Putin

  • La grande confusione

    I repubblicani americani fanno parte della grande famiglia dei Conservatori.

    L’ex Presidente Trump è il candidato alla presidenza dei Repubblicani.

    Giorgia Meloni, che presiede il gruppo dei Conservatori europei, ha sempre lealmente e tenacemente difeso l’Ucraina dalla ingiusta e crudele aggressione di Putin, ed anche i Conservatori inglesi sono sempre stati in prima linea nell’aiutare il presidente ucraino.

    Trump ha dichiarato che Putin e il presidente cinese, che invia armi alla Russia e ne sostiene l’economia, sono due grandi capi di stato che operano bene, e per togliere ogni dubbio su come eserciterà il suo mandato dopo aver detto che farà fare la pace ovunque, anche in Ucraina, ha aggiunto che darà il via, negli Stati Uniti, alla più grande deportazione di immigrati.

    Facciamo fatica ad accettare nello stesso discorso due parole così agli antipodi come pace e deportazione ma in special modo la parola deportazione fa suonare tragiche campane d’allarme: si deportava nell’epoca nazista e nell’Unione Sovietica, si deporta oggi nella Russia di Putin e nella Cina di Xi Jinping.

    Come conciliare allora la presenza di Trump nei Repubblicani e perciò nei Conservatori! Possiamo anche capire che ad alcuni possa piacere la sua aria e il suo piglio da maschio alfa, la sua ricchezza e la sua pettinatura ma quando sentiamo certe parole, certi programmi, non possiamo che porci molte domande e constare che c’è una certa pericolosa confusione su cosa significhi oggi essere conservatori se non arriva nessuna presa di distanza dalle dichiarazioni di Trump.

  • Mediatore per conto proprio

    Le amicizie fatte per opportunismo saranno gradite finché saranno utili.

    Lucio Anneo Seneca

    Il Consiglio dell’Unione europea, riconosciuto anche come il Consiglio dei ministri europei, è una delle più importanti istituzioni dell’Unione Europea. Insieme con il Parlamento europeo sono le due istituzioni che rappresentano il potere legislativo dell’Unione. Il 7 febbraio 1992 nei Paesi Bassi è stato approvato e firmato dai rappresentanti dei Paesi membri il Trattato dell’Unione europea. Il Trattato entrò poi in vigore il 1o novembre 1993. L’articolo 16 di quel Trattato stabilisce che il Consiglio dell’Unione europea sia composto da un rappresentante a livello ministeriale per ogni Stato membro, responsabile della materia che deve essere trattata. Sono dieci le strutture (note come Consigli), che trattano tutte le questioni di cui deve decidere il Consiglio. Tranne il Consiglio Affari esteri che viene presieduto dall’Alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza dell’Unione europea, tutti gli altri Consigli, spesso riferiti anche come riunioni, sono presieduti dal ministro competente del Paese membro che esercita, in quel periodo, la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea.

    La presidenza viene esercitata a turno, ogni sei mesi, dagli Stati membri dell’Unione. I vari rappresentanti dello Stato che detiene la presidenza durante quel semestre presiedono le riunioni a tutti i livelli. Il Trattato di Lisbona, approvato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1o dicembre 2009, ha stabilito, tra l’altro, che gli Stati membri previsti per presiedere il Consiglio dell’Unione europea debbano collaborare a gruppi di tre, noti anche come i “trio”. L’attuale trio è composto dalla Spagna, dal Belgio e dall’Ungheria.

