Parlamento

  • Quale democrazia: dal Diritto alla pianificazione del Premio

    Molti credono che la democrazia sia caratterizzata soprattutto dal riconoscimento del diritto di voto e questa  semplice opportunità la renda la  garanzia dei diritto dei cittadini.

    All’interno, invece, di un sistema politico in cui il sistema elettorale non permette agli elettori di scegliere i propri rappresentanti, i quali vengono posizionati dalle segreterie di ogni partito, ecco che la semplice manifestazione elettorale non rappresenta più l’elemento determinante di una democrazia. Anche perché questi eletti, ma sconosciuti ai propri elettori, si fortificano con l’assenza di un minimo vincolo di mandato (*) e quindi la distanza con il corpo elettorale si amplifica. La nostra democrazia, in più, risulta delegata, lasciando quindi un minimo spazio di azione ai cittadini.

    Esattamente l’opposto di quanto avviene in Svizzera dove, in virtù di una democrazia diretta, i cittadini vengono chiamati ad esprimere il proprio parere in relazione alle più diverse questioni sia economiche o di semplice viabilità esprimendo il proprio voto per via  postale.

    Ma una democrazia, pur se perfettibile, si annulla quando il Diritto perde la propria definizione in favore del concetto di Premio.

    Ed è esattamente quanto sta avvenendo in Piemonte dove un diritto riconosciuto alla libera circolazione (per di più se per recarsi al lavoro) viene sostituito da una limitazione, alla quale si potrà in parte derogare se il comportamento dell’automobilista risultasse in linea con i precetti stabiliti dall’ente pubblico.

    Ecco come si passa da una sgangherata democrazia ad uno  STATO ETICO il quale limita, a seconda della propria convenienza ed ideologia, prima e, successivamente, premia il comportamento virtuoso dei propri sudditi.

    Questo rappresenta un esempio di pianificazione economica e sociale di chiara ispirazione socialista successiva a quella culturale  da anni già evidentemente in atto.

    In altre parole, il Diritto perde le caratteristiche di venire riconosciuto ad ogni cittadino in quanto tale, ma viene limitato e successivamente ampliato grazie alla aderenza ai precetti istituzionali assumendo le caratteristiche del Premio.

    Il nostro Paese è già da tempo uno stato etico nel quale il DIRITTO riconosciuto a tutti i cittadini diventa un PREMIO ai  comportamenti dei sudditi.

    (*) la possibilità di rispondere agli elettori della propria attività in Parlamento.

  • La nudità ideologica

    Da sempre, da troppo si potrebbe aggiungere, in Italia si assiste ad un pietoso spettacolo offerto, indipendentemente dal proprio orientamento politico, dalle diverse cariche istituzionali rappresentate da figure politiche.

    Solo poche ore fa un portavoce della Regione Lazio ha rilasciato delle dichiarazioni a titolo personale in relazione alla strage di Bologna, dimenticandosi completamente del ruolo che ricopre all’interno della Regione stessa. Anzi, ha affermando di parlare a titolo personale, dimenticando come nel momento in cui si assume un incarico il fattore personale non dovrebbe neppure venire più preso in considerazione a favore del ruolo pubblico.

    Negli ultimi mesi, in più riprese, il Presidente del Senato La Russa ha avuto modo di esternare affermazioni espressione di un proprio e forte orientamento politico.

    In altre parole, esattamente come nelle precedenti legislature gli stessi miserevoli comportamenti potevano venire attribuiti all’ex Presidente della Camera Fico e alla Boldrini, continua un orrido spettacolo offerto ai cittadini all’interno di ogni singola legislatura.

    Questo conferma, ancora una volta, come il ceto politico nostrano, nella propria articolata complessità e completezza, abbia solo compreso quali e quanti onori implichi una rappresentanza, una carica istituzionale, ma contemporaneamente ignori quali e quanti obblighi comporti la sua accettazione.

    Pur consapevoli quindi che una qualsiasi carica istituzionale, a maggior ragione se a livello nazionale, offra un prestigio unico ad un qualsiasi esponente politico, tuttavia sarebbe opportuno anche rendersi conto che implica inevitabilmente una serie di attenzioni, la prima delle quali dovrebbe essere quella di dimostrarsi in grado di rappresentare l’intero Paese e non la sola parte della maggioranza elettorale.

    Anche perché, in considerazione tanto della legge elettorale, la quale impedisce di scegliere i propri rappresentanti agli aventi diritto, quanto dell’astensionismo, molto spesso al governo finiscono coalizioni che rappresentano poco più di un quarto dell’intero popolo elettorale.

