Parlamento

  • L’importanza di difendere la democrazia e la libertà di pensiero: l’Ufficio di Milano del Parlamento europeo di Milano il 5 marzo celebra il Premio Sakharov 2024

    L’Ufficio del Parlamento europeo a Milano insieme a Regione Lombardia ed Europe Direct Lombardia organizzano l’evento di celebrazione dell’edizione 2024 del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, assegnato all’opposizione venezuelana, che si svolgerà mercoledì 5 marzo 2025, dalle 9.30 alle 13.30 a Palazzo Lombardia.

    Il Premio Sacharov per la libertà di pensiero è il massimo riconoscimento che l’Unione europea conferisce agli sforzi compiuti a favore dei diritti dell’uomo. È attribuito a singoli, gruppi e organizzazioni che abbiano contribuito in modo eccezionale a proteggere la libertà di pensiero.

    Prenderanno parte all’iniziativa le Vicepresidenti del Parlamento europeo Pina Picierno e Antonella Sberna, Sviatlana Tsikhanouskaya, leader dell’opposizione democratica in Bielorussia (Premio Sakharov 2020), rappresentanti di Regione Lombardia, rappresentanti di vincitori e finalisti dell’edizione 2024 del premio Sakharov, Maurizio Molinari, Capo dell’Ufficio del Parlamento europeo a Milano, Giulia Lami, docente di Storia dei Paesi slavi e Storia dell’Europa orientale all’Università degli Studi di Milano, Antonio Losito, autore e podcaster.

    Il tutto si concluderà con l’inaugurazione di una doppia mostra con una parte dedicata al Premio Sakharov e un’altra ai prigionieri politici bielorussi. La mostra sarà visitabile al pubblico dal 4 al 6 marzo in Piazza Città di Lombardia.

  • La Commissione adotta mandato per avviare negoziati sulla revisione dell’accordo quadro interistituzionale con il Parlamento europeo

    Dopo la prima riunione del nuovo collegio, il 4 dicembre, la Commissione tiene fede gli impegni assunti nei confronti del Parlamento europeo, come indicato negli orientamenti politici della Presidente von der Leyen per la Commissione 2024-2029.

    Il collegio ha approvato il mandato negoziale conferito al Commissario Maroš Šefčovič, responsabile delle relazioni interistituzionali e della trasparenza, per avviare i lavori di revisione dell’accordo quadro del 2010 sulle relazioni tra le due istituzioni.

    La revisione è volta a rafforzare la responsabilità politica comune e a garantire un dialogo migliore, un maggiore flusso di informazioni e una maggiore trasparenza tra le due istituzioni. L’accordo quadro riveduto dovrà essere pienamente in linea con gli altri accordi interistituzionali esistenti e rispettare pienamente le prerogative di entrambi i colegislatori, quali definite nel trattato. La portata della revisione è inquadrata nei nove principi concordati dalla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen il 21 ottobre 2024.

  • Aumenta nel 2023 il dialogo della Commissione con i parlamenti nazionali

    La Commissione ha adottato la relazione annuale 2023 sui rapporti con i parlamenti nazionali e sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. La relazione evidenzia un incremento della partecipazione dei parlamenti nazionali al dialogo politico con la Commissione: i 402 pareri scritti dei parlamenti alla Commissione segnano un aumento di oltre il 10% rispetto al 2022.

    Emerge che i parlamenti nazionali hanno continuato a dialogare con la Commissione sulle sue priorità politiche, in particolare in relazione al Green Deal europeo, a un nuovo slancio per la democrazia europea e alla promozione dello stile di vita europeo. I parlamenti nazionali si sono concentrati anche sul programma di lavoro della Commissione per il 2023, che è stato il documento più commentato, sulla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, sul conflitto in Medio Oriente, sulle riflessioni sul futuro dell’Unione, sull’allargamento, sulla migrazione e sulla sicurezza.

    Ventidue pareri motivati dei parlamenti nazionali hanno ravvisato casi di mancato rispetto o di violazione del principio di sussidiarietà nelle proposte della Commissione, il che segna una riduzione di quasi un terzo rispetto ai 32 ricevuti nel 2022, coerentemente con la tendenza al ribasso a lungo termine.