    Dal 1o luglio scorso e fino al 31 dicembre 2024 la presidenza del Consiglio dell’Unione europea è passata all’Ungheria. Ed appena ha assunto la presidenza il primo ministro ungherese ha cominciato una serie di viaggi ed incontri, presentandosi come mediatore di pace. Il 2 luglio scorso è stato in visita ufficiale a Kiev. Una visita a sorpresa quella del primo ministro ungherese. Una visita, mentre in varie parti dell’Ucraina l’esercito invasore russo sferrava attacchi violenti contro la popolazione inerme, mietendo vittime innocenti. Il 2 luglio scorso il primo ministro ungherese ha incontrato il presidente ucraino. In seguito al loro incontro, il capo dell’ufficio presidenziale dell’Ucraina ha dichiarato che si era parlato e discusso del “futuro dell’Europa, della sicurezza, del diritto internazionale e della formula della pace”. Durante la comune conferenza stampa, il primo ministro ungherese ha chiesto al presidente ucraino “di prendere in considerazione se un cessate il fuoco rapido possa accelerare i negoziati di pace”. Mentre il presidente ucraino ha sottolineato: “Apprezziamo che la visita avvenga subito dopo l’inizio della presidenza ungherese dell’Unione europea”. Ma lui sostiene precise condizioni per arrivare alla pace, ben diverse da quelle russe.

    Dopo la visita a Kiev, il primo ministro ungherese che, dal 1o luglio scorso, è anche il presidente del Consiglio dell’Unione europea, ha fatto un’altra “visita a sorpresa”. Il 5 luglio è arrivato a Mosca, dove ha incontrato il presidente russo. Proprio lui che ha voluto, ideato ed attuato la crudele aggressione in Ucraina. Il motivo dichiarato della visita era di discutere della pace tra la Russia e l’Ucraina. Bisogna sottolineare però che il primo ministro ungherese ha una sua opinione ed un suo rapporto con il presidente russo. Una opinione ed un rapporto diverso da quello degli altri Paesi membri dell’Unione europea e delle istituzioni della stessa Unione. Il presidente ungherese, allo stesso tempo presidente del Consiglio dell’Unione europea fino al 31 dicembre 2024, ha dichiarato che la sua visita a Mosca era “una missione di pace”. Una visita fortemente voluta dal primo ministro ungherese e preparata in soli due giorni, come ha dichiarato il portavoce del presidente russo. Ma la visita non è stata coordinata neanche con il presidente ucraino, con il quale il mediatore ungherese si era incontrato proprio tre giorni prima. Lo hanno affermato fonti ufficiali ucraine. Durante la conferenza stampa congiunta il presidente russo ha dichiarato che “…aveva rifiutato il cessato il fuoco in Ucraina” proposto dal primo ministro ungherese, aggiungendo che “la Russia vuole una piena e definitiva conclusione del conflitto”. Mentre il primo ministro ungherese ha affermato che “…bisogna fare molti passi per avvicinare la fine della guerra”, ma ha considerato “un passo importante” l’incontro con il presidente russo. Aggiungendo: “continuerò a lavorare in questa direzione; per l’Europa la pace è la cosa più importante”.

    Dalle immediate reazioni di molti rappresentanti delle istituzioni europee si è capito chiaramente però che la visita a Mosca del primo ministro ungherese doveva essere considerata solo nell’ambito dei rapporti bilaterali tra i due Paesi. Il portavoce della Commissione europea ha dichiarato che la Commissione non era stata “…assolutamente informata della visita, che non è stata coordinata con noi né con nessun altro”. Mentre l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza ha dichiarato che la visita del primo ministro ungherese a Mosca “…si svolge esclusivamente nel quadro delle relazioni bilaterali tra Ungheria e Russia”. Aggiungendo, altresì, che il presidente ungherese “…non ha ricevuto alcun mandato dal Consiglio dell’Unione europea e non rappresenta l’Unione in alcuna forma”. Contrari a quella visita sono stati anche diversi alti rappresentanti di vari Paesi membri dell’Unione europea. Come il primo ministro della Svezia, il quale ha affermato che il suo omologo ungherese “…è solo, non parla a nome dell’Unione europea e non parla a nome di tutti gli altri capi di Stato e di governo [dei Paesi membri]”.

    In seguito alle due sopracitate visite, il primo ministro ungherese, l’8 luglio scorso, è andato in Cina ed ha incontrato il presidente cinese. Per il primo ministro ungherese quella sua terza era una “missione di pace 3.0”. E si riferiva alla pace tra la Russia ed Ucraina. Ma anche questa visita è stata considerata dai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea come una sua iniziativa personale. Evidenziando e criticando anche l’uso improprio del logo della presidenza dell’Unione europea, da parte del primo ministro ungherese, in tutte le sue comunicazioni.

