Parlamento

  • Le delegazioni dei Parlamenti nazionali discutono le proposte sul futuro dell’Unione europea

    Il 10 febbraio le delegazioni parlamentari alla Conferenza sul Futuro dell’Europa hanno tenuto il loro primo dibattito congiunto, incentrato sulla democrazia europea e sul processo decisionale dell’Ue. L’incontro si prefiggeva di promuovere una più stretta collaborazione tra eurodeputati e parlamentari e fare il punto sulla recente sessione plenaria della Conferenza che ha preso in considerazione le raccomandazioni di due gruppi di cittadini europei e gruppi di esperti nazionali. La prima parte dell’incontro, presieduta da Pieyre-Alexandre Anglade dell’Assemblea nazionale francese, si è incentrata sui poteri legislativi e sul controllo democratico esercitato dai Parlamenti, dalle elezioni europee e dal processo decisionale dell’Ue.

    La maggior parte degli oratori ha concordato sul fatto che, in quanto rappresentanti eletti direttamente dei cittadini europei a livello nazionale e dell’Ue, i deputati e i parlamentari condividono la responsabilità di salvaguardare l’intero processo democratico all’interno dell’Ue. Molti hanno parlato della necessità di trarre insegnamenti dall’applicazione dei Trattati di Maastricht e di Lisbona e di riformare l’Ue per affrontare le sfide vecchie e nuove. In tale ottica, molti hanno appoggiato la richiesta del Parlamento di un pieno diritto di iniziativa legislativa. Altri si sono concentrati sull’opportunità di creare liste transnazionali alle elezioni europee, hanno discusso proposte per eleggere direttamente il presidente della Commissione e sono intervenuti sulla riforma dei ruoli istituzionali del Consiglio e della Commissione. Superare l’unanimità in Consiglio è stato proposto da molti eurodeputati e parlamentari allo stesso modo, oltre a rafforzare il ruolo dei parlamenti nazionali nel processo legislativo dell’Ue, con idee per un sistema rinnovato “cartellino verde/giallo/rosso” per i controlli di sussidiarietà.

    La trasparenza nel processo decisionale dell’Ue è stato un altro punto chiave, con alcuni relatori che hanno affermato che i cittadini devono essere in grado di sapere chi tra le istituzioni dell’Ue e degli Stati membri decide cosa. Alcuni oratori hanno preso la parola per sostenere che le competenze dell’Ue dovrebbero essere revocate, chiedendo una minore integrazione europea. Il secondo punto all’ordine del giorno (presieduto da Jean-Francois Rapin del Senato francese) prevedeva un dibattito sulla politica estera, di sicurezza e di difesa comune dell’Ue, sulla governance economica e sul bilancio dell’Ue. I relatori si sono concentrati su un’ampia gamma di questioni. Tuttavia, il denominatore comune per la maggior parte di essi era la necessità di affrontare le sfide poste dai Paesi terzi, vicini al confine dell’Ue o sulla scena internazionale, attraverso un processo decisionale più efficiente e un’azione coordinata efficace. Idee presentate, tra cui l’allontanamento dall’unanimità in seno al Consiglio, un allineamento più stretto e a lungo termine delle politiche economiche e industriali, la promozione dell’autonomia strategica in più settori chiave e la revisione del ruolo dell’Alto rappresentante dell’Unione.

  • Un’opportunità per dimostrare di essere diversi e migliori degli avversari

    Il richiamo al governo affinché affronti subito, alla radice, lo spropositato aumento dell’energia, che sta portando a situazioni di disperazione troppe persone e costringe alla chiusura molte attività piccole e medie, è legittimo, specie da parte di chi è all’opposizione. Meno legittimo che si dica, come ha fatto Giorgia Meloni, secondo quanto scrive Il Secolo d’Italia, che non sia urgente occuparsi della legge elettorale, compito che ovviamente, ricordiamo a tutti, spetta ai partiti e non al governo. 1) Le elezioni sono a breve, nei primi mesi del 2023; 2) la legge elettorale deve garantire A) la rappresentanza parlamentare a tutti i territori italiani, B) la maggiore e più corretta partecipazione democratica proprio in un epoca dove la disaffezione al voto e l’astensione sono in continuo aumento; 3) con l’attuale legge non si può andare a votare in quanto non garantisce né la rappresentanza, dopo la diminuzione del numero dei parlamentari, né la partecipazione, inoltre si deve tener conto di tutte le osservazioni fatte dalla Corte Costituzionale; 4) la legge elettorale è un problema che devono risolvere i partiti ed il Parlamento non certo l’esecutivo come sembra sottendere Giorgia Meloni.

