Parlamento

  • Draghi e l’urgenza di riforme necessarie per il Paese

    L’incarico a Draghi, che in molti da tempo speravamo, può finalmente aprire il percorso di rifondazione del quale l’Italia ha urgenza, rifondazione del sistema democratico, che in questi anni è stato più volte appannato, rifondazione dell’assetto istituzionale e rifondazione del concetto di politica e del peso della finanza sull’economia reale. Oltre alle emergenze sanitarie, dal diffondersi del covid alla campagna vaccinale, che non ha bisogno di padiglioni fatti a primula, alla crisi occupazionale e psicologica di tanti, abbiamo necessità di riformare il rapporto Stato, Regioni, territorio, partendo dalla sanità e dalla prevenzione, di sconfiggere il morbo che si è impadronito di parte della magistratura togliendo, in troppi casi, le aspettative di libertà e giustizia, di far ritornare i partiti alla loro corretta funzione di raccordo tra le istituzioni ed i cittadini partendo dalla necessità che gli stessi abbiano democrazia interna controllata e bilanci verificati dalla Corte dei Conti. Occorrono leggi elettorali che riconsegnino agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti ridando centralità al parlamento, bisogna riformare in modo chiaro ed equo il sistema fiscale e ricreare solidarietà tra tutte le componenti della società, dai più giovani ai più anziani. Il sistema bancario deve vedere eliminate le sperequazioni ed i gravi problemi creati dalla mancanza di diversificazione tra banche di risparmio e di investimento e l’economia verde, diventata un’urgenza improrogabile, deve trovare misure adeguate nei rapporti con il commercio internazionale. Né può essere trascurata la necessità, da affrontare con il resto del mondo, di una strada più corretta per l’utilizzo delle risorse informatiche. Draghi ha di fronte un impegno difficile non solo per i tanti problemi da affrontare nel breve tempo ma specialmente perché in Italia da troppo tempo si sono incancrenite situazioni di potere ed interesse che contrastano con le necessità del Paese ma vogliamo sperare che il coraggio, la pazienza e la determinazione che lo hanno guidato nel passato siano di esempio e di sprone ai molti che, a parole, sostengono di volere il bene degli italiani.

  • La rana e la prostituzione istituzionale

    Il segno più cristallino del declino di un paese, al di là delle opinioni legittime relative alle diverse forme di sistema elettorale, viene rappresentato oggi dalla proposta di mercimonio avanzata dal Presidente del Consiglio al Parlamento.

    Quando un Presidente del Consiglio in carica offre in cambio dell’appoggio al proprio governo il cambiamento del sistema elettorale in proporzionale netto, assicurando così l’ingresso in Parlamento anche a forze politiche residuali, si raggiunge il livello più basso della democrazia parlamentare e rappresentativa.

    La logica conseguenza di questa “proposta indecente” ma soprattutto del ragionamento che sottende questa offerta trova la propria indicazione nel come il sistema elettorale rappresenti ora un fattore funzionale al sistema politico e come tale venga utilizzato.

    Lo strumento democratico e la sua complessa articolazione di conseguenza diventa una merce politica spendibile per un accordo di maggioranza.

    Questa assolutamente vergognosa mercificazione della democrazia e dei suoi strumenti proposta dal presidente Conte mette a nudo trent’anni anni di scellerate riforme elettorali il cui obiettivo dichiarato veniva indicato nella vicinanza ma soprattutto nella più limpida espressione delle manifestazioni ed intenzioni di voto dei cittadini.

    Oggi, invece, ancora una volta, il sistema elettorale e le sue diverse articolazioni vengono trasformate in un fattore funzionale al mantenimento in essere delle attuali compagini governative e parlamentari.

    Un altro pilastro, così, della democrazia parlamentare, cioè quello della massima rappresentatività dei voleri espressi con il voto dai cittadini viene trasformato in uno strumento di mantenimento del potere e per questo oggetto di trattativa tra le diverse forze politiche. Diventa quindi funzionale ad assicurare il mantenimento o l’accesso al seggio parlamentare bypassando clamorosamente anche la rispondenza con le intenzioni degli elettori.