    La scorsa settimana Cristiana Muscardini, trattando l’incontro del primo ministro ungherese con il presidente russo, scriveva per il nostro lettore: “…dobbiamo fare chiarezza e portare allo scoperto chi fino ad ora, in ognuno degli Stati europei, ha solidarizzato, in modo più o meno palese, con Mosca perché la sicurezza delle nostre democrazie è messa a rischio e non si può più traccheggiare”. E faceva riferimento ai rapporti d’amicizia tra loro due. Poi chiudeva l’articolo scrivendo: “Piaccia o non piaccia ad alcuni governi, l’Europa deve darsi una politica estera ed una difesa comune, anche a fronte delle insicurezze americane, per questo, come è già stato fatto per la moneta unica si abbia il coraggio di partire con un gruppo di Stati, gli altri verranno poi, rimanere ancora immobili ed indecisi sarebbe un errore tragico dalle conseguenze irrimediabili” (Dopo la visita di Orban Putin bombarda gli ospedali dei bambini; 9 luglio 2024).

    Chi scrive queste righe pensa che con le sue tre visite in una settimana, il primo ministro ungherese si stia comportando come un mediatore per conto proprio. Senza nessun mandato dalle istituzioni dell’Unione europea, compreso il Consiglio dell’Unione europea che lui stesso presiede dal 1o luglio scorso. Ragion per cui chi scrive queste righe considera quelle visite come delle opportunità che possano diventare utili per colui che le programma e le attua. Ma bisogna ricordare sempre che le amicizie fatte per opportunismo saranno gradite finché saranno utili. Lo diceva Seneca e la storia lo conferma.

  • Dopo la visita di Orban Putin bombarda gli ospedali dei bambini

    Dopo il nuovo massacro compiuto da Putin in Ucraina, dopo i missili russi sull’ospedale dei bambini cosa intende fare Orban, il peripatetico presidente dell’Unione in carica per i prossimi sei mesi?

    Il risultato della visita di Orban a Putin è stato una nuova strage in Ucraina, cosa accadrà ora dopo l’incontro di Orban con il dittatore cinese?

    I sei mesi della sua presidenza passeranno presto, c’è anche l’estate di mezzo, ma se il buongiorno si vede dal mattino dopo la visita di Orban a Putin vi è stata un’ulteriore escalation delle violenze russe contro Kiev, cosa dobbiamo aspettarci ora?

    Orban ha preso il suo incarico come il grimaldello per aprire una falla in Europa? Come strumento per accreditarsi leader fuori dai confini del suo paese dove, per la prima volta, comincia a crescere la opposizione al suo autoritarismo? Anche il suo nuovo gruppo al Parlamento europeo non è stato certo organizzato per migliorare il funzionamento dell’Europa ma per evidenti intessi economici e politici.

    Dopo la nuova strage in Ucraina e l’evidente volontà di Orban di muoversi, durante la sua presidenza, al di fuori dalle regole dell’Unione, noi tutti, istituzioni europee e governi nazionali in primis, dobbiamo fare chiarezza e portare allo scoperto chi fino ad ora, in ognuno degli Stati europei, ha solidarizzato, in modo più o meno palese, con Mosca perché la sicurezza delle nostre democrazie è messa a rischio e non si può più traccheggiare.

    Piaccia o non piaccia ad alcuni governi l’Europa deve darsi una politica estera ed una difesa comune, anche a fronte delle insicurezze americane, per questo, come è già stato fatto per la moneta unica si abbia il coraggio di partire con un gruppo di Stati, gli altri verranno poi, rimanere ancora immobili ed indecisi sarebbe un errore tragico dalle conseguenze irrimediabili.

  • Chi vota ha sempre ragione se il suo voto è libero

    Chi vota ha sempre ragione se vota in un Paese democratico nel quale la libertà è un diritto fondamentale ed inalienabile.