    Sarebbe perciò poi corretto e saggio che Fratelli d’Italia, oltre a criticare e contestare l’operato di tutti, si occupasse di presentare una sua proposta basata sull’interesse dei cittadini che da troppi anni, esasperati da un bipolarismo che in Italia non ha funzionato e dall’esproprio del loro diritto di poter scegliere i propri rappresentanti, scelti invece dai leader, si allontanano sempre più dalle urne. Oggi con un sistema maggioritario, che agli italiani non piace, si è arrivati da un lato all’impossibilità di fare un governo tra forze compatibili e dall’altro a veder governare partiti che hanno maggioranze costruite su una minoranza di votanti. Credere nella democrazia, amare la propria nazione significa dare vita ad una legge elettorale che vada bene per tutti, oggi come domani, e non costruirla su quello che si ritiene il proprio momentaneo interesse. Ci auguriamo che le forze di centro destra lo capiscano perché, in caso contrario, avranno perso un’altra importante opportunità per dimostrare, come sostengono, di essere diversi e migliori dei loro avversari.

  • Mattarella, la Cittadinanza attiva, una legge elettorale che la garantisca

    La presidenza Mattarella dà qualche mese di respiro al governo Draghi per tentare di portare a termine alcuni di quegli interventi richiesti dall’Europa e necessari all’Italia dal punto di vista economico, strutturale e sociale. Tutti sappiamo bene che tra qualche mese la campagna elettorale per Camera e Senato, i prodromi si sono già visti nelle discordanti giornate per il Quirinale, impediranno di fatto all’attuale governo di poter lavorare in serenità e proficuamente. E’ perciò necessario ora accelerare i tempi a partire dall’approvazione di una nuova legge elettorale considerato che quella attuale, oltre che nefasta in sé, non è applicabile dopo la riforma che ha dimezzato il numero dei parlamentari. Anche sulla legge elettorale si consumeranno scontri duri e sarà, come sempre, difficile fare comprendere ai partiti che la legge non può essere fatta per premiare gli uni o gli altri di coloro che, in questo momento, si sentono avvantaggiati, ma che deve essere una legge che garantisca ai cittadini quella libera scelta di voto che è primo presupposto per la democrazia.

    Come abbiamo scritto più volte riteniamo che il sistema proporzionale, con soglia di sbarramento, con preferenza unica e con vero controllo delle spese elettorali, ed una norma che impedisca a volti noti di apparire in video in modo esorbitante, sia il sistema più democratico in quanto ridà finalmente ai cittadini il diritto di scelta e di controllo. In questo modo si toglierebbe una parte di quell’eccessivo potere di scegliere gli eletti, potere che hanno, da troppi anni, i capi partito e si riporterebbero i parlamentari a seguire anche i problemi del territorio, come avveniva molti anni fa. Solo con un sistema proporzionale si può pensare di riavvicinare gli elettori ai partiti e di portare i partiti ad utilizzare le capacità di tanti dirigenti ed iscritti che sono stati spesso emarginati perché non in stretta sintonia con i dirigenti di vertice.

    Un altro problema da affrontare, per cercare di arginare la disaffezione al voto diventata sempre più dilagante, è quello legato alla mancanza di chiarezza dei bilanci dei partiti che bisogna siano controllati dalla Corte dei Conti. Bisogna che i partiti abbiano personalità giuridica, così che si possa verificare che gli statuti rispettino la democrazia interna, a partire dagli organi di controllo e dall’indizione e svolgimento regolare dei congressi. Senza dibattito e confronto non c’è democrazia e se non c’è democrazia all’interno dei partiti come possiamo pensare che questi siano i garanti dell’Italia che è una repubblica democratica?

    Durante e dopo l’elezione del presidente Mattarella abbiamo assistito a vari rimescolamenti, segno evidente di una insofferenza anche nei rapporti personali e dell’incapacità, per molti, di una visione politica superiore al loro interesse di parte. Interesse di parte che, proprio per mancanza di visione politica, gli stessi leader non sono neppure riusciti a tutelare. E questo la dice lunga su come alcuni personaggi sarebbero in grado di governarci, specie in situazioni difficili come quelle che oggi ci presenta il contesto europeo ed internazionale, dalla Russia con i suoi legami sempre più saldi con la Cina, agli Stati Uniti che perdono forza, alle catastrofi naturali e innaturali sempre più frequenti, alle nuove tragiche povertà che non sono più solo nei paesi meno sviluppati.