    Il discorso del presidente Conte in questo senso è di una gravità inaudita perché di fatto mina alle fondamenta il principio della rappresentatività di una repubblica democratica delegata parlamentare. Esattamente come per la teoria della rana che viene lasciata nella pentola e piano piano si aumenta la temperatura dell’acqua fino a farla bollire senza che lei se ne accorga, con la medesima tecnica questa nefasta classe politica poco alla volta sta smontando passo dopo passo e principio dopo principio la nostra democrazia.

    Mai prima si era raggiunto un così infimo livello di prostituzione istituzionale e parlamentare, segno cristallino di una metastasi democratica di chi opera non in nome della democrazia ma semplicemente per conseguire i propri privati obiettivi.

  • Prorogare lo stato di emergenza non basta se il governo non mantiene le promesse fatte

    Sembra ormai scontato che il Governo chieda al Parlamento la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio portando così ad un anno il potere del Presidente del Consiglio di emanare i famosi DPCM. Ovviamente la decisione del Governo dovrà ottenere il voto favorevole del Parlamento. Lo stato di emergenza prolungato per così tanti tempo preoccupa, giustamente, molti sia perché di fatto da mesi il Parlamento è esautorato di molti dei suoi compiti sia perché non sempre le scelte del Presidente del Consiglio si sono rivelate idonee, inoltre l’esecutivo non è stato in grado di far rispettare le molte promesse fatte.

    Vale ricordare che tutt’ora una rilevante parte degli italiani non ha ricevuto la cassa integrazione, che i contributi per biciclette e monopattini (questi ultimi rivelatisi anche molto pericolosi) non sono ancora stati varati ma solo annunciati creando gravi disagi in coloro che hanno fatto gli acquisti credendo all’esecutivo, che la scuola è ancora nel caos e che troppi uffici di interesse pubblico sono ancora chiusi con i conseguenti problemi per i cittadini. In modo avventato furono aperte le discoteche lasciando chiusi i tribunali e le tanto promesse riduzioni delle bollette si sono tramutate, dai prossimi giorni, in un aumento considerevole dei costi delle utenze.

    Per queste e molte altre ragioni riteniamo che lo stato di emergenza non debba essere prolungato così a lungo e che comunque vada introdotta una norma che sottoponga comunque alla firma del Presidente della Repubblica i decreti del Presidente del Consiglio, in caso contrario rischiamo che lo stato di emergenza si tramuti in una dieta di potere assoluto di Conte che ha rappresentato due coalizioni di governo completamente opposte e che non ha mai avuto, dal voto popolare, alcun mandato. Oltre al Covid vi sono molti altri gravi problemi che attanagliano il nostro Paese, non ultimo la tenuta della democrazia.

  • La necessità di solidarietà nella politica di asilo dell’UE

    Primo cambio di rotta nell’Ue sulla questione accoglienza dei migranti, almeno nelle intenzioni. Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che gli Stati membri che adempiono i loro doveri in i termini di accoglienza dei richiedenti asilo e quelli più esposti devono poter contare sulla solidarietà dell’intera UE. Ha anche sottolineato che il nuovo sistema di asilo dell’UE “dovrebbe includere la ricerca di nuove forme di solidarietà e dovrebbe garantire che tutti gli Stati membri apportino contributi significativi “. Parole e concetti ripresi anche dalla vicepresidente Margaritis Schinas, che ha affermato che il nuovo patto di asilo e migrazione, presentato il 23 settembre 2020, includerebbe un “sistema di solidarietà permanente ed efficace” per distribuire i richiedenti asilo tra i paesi dell’UE. Il Parlamento europeo ha chiesto costantemente un meccanismo automatico e vincolante per un’equa distribuzione di richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri dell’UE e per i limiti di accesso ai fondi dell’UE per i paesi non cooperativi, anche nella sua relazione in prima lettura dell’ottobre 2017 sulla rifusione del regolamento di Dublino.