    La relazione indica che i membri del collegio hanno tenuto 127 riunioni con i parlamenti nazionali e spiega le modifiche che diversi parlamenti nazionali hanno attuato per essere informati meglio e più tempestivamente sul processo di elaborazione delle politiche dell’UE e per esprimere le loro opinioni in maniera più efficace. Si sottolinea inoltre che alcuni parlamenti nazionali hanno iniziato a usare il dialogo politico in modo innovativo. Ciò illustra il potenziale strategico e la flessibilità offerti dal dialogo tra i parlamenti nazionali e la Commissione.

  • Meno parlamentari, ma i gruppi a Camera e Senato percepiscono gli stessi soldi di prima

    Il taglio di 230 parlamentari voluto dai grillini non ha portato risparmi sensibili nelle spese del Parlamento, argomenta Sergio Rizzo nel suo ultimo saggio ‘Io sono io’ sulle spese della politica. Anche perché i soldi destinati ai gruppi parlamentari sono rimasti gli stessi.

    Il presidente del Senato porta a casa ogni mese poco meno di 19.000 euro netti, compresi 3.500 di diaria e 5.830 di rimborsi. Il suo collega della Camera sta invece intorno ai 18.000 euro netti, perché i rimborsi sono meno ricchi. Un deputato normale guadagna una cifra più bassa: ai circa 5.000 euro netti al mese dello stipendio non può infatti sommare l’indennità aggiuntiva spettante al presidente (4.223 euro netti). Ma neppure quella che tocca ai vicepresidenti delle Camere, ai questori e ai presidenti delle commissioni. Per questi ultimi la cifra da aggiungere alla paga mensile è di 2.227 euro lordi, corrispondenti a 1.269 netti. A luglio 2023 il beneficio di un’indennità aggiuntiva identica a quella stabilita per i presidenti delle commissioni è stato esteso ai capi dei gruppi parlamentari. Molti di loro hanno però rinunciato, anche perché i soldi dovrebbero essere presi non dalle risorse del Parlamento, bensì dai fondi degli stessi gruppi. E qui si svela il primo clamoroso bluff del taglio del numero degli onorevoli. Lo stipendio di deputati e senatori è fermo da anni e l’inflazione ne ha mangiato un discreto pezzo. Anche se 5.000 euro netti al mese, più annessi e connessi che portano il totale fra quota 12.000 e 14.000 secondo i casi, non sono pochi.

    Rizzo segnala peraltro che un paio di mesi dopo le elezioni del 25 settembre 2022 il bonus per l’acquisto di smartphone e tablet è stato innalzato da 2.500 a 5.500 euro. Pochi sanno che nel Parlamento vige una regola che si chiama «autodichìa». È un principio in base al quale nella Camera e in Senato ogni decisione viene presa autonomamente e nessuno ci può mettere bocca. Né il governo né la Corte dei Conti. Vale per tutto ciò che riguarda il funzionamento delle Camere, dal trattamento economico degli onorevoli a quello del personale.

    Secondo i bilanci del Senato, fra il 2001 e il 2023 il compenso medio pro capite dei dipendenti passa da 96.650 a 201.680 euro lordi l’anno. L’aumento reale delle paghe, considerando quindi l’inflazione, è del 36,2%. Non così bene va alla Camera, dove lo stipendio medio sale nello stesso lasso di tempo da 91.745 a 175.986 euro lordi l’anno. Con un incremento reale solo del 25,2%.

  • Luci d’Europa a Milano: la città celebra la Giornata dell’Europa con una serata tra musica e parole a un mese dalle elezioni europee

    In occasione della Giornata dell’Europa l’Ufficio del Parlamento europeo e la Rappresentanza della Commissione europea a Milano organizzano un evento dedicato ai cittadini.

    A un mese dalle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, a Milano, mercoledì 8 maggio avrà luogo un evento dedicato alla Giornata dell’Europa 2024 con una serata tra musica e parole. Dalle 19:00 alle 21:00, presso il Luiss Hub (via Massimo D’Azeglio 3), si celebrerà la storia europea e la democrazia, coinvolgendo cittadine e cittadini di tutte le età, istituti scolastici, università e organizzazioni della società civile del territorio.

    L’evento prevede momenti di dialogo e performance artistiche. Durante la serata si esibiranno e interverranno: Gaia, Roberto Vecchioni, Elio e Francesco Oggiano.

    L’iniziativa, che si inserisce nel contesto della campagna istituzionale #UsailTuoVoto, si aprirà con la proiezione del video promozionale della stessa e ricorda l’importanza della partecipazione alle prossime elezioni europee.

