Parlamento

  • La deriva democratica

    La semplice riduzione numerica, approvata nel  2019, dei rappresentanti eletti al Parlamento, lasciando tuttavia inalterato il già fragile equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, implicava velatamente una inconfessabile volontà di una deriva democratica verso un sistema sempre più oligarchico con al centro proprio il controllo del Parlamento, e quindi di uno dei massimi poteri dello Stato come quello legislativo.(*)

    Va sottolineato, infatti, come il medesimo potere, ora attribuito ad un minore numero di parlamentari, di fatto ne accresca l’entità e il peso specifico della delega politica dello stesso rappresentante che lo esercita.

    A questo, poi, si aggiunga come nei successivi tre anni dalla approvazione nessuna proposta di riforma elettorale, che riportasse al centro la possibilità di esprimere la volontà degli elettori, abbia visto la luce.

    La sintesi di questa strategia ha portato ad un Parlamento con un minore numero di eletti, ma  sempre e comunque selezionati dalle segreterie dei diversi partiti e gestiti con liste bloccate, le quali vedono accrescere ancora di più il proprio potere. Una centralità così destabilizzante per  l’intero sistema democratico da influenzare pesantemente anche le stesse priorità dello stesso organo parlamentare.

    Le segreterie di partito diventano così uno “stato nello stato”, con logiche politiche e priorità che troppo spesso non  corrispondono a quelle della collettività e dello Stato stesso. Prova ne sia che gli stessi sostenitori di questa riforma parlamentare, tra le motivazioni della sua approvazione, adducevano  anche una presunta riduzione dei costi delle due Camere.

    Ora dal bilancio della Camera emerge come i costi complessivi risultino invariati anche con la riduzione degli stessi deputati. La oligarchia politica, espressione nello specifico del  potere delle segreterie dei partiti privo di ogni limitazione o bilanciamento, ormai si è insinuata subdolamente addirittura nello stesso assetto costituzionale, avvalendosi  anche del  controllo diretto esercitato su di un ridotto numero dei parlamentari sempre selezionati e proposti al corpo elettorale dallo stesso organo dirigente dei partiti.

    Nel nostro Paese, quindi, la democrazia liberale si riduce ad un modello sempre più retorico  mentre continua la pericolosa deriva  verso una sempre più invasiva oligarchia delle segreterie dei partiti e degli interessi a loro collegati.

    (*) ottobre 2019 https://www.ilpattosociale.it/politica/la-nuova-oligarchia-parlamentare/

  • Appello al Presidente della Repubblica perchè invii un messaggio alle Camere sulla modifica in senso democratico della legge elettorale

    Riceviamo e pubblichiamo la lettera dell’Associazione Europa Nazione inviata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

    L’Associazione Europa Nazione ha inviato un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con il quale elenca tutte le ragioni per le quali la vigente legge elettorale costituisce un gravissimo vulnus alla democrazia italiana, essendo pasticciata ed inutilmente complessa, ma soprattutto perché espropria i cittadini del diritto costituzionalmente garantito di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e non consente la rappresentanza dei territori.

    L’Associazione, costituita ad aprile del 2022, torna sul tema per la seconda volta, dopo la lettera aperta ai leader dei partiti, diffusa poche settimane prima delle elezioni del 25 settembre, con cui, alla luce delle palesi incostituzionalità della legge Rosatellum, invitava i beneficiari della norma a prendere, prima del voto, l’impegno a modificare radicalmente la legge subito dopo la tornata elettorale, restituendo dopo ben 5 elezioni e 17 anni, la piena sovranità al popolo elettore.

    Nessuno dei leader ha mai pensato minimamente di porre fine al bengodi di una norma, che assicura ai leader un potere da sovrano assoluto, oltre che l’indiscutibile vantaggio di un Parlamento totalmente addomesticato e leader-dipendente e, pertanto, l’associazione ha deciso di rivolgere un appello al Presidente della Repubblica, garante della Costituzione, individuando analiticamente tutte le ragioni critiche della legge elettorale vigente, che ha trasformato la democrazia della libera manifestazione del voto, in una triste “democratura illiberale”.

    In particolare, con il suo appello, Europa Nazione, dopo avere elencato tutte le carenze della norma ed alla luce dell’assenza di qualsivoglia iniziativa in merito, chiede al Presidente Mattarella, come previsto dalla Costituzione, di valutare l’esigenza e l’urgenza di inviare un messaggio al Parlamento affinché metta mano adesso, in tempi lontani dalle scadenze elettorali, alla radicale riforma della legge elettorale vigente, rivelatasi inadeguata al rispetto della sovranità popolare, così come definita dalla Costituzione, in quanto non prevede né il diritto di scelta degli eletti da parte degli elettori, né la garanzia del fondamentale diritto di rappresentanza dei territori.