  • Il mistero di alcuni Sì

    Molte sono state le dichiarazioni e le spiegazioni per il Sì e per il No al Referendum, quello che resta, apparentemente, un mistero è come leader di partiti, quali Fratelli d’Italia e Lega oltre al Pd, nonostante il parere contrario di molti loro simpatizzanti, elettori ed anche dirigenti, si ostinino a fare propaganda per il Sì. La vittoria del Sì imporrà il cambio della Costituzione che, in un paese democratico, dovrebbe essere fatta o da una costituente ad hoc o da un parlamento appena eletto con un governo guidato da un Presidente del Consiglio votato dai cittadini. La Costituzione rappresenta il presente ed il futuro di tutti noi e non può essere modificata per piccoli o grandi interessi di parte perché la democrazia è un bene comune che va difeso oggi più che mai.

    La vittoria del Sì comporta la perdita, per molti territori, dei propri rappresentanti e perciò sarà particolarmente complesso varare quella nuova legge elettorale che deve garantire a tutti una adeguata rappresentanza e sarà difficile trovare un accordo tra partiti così divisi sul sistema di voto e tutti convinti a non voler ridare ai cittadini il diritto di scegliersi il proprio rappresentante. Se infatti la preferenza richiede regole certe e particolari attenzioni, per evitare che alcuni acquisiscano in modo scorretto i voti, è altrettanto vero che la nomina dei parlamentari, che di fatto avviene da anni da parte dei capi partito, ha ridotto il Parlamento ad un organismo non più in grado di svolgere la sua funzione legislativa, come dimostra il silenzio di questa legislatura.

    Anche Cottarelli ha convintamente ricordato che la vittoria del Sì non darà nessun risparmio economico, ci sarà invece la perdita secca di un altro po’ di libertà mentre a passi rapidi si va verso un’oligarchia che non rappresenta certo l’élite culturale, morale e politica dell’Italia. Siamo in un momento, non breve, di particolare difficoltà per la salute e per l’economia e andrà ripensata la nostra società nel suo complesso ma una cosa è certa la democrazia, la vita di una nazione, nel contesto europeo ed internazionale, non si difende con populismi di varia natura, come troppi stanno facendo.

    Votare No al Referendum è l’inizio di un nuovo cammino che potranno intraprendere insieme tutti coloro che, venendo anche da esperienze culturali e politiche diverse, credono che l’Italia debba essere una repubblica democratica, parlamentare, basata su un sistema economico che sappia coniugare la libertà d’impresa con le necessarie riforme sociali che ancora mancano.

  • Le ragioni del No

    Per garantire che la modifica della Costituzione, necessaria immediatamente se dovesse passare il Sì al Referendum, corrisponda alle reali esigenze dell’Italia e non di singole forze politiche o gruppi di interesse, questa dovrebbe avvenire tramite i lavori di un’assemblea costituente. L’indizione di una costituente, in grado di ammodernare la Costituzione nata nel 1948 e che ha reso possibile la vita democratica in questi anni, richiede un accordo tra forze politiche che ad oggi dimostrano, nei fatti, di non avere la stessa visione di repubblica democratica, lo stesso rispetto per la funzione legislativa ed il ruolo del parlamento, la stessa considerazione per il diritto di scelta che dovrebbe spettare ai cittadini.

    Da lungo tempo il parlamento è esautorato dalle sue prerogative costituzionali e inesorabilmente siamo approdati ad una sistema oligarchico, per altro privo di quelle menti illuminate e colte che potrebbero, eventualmente, per un periodo breve di emergenza, giustificare che a pochi, anche non eletti dal popolo, sia consentito decidere in autonomia e scavalcando, di fatto, l’ordinamento costituzionale.

    Il problema non è diminuire il numero degli eletti ma impedire che i capi partito continuino a nominare i deputati impedendo, con le sciagurate leggi elettorali che abbiamo da troppo tempo, che i cittadini possano scegliere chi dovrà rappresentarli. Il problema è l’impreparazione, il pressapochismo, l’ignoranza di troppi parlamentari e la mancanza di norme che consentano la punizione esemplare e senza indugi di chi sbaglia e usa il suo mandato per affari illeciti.