    La partecipazione è gratuita previa iscrizione fino ad esaurimento posti al seguente Link

    Inoltre, nelle serate del 8 e 9 maggio l’Arco della Pace e la Torre del Filarete del Castello Sforzesco verranno illuminate con i colori dell’Unione europea nel contesto di un’iniziativa che coinvolge numerose città italiane ed europee orientata a celebrare la Giornata dell’Europa e ricordare l’appuntamento del voto.

  • Giornata dell’Europa 2024: le istituzioni europee di tutta Europa accolgono i cittadini ai loro eventi della Giornata Porte aperte

    In occasione della Giornata dell’Europa del 9 maggio, l’UE celebra l’unità e il lungo periodo di pace che ha permesso di conseguire commemorando la firma della dichiarazione Schuman nel 1950. Un mese prima delle elezioni europee (che si svolgeranno dal 6 al 9 giugno), i cittadini avranno l’opportunità di visitare le istituzioni dell’UE a Bruxelles e altrove per saperne di più su quello che l’Europa fa per loro e insieme a loro. I cittadini saranno invitati ad assistere a spettacoli dal vivo e a partecipare a dibattiti, giochi e altre attività.

  • Camero delle Deputate

    E’ veramente singolare che alcune forze politiche e sociali continuano a negare che il nome di categorie, di persone e di luoghi, è un genere neutro e non riguarda il sesso femminile o maschile.

    Mentre i conflitti generano ogni genere di crudeltà in varie parti del mondo e la povertà affligge decine di milioni di persone il Pd presenta una proposta di legge costituzionale per modificare il nome di Montecitorio, non più Camera dei Deputati ma Camera delle Deputate e dei Deputati.

    A parte la necessaria prova di intelligenza che dovrebbe essere chiesta prima di mettere le persone in lista, e questo vale per tutti non solo per il Pd, il senso del ridicolo e dell’opportunità non fanno certo parte del periodo Elly Schlein.

    Forse qualcuno prima o poi farà una nuova proposta per Montecitorio e cioè di cambiare da Camera dei Deputati a Camero delle Deputate, tanto se cambiando il numero degli addendi il risultato non cambia, anche cambiare nome non fa diventare più intelligente, capace, presente od opportuno chi non lo è.

  • Le priorità del parlamento italiano

    Anche se assecondate solo parzialmente dal governo e mentre la pressione fiscale reale arriva al 49% (*) e la stessa flat tax verrà applicata sul volume di affari e non più sull’incassato, la priorità del Parlamento italiano è il dimezzamento del carico fiscale per il mondo delle imprese calcistiche.

    Fa decisamente sorridere l’utilizzo della congiunzione “anche” in quanto non è chiaro a quali altre categorie professionali o settori industriali siano state dimezzate le tasse.

    Questo regime fiscale favorevole al mondo del calcio fu introdotto con il primo governo Conte ed ora ci si ripete con la medesima sfacciataggine e probabilmente il termine di febbraio è stato individuato con l’obiettivo di favorire il calciomercato invernale che si chiude il 31 gennaio.

    Ancora una volta si offendono i lavoratori e le imprese e si favoriscono le società di calcio che pur svolgendo una importante funzione non meritano un riconoscimento così fiscalmente importante.

    E’ alquanto amaro riscontrare come le priorità del Parlamento e dei parlamentari, imposti dalle segreterie dei partiti grazie al sistema elettorale bloccato, assieme a quelle del governo siano profondamente diverse da quelle dei cittadini, delle imprese e di chi producendo Pil favorisce la crescita economica e sociale.

  • Il Premierato rischia di trasformare la Democrazia Italiana in Democratura

     L’aspirazione ad una Repubblica Presidenziale, che la Destra italiana ha coltivato per decenni, ha una sua valenza oggettiva sul piano del superamento di un sistema parlamentare, che ha sempre avuto il limite di governi deboli e con scarsa capacità di continuità ed incidenza, specie in riferimento alle riforme.

    Ma, come spesso accade in Italia, una ipotesi lineare di una democrazia presidenziale alla francese, che personalmente ho sempre pensato fosse la soluzione più vicina alle nostre tradizioni politiche, ma anche statunitense, magari con contrappesi più incisivi di quelli esistenti negli U.S.A., non poteva essere presa in considerazione, non perché non fosse la cosa giusta, ma semplicemente perché è nel DNA della nostra classe politica, il virus dell’UCCS (ufficio complicazione cose semplici) e quindi si è preferita la scelta dell’oggetto misterioso del Premierato che, lungi dall’essere una trovata intelligente, è un sistema alieno, sconosciuto e misterioso, con tanti difetti e di fatto nessun pregio, che non risolve nessuno dei processi di cambiamento che dovrebbero innescarsi con la sostituzione della forma di governo Parlamentare con quella appunto Presidenziale.