    La richiesta di una nuova legge elettorale che rispetti i diritti e le prerogative costituzionali degli italiani, è una delle principali proposte di cambiamento del Manifesto di Europa Nazione, sulla quale, data la fondamentale importanza del tema e la sua indiscutibile popolarità bipartisan, l’Associazione sente il dovere di insistere, a maggior ragione davanti alla esagerata e inedita astensione dal voto, che evidenzia un enorme e crescente distacco dei cittadini dalla politica e dalle istituzioni democratiche.

    Il testo integrale della lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

    Ill.mo Signor Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Palazzo del Quirinale 00187 ROMA – Piazza del Quirinale

    OGGETTO: APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PERCHE’ INVII UN MESSAGGIO ALLE CAMERE SULLA MODIFICA IN SENSO DEMOCRATICO DELLA LEGGE ELETTORALE

    Signor Presidente,

    I sottoscritti soci e simpatizzanti dell’Associazione Europa Nazione, con la presente fanno appello al suo Magistero affinché valuti se è necessario o meno inviare un messaggio alle Camere per la modifica della legge elettorale vigente, che lede Costituzione e Democrazia.

    Europa Nazione, prima delle scorse elezioni, aveva inviato ai leader di tutti i partiti italiani interessati al rinnovo del Parlamento, una lettera aperta chiedendo, dopo le elezioni, di modificare il “Rosatellum”, per restituire agli elettori il diritto costituzionalmente garantito di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, nel conseguente rispetto della rappresentanza dei territori.

    Il suo illustrissimo intervento appare indiscutibile alla luce della peggiore campagna elettorale della storia repubblicana e del modo con cui i partiti hanno imposto ai territori candidati nominati dall’alto, spesso sconosciuti e senza collegamento col territorio, cosa che appare ancor più grave se si considera la riduzione del numero dei parlamentari.

    Questa non è Democrazia, e non è un caso che dopo ben cinque elezioni con leggi che hanno espropriato il diritto di scelta dei cittadini, il degrado del rapporto tra elettori, partiti ed istituzioni ha raggiunto il record di astensione del 37%. D’altronde come potrebbe essere diversamente, se il ruolo di elettori si limita ad una croce su un simbolo, a prescindere da qualsiasi rapporto con i candidati?

    Se si aggiunge che negli attuali partiti non ci sono notoriamente garanzie democratiche nella gestione interna, si ha ben chiara la totale e definitiva debacle di ogni forma di partecipazione democratica alla vita del Paese. Sembra un paradosso, ma è un fatto che proprio nel momento in cui è richiesto il massimo di responsabilità dei cittadini per frenare il populismo, si consumi il peggior processo di esproprio dei diritti degli elettori, a favore dei leader di partito che, peraltro, hanno imposto candidature plurime per trasformare quella che dovrebbe essere una elezione dal basso, con una nomina dall’alto.

    Se è vero che la nostra è stata definita da un autorevole studioso una democrazia semi-autoritaria, perché al popolo non resta che prendere o lasciare il pacchetto dei nominati, cioè votarli in blocco, astenersi o annullare la scheda. Se è vero che il “Rosatellum” è congegnato, anche grazie al divieto di voto disgiunto nei collegi uninominali, in modo da “costringere” l’elettore a votare o a non votare l’intero pacchetto formato dal candidato/nominato del sistema uninominale e dai candidati/nominati del sistema plurinominale. Se è vero che col “Rosatellum” il popolo non esercita la sovranità come pensata dal Costituente, perché la legge elettorale non consente all’elettore una scelta, ma solo la ratifica con un “si o un no” di quanto deciso “altrove” dal Partito-sovrano”. Se quanto sopra risponde al vero, le forme e i limiti del “Rosatellum” alla sovranità popolare rispettano l’appartenenza al popolo, o l’hanno trasferita di fatto ai segretari di Partito, mettendone in discussione la titolarità? Esiste un Paese in Europa dove si applica una legge siffatta? Se non esiste, significherà qualcosa? Si può sostenere che col “Rosatellum” la sovranità appartiene al popolo e non a chi ha nominato, dall’alto, deputati e senatori? Si può parlare di sovranità popolare se la scelta a cui sono sottoposti elettrici ed elettori è quella di ratificare la nomina decisa dal proprio partito, oppure quella di annullare la scheda o di astenersi dal voto? Può definirsi democratica una legge che spinge il dissenso ad annullare la scheda o ad astenersi dal voto? Signor Presidente, l’articolo 1 della Costituzione recita che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nella forma e nei limiti della Costituzione”. Europa Nazione pensa che non si dicano scempiaggini affermando che le forme e i limiti non devono esser tali da mettere in discussione o, peggio ancora, da espropriarne l’appartenenza al popolo e da intaccarne la sua titolarità. Una qualunque legge elettorale di tipo proporzionale o maggioritaria e/o uninominale o plurinominale, non lede la sovranità di cui all’articolo 1 della Costituzione, se riconosce a chi guida una forza politica il diritto di proporre i candidati e al corpo elettorale il diritto di decidere col voto chi vince e chi perde tra i candidati proposti. La lede e lede in radice il sinallagma tra sovranità popolare e democrazia – se riconosce a chi guida una forza politica, grazie ai trucchi e ai marchingegni del “Rosatellum” (tipo candidature quintuple e varie) il diritto di nominare, e dunque di decidere, chi saranno i deputati e i senatori che andranno a comporre la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, già da prima che sia il popolo a votare. Signor Presidente, Lei ha dimostrato con una legge che porta il suo nome, come gestire nel rispetto della costituzione l’esercizio della sovranità popolare, ed ormai è chiaro che i capi-partito non rinunceranno mai a un potere di nomina che li mette in condizione di fare a meno di quel diritto costituzionale di scelta del corpo elettorale, giudicata da loro quasi “un ingombro”, ma che costituisce l’essenza stessa della democrazia, per il necessario periodico ricambio delle classi dirigenti. La democrazia e la sovranità popolare – come Lei sa meglio e più di EN – non è roba da poco, né una questione da affrontare a tempo debito. Con la legge elettorale “non si mangia”, ma di legge elettorale si alimenta la democrazia.