    Votare No al Referendum è l’unico modo per riportare al tavolo della discussione il futuro della nostra democrazia, per stanare chi vuole, nascondendo i veri obiettivi dietro una falsa possibilità di risparmio, rendere sempre più ristretta e incontrollata la compagine di potere. Dire No al Referendum significa tentare di dare finalmente vita ad una stagione non solo di riforme ma anche di trasparenza, quella trasparenza che i 5 Stelle avevano tanto sbandierato e che si è tramutata nella pagina opaca del nostro presente.

    Un No convinto per difendere la Repubblica.

  • I parametri democratici

    Da oltre vent’anni il sistema politico italiano (inteso come la sintesi tra partiti politici, media e mondo accademico  componenti di un unico mondo in quanto media e mondo accademico hanno perso  la terzietà, nella sua articolata composizione, si prodiga in continui tentativi di riforme o  di modifiche con il fine dichiarato di  renderlo diverso e, secondo i proponenti, migliore.

    Risulterebbe interessante, tuttavia, definire dei criteri di valutazione condivisi, e quindi impermeabili all’ideologia, che potessero determinare il reale stato dell’arte.

    Al di là delle sempre interessanti elucubrazioni tra stato federale o centrale e solo indirettamente e con minore intensità tra democrazia diretta (alla quale senza dignità la piattaforma Rousseau dice di ispirarsi) o delegata  i parametri di valutazione di uno stato democratico dovrebbero venire individuati soprattutto nella capacità del sistema di distribuire di benessere sociale ed economico  compatibilmente con il quadro internazionale.

    Negli ultimi vent’anni , invece, la pressione fiscale aumentata di 166 miliardi oltre il 47,4% mentre il PIL ha segnato un +43,9%, quindi la pressione fiscale risulta vincente con un +3,5%.

    A fronte di questa maggiore disponibilità economico-finanziaria che i governi degli ultimi vent’anni hanno avuto a disposizione dopo quattro dal terremoto ad Amatrice risultano avviati ottantasette (87) progetti di ricostruzione nella zona terremotata a fronte dei millesettecento (1700) progetti.

    Parallelamente Il nostro paese continua a pagare il maggior prezzo dei carburanti alla pompa e con strategie suicide (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-scellerata-politica-fiscale-del-governo-conte/) e nonostante una delle pressione fiscale più alte d’Europa i cittadini e l’economia italiani nel loro complesso sono oppressi da una burocrazia che si traduce in un livello di servizi da paese del centro America.

    Si continua a parlare e discutere della crescita zero della natalità italiana incapaci di comprendere le motivazioni della crescita positiva delle provincie di Trento e Bolzano. Queste due ultime espressione della maggior fiducia della cittadinanza che le gestioni autonome possano infondere  nella complessità politica.

    In questo contesto, ancora una volta, si cerca di cambiare il quadro politico istituzionale con la modifica numerica del parlamento  (la quale dovrebbe invece essere l’ultimo passo di una modifica istituzionale strutturale delle Camere) riducendolo in modo infantile e francamente stupido il numero dei rappresentanti . Come se questo permettesse un maggiore aumento dell’efficienza dell’organo stesso.

    In altre parole, non si interviene sulla operatività di uno stato democratico la quale rimane inalterata se non  in costante declino di anno in anno ma semplicemente variando il numero dei rappresentanti.

    In questo senso giova ricordare come nel progetto politico di Licio Gelli e della loggia P2 la riduzione dei parlamentari fosse un passaggio fondamentale per la realizzazione del proprio  progetto politico che non aveva assolutamente alcuna connotazione democratica.

    Inoltre la riduzione dei parlamentari non farebbe altro che aumentare il potere degli eletti ai due rami del parlamento i quali si troverebbero a rappresentare interessi sempre più complessi ed articolati. Un passaggio fondamentale per la creazione di una vera e propria oligarchia parlamentare.