    Proprio in ragione di questa situazione la figura istituzionale dovrebbe essere una figura unificante e non certamente divisiva della sua attività politica ed istituzionale ed a maggior ragione nelle proprie esternazioni.

    Viceversa, da anni le maggiori cariche istituzionali esprimono personaggi passati direttamente da un ideologico bar all’angolo ai vertici dello Stato ed esternano il solo proprio chiaro orientamento politico e, di conseguenza, dimostrano di non essere in grado di rappresentare lo Stato nella propria unità.

    Dismettere le vesti ideologiche e politiche ed assumere una “nudità ideologica” dovrebbe rappresentare la conditio sine qua non in grado di assicurare la rappresentanza dell’intero Paese.

  • I tre asset istituzionali

    La maggioranza di governo persegue due obiettivi programmatici ambiziosi e considerati compatibili.

    Il primo è rappresentato dal riconoscimento di una maggiore autonomia per le regioni del Veneto(*),  Lombardia ed Emilia Romagna. Il secondo, viceversa, prevede una forte riforma istituzionale e contemporaneamente della divisione di poteri attraverso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio o in subordine del Presidente della Repubblica

    Nel caso in cui queste due importanti riforme venissero entrambe approvate dai due rami del Parlamento ci troveremmo di fronte a un asset istituzionale caratterizzato da un insostenibile terzetto di istituzioni locali. in quanto alle cinque regioni a statuto autonomo si dovrebbero aggiungere altre tre dotate di una maggiore autonomia amministrativa sulle materie delegate ed infine una terza rappresentata dalle regioni a statuto ordinario.

    In questo contesto la stessa elezione diretta del Presidente del Consiglio rappresenterebbe per gli abitanti delle tre tipologie di regioni prerogative ed aspettative decisamente differenti proprio in rapporto al livello di autonomia conseguito dalla propria regione di residenza.

    Uno stato federale, infatti, non si può reggere su tre diversi asset istituzionali la cui differenza si basa sul riconoscimento di tre tipologie di autonomia amministrativa e fiscale.  Viceversa, tutti gli asset istituzionali basati sul riconoscimento del federalismo trovano la propria ragione costitutiva quando esprimono un stato centrale più o meno titolare di prerogative, in aggiunta al riconoscimento dei poteri locali demandati ai singoli Stati o alle regioni.

    Al di là, quindi, delle dichiarazioni formali della maggioranza, emerge evidente come molto probabilmente verranno disattese le legittime aspettative di maggiore autonomia amministrativa da parte dei veneti  e  contemporaneamente si abbandonerà una qualsiasi riforma verso un presidenzialismo anche se spurio.

    La realtà politica attuale dimostra come nessuno di questi obiettivi di “riforme istituzionali” sia nella realtà raggiungibile in quanto il vero l’obiettivo di queste “visioni istituzionali” rimane quello di sostenere un alto interesse che rappresenta la molla per mantenere il proprio consenso elettorale.

    (*) A fronte anche di un referendum dall’esito plebiscitario

  • Giornata dell’Europa

    Il 9 maggio l’Unione europea festeggerà la Giornata dell’Europa 2023, in commemorazione della dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950. Per celebrare questa ricorrenza speciale le istituzioni dell’UE, comprese le delegazioni e le rappresentanze in tutto il mondo, organizzano una serie di attività online e in presenza che permetteranno di scoprire e conoscere più da vicino l’Unione europea.

    Nel prossimo mese di maggio la Giornata dell’Europa costituirà un punto d’incontro per saperne di più su come l’Unione europea supporti la pace, la sicurezza e la democrazia con la sua determinazione di fronte alla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina e ad altri conflitti nel resto del mondo. La Giornata dell’Europa 2023 consentirà inoltre ai visitatori di conoscere meglio l’impegno dell’UE a costruire un’Europa verde, digitale e competitiva, equa e qualificata, forte, resiliente e sicura. Particolare rilievo verrà dato in questa edizione anche all’Anno europeo delle competenze 2023, al via ufficiale proprio il 9 maggio.

    Il giorno stesso e nei giorni precedenti e successivi le istituzioni dell’UE organizzeranno numerose attività interattive nelle sedi locali dei 27 Stati membri e in tutto il mondo.

    I cittadini dell’UE potranno conoscere da vicino le istituzioni dell’UE a Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo

    Sabato 6 maggio: a Bruxelles sarà possibile visitare le istituzioni dell’UE

    Martedì 9 maggio: a Lussemburgo sarà possibile visitare la Corte di giustizia dell’Unione europea e il villaggio europeo, allestito dalla rappresentanza della Commissione insieme alle autorità nazionali, alle ambasciate degli Stati membri, alle istituzioni dell’UE ubicate a Lussemburgo e alla società civile.