    Questo è il motivo che spinge EN a manifestarLe la preoccupazione per la gravità dello stato in cui si trova la democrazia italiana. Solo Lei, se lo riterrà opportuno, può richiamare l’attenzione delle Camere con un messaggio sull’opportunità di una nuova legge elettorale, che risponda ai requisiti propri di una democrazia, rispetti la sovranità popolare e soprattutto restituisca il diritto di rappresentanza ai territori.

    Con deferenza

    Seguono firme.

    Nicola Bono, Domenico Nania, Alfonso Amaturo, Alessandro Arancio, Nadia Barattucci, Luca Bellotti, Mario Biral, Corrado Cammisuli, Maria Teresa Conte, Piero Daglia, Vittorio Delogu, Enrico Facco, Edoardo Franza, Enea Franza, Renato Giovannelli, Giorgio Holzmann, Salvo La Porta, Mario Landolfi, Antonino Lo Presti, Gennaro Malgieri, Maria Teresa Manuela Ruggieri, Simone Margheri, Dino Melluso, Silvio Meloni, Silvano Moffa, Pippo Monaco, Sabino Morano, Cristiana Muscardini, Adriano Napoli, Orlando Oronzo, Walter Pepe, Perdicaro Maria Rosaria, Rosario Polizzi, Cinzia Renzi, Tommaso Romano, Francesco Rubera, Antonino Sala, Noemi Sanna, Enrico Squillante, Roberto Visentin, Marco Zacchera.  

  • Terzo polo e, speriamo, la fine del bipolarismo sia vero che falso

    Dove sono io è una splendida giornata di sole mentre la  politica piange le vittime, le ultime di una lunga serie, che si sarebbero evitate se i tanti governi degli ultimi trent’anni si fossero occupati del disastro idrogeologico che ha semidistrutto l’Italia.

    Occuparsi di un problema significa risolverlo, non parlarne a morti caldi e poi soggiacere ad altri interessi, ma è una vecchia storia.

    Inutile che i vari leader enuncino i danni provocati dal consumo del suolo e dalla cementificazione selvaggia, dalla colpevole incuria nel pulire i letti di fiumi e canali o dalle conseguenze per l’abbandono di ogni controllo del territorio per poi lasciare le cose come stanno, e così è stato sia per i governi di centro destra che per i molti anni di centrosinistra, nel silenzio del parlamento.

    D’altra parte cosa possiamo aspettarci da un parlamento che da anni è frutto di leggi elettorali nate per togliere ai cittadini il diritto, con la preferenza, di scegliere i propri rappresentanti?

    I partiti più numericamente forti si sono, decenni fa, inventati che per la governabilità il bipolarismo era la soluzione perfetta e hanno dato vita, con i loro parlamentari, a leggi elettorali che credevano li avrebbero premiati mentre toglievano agli elettori il diritto di scelta.

    Le conseguenze sono chiare: l’astensionismo è diventato sempre più alto con un rischio democratico evidente e sono rinati vari partitini che, alleandosi con l’una o con l’altra coalizione, sono ancora in parlamento a far cadere o a tenere in piedi governi di vario tipo.

    Quello italiano non è bipolarismo ma è una truffa e comunque gli italiani vogliono poter votare scegliendo chi deve rappresentarli, avendo la possibilità di controllare gli eletti anche per l’attività che svolgono sul territorio.

    Alle forze politiche non importa la sfiducia ed il conseguente astensionismo degli elettori, cercano solo di conquistarsi un posto al governo anche se governeranno con la maggioranza relativa del solo 50% degli aventi diritto al voto, cioè di fatto con il consenso di meno di un terzo degli italiani.

    Di quale prova ulteriore abbiamo bisogno? In piena campagna elettorale tutti i leader di partito hanno dichiarato come la legge elettorale sia sbagliata ma nei cinque anni della legislatura si sono ben guardati dal modificarla. Mentre la precedente legge elettorale era stata addirittura dichiarata incostituzionale!