    Sembra incredibile come per la nuova classe politica italiana la concentrazione del potere rappresenti e venga indicata come una forma evoluta di democrazia, quando generalmente è la diluizione, assieme ad un bilanciamento di poteri contrapposti, a rendere tale  la democrazia .

    La metastasi culturale del nostro paese si sta definendo nelle sue connotazioni più miserabili inserendo nella volontà di miglioramento di una democrazia i soli parametri numerici. Menti “inappropriate” generano “riforme”disastrose.

  • La riduzione del numero dei parlamentari: cose dell’altro mondo

    Riceviamo e proponiamo un articolo dell’on. Michele Rallo pubblicato il 18 ottobre 2019 e ancora attuale in vista del referendum di settembre 

    Tutto cominciò nel 2007, quando due giornalisti del “Corriere della Sera” – Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo – diedero alle stampe il libro «La casta»: un clamoroso successo editoriale, agevolato da una mastodontica campagna di amplificazione mediatica.

    Attenzione a due particolari. Primo: Stella e Rizzo non scrivevano sul “Manifesto” o su una qualche testata antagonista, ma sul Corrierone nazionale, come a dire sull’organo ufficioso del potere politico ed economico del nostro paese. Secondo: il libro parlava di una casta soltanto, quella dei parlamentari, tralasciando accuratamente le decine o, forse, le centinaia di altre “caste” che in Italia hanno vantaggi economici (e non solo economici) pari o superiori a quella dei parlamentari; penso, per fare un solo esempio, ai livelli alti e medio-alti dei quotidiani nazionali.

    Bene. Dalla pubblicazione di quel libro derivò il lancio in grande stile del fenomeno dell’anti-politica; e da questo, due anni più tardi, la nascita di un similpartito – il Movimento Cinque Stelle – privo di una qualsiasi identità politico-ideologica e dedito esclusivamente ad acquisire simpatie a buon mercato tuonando contro la classe politica. Una classe politica che l’opinione pubblica più sprovveduta identificava come l’unica responsabile di una crisi economica che aveva abbassato drasticamente i nostri standard di vita.

    Cosa – questa – che era vera solamente in parte, perché la crisi (massacro sociale, licenziamenti, riforma delle pensioni, privatizzazioni, immigrazionismo programmato, eccetera) era stata voluta e imposta da poteri extrapolitici, dai cosiddetti “mercati”, cioè dalla finanza internazionale che voleva (e vuole) strangolare i popoli attraverso la globalizzazione economica. La colpa della classe politica era stata quella di obbedire, di non opporsi, di non resistere.

    Ragion per cui, era evidente – almeno a mio modesto parere – che per combattere la crisi non occorresse certo l’anti-politica ma, al contrario, più politica. Più politica capace di opporsi ai poteri forti, naturalmente, più politica all’altezza della situazione, brava, energica, sana, preparata. Più politica che, però, poteva nascere solo dal seno dei partiti, non certamente dalla mancanza assoluta di preparazione politica e di capacità operativa, dagli improvvisatori, dai dilettanti allo sbaraglio, dai teorici del vaffa e del “sono tutti ladri”, dal nichilismo eretto a sistema. Ma “più politica” – é la mia personalissima opinione eretica – era esattamente il pericolo che i poteri forti volevano scongiurare.

    Comunque, sulle parole d’ordine dell’anti-politica sono state costruite le fortune elettorali di un similpartito che si è gonfiato fino a diventare la prima forza politica nazionale (salvo poi a sgonfiarsi repentinamente). Ma ciò è avvenuto soltanto perché le grandi catene televisive hanno fatto a gara nel rilanciare i postulati grillini sulla “casta” e, soprattutto, perché quasi tutte le forze politiche “normali” hanno accettato di fiancheggiare le esternazioni demagogiche dei pentastellati, rinunciando a spiegare al popolo italiano che la maggior parte delle cose dette da costoro era poco più che aria fritta.

