Plastica

  • Appello dell’Onu per salvare gli uccelli migratori dall’inquinamento

    L’inquinamento provocato dalla plastica comporta gravi rischi per la salute della fauna selvatica a livello globale, perché colpisce una vasta gamma di specie tra cui balene, tartarughe, pesci e uccelli. Lo segnala l’Onu in vista della Giornata mondiale degli uccelli migratori, l’11 maggio, lanciando un appello all’azione per fermare questo inquinamento tramite la riduzione dell’utilizzo della plastica, in particolare monouso (“Protect Birds: Be the Solution to Plastic Pollution!)”.

    «Un terzo della produzione di plastica globale non è riciclabile e almeno otto milioni di tonnellate di plastica finisce nei nostri mari, laghi e fiumi», ricorda Joyce Msuya, direttore esecutivo facente funzione dell’Un Environment avvertendo che «sta finendo nello stomaco di uccelli, pesci, balene, e nel nostro suolo e nell’acqua. Il mondo sta soffocando per la plastica e anche gli uccelli da cui dipende così tanta vita sulla terra».

    Gli uccelli scambiano la plastica per cibo che riempie lo stomaco e li fa morire di fame e usano la plastica per fare il nido scambiandola per foglie, ramoscelli e altri oggetti naturali, che possono ferire e intrappolare i pulcini fragili. Gli uccelli marini, in particolare, spiega l’Un Environment, sono minacciati dagli attrezzi da pesca come le reti in cui possono rimanere impigliati.

    Alcuni scienziati, usando Google immagini e altre fonti del web, hanno riscontrato che di 265 specie di uccelli impigliati in rifiuti di plastica, almeno 147 specie erano uccelli marini, 69 specie di uccelli d’acqua dolce e 49 specie di uccelli terrestri. La ricerca ha mostrato che circa il 40% degli uccelli marini aveva ingerito plastica. A rischio sono anatre, pinguini, albatros, pellicani, gabbiani e uccelli tropicali.

    L’Un environment osserva che occorrono sforzi congiunti di governi, industrie e consumatori per affrontare il problema, in particolare riducendo la plastica monouso.

  • Il Kenya costruisce barche con plastica riciclata

    In Kenya è stato costruito il primo dhow (la tradizionale imbarcazione dell’Africa orientale a vela araba triangolare) fatto interamente di plastica riciclata. Volontari ambientalisti kenioti hanno raccolto a Nairobi, Mombasa e Malindi e sulle spiagge di Lamu bottiglie di pet, soprattutto, ma anche 30mila ciabatte infradito e, con le tavole colorate gialle, rosse, blu, bianche e verdi ricavate da 10 tonnellate di scarti, dopo 3 anni di lavoro hanno varato un veliero dallo scafo arlecchino. Nome: Flipflopi (infradito in inglese). Missione: navigare nell’oceano tra il Kenya e Zanzibar (500 chilometri) per rendere più sensibile la gente al problema dell’inquinamento da plastica e al riciclo dei rifiuti.

    Secondo l’Onu, dagli anni Cinquanta sul nostro pianeta sono stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Un decimo è stato riutilizzato, un altro decimo incenerito: quasi l’80% è finito nelle discariche e nei mari. Secondo l’università di Berna, il danno economico annuo all’ecosistema marino è di 12,5 miliardi di euro, quanto il Pil dell’Islanda. In Africa la produzione di rifiuti passerà dai 125 milioni di tonnellate l’anno attuali al doppio entro il 2025, ma molti Paesi sono già attivi nel campo del riciclo, della plastica in particolare: il Sud Africa, l’economia più ricca del continente, ha già più di 200 aziende operative. Il Kenya ne ha molte di meno ma vuole recuperare: nel 2017 ha introdotto una delle leggi anti-sacchetti più dure al mondo. Le bottiglie di plastica continuano a essere gettate ovunque, ai bordi delle strade come nei corsi d’acqua. L’organizzazione nonprofit Petco, sede a Nairobi, ha lanciato da pochi mesi una grande iniziativa di raccolta. Per il 2019 l’obiettivo è 5.900 tonnellate di bottiglie di plastica: il 30% dei rifiuti in pet del Kenya. Una campagna sostenuta da grandi marchi presenti nel Paese, da Coca-Cola a Unilever. 