    E’ il momento di una riflessione, senza arroganze e pressapochismi, chi sarà in grado di farla aiuterà la sua forza politica e l’Italia, chi continuerà a credere in un bipolarismo impossibile e nel leaderismo esasperato potrà, forse, aumentare qualche voto ma poi resterà marginale.

  • Una volta

    Qualche decennio fa il socialista Rino Formica definì la politica “sangue e merda” affrescando così un’immagine molto forte.

    La vicenda della rielezione del presidente Mattarella dimostra invece quanto obsoleta possa oggi venire considerata questa terribile definizione.

    Durante questa settimana, indipendentemente dai soggetti politici, abbiamo assistito ad un susseguirsi di proposte di candidati lanciati allo sbaraglio in quanto privi di alcun accordo politico precedente contemporaneamente a tradimenti politici e personali consumati nel giro di qualche ora. Uno spettacolo avvilente che ha dimostrato l’assoluta mancanza di qualsiasi tipo di valore umano espresso da questi leader politici i quali, per conseguire l’obiettivo minimo e anche la sola propria visibilità o l’affermazione della propria compagine politica, hanno senza ritegno imbastito delle trame finalizzate più a danneggiare l’avversario che non a raggiungere l’obiettivo, cioè l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica. Questi torbidi personaggi hanno utilizzato il palcoscenico parlamentare per recitare di fronte ai media la poesiola degli “alti obiettivi” che la loro azione intendeva raggiungere per poi, lontano dalle luci della ribalta e mediatiche, ordire le peggiori trame che mente umana possa immaginare.

    Subito dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, infatti, ognuno si è arrogato il merito della rielezione del presidente Mattarella accusando la parte avversa di aver ordito e tramato contro sé stessi e la nazione.

    Dopo sole quarantotto (48) ore si ritroveranno tutti assieme al prossimo Consiglio dei Ministri come espressione di un’alleanza politica, avendo ampiamente dimostrato la propria incapacità come forze governative risultando relegate a semplici forze di sostegno ad un governo eterodiretto.

    Se Rino Formica avesse ragione il sangue dovrebbe sgorgare da ferite politiche ed umane e, di conseguenza, dare vita a mutamenti politici e personali proprio in seguito alle ferite subite e al sangue che ne è conseguito.

    Viceversa lo spettacolo offerto dalla politica dimostra, soprattutto alle giovani generazioni, come si possa tradire senza pagare alcuna conseguenza e sempre per un interesse personale sorvolare sui torti subiti venendo meno a qualsiasi principio di dignità personale.

    Questo oggi emerge come unico messaggio che la politica è in grado di offrire e comunicare: un luogo dove non si trova più né il sangue né la merda. Semplicemente, invece, l’immagine più vicina allo spettacolo parlamentare è quello di un’immensa discarica priva di ogni valore politico, etico ma soprattutto umano.

  • Interrogazione a Patuanelli sulle nuove norme al vaglio del Parlamento europeo per la carne

    Il Parlamento europeo vuole modificare la denominazione di carne cosi da includervi anche prodotti di origine vegetale o sintetica e il leghista Lorenzo Viviani presenta uninterrogazione al ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli per bloccare “la campagna denigratoria in atto nei confronti di allevamenti e consumi di carne e suoi derivati”. La revisione del concetto di carne, lamenta l’interrogante, permetterebbe di chiamare hamburger una polpetta di soia o di etichettare come salsiccia un prodotto ottenuto da sintesi di laboratorio.