    Esempio tipico, quello del taglio dei vitalizi. Uno specchietto-per-le-allodole di poca o nessuna utilità. Il problema reale non era (e non è) quello di tagliare i trattamenti previdenziali di un migliaio di ex parlamentari; ma quello di tagliare centinaia di migliaia di “pensioni d’oro” pari o superiori a quelle dei parlamentari. Nessuno ha avuto il coraggio di dirlo. Con il risultato che i grillini coi vitalizi ci hanno vinto una campagna elettorale; e dopo, quando hanno dovuto “mantenere gli impegni”, hanno partorito un provvedimento a tal punto allucinante da costringerli a varare una delibera aggiuntiva, per evitare che alcuni titolari di “vitalizi d’oro” vedessero addirittura aumentare le proprie spettanze.

    Ma, passi per la questione dei vitalizi, che era oggettivamente un argomento troppo spinoso e troppo complesso per essere spiegato ai semplici. E’ comprensibile che i partiti “normali” abbiano preferito fingere di non aver capito che si trattava soltanto di un marchingegno per raccogliere voti. Ma quello che lascia sgomenti, adesso, è l’avallo – colpevole e consapevole – della riforma costituzionale che riduce di un terzo il numero dei parlamentari.

    Si tratta – in questo caso – solo e soltanto di una manovra a fini elettorali, e senza neanche la giustificazione del rancore sociale che aveva alimentato altre cosiddette “battaglie” grilline. Servirà ai Cinque Stelle per salvare la faccia, nel momento in cui hanno fatto un governo con chi sino a ieri additavano come il peggio del peggio del peggio. Il tutto, gabellato per un “taglio delle poltrone” che avrebbe fatto registrare enormi risparmi per le finanze dello Stato.

    Niente vero. Il taglio dei parlamentari produrrà un risparmio “ufficiale” di 82 milioni l’anno (in realtà di circa 50 milioni, considerato che quasi un terzo della cifra tornerà allo Stato attraverso tasse e trattenute). Gli strateghi della comunicazione grillina si sono presi la libertà di “arrotondare” a 100 quei 50 o 82 milioni. Successivamente hanno moltiplicato gli ipotetici 100 milioni per 5, quanti sono gli anni di una teorica legislatura, ed hanno tirato fuori il risparmio – assolutamente fantasioso – di 500 milioni. Ovvio che, se avessero moltiplicato la stessa cifra per 50 o per 100 anni, avrebbero ottenuto un risparmio piú importante da agitare davanti al naso dei gonzi. Tutto questo, perché una economia di 50 milioni annui nel bilancio di uno Stato é una cifra ridicola, come avrebbero rilevato anche i più ingenui degli elettori del vaffa.

    Queste cose – é ovvio – erano perfettamente note ai vertici dei partiti “normali”, che però hanno scelto di ignorarle e di far “passare” la vulgata grillina dei 500 milioni da risparmiare.

    Comportamento inspiegabile, quello dei partiti, perché il provvedimento che ne è seguito non gioverà certo alla loro causa. Andrà contro i loro interessi elettorali, specialmente contro quelli dei partiti minori, che rischieranno di essere cancellati da un parlamento che fosse ridotto ai minimi termini.

    Né ad essere penalizzati saranno solamente i partiti, ma anche le realtà territoriali. Soprattutto – anche in questo caso – le minori. Non occorre essere dei docenti di statistica applicata per immaginare che i parlamentari “ridotti” dalla riforma saranno soprattutto quelli dei territori periferici. In Sicilia, per esempio, le prossime elezioni politiche saranno probabilmente un affare privato fra Palermo e Catania, con esclusione praticamente delle altre 7 province.

    Sarà un altro passo – gigantesco – in direzione del progressivo allontanamento dei cittadini dalla partecipazione politica e dalla vita democratica. Una direzione cara ai poteri finanziari (i quali sostengono che in Italia e in Europa ci sia “troppa democrazia”), e cara anche a certa anti-politica che guarda ai meccanismi elettorali come a fastidiose sovrastrutture, magari sostituibili con pochi clic su una piattaforma privata o, meglio ancora, con l’estrazione a sorte dei parlamentari (come vorrebbe Grillo per il Senato).

