di guerra non ci sono giustificazioni accettabili se non sono chiari i percorsi ed i tempi, come sempre dovremmo sentire meno annunci e più tempestività nel dare gli aiuti promessi.

    Certo è che non potremo guardare con serenità al futuro della democrazia e della pace nel mondo se Putin non sarà fermato o portato a miti consigli, inoltre il mondo di domani ha bisogno già da oggi di una totale riorganizzazione dell’Onu, della Nato e della stessa Unione Europea.

  • Piano dell’Onu per allarmi meteo in ogni Paese del mondo

    Metà degli Stati del mondo non hanno un sistema di primo allarme per gli eventi atmosferici estremi. In pratica, se arriva un uragano o un’ondata di calore, non sono in grado di saperlo prima, di avvertire la popolazione, di prendere contromisure. Il che vuol dire più morti e più distruzione. Naturalmente, questi Stati sono quelli più poveri. Sono loro che patiscono di più le conseguenze del moltiplicarsi degli eventi meteo estremi, causato dal riscaldamento globale. E’ soprattutto pensando a questi Paesi che l’Onu ha presentato alla Cop27 di Sharm el-Sheikh un progetto per dotare tutti gli Stati del mondo, entro cinque anni, di un sistema di allerta per i disastri atmosferici. Il piano «Primo allarme per tutti”, preparato dalla Organizzazione meteorologica mondiale e da altri partner, è stato illustrato alla Cop dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e dal segretario generale della Wmo, Petteri Talaas.

    Il progetto ha già il sostegno di 50 stati e richiede un investimento di 3,1 miliardi di dollari fra il 2023 e il 2027. Ma si tratta di una cifra minima rispetto alle decine di miliardi di danni che potrebbe evitare. Per non parlare delle vite umane, che non hanno prezzo. Sono i “loss and damage” della crisi climatica, uno dei temi centrali di questa Cop: i Paesi in via di sviluppo, sostenuti dalla presidenza egiziana, chiedono l’istituzione di un fondo per i ristori, pagato dalle nazioni più ricche.

    “Primo allarme per tutti” prevede 4 elementi: conoscenza del rischio disastri, con raccolta dei dati e valutazioni (374 milioni di dollari); osservazione e previsione, con sistemi di monitoraggio e di primo allarme (1,8 miliardi); preparazione e risposta, con strutture locali e nazionali di protezione civile (1 miliardo); diffusione e comunicazione, con la capacità di raggiungere tutti i cittadini con le informazioni necessarie (550 milioni).

    Secondo l’Onu, spendere appena 800 milioni di dollari in questi sistemi di primo allarme nei paesi in via di sviluppo eviterebbe danni da 3 a 16 miliardi di dollari ogni anno. I 3,1 miliardi del progetto sono solo il 6% dei 50 miliardi di dollari che secondo l’Onu dovrebbero essere dedicati ogni anno all’adattamento al riscaldamento globale, nell’ambito del fondo da 100 miliardi di dollari per gli aiuti sul clima previsto dall’Accordo di Parigi. Per il segretario della Organizzazione meteorologica mondiale, Petteri Talaas, “il primo allarme salva vite e fornisce grandi benefici economici. Soltanto la notizia 24 ore prima dell’arrivo di un evento pericoloso può ridurre i danni del 30%».

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