  • Interdire les plastiques non réutilisables: un exemple de ce que de bonnes intentions ne sont pas forcément fondées sur un bon jugement

    Mercredi 24 octobre 2018.

    Texte d’opinion de Frits Bolkestein* publié en exclusivité sur le site de l’Institut économique Molinari.

    L’interdiction des plastiques non réutilisables à partir de 2021 a été votée au Parlement européen ce mercredi 24 octobre 2018. Cela consiste à interdire la vente de produits en plastique non réutilisables, qu’il s’agisse de cotons-tiges ou de pailles. Les Etats membres devront aussi intensifier leurs efforts pour collecter les bouteilles en plastique non réutilisables, avec un objectif de collecte de 90% fixé pour 2025. Les coûts de ce programme seront financés par les entreprises, qui doivent aussi payer pour les nouveaux programmes de gestion des déchets et de nettoyage.

    Selon Frans Timmermans, vice-président de la Commission européenne, le projet de loi vise à créer une « course mondiale au sommet » au nettoyage des océans, de notre environnement, de notre alimentation et même de notre corps. Autant d’objectifs très louables. Reste à savoir quels résultats on pourra espérer atteindre et les choses sont moins simples qu’il n’y paraît.

    Interdire les plastiques non réutilisables peut sembler facile en théorie. En pratique, il est encore difficile de trouver des substituts fiables. Nous utilisons des plastiques non réutilisables pour différentes tâches : conserver nos aliments au frais, stocker les instruments médicaux stérilisés. Le remplacement de ce type de plastique constitue un défi de taille pour la recherche-développement. Il y a des alternatives aux plastiques ordinaire, par exemple les biopolymères (plastiques issus de la biomasse). Le problème réside toutefois dans le fait que l’industrie n’est pas capable de les produire à l’échelle nécessaire au remplacement de tous les plastiques traditionnels non réutilisables.

    Si nous ne pouvons pas remplacer efficacement les plastiques à usage unique, nous créerons de nouveaux problèmes. Sans plastique à usage unique, nos aliments risquent de périr beaucoup plus rapidement. Le gaspillage alimentaire en résultant rendrait nécessaire d’augmenter la production alimentaire. Cela entraînera des pressions dans la gestion des terres et des eaux. Les émissions de CO2 et de méthane pourraient aussi augmenter. Autant de coûts supplémentaires pour les gouvernements et les consommateurs ordinaires.

    A cela s’ajoute le fait que les alternatives au plastique non-réutilisable ne sont pas nécessairement meilleures pour l’environnement. Pour ne pas être polluants, ces plastiques doivent être recyclés proprement dans des installations ad hoc dont on ne dispose pas aujourd’hui en quantité suffisante. S’ils échouent ailleurs, ils seront tout autant polluants.

    Cela nous amène à parler du vrai problème : celui du recyclage ou plutôt de son insuffisance. La priorité de l’Union européenne devrait être de faire en sorte que les États membres tiennent leur promesse en termes de recyclage, à savoir recycler au moins 50% de tous les déchets municipaux. Ce ne serait pas simplement une bonne politique, ce serait aussi une bonne affaire. Selon le commissaire Jyrki Katainen, seuls 5% des plastiques de l’UE sont actuellement recyclés, ce qui signifie que l’économie européenne perd chaque année environ 100 milliards d’euros de plastique. Si nous pouvions recycler ne serait-ce qu’une fraction de cela, il y aurait moyen de faire bien plus pour l’environnement et nos économies que ce que prévoit cette nouvelle législation.