    Ora, che il PD regga la candela ai barzellettieri, non mi meraviglia. E’ il prezzo che Zingaretti e compagni devono pagare per mantenere in vita questo governo e per non fare le elezioni.

    Mi meraviglia, invece, che la riduzione del numero dei parlamentari abbia ricevuto l’avallo anche di Lega e Fratelli d’Italia. Mi sgomenta che al carro dell’antipolitica si siano aggiogate anche forze politiche responsabili, che peraltro non avevano alcun interesse a consentire ai grillini di “portare a casa” questo risultato.

    Per i sovranisti è stata un’occasione perduta. Spero che non abbiano a pentirsene.

    (“Social” n. 340 – 18 ottobre 2019)

  • L’Europarlamento in difesa dei diritti umani e della democrazia

    Diritti umani e democrazia al centro dell’agenda dell’ultima Sessione plenaria del Parlamento europeo prima della sosta estiva. Previsti, infatti, una dichiarazione dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Sicurezza, Josep Borrell, e un dibattito sul ‘Rapporto annuale dell’UE sui diritti umani e la democrazia nel mondo 2019’, di recente pubblicazione, ai quali il Parlamento è chiamato a rispondere proponendo raccomandazioni per il futuro.

    Il Consiglio ha approvato la relazione annuale attraverso una procedura scritta semplificata lo scorso 15 giugno. Al centro le sfide più urgenti con una mappatura completa delle azioni condotte dall’Unione in materia di diritti umani e democrazia a livello multilaterale, regionale e bilaterale.

    La relazione del 2019 segna la fase finale dell’attuazione del piano d’azione dell’UE per il 2015-2019 su diritti e democrazia, con un nuovo piano d’azione che dovrebbe essere adottato presto dal Consiglio.

    La situazione che emerge dal rapporto 2019 non è delle migliori perchè il concetto di democrazia diminuisce sempre più e crescono le repressioni dei diritti umani. Nell’ottobre 2019, in risposta a queste tendenze, il Consiglio aveva adottato nuove conclusioni sul sostegno alla democrazia nelle relazioni esterne dell’UE.

    Le tecnologie digitali hanno fornito nuove opportunità di partecipazione politica ma hanno anche creato pericolosi strumenti per l’incitamento alla violenza o all’odio, campagne di disinformazione e violazioni dei diritti umani online (tutte questioni che richiedono l’attenzione dell’UE). Nel 2019 l’Unione ha continuato a sostenere chi difende i diritti umani in situazioni difficili in tutto il mondo e a fornire assistenza legale e finanziaria. Nei dialoghi bilaterali e multilaterali, l’UE ha continuato a sostenere con forza la libertà di espressione e dei media, nonché a favorire libertà di religione e credo. Ha inoltre lavorato molto sulla lotta alla disinformazione coinvolgendo i giornalisti nei contesti locali. L’uguaglianza e la lotta alla discriminazione sono in cima all’agenda dell’UE, in particolare la parità di genere e l’empowerment delle donne, i diritti del bambino, delle persone LGBT e delle popolazioni indigene.

    A giugno 2019 sono state adottate Linee guida sui diritti umani in materia di acqua potabile e servizi igienico-sanitari e, alla luce di quanto accaduto con il Covid 19, tale attenzione si è rivelata molto importante.

    L’UE, grazie alla sua politica estera, ha ridotto anche le agevolazioni commerciali alla Cambogia a causa delle continue violazioni dei diritti delle persone pesantemente sfruttate nel mondo del lavoro.

    Ogni anno, in risposta alla relazione dell’UE, la commissione per gli affari esteri (AFET) redige una relazione per l’adozione da parte del Parlamento. A differenza del rapporto dell’UE, tale la relazione, che viene generalmente votata durante la sessione plenaria di dicembre, formula raccomandazioni specifiche per guidare la futura politica dell’Unione.