    Il regolamento (UE) 2015/2283 sui nuovi alimenti (novel food) aggiorna le categorie di alimenti che costituiscono nuovi alimenti, in relazione all’evoluzione scientifica e tecnologica. Fra questi, anche gli alimenti con una struttura molecolare nuova o volutamente modificata, oppure costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o colture di tessuti derivanti da animali, piante, microorganismi, funghi o alghe. Fatte salve le garanzie di sicurezza per i consumatori, il benessere animale e i risvolti di natura etica legati ai nuovi alimenti. La promozione di un modello di alimentare basato su cibi di derivazione vegetale e sintetica, lamenta il leghista, utilizza “fake news sull’impatto degli allevamenti intensivi, accusati di essere responsabili dei problemi ambientali del nostro pianeta” osserva Viviani. “Gli allevamenti, infatti, sono sempre più accusati di essere grandi inquinatori più di ogni altra attività dell’uomo (trasporti e industria comprese) o di consumare enormi quantità di acqua. Al contrario – sostiene il deputato – la zootecnia è un mirabile esempio di economia circolare e di sostenibilità. Sugli allevamenti si è così aperta una sorta di ‘caccia alle streghe’ tesa a demonizzare le produzioni animali, “magari per favorire surrogati sintetici che godono di investimenti miliardari” afferma ancora Viviani.

    A tutela degli allevamenti e delle produzioni nazionali, il parlamentare leghista chiede anche di informare il consumatore: l’inclusione delle carni sintetiche e delle carni vegetali tra i nuovi alimenti, “non può essere attuata in modo coerente senza prevedere una norma che chiarisca le modalità di etichettatura e l’espressa indicazione dell’origine sintetica o vegetale dell’alimento”.

  • Il Parlamento europeo vuole una legge per il femminicidio

    Un elenco che si allunga giorno dopo giorno. Una lista di donne morte ammazzate che, solo in Italia, ha raggiunto 84 nomi nel 2021, l’ultimo quello della 21enne Alessandra Zorzin, uccisa con un colpo di pistola nel Vicentino. Per questo il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione in cui si chiede una legge e delle politiche mirate per affrontare tutte le forme di violenza e discriminazione basate sul genere, contro donne e ragazze, ma anche contro le persone Lgbtiq+, sia offline che online. “Il femminicidio è la forma più estrema di violenza di genere contro le donne e le ragazze”, si sottolinea da Strasburgo, dove gli eurodeputati evidenziano che “anche negare l’assistenza all’aborto sicuro e legale è una forma di violenza di genere”.

    Oltre ai molti effetti negativi personali, sociali ed economici della violenza di genere, gli eurodeputati fanno notare che la situazione si è esacerbata con la pandemia e che la mancata risposta sulla carenza di fiducia da parte delle vittime di violenza di genere nei confronti delle autorità di contrasto e del sistema giudiziario è un elemento che contribuisce in modo importante allo scarso numero di denunce. L’Eurocamera chiede alla Commissione di elencare la violenza di genere come una nuova sfera di criminalità ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, insieme ad altri crimini che devono essere combattuti su base comune come il traffico di esseri umani, di droga e di armi, il crimine informatico e il terrorismo.

    E, dopo l’omicidio di Alessandra Zorzin a Montecchio Maggiore – l’omicida, una guardia giurata di 39 anni, si è suicidata subito dopo nella sua auto – oggi a Bari è stato fermato il presunto assassino dell’81enne uccisa a coltellate a Bari due giorni fa. Si tratta del 51enne Saverio Masecorto, addetto alle pulizie del palazzo dove viveva l’anziana. “Una persona bravissima, mi voleva bene, qui tutti mi vogliono bene, sono dieci anni che vengo qui a pulire”, aveva raccontato alle telecamere di Mediaset proprio nei momenti successivi all’omicidio. “Lunedì qui c’era un mortorio, un deserto, nessuno che entrava o usciva” aveva detto, confermando che lui c’era e spiegando che, secondo lui, il killer poteva essere entrato in casa perché “quando faceva caldo la signora lasciava sempre la porta di ingresso aperta”. Alla fine, incastrato dalle immagini delle telecamere di un negozio non distante dal palazzo, l’uomo si è arreso e ha confessato agli investigatori. Secondo quanto raccontato dall’uomo anche alle figlie, avrebbe ucciso la donna per rubarle 1.500 euro e un bancomat.

    Potrebbe essere l’ennesimo femminicidio anche quello di Antonietta Canu, la donna di 71 anni di Alghero, scomparsa da casa il 13 luglio scorso, il cui cadavere è stato ritrovato il 4 settembre in avanzato stato di decomposizione. Sul corpo della donna è stata eseguita l’autopsia dalla quale sarebbero emersi elementi che fanno pensare a un omicidio. Principale sospettato è il nipote 34enne della vittima, Antonio Cataldi, che viveva insieme con la zia. Gli inquirenti sospettano che la donna sia stata uccisa, il suo corpo tenuto nascosto per settimane e poi portato nel terreno incolto dove è stato ritrovato il 4 settembre.