    Sabato 13 maggio: sarà possibile esplorare il Parlamento europeo a Strasburgo e visitare la sede del più grande organo democratico d’Europa.

    Per maggiori dettagli sulle attività della Giornata dell’Europa 2023 consultare la pagina web interistituzionale sulla Giornata dell’Europa.

  • Confedilizia invoca migliorie dell’apparato normativo e istituzionale europeo

    Di fronte alla XIV Commissione della Camera, in rappresentanza di Confedilizia, il vicepresidente Achille Colombo Clerici ha osservato che la comunicazione della Commissione europea a Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e al Comitato delle Regioni, dal titolo “Applicare il diritto dell’U.E. per un’Europa dei risultati”, si inscrive in un processo formativo dell’Unione europea che non solo non è compiuto ma pare in fase di arretramento. Lodando lo sforzo della Commissione stessa di contrastare tale tendenza, Colombo Clerici non ha potuto non sottolineare come l’Unione e il suo diritto, di cui la Commissione è custode, rischino di esser relegati in secondo piano rispetto agli interessi dei singoli Stati dell’Unione stessa. «Emblematico – ha detto – il caso Ema e l’assegnazione della sede ad Amsterdam. Il 14 luglio 2022 veniva pubblicata la sentenza della Corte di Giustizia Europea che si pronunciava sui ricorsi mediante i quali il Comune di Milano e la Repubblica Italiana avevano impugnato la decisione del Consiglio Europeo in merito alla assegnazione dell’Ema (l’Agenzia Europea per i farmaci). Si pensava potessero esserci vizi di legittimità (ad es. errore) nel procedimento di assegnazione culminato con l’estrazione a sorte l’assegnatario finale (la città olandese di Amsterdam) e l’esclusione di Milano, appunto. In particolare, circa l’idoneità della città di Amsterdam ad ospitare la predetta Agenzia. In effetti, mentre nei dossier si affermava che la sede di Amsterdam era idonea e pronta per essere occupata ed utilizzata, ciò non sarebbe risultato alla prova dei fatti (mancando ancora qualche mese all’ultimazione dei lavori di adattamento), tanto che si trattò poi di utilizzare provvisoriamente un altro edificio. La sentenza della Corte di Giustizia respingeva i ricorsi, (senza entrare nel merito e senza dar corso ad attività istruttorie di sorta) dichiarando che, in caso di decisione del Consiglio dei Ministri Europeo, si tratta di atto politico, insindacabile anche sul piano della legittimità (ad esempio per errore colposo o doloso che sia): non solo quindi la discrezionalità assoluta nel merito, ma, sul piano del controllo di legalità, mancando una norma che fissi il limite costituzionale, non solo le decisioni di contenuto amministrativo, ma le leggi stesse risultano legibus solutae».

    Più dettagliatamente, ha sottolineato Colombo Clerici. «La sentenza della Corte di Giustizia incorre in errore perché assimila le decisioni del Consiglio dell’Unione Europea ai trattati internazionali, per il solo e semplice fatto che a decidere sono i rappresentanti degli stati. Ma nel caso di un trattato (che è un accordo inter partes) la decisione resta in capo ai diversi Stati, mentre nel nostro caso si tratta di un atto dell’organismo Unione (dotato di propria personalità giuridica), in quanto i singoli stati esprimono il loro voto nell’ambito di un organo istituzionale della Unione stessa: cosa ben diversa. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un atto politico, ad una decisione politica, nel secondo caso ad una decisione tecnico-istituzionale. La sentenza della Corte finisce inoltre per confondere il voto dei singoli stati membri (che è evidentemente atto politico insindacabile) con la decisione prodotta dal voto stesso (che è atto giuridico di un Organo dell’U.E.  e, come tutti gli atti giuridici, sindacabile sul piano della legittimità). Anche il voto dei nostri parlamentari è un atto politico, ma le leggi stesse sono soggette al vaglio di legittimità costituzionale. Ma tant’è. Il caso è chiuso».

    Osservando sulla scia della vicenda Ema che «l’interesse comunitario porterebbe a tener conto che l’Unione presenta una situazione di grave squilibrio quanto alla assegnazione storica delle diverse sedi istituzionali le quali risultano tutte concentrate in un ridotto europeo del raggio di poche centinaia di chilometri, localizzato nel quadrante Benelux Francia, Germania», il vicepresidente di Confedilizia ha ricordato che  «all’Italia (terzo contributore netto dell’Unione) ne risulta assegnata solo una e mezza. (Parma e Torino). Un trattamento a dir poco inconcepibile, che dà luogo ad una situazione certamente non suscettibile di esser protratta nel tempo, per ovvie ragioni di natura culturale ed economica».