  • Una democrazia è tale solo quando i cittadini hanno il diritto di esprimere liberamente e consapevolmente le proprie scelte

    Che il governo italiano non abbia una linea univoca su: quali fondi europei utilizzare e come utilizzarli, come affrontare i prossimi mesi, dalla riapertura delle scuole alle decisioni da prendere per far ripartire l’economia, al di là delle tante promesse fatte e non realizzate, su come risolvere il vulnus costituzionale che si creerà se, insieme alle elezioni regionali, ci sarà anche il voto referendario, appare chiaro anche ai più distratti. Parliamo di vulnus alla Costituzione perché nella stessa si vieta di dare corso ai referendum contestualmente ad elezioni che abbiano carattere politico come è per la Camera, il Senato e le Regioni. I motivi di contrasto, nel governo, sono anche molti altri, mentre troppi lavoratori aspettano la cassa integrazione da mesi e ogni giorno chiudono piccole e medie attività, portando nuova disoccupazione e nuovi problemi in molti settori.

    La mancanza di visione comune tra il Pd ed i Cinque Stelle, e all’interno di questi stessi partiti, rende sempre più difficile dare risposte in tempi brevi alle tante urgenze, né renderà facile trovare un accordo per la nuova legge elettorale che dovrebbe comunque essere varata sia per ridare maggior democrazia al voto che per risolvere i problemi conseguenti ai risultati del referendum.

    Come abbiamo più volte detto e scritto una democrazia è tale solo quando i cittadini hanno il diritto di esprimere liberamente e consapevolmente le proprie scelte e in Italia, da troppo tempo, abbiamo leggi elettorali che espropriano gli elettori di questo diritto imponendo loro le scelte fatte dai capi partito i quali decidono, scelgono chi dovrà essere parlamentare. Altra conseguenza negativa dell’attuale sistema elettorale è quella che porta gli eletti, che di fatto sono dei nominati, a non occuparsi più del territorio, delle reali esigenze dei cittadini, ma a rapportarsi solo con le gerarchie di partito perché le stesse possono garantire loro un nuovo mandato. Si è di fatto tolto al Parlamento il suo ruolo di rappresentante dell’elettorato ed i partiti, contro i quali, a partire dai 5Stelle, si è tanto gridato sono più che mai i veri detentori del potere. Un potere che esercitano senza remore anche perché non si è mai dato corso a quanto la Costituzione chiedeva e cioè che i partiti avessero quella personalità giuridica che li avrebbe costretti a rispettare regole interne di democrazia e a sottoporre il controllo dei loro bilanci alla Corte dei Conti.

    Fino a quando i cittadini non potranno eleggere i propri rappresentanti liberi dalle imposizioni dei segretari e presidenti delle varie formazioni politiche avremo sempre una democrazia incompiuta ed un Parlamento condizionato e, come è avvenuto sempre più anche negli ultimi mesi, esautorato dai suoi compiti e poteri. Uniamo tutti la nostra voce per chiedere che il referendum sulla diminuzione del numero dei parlamentari si svolga in una data diversa dalle elezioni regionali e in un momento nel quale ci si possa confrontare in dibattiti pubblici, cosa che per il Covid non si potrà fare ancora per molto. La diminuzione del numero dei parlamentari comporta una modifica costituzionale importante che non si può realizzare in tempi brevi, con un governo diviso praticamente su tutto e alieno da qualunque dialogo con l’opposizione.

    Il problema resta comunque uno, per una democrazia compiuta i parlamentari devono rispondere ai cittadini che li hanno eletti non ai partiti che li hanno nominati, per una democrazia compiuta non è importante avere qualche parlamentare in più o in meno ma avere la certezza che ogni eletto faccia il lavoro che gli compete, non sia corrotto o corrompibile e sappia quello che sta facendo perché, piaccia o meno, il potere legislativo spetta al Parlamento, onore importante dal quale discende il presente e il futuro di ciascuno di noi.

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