    Bugie ed insulti reciproci si sono susseguiti per tutta la campagna elettorale mentre si è tralasciato di affrontare i gravi problemi legati al dissesto idrogeologico o alla sicurezza delle strutture come ponti e cavalcavia e le vittime di tante sciagure, dai terremoti alle alluvioni, attendono ancora la ricostruzione.

    Ben venga allora la nascita di un terzo polo nella speranza che i nuovi parlamentari, di ogni schieramento, vogliano dare subito vita alla riforma elettorale per riportare l’Italia sulla strada di una vera democrazia partecipata.

    In ogni modo votare è insieme un diritto ed un dovere e non andare a votare rafforzerebbe tutti coloro che ci hanno espropriato del nostro diritto di scelta consegnandolo ai capi partito.

    PS: Secondo i dati pubblicati dal Corriere i fondi per la messa in sicurezza del fiume Misa sono stati stanziati nel 1986, il progetto ad oggi è ancora fermo, nel frattempo ci sono state tre alluvioni e almeno 20 morti senza considerare l’immenso danno economico.

    Burocrazia? Errori di progettazione? Incapacità, indifferenza? L’unica cosa certa è che non si è fatto nulla in tempo utile!

  • Seicento eletti invece di quasi 1000, il nuovo Parlamento funzionerà così

    Saranno due Camere inedite, dimagrite di circa il 30% dei parlamentari, quelle che si riuniranno a fine ottobre dopo il passaggio delle urne. La riforma costituzionale varata nel 2020 ha infatti ridotto dai 630 ai 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 quello dei senatori eletti, ai quali si aggiungeranno i 5 senatori a vita. Una situazione inedita con degli interrogativi sull’attività parlamentare. Mentre la sforbiciata risolverà gli atavici problemi di spazi di lavoro per i parlamentari e i gruppi, ci si interroga sulla funzionalità degli organismi, specie per il Senato. L’Aula di Palazzo Madama riduce il numero delle Commissioni permanenti da 14 a 10 accorpandone alcune (Esteri e Difesa, Ambiente e Lavori Pubblici, Industria e Agricoltura, Lavoro e Sanità). E gruppi medio-piccoli avranno 1 o 2 senatori in ciascuna commissione, il che impedirà una loro specializzazione e imporrà un maggior ricorso ai tecnici esterni e ai legislativi dei ministeri. L’altro problema riguarda le Commissioni e gli Organi Bicamerali, come Copasir, Vigilanza Rai, Antimafia. Queste, per fare un esempio, dovranno evitare di riunirsi nel primo pomeriggio (quando non ci sono i lavori delle due Aule) in concomitanza con le Commissioni permanenti di Camera e Senato, pena il rischio di far mancare il numero legale nelle une o nelle altre. Per le Bicamerali in arrivo convocazioni all’alba o al tramonto, dunque.

    Tutti passaggi che saranno resi indispensabili dal nuovo assetto parlamentare deciso dalla politica. E che forse porterà con sé l’esigenza di altre riforme portanti come quella in chiave presidenziale invocata da Fratelli d’Italia o quella sulle autonomie perorata dalla Lega. Sullo sfondo il dibattito per una nuova legge elettorale che possa dare stabilità di governo alle coalizioni vincenti. Un problema sentito da tutti gli schieramenti, tanto da far dire a Giovanni Toti di fronte al parterre di Comunione e liberazione  che l’attuale legge sembra più una perversione che uno strumento di applicazione del consenso. E il Pd spiegare nel suo programma che è fondamentale rendere più forte, partecipato e trasparente il sistema politico italiano. Per questo motivo , “la pessima legge elettorale con la quale andiamo a votare deve essere cambiata, perché le liste bloccate sviliscono il ruolo del parlamentare, ne condizionano i comportamenti”. Da qui la proposta di nuove norme da proporre al Parlamento sin dai primi mesi della prossima legislatura per superare la frammentazione, il trasformismo, per ridurre gli effetti distorsivi sulla rappresentanza legati al taglio dei parlamentari e per favorire la costruzione di forze politiche stabili e dotate di una riconoscibile identità”.

  • Tutte le ragioni di Draghi e il nuovo patto per salvare il Paese

    Non occorreva avere il dono della premonizione del futuro per intuire che tutti i partiti, dopo le elezioni del Presidente della Repubblica, avrebbero intrapreso la strategia per il progressivo logoramento di Draghi.

    E se è vero che a dare fuoco alle polveri è stato Conte, che in tal modo ha definitivamente confermato la sua inadeguatezza a qualsiasi ruolo politico, per assenza congenita di acume e carisma, non è purtuttavia l’unico responsabile del processo di delegittimazione continua delle attività dell’esecutivo a guida Draghi, che è la vera ragione delle dimissioni del Presidente del Consiglio.

    Non v’è dubbio infatti che Draghi abbia ragione su tutta la linea.