    Le Parlement aurait dû réexaminer plus attentivement ces questions. Car en l’état, cette nouvelle interdiction nuira aux consommateurs sans vraiment permettre de protéger l’environnement. Il aurait été préférable de veiller à ce que les États membres atteignent leurs objectifs en termes de recyclage. Ça aurait été une victoire pour l’environnement et les consommateurs qu’il n’est peut-être pas trop tard d’envisager sérieusement.

    *Frits Bolkestein fut Commissaire européen au marché intérieur et aux services.

  • Braccio di ferro tra imprese e Ue sulle sostanze plastiche consentite

    Il gruppo di pressione con sede a Bruxelles, PlasticsEurope, ha portato davanti alla Corte di giustizia europea la decisione dell’UE di contrassegnare come potenzialmente pericolosa il bisfenolo A, una sostanza che l’industria della plastica usa spesso (soprattutto l’industria delle materie plastiche, anche se ne serve per produrre bottiglie d’acqua e CD).

    L’Ue ha vietato l’utilizzo del bisfenolo A nella produzione di biberon e intende proibìrlo in ricevute di carta termica dal 2020 per proteggere i cassieri.

    Una portavoce della corte con sede in Lussemburgo ha fatto sapere che non è ancora stata data alcuna audizione, da Bruxelles si apprende che in attesa del verdetto tutte le misure adottate dalla Ue nei confronti della sostanza rimarranno in vigore.

  • La Cina non ricicla più la plastica europea, Bruxelles vara una nuova strategia

    La Commissione europea ha varato una nuova strategia sulla plastica, con l’obiettivo di arrivare ad avere il 100% di imballaggi riciclabili entro il 2030  così da riciclare per quella data il 55% di tutta la plastica. Oggi di 25,8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica prodotti ogni anno solo il 30% viene riciclato, il 31% finisce in discarica e il 39% viene incenerito. «Dobbiamo intervenire per creare un’economia per la plastica circolare ed evitare di mettere sul mercato prodotti che si confezionano in 5 secondi, si usano per 5 minuti e poi ci mettono 500 anni per smaltirsi nell’ambiente» ha detto il vicepresidente della Ue, Frans Timmerman.

    Tra le 75mila e le 300mila tonnellate di microplastica vengono rilasciate nell’ambiente in Europa ogni anno ed in tutto il mondo la plastica rappresenta l’85% dei rifiuti marini. Si stima che solo il 5% del valore degli imballaggi in plastica viene mantenuto, il resto viene perso dopo un brevissimo primo utilizzo, con una perdita economica tra i 70 e i 105 miliardi di euro l’anno.

    Secondo il documento della Commissione la plastica riciclata copre solo il 6% del mercato. L’85% della plastica utilizzata viene mandata in Cina, per essere trattata, ma Pechino ha da poco deciso di fermare l’importazione della plastica europea.

    A fronte di questo quadro, Bruxelles propone un’etichettatura più chiara per distinguere ciò che è biodegradabile da ciò che è compostabile e multe molto più salate per chi disperde plastica in mare. Ma sopratutto propone che gli imballaggi vengano progettati per durare e per essere riutilizzati il più a lungo possibile e mette sul piatto finanziamenti per 100 milioni di euro fino al 2020 per lo sviluppo di imballaggi “verdi” riutilizzabili e riciclabili (con creazione di 200mila posti di lavoro, a detta di Bruxelles). Sempre per il 2030, la Ue vuole arrivare a ridurre da 90 a 40 l’anno l’uso di borse di plastica per persona.

    Secondo quanto riporta il Financial Times, peraltro, i produttori di beni di largo consumo stanno già lavorando a confezioni eco-sostenibili e rispettose dell’ambiente, anche in risposta alla diffusione tra i consumatori di ansia a carattere ambientale tali da indurre a rivedere i propri acquisti in mancanza di un impegno ecologico da parte delle aziende.

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