    Colombo Clerici ha poi parlato anche delle implicazioni dell’affaire Qatargate; «Il sistema europeo di fatto non appronta, come vediamo, alcun rimedio. Mancando infatti di una giurisdizione penale comunitaria e parallelamente del requisito della extraterritorialità almeno per reati commessi da dipendenti, funzionari, esponenti nell’esercizio delle loro funzioni, questo sistema dà luogo ad una situazione anomala che rappresenta una grave lacuna nella costruzione dell’organismo dell’Unione Europea. E’ competente infatti l’A.G. del luogo dove è commesso il reato, cioè di uno dei cinque stati citati in cui è localizzata la sede istituzionale europea, sicché la sentenza verrà pronunciata in nome del popolo belga, francese e via dicendo e non dei popoli dell’Unione. Saremmo curiosi di sapere poi, prendendo ad esempio il caso Qatargate, visto che è competente l’A.G. belga, se, a seguito della condanna di un ex parlamentare alla confisca di 1 milione di euro, la somma venga incamerata dal Regno del Belgio o da chi altro.  Ma è la stessa attività inquirente/requirente (cioè di promozione dell’azione penale, con la conseguente attività istruttoria) che non potrà essere iniziata da uno stato diverso, anche se ci trovassimo di fronte alla lesione di interessi di soggetti appartenenti a questo stato (tranne ovviamente il caso che il funzionario da indagare mettesse piede proprio nel territorio di questo stato). Come si vede, dunque, sussiste un grandissimo vulnus sul piano della sovranità degli Stati (è questione di equità e di dignità degli Stati di fronte a questa asimmetricità) e della tutela degli interessi degli stati stessi e dei soggetti ad essi appartenenti».

  • Adesso basta

    C’è un limite a tutto, anche alla pazienza dei più pazienti e questo limite è stata decisamente superato da una parte “sinistra” dei partiti d’opposizione contestando il ricordo della nascita del Msi fatto da Isabella Rauti, Ignazio La Russa ed altri.

    Solo degli uomini piccoli, i quaquaraquà, possono ancora oggi sostenere che un partito che dalla sua nascita è stato presente nelle istituzioni italiane e poi europee non sia stato un partito democratico.

    Non sono bastati i morti ed i feriti che l’Msi ha purtroppo annoverato tra i suoi iscritti e simpatizzanti né i voti favorevoli all’Europa, mentre il Pci votava contro, non è bastato che sia stato l’unico partito uscito indenne da Mani Pulite e Tangentopoli. A distanza di anni dalla chiusura di un movimento che ha contribuito alla crescita politica dell’Italia, continuano le calunnie e le mistificazioni di troppi che parlano di democrazia mentre nei fatti la calpestano anche con leggi elettorali che espropriano gli elettori dal loro diritto di scelta.

    Il Movimento Sociale Italiano diventa troppe volte il pretesto per attaccare Fratelli d’Italia in un gioco sporco che, fortunatamente, non trova sponda nelle persone, negli elettori, un gioco sporco che si ritorce contro chi lo ha iniziato e continua a giocarlo.

    Le radici profonde non muoiono e danno vita a nuove realtà, le radici del male, del comunismo sovietico hanno dato vita a Putin ed alla sua vigliacca e crudele guerra, le radici del Msi hanno contribuito a dar vita al pensiero di quegli italiani, a partire da Fratelli d’Italia, che sono a fianco dell’Ucraina, con l’Europa e il mondo civile, per far vincere la libertà, l’integrità nazionale, il diritto internazionale, la giustizia.

  • La deriva democratica

    La semplice riduzione numerica, approvata nel  2019, dei rappresentanti eletti al Parlamento, lasciando tuttavia inalterato il già fragile equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, implicava velatamente una inconfessabile volontà di una deriva democratica verso un sistema sempre più oligarchico con al centro proprio il controllo del Parlamento, e quindi di uno dei massimi poteri dello Stato come quello legislativo.(*)

    Va sottolineato, infatti, come il medesimo potere, ora attribuito ad un minore numero di parlamentari, di fatto ne accresca l’entità e il peso specifico della delega politica dello stesso rappresentante che lo esercita.

    A questo, poi, si aggiunga come nei successivi tre anni dalla approvazione nessuna proposta di riforma elettorale, che riportasse al centro la possibilità di esprimere la volontà degli elettori, abbia visto la luce.