  • Il ruolo e le idee dei liberali italiani

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, pubblicato sul ‘Corriere della Sera’ il 21 luglio 2021.

    Caro direttore,

    tutti gli elementi a disposizione portano a ritenere che nessuna intesa sarà possibile in questo scorcio di legislatura per il varo di una nuova legge elettorale, pur indispensabile alla luce dello sciagurato referendum costituzionale che, insensatamente, ha tagliato il numero dei parlamentari.

    La Fondazione Luigi Einaudi in quell’occasione ha dato un segnale preciso, portando, praticamente da sola, oltre il 30% degli italiani a votare contro quello scempio di democrazia. Quel seme darà i suoi frutti.

    E forse è possibile partire proprio da lì. Li c’è un’Italia che vuol voltare pagina.

    Oggi abbiamo una sinistra che vorrebbe tenere tutto insieme, senza una visione del futuro, in nome del pericolo rappresentato dalle «destre al potere», e una destra che continua a chiedersi «che cosa è», visto che è tutto e il contrario di tutto: europeista e sovranista, garantista e giustizialista, liberista e statalista.

    E poi c’è un’area centrale dell’elettorato, che potremmo definire liberale o per comodità «draghiana», su cui si incentrano le attenzioni di molti analisti politici.

    Dall’osservatorio privilegiato della Fondazione Einaudi scrutiamo sogni, ambizioni e velleità di questo mondo, che pur ci appartiene. Dicevo della legge elettorale, cioè delle regole del gioco. E le regole sono importanti, anche se non determinanti. Cercherò di spiegare il perché. Determinante è esistere, indipendentemente dalle regole del gioco, che in Italia cambiano anche troppo spesso.

    Primum vivere… i liberali tedeschi (Fdp) in questi decenni sono stati alternativamente al governo, presenti in Parlamento, ma anche al di fuori per non aver raggiunto la soglia di sbarramento (in Germania del 5%). Ma sono sempre loro, sono presenti e rappresentano una fetta di elettorato, anche un insediamento sociale ben individuato e indipendente dalle fortune elettorali. In Italia per tutta la cosiddetta seconda Repubblica un soggetto di tal fatta non è esistito.

    Dopo questa necessaria premessa torniamo alle «regole del gioco». Siamo ben consapevoli che anche se hai undici Maradona in squadra e quando entri sul terreno di gioco trovi i canestri del basket le buschi da chiunque. Ora i liberali italiani sono in una condizione anche peggiore: hanno undici leader che si credono ognuno un Maradona e che, nella maggior parte dei casi, non sono neanche Comunardo Niccolai (ricordo solo per i più anziani). Con l’aggravante che invece di giocare di squadra non solo non si passano la palla, ma quando passa vicino un compagno gli tirano un calcione. In queste condizioni è veramente difficile costruire alcunché.

    A chi quotidianamente chiede un intervento risolutivo alla Fondazione Einaudi rispondiamo sempre alla stessa maniera: siamo una fondazione culturale, vogliamo continuare ad occuparci di storia e cultura liberale, provvedano altri a svolgere il compito.

    Se si dovesse palesare qualcosa di serio e credibile all’orizzonte, la Fondazione Einaudi farà la sua parte. Fornirà idee, donne, uomini, docenti, professionisti di vaglia e progetti. Lo auspichiamo vivamente. Altrimenti, faremo di tutto per assicurare comunque la presenza di una pattuglia autenticamente liberale prima nel Parlamento italiano e, successivamente, nel 2024 nel Parlamento europeo.

    Non ha importanza come. Alleati con chiunque e a una sola condizione: che gli eletti si relazionino direttamente con il gruppo di Renew Europe e con il partito dei liberali europei (ALDE), inevitabilmente sempre più transnazionale. Insomma offriamo il meglio del nostro mondo a chi degli schieramenti in campo prospetterà le condizioni migliori, senza alcuna mediazione sulle nostre idee che sono e resteranno sempre le stesse: un europeismo senza se e senza ma; un garantismo intransigente; un economia di mercato in cui lo Stato faccia il suo, senza limitare concorrenza e innovazione affinché siano valorizzate le capacità di individui liberamente diseguali.