    Fino all’uscita scomposta e disperata di Conte, quali sono state infatti le dinamiche all’interno della maggioranza in relazione alla coerenza del patto di governo?

    Quale è stato il comportamento di tutti i partiti, specialmente su due elementi fondamentali e dirimenti per le sorti presenti e future del Paese e cioè le riforme e la politica di spesa pubblica, per non parlare dell’Ucraina?

    Sei mesi di dure polemiche quotidiane su ogni punto delle riforme, che sono state stravolte, mutilate, accantonate, svuotate e oggetto di battaglia politica, confermando la volontà dei partiti di non volere alcun effettivo cambiamento del sistema obsoleto, che costituisce il principale freno allo sviluppo economico e sociale nazionale.

    Non era, quindi, solo il M5S a creare problemi, che purtuttavia con le sue “battaglie identitarie”, dal superbonus di 32 miliardi di euro, e le sue conseguenti truffe plurimiliardarie, insieme al reddito di cittadinanza, ha fatto strame di risorse, penalizzato il mercato del lavoro e che, proprio sul mantenimento di queste norme assurde, ha avviato la crisi, ma anche Salvini ci ha messo molto di suo e FI, quando si è trattato di temi come la giustizia, la concorrenza o il fisco, a giocare all’opposizione e minare le proposte del governo, o lo stesso PD, che non si è sottratto alle “battaglie identitarie” e, oltre a concorrere alle modifiche delle proposte governative, votate da tutti i ministri all’unanimità, ha pensato bene di aggiungere altri temi divisivi come lo Jus scholae o la liberalizzazione delle droghe leggere, offrendo ulteriori motivi a chi cercava solo ragioni di scontro.

    Un Governo di unità nazionale, nato per le emergenze, che viene messo da mesi in costante stato di assedio e ricatto da tutti i partiti che lo compongono, come può adempiere al proprio mandato?

    Questa è la domanda, l’unica possibile di Draghi, nel decidere di dimettersi.

    Perché il vero problema è l’evidenza che ormai da anni i partiti italiani non hanno alcuna dignità, coerenza e visione politica.

    La cosiddetta rivendicazione della identità, sotto forma di provvedimenti, è la più patetica forma di ammissione di non avere alcuna reale identità, né ideologica, né ideale, né culturale, e soprattutto contenuti, progetti e visioni di un originale modo di concepire il governo del Paese.

    Partiti ridotti a comitati elettorali, che si auto-referenziano con la personalizzazione dei leader che, a loro volta, passano le giornate a pronunciare slogan del tutto vuoti di significato ed inseguono algoritmi come fanno i peggiori influencer della rete.

    Ecco perché quando la Meloni invoca le elezioni non è credibile, perché il popolo elettore non può essere chiamato a scegliere nel vuoto pneumatico in cui versa la politica attuale.

    Demandare al voto popolare, per la quinta volta consecutiva dopo il Porcellum, una scelta sul nulla è vergognoso e onestamente patetico, specialmente per l’esproprio della scelta dei rappresentanti, che rimane totalmente prerogativa dei capi partito. Quindi un vuoto politico ed una totale assenza di riferimento popolare sugli eletti, pura espressione della casta dei capi partito.

    Ma che sistema democratico è questo?

    Ma proprio perché la situazione è così devastata che occorre salvaguardare Draghi, quale oggettivamente unico soggetto dotato degli strumenti per offrire ciò che realmente serve al Paese, che è del tutto ignorato dalla politica.

    Ma Draghi non accetterà mai di restare alla Presidenza senza la certezza che questa politica faccia davvero un passo indietro.

    Ed allora l’unica soluzione è la stipula di un nuovo patto politico che fissi il perimetro delle riforme, delle linee di gestione dell’economia e della spesa pubblica, delle politiche di contrasto alla  pandemia e la conferma dell’impegno alla difesa dell’Ucraina dall’aggressione Russa, insieme ai partner europei, con un impegno d’onore che l’adesione a tale patto costituisca per tutti i firmatari un obbligo da osservare per tutta la durata del governo e definisca in questo l’identità dei partiti che hanno scelto l’unità nazionale quale bene comune da preservare e il rilancio del Paese attraverso le riforme.

    Un patto anti lobby, che dovrebbe essere condiviso da tutti i partiti per il bene comune e che produrrebbe in pochi mesi ciò che la politica italiana non è riuscita a realizzare in oltre 40 anni.

    Tale patto andrebbe sottoposto a tutti i partiti, compresi FdI, perché sarebbe l’unico modo giusto per azzerare le differenze elettorali per le prossime elezioni da tenersi nel 2023.

    I temi al di fuori del patto, che non riguardano le questioni del governo di unità nazionale, resterebbero terreno di confronto politico che non inficerebbe l’azione di salute pubblica, ma che consentirebbe il libero confronto dei partiti con i cittadini.

    Così si qualificherebbero nei fatti i veri patrioti e chi non ci sta, evidentemente, non lo sarebbe.