    La sintesi di questa strategia ha portato ad un Parlamento con un minore numero di eletti, ma  sempre e comunque selezionati dalle segreterie dei diversi partiti e gestiti con liste bloccate, le quali vedono accrescere ancora di più il proprio potere. Una centralità così destabilizzante per  l’intero sistema democratico da influenzare pesantemente anche le stesse priorità dello stesso organo parlamentare.

    Le segreterie di partito diventano così uno “stato nello stato”, con logiche politiche e priorità che troppo spesso non  corrispondono a quelle della collettività e dello Stato stesso. Prova ne sia che gli stessi sostenitori di questa riforma parlamentare, tra le motivazioni della sua approvazione, adducevano  anche una presunta riduzione dei costi delle due Camere.

    Ora dal bilancio della Camera emerge come i costi complessivi risultino invariati anche con la riduzione degli stessi deputati. La oligarchia politica, espressione nello specifico del  potere delle segreterie dei partiti privo di ogni limitazione o bilanciamento, ormai si è insinuata subdolamente addirittura nello stesso assetto costituzionale, avvalendosi  anche del  controllo diretto esercitato su di un ridotto numero dei parlamentari sempre selezionati e proposti al corpo elettorale dallo stesso organo dirigente dei partiti.

    Nel nostro Paese, quindi, la democrazia liberale si riduce ad un modello sempre più retorico  mentre continua la pericolosa deriva  verso una sempre più invasiva oligarchia delle segreterie dei partiti e degli interessi a loro collegati.

    (*) ottobre 2019 https://www.ilpattosociale.it/politica/la-nuova-oligarchia-parlamentare/

  • Appello al Presidente della Repubblica perchè invii un messaggio alle Camere sulla modifica in senso democratico della legge elettorale

    Riceviamo e pubblichiamo la lettera dell’Associazione Europa Nazione inviata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

    L’Associazione Europa Nazione ha inviato un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con il quale elenca tutte le ragioni per le quali la vigente legge elettorale costituisce un gravissimo vulnus alla democrazia italiana, essendo pasticciata ed inutilmente complessa, ma soprattutto perché espropria i cittadini del diritto costituzionalmente garantito di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e non consente la rappresentanza dei territori.

    L’Associazione, costituita ad aprile del 2022, torna sul tema per la seconda volta, dopo la lettera aperta ai leader dei partiti, diffusa poche settimane prima delle elezioni del 25 settembre, con cui, alla luce delle palesi incostituzionalità della legge Rosatellum, invitava i beneficiari della norma a prendere, prima del voto, l’impegno a modificare radicalmente la legge subito dopo la tornata elettorale, restituendo dopo ben 5 elezioni e 17 anni, la piena sovranità al popolo elettore.

    Nessuno dei leader ha mai pensato minimamente di porre fine al bengodi di una norma, che assicura ai leader un potere da sovrano assoluto, oltre che l’indiscutibile vantaggio di un Parlamento totalmente addomesticato e leader-dipendente e, pertanto, l’associazione ha deciso di rivolgere un appello al Presidente della Repubblica, garante della Costituzione, individuando analiticamente tutte le ragioni critiche della legge elettorale vigente, che ha trasformato la democrazia della libera manifestazione del voto, in una triste “democratura illiberale”.

    In particolare, con il suo appello, Europa Nazione, dopo avere elencato tutte le carenze della norma ed alla luce dell’assenza di qualsivoglia iniziativa in merito, chiede al Presidente Mattarella, come previsto dalla Costituzione, di valutare l’esigenza e l’urgenza di inviare un messaggio al Parlamento affinché metta mano adesso, in tempi lontani dalle scadenze elettorali, alla radicale riforma della legge elettorale vigente, rivelatasi inadeguata al rispetto della sovranità popolare, così come definita dalla Costituzione, in quanto non prevede né il diritto di scelta degli eletti da parte degli elettori, né la garanzia del fondamentale diritto di rappresentanza dei territori.

    La richiesta di una nuova legge elettorale che rispetti i diritti e le prerogative costituzionali degli italiani, è una delle principali proposte di cambiamento del Manifesto di Europa Nazione, sulla quale, data la fondamentale importanza del tema e la sua indiscutibile popolarità bipartisan, l’Associazione sente il dovere di insistere, a maggior ragione davanti alla esagerata e inedita astensione dal voto, che evidenzia un enorme e crescente distacco dei cittadini dalla politica e dalle istituzioni democratiche.

