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  • Sarkozy alla sbarra, prima volta per un ex presidente transalpino

    E’ il primo capo dello Stato francese a comparire in tribunale come imputato accusato di corruzione. Abito scuro e camicia bianca, l’ex presidente Nicolas Sarkozy è giunto il 23 novembre poco prima delle 13.30 al tribunale di Parigi circondato da un nugolo di cameraman e fotografi per partecipare a quello che viene annunciato come un processo senza precedenti nella storia della Quinta Repubblica.

    E tuttavia, poco dopo l’apertura, il tribunale ha deciso la sospensione fino a giovedì prossimo, il tempo di ottenere i risultati di una expertise medica su uno degli altri principali imputati, l’ex alto magistrato settantatreenne Gilbert Azibert, oggi assente dall’aula per cause mediche.

    Poco prima del rinvio, Sarkozy ha salutato i legali presenti in tribunale nonché i membri della procura finanziaria che indagano sulla cosiddetta vicenda delle “intercettazioni”. Quando la presidente del tribunale Christine Maé ha enunciato le generalità del principale imputato – Nicolas Sarkozy de Nagy

    Bocsa – lui ha replicato secco: “E’ sufficiente Sarkozy”.

    Sessantacinque anni, appena alleggerito dalle accuse per le tangenti libiche a causa della ritrattazione del testimone chiave a suo carico, Sarkozy ha promesso di essere “combattivo” davanti al tribunale ed ha ripetuto negli ultimi giorni di non essere “un corrotto”.

    Il processo, rinviato subito al 26 novembre, dovrebbe durare fino al 10 dicembre, ma resta appeso come diversi altri appuntamenti giudiziari alla situazione della pandemia e potrebbe essere ulteriormente posticipato. Il caso delle intercettazioni, o “affaire Bismuth”, è legato a quello delle tangenti libiche per la campagna presidenziale del 2007. Quando i giudici misero sotto controllo il cellulare dell’ex presidente nel 2013 per indagare sul presunto denaro arrivato da Tripoli, scoprirono che Sarkozy utilizzava una linea segreta sotto il nome di Paul Bismuth per comunicare con il suo legale, Thierry Herzog.

    L’accusa ritiene che alcune conversazioni intercettate hanno rivelato l’esistenza di un “patto” di corruzione: Sarkozy, attraverso Herzog, avrebbe dato “una mano” ad Azibert per ottenere un incarico nel principato di Monaco a cui ambiva (e che non ha mai ottenuto). In cambio, Azibert avrebbe fornito informazioni coperte dal segreto su una procedura avviata nei confronti dell’ex capo dello Stato davanti alla Corte di Cassazione a margine di un altro scandalo, quello Bettencourt, dal nome dell’erede L’Oreal.

    Ritiratosi dalla politica attiva dopo la sconfitta alle primarie della destra a fine 2016, Sarkozy rischia fino a 10 anni di carcere e una mula di un milione di euro. Prima di lui, solo il suo predecessore Jacques Chirac fu messo sotto accusa e condannato nel 2011. In quel caso però non si trattava di un presunto caso di corruzione ma dello scandalo dei falsi impieghi al Comune di Parigi. E Chirac non comparve mai nell’aula di tribunale a causa del suo precario stato di salute.

  • Il diritto dovere di rappresentare tutti gli italiani

    L’emergenza Covid forse finirà se manterremo il distanziamento fisico, il divieto di assembramento e l’uso della mascherina ma sarà di fatto impossibile una campagna elettorale a contatto con gli elettori e il periodo estivo non invoglierà le persone a soffermarsi sugli eventuali programmi politici di approfondimento.

    Se per le elezioni regionali questo è un problema che in parte sarà superato dalla conoscenza, da parte dei cittadini, dei candidati per la presidenza delle Regioni lo scoglio rimarrà invece insormontabile per il referendum sulla diminuzione del numero dei parlamentari. Un referendum che si presenta già anomalo perché senza quorum ma che comunque ha una valenza politica e morale importante per il futuro della nostra democrazia.

    Modificare il numero dei parlamentari comporterà una modifica costituzionale per la quale si dovrebbe avere un ampio consenso e, a seguire, una nuova legge elettorale e la modifica dei regolamenti di Camera e Senato. II tutto tenendo ben presente che siamo in un periodo nel quale, da troppi mesi, il Parlamento è stato di fatto esautorato, che da tempo i parlamentari non sono eletti dal popolo sovrano ma nominati dai capi partito e noi siamo una Repubblica parlamentare nella quale i poteri delle istituzioni, fino a qualche anno fa, erano adeguatamente ripartiti e ben divisi affinché fossero evitate quelle derive autocratiche e oligarchiche che ormai stanno prendendo piede. Stupisce pertanto che il Presidente della Repubblica, prima di firmare per la data delle elezioni a settembre, non si sia posto il problema dell’opportunità di rinviare ad altra data il referendum sul numero dei parlamentari. In questi mesi avremmo in più occasioni voluto vedere Mattarella più vigile ed attento, più pronto a richiamare sia il governo che l’opposizione ai doveri di chiarezza e rappresentanza che la situazione sanitaria ed economica richiedevano. In troppe occasioni il Presidente ha taciuto o ha parlato con voce troppo flebile ed anche in questa occasione è stato succube di volontà altrui dimenticando che sarebbe stato suo compito essere garante del diritto degli elettori di poter votare avendo avuto sia un’informazione completa e corretta sulle conseguenze della eventuale diminuzione dei parlamentari, sia sulle future modifiche della nostra Costituzione che, anche con le sue pecche, aveva fino ad ora garantita quella democrazia e pluralità che rischiamo ogni giorno di più di perdere. Non volevamo un atto di coraggio ma solo l’esercizio di un diritto dovere di rappresentanza di tutti gli italiani e non solo di una parte. Mattarella si è schierato, scegliendo di non essere il Presidente di tutti, il garante dell’esercizio democratico di un voto informato e consapevole per le conseguenze presenti e future.

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