    Solo a queste condizioni, e con l’impegno dei partiti di fare una riforma elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di scelta dei propri rappresentanti in Parlamento, si potrebbe uscire dall’empasse e scongiurare una ennesima elezione inutile, al servizio unicamente della casta politica ingiustamente e catastroficamente dominante.

  • Soddisfazione della Commissione per l’accordo politico sui salari minimi adeguati per i lavoratori nell’UE

    La Commissione europea plaude all’accordo politico raggiunto tra il Parlamento europeo e gli Stati membri dell’UE sulla direttiva relativa a salari minimi adeguati, proposta dalla Commissione nell’ottobre 2020.

    All’inizio del suo mandato la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha promesso uno strumento giuridico per garantire ai lavoratori dell’UE un salario minimo equo e ha ribadito tale impegno nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione del 2020.

    La direttiva istituisce un quadro per l’adeguatezza dei salari minimi legali, promuovendo la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e migliorando l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo nell’UE.

    I salari minimi adeguati sono importanti per rafforzare l’equità sociale e sostenere una ripresa economica sostenibile e inclusiva. Il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro va anche a vantaggio delle imprese, come pure della società e dell’economia in generale, stimolando la produttività e la competitività.

    La tutela garantita dal salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell’UE, attraverso salari minimi legali e contratti collettivi oppure esclusivamente attraverso contratti collettivi.

    Garantire che i lavoratori siano adeguatamente retribuiti è essenziale per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro e per costruire società ed economie eque e resilienti. Alcuni lavoratori risentono tuttavia della limitata adeguatezza e/o delle lacune nella copertura della tutela garantita dal salario minimo.

    La nuova direttiva mira ad affrontare questo problema istituendo un quadro dell’UE per rafforzare l’adeguata tutela garantita dal salario minimo, nel pieno rispetto delle tradizioni e delle competenze nazionali, come pure dell’autonomia delle parti sociali. La direttiva non obbliga gli Stati membri a introdurre salari minimi legali, né fissa un livello comune dei salari minimi in tutta l’UE.

    I principali elementi della direttiva sono elencati di seguito.

    • Un quadro per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali: gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali dovranno istituire un quadro di governance solido per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi, che comprenda:
      • criteri chiari per la determinazione dei salari minimi (tra cui: il potere d’acquisto, tenendo conto del costo della vita; il livello, la distribuzione e il tasso di crescita dei salari; la produttività nazionale);
      • l’utilizzo di valori di riferimento indicativi per orientare la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi (la direttiva fornisce indicazioni sui possibili valori che potrebbero essere utilizzati);
      • l’aggiornamento periodico e puntuale dei salari minimi;
      • l’istituzione di organi consultivi ai quali parteciperanno le parti sociali;
      • la garanzia che le variazioni dei salari minimi legali e le trattenute su di essi rispettino i principi di non discriminazione e proporzionalità, compreso il perseguimento di un obiettivo legittimo;
      • il coinvolgimento concreto delle parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali.
    • La promozione e l’agevolazione della contrattazione collettiva sui salari: la direttiva sostiene la contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, dato che i paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una percentuale inferiore di lavoratori a basso salario, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati. La direttiva chiede inoltre agli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore all’80% di istituire un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva.
    • Un miglior monitoraggio e una migliore applicazione della tutela garantita dal salario minimo: gli Stati membri dovranno raccogliere dati sulla copertura e sull’adeguatezza dei salari minimi e garantire che i lavoratori possano accedere alla risoluzione delle controversie e usufruiscano del diritto di ricorso. Il rispetto e l’applicazione efficace sono essenziali affinché i lavoratori possano effettivamente beneficiare dell’accesso alla tutela garantita dal salario minimo, e promuovono una competitività basata su innovazione, produttività e rispetto degli standard sociali.

    L’accordo politico raggiunto dal Parlamento europeo e dal Consiglio è ora soggetto all’approvazione formale dei colegislatori. Una volta pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’UE, la direttiva entrerà in vigore dopo 20 giorni e gli Stati membri la dovranno poi recepire entro due anni nel diritto nazionale.

    Fonte: Commissione europea

  • Il modello sudamericano

    Si scopre solo adesso che la riforma che ha portato al taglio dei parlamentari determinerà un accentramento di potere talmente imponente da creare una nuova oligarchia alla quale, attraverso l’accordo tra due soli parlamentari, sarà possibile porre le condizioni per una possibile crisi di governo, accrescendone quindi il potere discrezionale.

    Queste illuminate considerazioni vengono espresse “solo adesso” da Luciano Violante dopo che il suo partito, con l’obiettivo di consolidare un’intesa politica con i 5 Stelle (ai quali va attribuita la responsabilità della proposta politica), ha votato questa riforma disgraziata evidenziando, ancora una volta, il livello del valore etico, politico ed istituzionale del Partito Democratico.