    Non starò a elencare adesso tutti i limiti della proposta di Premierato, ben conosciuti, a partire dall’inesistenza, non a caso, di precedenti storici di ricorso a tale forma di governo, ad eccezione di un brevissimo e subito dopo abolito tentativo dello stato di Israele, o dell’assenza di un tetto minimo per l’elezione, anche per giustificare il 55% di maggioranza parlamentare assegnata al vincitore, al di sotto della quale ricorrere al ballottaggio, e tante altre discutibili peculiarità della proposta, ma vorrei concentrare questo intervento su due aspetti fondamentali, per sottolineare la differenza tra democrazia e democratura, per chiarire il rischio che corre il Paese.

    Intendo alludere alla esigenza preliminare ad ogni modifica costituzionale possibile, della riforma della legge elettorale, con la restituzione del diritto di scelta ai cittadini dei loro parlamentari alla Camera e al Senato, ed alla assoluta priorità di introdurre la garanzia dei contrappesi, che sono lo strumento fondamentale per garantire la Democrazia.

    Appare incredibile che il dibattito, anche da parte delle opposizioni al governo Meloni, non ha fino ad ora, almeno nelle cronache dei media, toccato nessuna di queste due questioni, che al contrario appaiono fondamentali, oltre che necessariamente propedeutiche a qualsiasi operazione di riforma costituzionale.

    Incredibilmente il problema principale sembrerebbe addirittura quello di non offendere i sentimenti del Presidente della Repubblica in carica, e quindi di evitare una qualsiasi riduzione dei suoi poteri, che invece di fatto sono fortemente ridotti, e si sarebbe deciso lo strano oggetto del Premierato, apparentemente solo per questo, inventando un meccanismo barocco, appunto per giustificare la parità, che però non c’è, tra Premier eletto dal popolo e Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento.

    Ma non si può fare alcuna riforma seria se il problema diventa personale, confondendo l’uomo con la carica.

    Le riforme costituzionali si devono fare con una visione dei guasti del passato e del presente, e le soluzioni per il futuro.

    Per questo occorre metter da parte il Premierato e piuttosto tornare ad una visione di Presidente della Repubblica eletto dal Popolo, così come ad un Parlamento eletto dai cittadini e non nominato dai capi partito, che sono anche i candidati al Premierato, perché si creerebbe solo un sistema dell’uomo o della donna soli al comando, perché con un parlamento come quello in carica di nominati, non c’è alcun contrappeso, ma solo yes-man pronti a qualsiasi obbedienza, pur di mantenere la poltrona.

    Il 21 dicembre prossimo sarà il diciottesimo anno da quando fu approvato lo sciagurato sistema elettorale del “Porcellum”, e da allora l’Italia vive la tragedia dell’assenza quasi totale di parlamentari in rappresentanza dei territori, che sono lasciati a se stessi, come dimostra l’assurda vicenda dell’Autonomia Differenziata, che registra incredibilmente l’assenza di qualsiasi difesa del Mezzogiorno da parte di nessun parlamentare della maggioranza, malgrado sia chiara la conseguenza devastante di una riforma che di fatto abolirà il Sud e non solo.

    Se non si ritorna alla restituzione del diritto di scelta ai cittadini elettori dei Parlamentari, e si dovesse approvare la riforma del Premierato con gli yes-man in parlamento, sarebbe la fine della Democrazia e l’inizio di un’altra narrazione più somigliante alla logica della Democratura.

  • Il Presidente del Consiglio chiede agli italiani “volete scegliere voi o far scegliere ai partiti?”

    Alla domanda di Giorgia Meloni rispondiamo con chiarezza: vogliamo scegliere noi, ovviamente, e vogliamo scegliere prima di  tutto chi ci deve rappresentare al Parlamento.

    Nessuna riforma costituzionale, per eleggere il premier, può essere incardinata ed attuata se prima non si da risposta all’esigenza espressa da tempo dagli italiani di tornare, con la preferenza, a votare direttamente chi dovrà rappresentarli, esigenza inascoltata che ha portato ad una sempre maggior astensione dal voto.