    Giuseppe Benedetto

    Presidente Fondazione Luigi Einaudi

  • Premio LUX: il pubblico e i deputati europei scelgono il film europeo dell’anno

    Ancora più film europei e un accesso ancora maggiore alla produzione cinematografica del nostro continente, con il nuovo Premio LUX del Parlamento europeo.

    Il premio cinematografico, creato 13 anni fa dal Parlamento europeo per sostenere la distribuzione dei film europei, è stato rinnovato per offrire ancora più opportunità ai creatori europei. Da quest’anno il pubblico sarà chiamato a scegliere direttamente il vincitore. Sempre da quest’anno il Premio sarà dato in collaborazione con la European Film Academy, per raggiungere un pubblico ancora più vasto.

    Il primo segno di questo profondo cambiamento è nel nome: “LUX- Premio del pubblico per il cinema europeo”. Ci saranno inoltre più film sottotitolati in tutte le 24 lingue ufficiali dell’Unione, cinque. Solo quest’anno i finalisti saranno tre, a causa dell’impatto che la pandemia ha avuto anche sull’industria del cinema.

    Il nome completo del nuovo riconoscimento riflette questa partnership: “LUX – Premio del pubblico per il cinema europeo, conferito dal Parlamento europeo e dalla European Film Academy – in collaborazione con la Commissione europea e Europa Cinemas”.

    Il nuovo iter che porterà alla proclamazione dei film vincitori sarà il seguente:

    Autunno: una giuria composta da professionisti del cinema sceglie i film in gara, che vengono sottotitolati nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione;

    12 dicembre 2020 a Berlino: i tre film nominati vengono annunciati durante la cerimonia degli European Film Awards;

    Dicembre 2020 – 23 maggio 2021: i film vengono distribuiti nelle sale e online, per il pubblico europeo;

    Fino al 23 maggio 2021 – Il pubblico e gli eurodeputati votano sul sito www.luxaward.eu. Ciascun gruppo conta per il 50% del risultato finale;

    9 giugno 2021: il film vincitore viene annunciato durante una cerimonia al Parlamento europeo

    Il premio LUX promuove co-produzioni europee che trattano i temi politici e sociali dell’attualità e incoraggiano un dibattito sui nostri valori. Questo impegno continua, così come quello di rendere il cinema europeo accessibile, sottotitolando in 24 lingue i film in gara.

    Naturalmente registi e interpreti ritroveranno il tappeto rosso al Parlamento europeo, visto che la premiazione avverrà come di consueto durante una sessione plenaria. Cambia solo la stagione: invece che a novembre, il premio verrà assegnato in primavera, in aprile.

    “Siamo l’unico parlamento al mondo che conferisce un premio al cinema”, ha detto il Presidente David Sassoli in un video messaggio mandato al Festival di Venezia, che ha aggiunto: “Il nuovo premio è un passo avanti nel sostegno ai lavoratori della cultura e alle produzioni duramente colpite dalla pandemia”

  • Minniti va a lavorare per Leonardo, ennesimo cervello in fuga dal Parlamento

    Il primo a lasciare il seggio a Montecitorio, a un anno esatto dall’avvio della legislatura, era stato Guido Crosetto. Al terzo tentativo, il 13 marzo del 2019, era riuscito a far accettare all’Aula le sue dimissioni da deputato di Fratelli d’Italia. Sulla stessa strada, negli ultimi mesi lo hanno seguito Pier Carlo Padoan e Maurizio Martina. E ora la ‘fuga di cervelli’ dal Parlamento prosegue con Marco Minniti. L’ex ministro dell’Interno del governo Gentiloni, si trasferisce a Leonardo, dove dirigerà, secondo la notizia anticipata da Repubblica, la fondazione Med-or.

    Tra cambi di casacca, responsabili, costruttori e parlamentari in lite con i loro partiti l’assetto dei gruppi di Camera e Senato varia continuamente, e non solo in questa legislatura. Ma a modificarlo non sono sempre questioni politiche. Pier Carlo Padoan ha lasciato la Camera (dove era stato eletto come indipendente) il 4 novembre scorso dopo due anni di mandato e dopo l’esperienza come titolare del Mef nei governi Renzi e Gentiloni, per tornare ad occuparsi direttamente di economia. Siede nel consiglio di amministrazione di Unicredit dove ha portato le sue capacità maturate al Fondo monetario e all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo internazionale. Anche Maurizio Martina è rimasto alla Camera per meno di una legislatura, ma la sua esperienza politica data dalla gioventù. Lombardo, a settembre ha compiuto 42 anni, Martina ha affiancato alla passione per la politica quella per i temi dell’ambiente e dell’agricoltura. E’ stato segretario del partito democratico dal marzo al novembre del 2018 e ministro delle Politiche agricole nei governi Renzi e Gentiloni. Alle ultime primarie dem è arrivato secondo con il 22% delle preferenze dietro al Nicola Zingaretti e davanti a Roberto Giachetti. Il 20 gennaio ha ufficializzato le dimissioni da deputato per accettare l’incarico di vicedirettore della Fao.