    Sarebbe stato sufficiente infatti, per comprenderne le conseguenze, un semplice ragionamento elementare partendo dalla considerazione di come la riforma mantenesse inalterato il potere del Parlamento distribuendolo però tra un numero minore di parlamentari. Sarebbe emersa evidentemente una considerazione come quella attuale di Violante alla quale il segretario del PD risponde con un classico mutismo.

    Questa riforma di fatto rompe quell’equilibrio tra poteri contrapposti, il quale rappresenta l’essenza stessa della democrazia, accentrando così quello legislativo nelle mani di un numero minore di rappresentanti dello Stato il che equivale ad aumentarne potere, discrezionalità ed influenza.

    In questo modo la nostra democrazia declina verso un sistema politico all’interno del quale la delega elettorale rappresenta un aspetto sempre meno vincolante in quanto a questo un maggior potere dei parlamentari non viene contrapposta alcuna forma di riequilibrio, come potrebbe essere un vincolo di mandato anche parziale esercitato da parte degli elettori.

    In più questo disequilibrio assume sostanzialmente i connotati di un sistema istituzionale che nasce dalla contrapposizione tra poteri oligarchici istituzionali, con l’ulteriore aggravante che questa declinazione risulti il frutto non tanto di un progetto politico accentratore a bassa democraticità quanto della miserabile espressione di una semplice stupidità, intesa come l’incapacità di mettere in relazione causa ed effetto, dei proponenti e di chi l’ha approvata in parlamento.

    In questo contesto l’Italia di fatto esce dal novero delle democrazie occidentali per entrare in quello molto più variegato e squilibrato degli stati dell’America Latina (09.10.2019 https://www.ilpattosociale.it/2019/10/09/la-nuova-oligarchia-parlamentare/.

    Le considerazioni tardive di un esponente della sinistra italiana non tolgono né tantomeno attenuano le responsabilità di chi ha votato questa sciagurata riforma.

  • Quaranta proposte per definire il ruolo della Ue nel mondo

    I cittadini europei vogliono la riforma del trattato di Dublino e non escludono delle future forze armate congiunte europee. Queste sono solo due tra le 40 raccomandazioni finali che sono uscite dal quarto panel di cittadini dedicato a migrazioni e ruolo dell’Ue nel mondo, tenutosi lo scorso weekend a Maastricht.

    Il quorum minimo di voti per approvare le proposte, come per gli altri panel di Varsavia e Firenze, era del 70% dei favorevoli. Solo sei idee non hanno superato il quorum. La prima proposta è stata votata con il 90,26% dei voti favorevoli e prevede la sostituzione del trattato di Dublino – che attualmente obbliga gli Stati membri Ue i cui confini sono la frontiera esterna dell’Ue a farsi carico di tutte le domande di richiedenti asilo – con un sistema in cui ci sia una “distribuzione giusta, equilibrata e proporzionata” di migranti. Sono passate anche le proposte di un’elaborazione “più veloce e secondo standard comuni” delle richieste di asilo, con le stesse che possono essere elaborate da altri stati membri (87% dei sì). Bocciata, con solo il 65% dei voti positivi, la proposta che avrebbe limitato al 30% il numero di abitanti provenienti da Paesi terzi negli Stati membri. Nell’ambito del ruolo dell’Ue nel mondo, invece, si è dibattuto molto su una possibile creazione di un esercito comune europeo. I cittadini dei 27 Stati membri hanno votato contro alle “forze armate Ue” come “struttura sovranazionale”. Ma non hanno, al contrario, escluso una “forza armata congiunta per scopi di autodifesa e a supporto in crisi dovute a catastrofi naturali” (73% dei voti). Con la stessa percentuale si chiede di introdurre un “eco-score”, ovvero un punteggio dato ai prodotti in base alle emissioni impattanti sull’ambiente causate dalla produzione, trasporto e contenuto dei prodotti.

    Le 40 raccomandazioni dei cittadini saranno dibattute durante il weekend dell’11-12 marzo al Parlamento europeo di Strasburgo, assieme alle proposte finali su lavoro, economia, educazione e cultura che usciranno dal panel di Dublino (25-27 febbraio). Nella sessione plenaria dedicata ci saranno, assieme a 80 cittadini ambasciatori, anche rappresentanti del Parlamento Ue, dei parlamenti nazionali degli Stati membri, dei governi, della Commissione europea e della società civile europea

  • Le delegazioni dei Parlamenti nazionali discutono le proposte sul futuro dell’Unione europea

    Il 10 febbraio le delegazioni parlamentari alla Conferenza sul Futuro dell’Europa hanno tenuto il loro primo dibattito congiunto, incentrato sulla democrazia europea e sul processo decisionale dell’Ue. L’incontro si prefiggeva di promuovere una più stretta collaborazione tra eurodeputati e parlamentari e fare il punto sulla recente sessione plenaria della Conferenza che ha preso in considerazione le raccomandazioni di due gruppi di cittadini europei e gruppi di esperti nazionali. La prima parte dell’incontro, presieduta da Pieyre-Alexandre Anglade dell’Assemblea nazionale francese, si è incentrata sui poteri legislativi e sul controllo democratico esercitato dai Parlamenti, dalle elezioni europee e dal processo decisionale dell’Ue.