    Da troppo tempo sono i capi partito a scegliere chi andrà al Parlamento a rappresentare i cittadini: l’aver esautorato gli elettori dal loro diritto di scelta li ha allontanati dalle urne e ha consentito ai leader di nominare parlamentari a loro vicini e spesso signorsì.

    I deputati, con l’attuale sistema elettorale, non hanno nessun obbligo, interesse, a occuparsi del territorio di elezione mentre sono tesi ad accontentare i capi partito sperando di essere confermati anche nella prossima tornata elettorale. Anche per questo il Parlamento ha sempre minor peso.

    Se i cittadini sono degni di eleggere il premier a maggior ragione lo sono per eleggere i parlamentari.

    Se di pari passo all’elezione diretta del premier non ci sarà il diritto di preferenza per i cittadini ci troveremmo di fronte ad una menzogna, ad un nuovo violento vulnus della democrazia.

    Se è legittimo un premio di maggioranza alla coalizione che vince le elezioni, ripetiamo coalizione e non singolo partito con più voti, crediamo che il primo problema da porsi sia quello di quanti elettori hanno partecipato al voto. Risulta difficile infatti pensare che chi, eventualmente, ha vinto con il 26% del 50%, o poco più, degli aventi diritto al voto possa ottenere il 55% dei seggi.

    Ancora oggi né le forze di governo né quelle di opposizione si sono  poste il problema di quanto sia pericoloso, per la democrazia e la stessa stabilità, il costante aumento dell’astensionismo.

    La risposta a Giorgia Meloni perciò è semplice: vogliamo scegliere noi partendo dal diritto di eleggere chi riteniamo più idoneo a rappresentarci in parlamento, così potremo anche valutare il suo operato a Roma  e sul territorio.

    Vogliamo una riforma che garantisca il sistema democratico, al di là di chi vince le elezioni, il ruolo del parlamento deve rimanere centrale e perciò non si può più accettare che sia composto dai parlamentari nominati dalle oligarchie dei partiti.

    Non riteniamo garanzia di stabilità e trasparenza che un premier possa essere sostituito da un altro leader della sua coalizione, questo sistema si presta a ricatti e ad indebite pressioni e in pochi potrebbero decretare la fine di un presidente del Consiglio eletto  per meri interessi di corrente.

    Se il cuore della riforma è avere un premier eletto dai cittadini come si concilia l’eventuale sostituzione del  premier eletto, e sfiduciato dalla sua maggioranza, con un altro personaggio, della stessa maggioranza, che il popolo non ha votato? E’ una palese contraddizione di quello che il governo dice essere lo spirito della riforma.

    Giorgia Meloni, con la sua domanda posta anche via social, sembra individuare nei partiti l’ostacolo alla pienezza della democrazia e si appella al popolo, ma i partiti non sono forse stati la cinghia di trasmissione tra i cittadini e le istituzioni?

    E se i partiti sono oggi invece diventati puri centri di interesse e di potere, scegliendo anche chi deve essere parlamentare, la colpa non è forse di quel leaderismo che imperversa da troppi anni in Italia e al quale anche la Meloni non si è mai opposta?

    E la colpa non è anche di coloro che hanno impedito che all’interno dei partiti vi fosse quel minimo di ragionamento, confronto, dibattito, contrapposizione che è proprio il sale della democrazia? Non per nulla tutt’ora non si è dato seguito a quanto la Costituzione chiede per partiti e sindacati. E sono state chiuse quelle sedi periferiche che furono luogo di incontro e confronto tra cittadini, dirigenti ed eletti.

    La maggioranza degli elettori può essere favorevole a riforme per aumentare i poteri del presidente del Consiglio se, contemporaneamente, il parlamento tornerà ad essere autentica espressione dei cittadini e non come ora delle oligarchie di partito.

    Rispetto alle notizie fino ad ora circolate, questo non sembra essere il senso della proposta per la quale Giorgia Meloni ci chiede se vogliamo scegliere noi il capo del governo o vogliamo lasciarlo scegliere ai partiti.

    Suona per altro  strano che proprio un indiscusso leader di partito, come è la Meloni, al di là dei congressi ritenuti inutili perché di esito scontato (come se non fossero utili allargati dibattiti interni), dia agli elettori un segnale così critico e negativo proprio sui partiti.

    In ultimo ricordiamo a tutti che la stabilità non è un valore in sé ma un obiettivo da perseguire con leggi rispettose degli elettori e con azioni politiche volte a riconquistare la fiducia dei cittadini.

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