    Il testo integrale della lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

    Ill.mo Signor Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Palazzo del Quirinale 00187 ROMA – Piazza del Quirinale

    OGGETTO: APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PERCHE’ INVII UN MESSAGGIO ALLE CAMERE SULLA MODIFICA IN SENSO DEMOCRATICO DELLA LEGGE ELETTORALE

    Signor Presidente,

    I sottoscritti soci e simpatizzanti dell’Associazione Europa Nazione, con la presente fanno appello al suo Magistero affinché valuti se è necessario o meno inviare un messaggio alle Camere per la modifica della legge elettorale vigente, che lede Costituzione e Democrazia.

    Europa Nazione, prima delle scorse elezioni, aveva inviato ai leader di tutti i partiti italiani interessati al rinnovo del Parlamento, una lettera aperta chiedendo, dopo le elezioni, di modificare il “Rosatellum”, per restituire agli elettori il diritto costituzionalmente garantito di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, nel conseguente rispetto della rappresentanza dei territori.

    Il suo illustrissimo intervento appare indiscutibile alla luce della peggiore campagna elettorale della storia repubblicana e del modo con cui i partiti hanno imposto ai territori candidati nominati dall’alto, spesso sconosciuti e senza collegamento col territorio, cosa che appare ancor più grave se si considera la riduzione del numero dei parlamentari.

    Questa non è Democrazia, e non è un caso che dopo ben cinque elezioni con leggi che hanno espropriato il diritto di scelta dei cittadini, il degrado del rapporto tra elettori, partiti ed istituzioni ha raggiunto il record di astensione del 37%. D’altronde come potrebbe essere diversamente, se il ruolo di elettori si limita ad una croce su un simbolo, a prescindere da qualsiasi rapporto con i candidati?

    Se si aggiunge che negli attuali partiti non ci sono notoriamente garanzie democratiche nella gestione interna, si ha ben chiara la totale e definitiva debacle di ogni forma di partecipazione democratica alla vita del Paese. Sembra un paradosso, ma è un fatto che proprio nel momento in cui è richiesto il massimo di responsabilità dei cittadini per frenare il populismo, si consumi il peggior processo di esproprio dei diritti degli elettori, a favore dei leader di partito che, peraltro, hanno imposto candidature plurime per trasformare quella che dovrebbe essere una elezione dal basso, con una nomina dall’alto.

    Se è vero che la nostra è stata definita da un autorevole studioso una democrazia semi-autoritaria, perché al popolo non resta che prendere o lasciare il pacchetto dei nominati, cioè votarli in blocco, astenersi o annullare la scheda. Se è vero che il “Rosatellum” è congegnato, anche grazie al divieto di voto disgiunto nei collegi uninominali, in modo da “costringere” l’elettore a votare o a non votare l’intero pacchetto formato dal candidato/nominato del sistema uninominale e dai candidati/nominati del sistema plurinominale. Se è vero che col “Rosatellum” il popolo non esercita la sovranità come pensata dal Costituente, perché la legge elettorale non consente all’elettore una scelta, ma solo la ratifica con un “si o un no” di quanto deciso “altrove” dal Partito-sovrano”. Se quanto sopra risponde al vero, le forme e i limiti del “Rosatellum” alla sovranità popolare rispettano l’appartenenza al popolo, o l’hanno trasferita di fatto ai segretari di Partito, mettendone in discussione la titolarità? Esiste un Paese in Europa dove si applica una legge siffatta? Se non esiste, significherà qualcosa? Si può sostenere che col “Rosatellum” la sovranità appartiene al popolo e non a chi ha nominato, dall’alto, deputati e senatori? Si può parlare di sovranità popolare se la scelta a cui sono sottoposti elettrici ed elettori è quella di ratificare la nomina decisa dal proprio partito, oppure quella di annullare la scheda o di astenersi dal voto? Può definirsi democratica una legge che spinge il dissenso ad annullare la scheda o ad astenersi dal voto? Signor Presidente, l’articolo 1 della Costituzione recita che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nella forma e nei limiti della Costituzione”. Europa Nazione pensa che non si dicano scempiaggini affermando che le forme e i limiti non devono esser tali da mettere in discussione o, peggio ancora, da espropriarne l’appartenenza al popolo e da intaccarne la sua titolarità. Una qualunque legge elettorale di tipo proporzionale o maggioritaria e/o uninominale o plurinominale, non lede la sovranità di cui all’articolo 1 della Costituzione, se riconosce a chi guida una forza politica il diritto di proporre i candidati e al corpo elettorale il diritto di decidere col voto chi vince e chi perde tra i candidati proposti. La lede e lede in radice il sinallagma tra sovranità popolare e democrazia – se riconosce a chi guida una forza politica, grazie ai trucchi e ai marchingegni del “Rosatellum” (tipo candidature quintuple e varie) il diritto di nominare, e dunque di decidere, chi saranno i deputati e i senatori che andranno a comporre la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, già da prima che sia il popolo a votare. Signor Presidente, Lei ha dimostrato con una legge che porta il suo nome, come gestire nel rispetto della costituzione l’esercizio della sovranità popolare, ed ormai è chiaro che i capi-partito non rinunceranno mai a un potere di nomina che li mette in condizione di fare a meno di quel diritto costituzionale di scelta del corpo elettorale, giudicata da loro quasi “un ingombro”, ma che costituisce l’essenza stessa della democrazia, per il necessario periodico ricambio delle classi dirigenti. La democrazia e la sovranità popolare – come Lei sa meglio e più di EN – non è roba da poco, né una questione da affrontare a tempo debito. Con la legge elettorale “non si mangia”, ma di legge elettorale si alimenta la democrazia.