    La maggior parte degli oratori ha concordato sul fatto che, in quanto rappresentanti eletti direttamente dei cittadini europei a livello nazionale e dell’Ue, i deputati e i parlamentari condividono la responsabilità di salvaguardare l’intero processo democratico all’interno dell’Ue. Molti hanno parlato della necessità di trarre insegnamenti dall’applicazione dei Trattati di Maastricht e di Lisbona e di riformare l’Ue per affrontare le sfide vecchie e nuove. In tale ottica, molti hanno appoggiato la richiesta del Parlamento di un pieno diritto di iniziativa legislativa. Altri si sono concentrati sull’opportunità di creare liste transnazionali alle elezioni europee, hanno discusso proposte per eleggere direttamente il presidente della Commissione e sono intervenuti sulla riforma dei ruoli istituzionali del Consiglio e della Commissione. Superare l’unanimità in Consiglio è stato proposto da molti eurodeputati e parlamentari allo stesso modo, oltre a rafforzare il ruolo dei parlamenti nazionali nel processo legislativo dell’Ue, con idee per un sistema rinnovato “cartellino verde/giallo/rosso” per i controlli di sussidiarietà.

    La trasparenza nel processo decisionale dell’Ue è stato un altro punto chiave, con alcuni relatori che hanno affermato che i cittadini devono essere in grado di sapere chi tra le istituzioni dell’Ue e degli Stati membri decide cosa. Alcuni oratori hanno preso la parola per sostenere che le competenze dell’Ue dovrebbero essere revocate, chiedendo una minore integrazione europea. Il secondo punto all’ordine del giorno (presieduto da Jean-Francois Rapin del Senato francese) prevedeva un dibattito sulla politica estera, di sicurezza e di difesa comune dell’Ue, sulla governance economica e sul bilancio dell’Ue. I relatori si sono concentrati su un’ampia gamma di questioni. Tuttavia, il denominatore comune per la maggior parte di essi era la necessità di affrontare le sfide poste dai Paesi terzi, vicini al confine dell’Ue o sulla scena internazionale, attraverso un processo decisionale più efficiente e un’azione coordinata efficace. Idee presentate, tra cui l’allontanamento dall’unanimità in seno al Consiglio, un allineamento più stretto e a lungo termine delle politiche economiche e industriali, la promozione dell’autonomia strategica in più settori chiave e la revisione del ruolo dell’Alto rappresentante dell’Unione.

  • Un’opportunità per dimostrare di essere diversi e migliori degli avversari

    Il richiamo al governo affinché affronti subito, alla radice, lo spropositato aumento dell’energia, che sta portando a situazioni di disperazione troppe persone e costringe alla chiusura molte attività piccole e medie, è legittimo, specie da parte di chi è all’opposizione. Meno legittimo che si dica, come ha fatto Giorgia Meloni, secondo quanto scrive Il Secolo d’Italia, che non sia urgente occuparsi della legge elettorale, compito che ovviamente, ricordiamo a tutti, spetta ai partiti e non al governo. 1) Le elezioni sono a breve, nei primi mesi del 2023; 2) la legge elettorale deve garantire A) la rappresentanza parlamentare a tutti i territori italiani, B) la maggiore e più corretta partecipazione democratica proprio in un epoca dove la disaffezione al voto e l’astensione sono in continuo aumento; 3) con l’attuale legge non si può andare a votare in quanto non garantisce né la rappresentanza, dopo la diminuzione del numero dei parlamentari, né la partecipazione, inoltre si deve tener conto di tutte le osservazioni fatte dalla Corte Costituzionale; 4) la legge elettorale è un problema che devono risolvere i partiti ed il Parlamento non certo l’esecutivo come sembra sottendere Giorgia Meloni.

    Sarebbe perciò poi corretto e saggio che Fratelli d’Italia, oltre a criticare e contestare l’operato di tutti, si occupasse di presentare una sua proposta basata sull’interesse dei cittadini che da troppi anni, esasperati da un bipolarismo che in Italia non ha funzionato e dall’esproprio del loro diritto di poter scegliere i propri rappresentanti, scelti invece dai leader, si allontanano sempre più dalle urne. Oggi con un sistema maggioritario, che agli italiani non piace, si è arrivati da un lato all’impossibilità di fare un governo tra forze compatibili e dall’altro a veder governare partiti che hanno maggioranze costruite su una minoranza di votanti. Credere nella democrazia, amare la propria nazione significa dare vita ad una legge elettorale che vada bene per tutti, oggi come domani, e non costruirla su quello che si ritiene il proprio momentaneo interesse. Ci auguriamo che le forze di centro destra lo capiscano perché, in caso contrario, avranno perso un’altra importante opportunità per dimostrare, come sostengono, di essere diversi e migliori dei loro avversari.

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