    Politico di lungo corso, Marco Minniti si sposta dalle aule del Parlamento agli uffici di Leonardo. Eletto per 5 legislature, è stato per quattro volte deputato e per una senatore. E’ stato sottosegretario alla presidenza del consiglio con Massimo D’Alema dal 1998 al dicembre del 1999, sottosegretario alla Difesa con Amato, vice ministro dell’Interno con Prodi e nuovamente sottosegretario a Palazzo Chigi prima con Enrico Letta e poi con Matteo Renzi. Paolo Gentiloni lo ha voluto ministro dell’Interno del suo governo. Anche per lui, quando l’Aula di Montecitorio accetterà le sue dimissioni, le dispute interne al Pd e gli scontri in Parlamento saranno un ricordo

  • Draghi e la mancata discontinuità

    La profonda delusione legata alla scelta dei nuovi ministri nasce da due considerazioni oggettive ed assolutamente sconfortanti.

    Era ovviamente chiaro come per ottenere l’appoggio all’interno del parlamento il primo ministro incaricato avrebbe dovuto destinare alcuni ministeri a rappresentanti delle varie aree politiche come contropartita del loro appoggio al governo stesso. In questo contesto e proprio per dare un segno chiaro di discontinuità rispetto ai governi precedenti ci si aspettava che i partiti stessi risultassero in grado di proporre delle figure professionali e competenti e che non fossero compromesse con incarichi di governo precedenti.

    Mai come in questo caso l’occasione di dimostrare una vera discontinuità confermata dalla scelta del Presidente del Consiglio incaricato avrebbe dovuto trovare un riscontro nella rosa  dei rappresentanti dei diversi dicasteri. Viceversa, i rappresentanti ministeriali delle singole aree politiche che rispondono ai vari partiti risultano elementi di perfetta continuità tanto con il governo Conte quanto addirittura con precedenti compagini governative. Caratteristiche e background entrambi espressione di quella classe governativa i cui risultati disastrosi  avevano costretto il Presidente della Repubblica ad un incarico a Draghi come elemento di assoluta discontinuità con la classe politica.

    E questo rappresenta il primo elemento sconcertante che emerge da una prima analisi della compagine ministeriale. Successivamente, ed arriviamo al secondo aspetto decisamente più preoccupante in prospettiva della gestione dell’emergenza sanitaria dei prossimi mesi, con la conferma del medesimo Ministro della Sanità del precedente  governo Conte  viene completamente ed implicitamente “premiata”

    la disastrosa strategia sanitaria e della gestione pandemica del precedente governo. Quest’ultimo forse rappresenta l’elemento più imbarazzante e preoccupante soprattutto in prospettiva di un già ampiamente conclamato e disastroso piano vaccinale interamente attribuibile all’incompetenza del ministro Speranza e del suo commissario Arcuri.

    La prima discontinuità che il governo Draghi avrebbe dovuto dimostrare e pretendere dagli stessi partiti doveva trovare la sua prima espressione nella consapevolezza di poter richiedere un ministro della Sanità magari della stessa area politica ma non già ampiamente compromesso per i disastrosi risultati fin qui ottenuti con il governo precedente.

    Due elementi, quindi, che lasciano molto perplessi sulla capacità di invertire radicalmente la rotta di una classe governativa la cui inadeguatezza aveva portato il Presidente della Repubblica alla scelta di Draghi.

    Mai come ora la discontinuità nasce e si dimostra attraverso la scelta dei diversi ministri. Il presidente Draghi come l’intero insieme dei partiti che lo appoggiano hanno perso la prima occasione per dimostrarsi migliori di chi li avesse preceduti ma soprattutto di avere compreso le reali aspettative degli elettori e dei cittadini italiani in relazione ad una chiara inversione di tendenza delle strategie governative.

    Come inizio è molto ma veramente molto  al di sotto delle minime aspettative.

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