    Questo è il motivo che spinge EN a manifestarLe la preoccupazione per la gravità dello stato in cui si trova la democrazia italiana. Solo Lei, se lo riterrà opportuno, può richiamare l’attenzione delle Camere con un messaggio sull’opportunità di una nuova legge elettorale, che risponda ai requisiti propri di una democrazia, rispetti la sovranità popolare e soprattutto restituisca il diritto di rappresentanza ai territori.

    Con deferenza

    Seguono firme.

    Nicola Bono, Domenico Nania, Alfonso Amaturo, Alessandro Arancio, Nadia Barattucci, Luca Bellotti, Mario Biral, Corrado Cammisuli, Maria Teresa Conte, Piero Daglia, Vittorio Delogu, Enrico Facco, Edoardo Franza, Enea Franza, Renato Giovannelli, Giorgio Holzmann, Salvo La Porta, Mario Landolfi, Antonino Lo Presti, Gennaro Malgieri, Maria Teresa Manuela Ruggieri, Simone Margheri, Dino Melluso, Silvio Meloni, Silvano Moffa, Pippo Monaco, Sabino Morano, Cristiana Muscardini, Adriano Napoli, Orlando Oronzo, Walter Pepe, Perdicaro Maria Rosaria, Rosario Polizzi, Cinzia Renzi, Tommaso Romano, Francesco Rubera, Antonino Sala, Noemi Sanna, Enrico Squillante, Roberto Visentin, Marco Zacchera.  

  • Terzo polo e, speriamo, la fine del bipolarismo sia vero che falso

    Dove sono io è una splendida giornata di sole mentre la  politica piange le vittime, le ultime di una lunga serie, che si sarebbero evitate se i tanti governi degli ultimi trent’anni si fossero occupati del disastro idrogeologico che ha semidistrutto l’Italia.

    Occuparsi di un problema significa risolverlo, non parlarne a morti caldi e poi soggiacere ad altri interessi, ma è una vecchia storia.

    Inutile che i vari leader enuncino i danni provocati dal consumo del suolo e dalla cementificazione selvaggia, dalla colpevole incuria nel pulire i letti di fiumi e canali o dalle conseguenze per l’abbandono di ogni controllo del territorio per poi lasciare le cose come stanno, e così è stato sia per i governi di centro destra che per i molti anni di centrosinistra, nel silenzio del parlamento.

    D’altra parte cosa possiamo aspettarci da un parlamento che da anni è frutto di leggi elettorali nate per togliere ai cittadini il diritto, con la preferenza, di scegliere i propri rappresentanti?

    I partiti più numericamente forti si sono, decenni fa, inventati che per la governabilità il bipolarismo era la soluzione perfetta e hanno dato vita, con i loro parlamentari, a leggi elettorali che credevano li avrebbero premiati mentre toglievano agli elettori il diritto di scelta.

    Le conseguenze sono chiare: l’astensionismo è diventato sempre più alto con un rischio democratico evidente e sono rinati vari partitini che, alleandosi con l’una o con l’altra coalizione, sono ancora in parlamento a far cadere o a tenere in piedi governi di vario tipo.

    Quello italiano non è bipolarismo ma è una truffa e comunque gli italiani vogliono poter votare scegliendo chi deve rappresentarli, avendo la possibilità di controllare gli eletti anche per l’attività che svolgono sul territorio.

    Alle forze politiche non importa la sfiducia ed il conseguente astensionismo degli elettori, cercano solo di conquistarsi un posto al governo anche se governeranno con la maggioranza relativa del solo 50% degli aventi diritto al voto, cioè di fatto con il consenso di meno di un terzo degli italiani.

    Di quale prova ulteriore abbiamo bisogno? In piena campagna elettorale tutti i leader di partito hanno dichiarato come la legge elettorale sia sbagliata ma nei cinque anni della legislatura si sono ben guardati dal modificarla. Mentre la precedente legge elettorale era stata addirittura dichiarata incostituzionale!

    Bugie ed insulti reciproci si sono susseguiti per tutta la campagna elettorale mentre si è tralasciato di affrontare i gravi problemi legati al dissesto idrogeologico o alla sicurezza delle strutture come ponti e cavalcavia e le vittime di tante sciagure, dai terremoti alle alluvioni, attendono ancora la ricostruzione.

    Ben venga allora la nascita di un terzo polo nella speranza che i nuovi parlamentari, di ogni schieramento, vogliano dare subito vita alla riforma elettorale per riportare l’Italia sulla strada di una vera democrazia partecipata.

    In ogni modo votare è insieme un diritto ed un dovere e non andare a votare rafforzerebbe tutti coloro che ci hanno espropriato del nostro diritto di scelta consegnandolo ai capi partito.

    PS: Secondo i dati pubblicati dal Corriere i fondi per la messa in sicurezza del fiume Misa sono stati stanziati nel 1986, il progetto ad oggi è ancora fermo, nel frattempo ci sono state tre alluvioni e almeno 20 morti senza considerare l’immenso danno economico.

    Burocrazia? Errori di progettazione? Incapacità, indifferenza? L’unica cosa certa è che non si è fatto nulla in tempo utile!

  • Seicento eletti invece di quasi 1000, il nuovo Parlamento funzionerà così

    Saranno due Camere inedite, dimagrite di circa il 30% dei parlamentari, quelle che si riuniranno a fine ottobre dopo il passaggio delle urne. La riforma costituzionale varata nel 2020 ha infatti ridotto dai 630 ai 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 quello dei senatori eletti, ai quali si aggiungeranno i 5 senatori a vita. Una situazione inedita con degli interrogativi sull’attività parlamentare. Mentre la sforbiciata risolverà gli atavici problemi di spazi di lavoro per i parlamentari e i gruppi, ci si interroga sulla funzionalità degli organismi, specie per il Senato. L’Aula di Palazzo Madama riduce il numero delle Commissioni permanenti da 14 a 10 accorpandone alcune (Esteri e Difesa, Ambiente e Lavori Pubblici, Industria e Agricoltura, Lavoro e Sanità). E gruppi medio-piccoli avranno 1 o 2 senatori in ciascuna commissione, il che impedirà una loro specializzazione e imporrà un maggior ricorso ai tecnici esterni e ai legislativi dei ministeri. L’altro problema riguarda le Commissioni e gli Organi Bicamerali, come Copasir, Vigilanza Rai, Antimafia. Queste, per fare un esempio, dovranno evitare di riunirsi nel primo pomeriggio (quando non ci sono i lavori delle due Aule) in concomitanza con le Commissioni permanenti di Camera e Senato, pena il rischio di far mancare il numero legale nelle une o nelle altre. Per le Bicamerali in arrivo convocazioni all’alba o al tramonto, dunque.

    Tutti passaggi che saranno resi indispensabili dal nuovo assetto parlamentare deciso dalla politica. E che forse porterà con sé l’esigenza di altre riforme portanti come quella in chiave presidenziale invocata da Fratelli d’Italia o quella sulle autonomie perorata dalla Lega. Sullo sfondo il dibattito per una nuova legge elettorale che possa dare stabilità di governo alle coalizioni vincenti. Un problema sentito da tutti gli schieramenti, tanto da far dire a Giovanni Toti di fronte al parterre di Comunione e liberazione  che l’attuale legge sembra più una perversione che uno strumento di applicazione del consenso. E il Pd spiegare nel suo programma che è fondamentale rendere più forte, partecipato e trasparente il sistema politico italiano. Per questo motivo , “la pessima legge elettorale con la quale andiamo a votare deve essere cambiata, perché le liste bloccate sviliscono il ruolo del parlamentare, ne condizionano i comportamenti”. Da qui la proposta di nuove norme da proporre al Parlamento sin dai primi mesi della prossima legislatura per superare la frammentazione, il trasformismo, per ridurre gli effetti distorsivi sulla rappresentanza legati al taglio dei parlamentari e per favorire la costruzione di forze politiche stabili e dotate di una riconoscibile identità”.

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