    Se vive in un Paese dove la minoranza è rispettata ed ha il suo spazio, un Paese con regole certe ed un’informazione libera a tutto campo, un Paese, uno Stato, una Nazione il cui governo non imprigiona gli avversari e li suicida o uccide, una nazione che rispetta il diritto internazionale e la vita dei suoi cittadini.
    Se le elezioni si svolgono in un paese libero e democratico ognuno ha il diritto di esprimere la sua scelta ed il risultato elettorale va rispettato, in caso contrario si tratta di elezioni farsa, guidate dalla forza di chi detiene in modo assoluto il potere e nessun risultato può essere riconosciuto come attendibile.
    Lo diciamo con calma a Salvini e ai tanti o pochi amici di Putin che vivono in Italia ricordando che se hanno tanta ammirazione per il nuovo zar niente vieta a loro di andare a vivere in Russia, quello che certamente non consentiremo a nessuno è di tentare di portare in Italia, in Europa, l’autocrazia e qualunque altro regime che privi i cittadini della libertà e dei diritti fondamentali che regolano le democrazie.

  • 17 marzo, elezioni in Russia, chiediamo una manifestazione per difendere la libertà e la giustizia

    Ricorda Antonio Polito, ripreso anche da Gramellini, che in Italia ci sono state, dall’inizio dell’anno, 2538 manifestazioni ma, al momento, e temiamo neppure in futuro, vi è stata una manifestazione per dare solidarietà a Oleg Orlov, il premio Nobel settantenne mandato in galera da Putin.

    Circa 9000 artisti e presunti intellettuali hanno firmato un manifesto per non fare partecipare Israele alla biennale di Venezia, mentre molto minori sono state le adesioni per contestare la presenza dell’Iran, noto in tutto il mondo per un governo che sistematicamente uccide e tortura i dissidenti, con particolare piacere se sono donne.

    Non abbiamo visto manifestazioni con numerosi partecipanti per chiedere che Putin si ritiri dall’Ucraina  dopo le decine di migliaia di morti, ucraini e russi, che ha fatto la sua sciagurata ambizione di potere. Le manifestazioni per la pace chiedono, di fatto, un cessate il fuoco agli ucraini, una pace che significa resa a chi li ha invasi sterminando villaggi e città.

    Non abbiamo visto, mentre giustamente si chiede il rispetto della vita dei civili palestinesi, folle manifestanti e decise a condannare Hamas colpevole della strage del 7 ottobre in Israele, degli ostaggi israeliani, di tanti palestinesi usati come scudo umano mettendo armi e tunnel sotto case, ospedali, moschee, scuole.

    E non abbiamo visto nessun partito politico avere il coraggio di indire una manifestazione per il 17 marzo, quando Putin, in elezioni farsa, sarà nuovamente proclamato signore indiscusso e autorizzato a continuare ad imprigionare, ad uccidere.

    Noi crediamo che Il 17 marzo debba esserci, in Italia, una grande manifestazione per la libertà, i diritti umani e la democrazia, nel ricordo di Navalny, ultimo martire dello zar.

    Se la società cosiddetta civile, le forze politiche, gli intellettuali, gli artisti, i comunicatori dei media volessero si sarebbe ancora in tempo per organizzarla ma ho il solito presentimento, questo appello non sarà ascoltato e l’ambiguità continuerà a regnare sovrana.

  • Non è più il momento di un silenzio complice

    Il ministro Salvini risponde agli avversari, che lo accusano di non aver rilasciato una dichiarazione dopo la morte di Navalny, affermando di essere troppo impegnato a costruire ponti, strade e ferrovie per avere tempo di rispondere ai suoi avversari.

    Tralasciando il fatto che tutti questi cantieri, in giro per l’Italia, non li abbiamo visti mentre la principale preoccupazione del ministro sembra  rimanere il Ponte sullo Stretto, non la mancanza di strade e ferrovie in Sicilia ed in Calabria,non si può dimenticare che  la dichiarazione del vice di Salvini, sulla morte di Navalny, è stata a dir poco preoccupante mentre il ministro, e vicepremier, noto, nel passato, per le sue simpatie putiniane, è rimasto silenzioso!

    Diamo atto, ancora una volta, alla determinazione e chiarezza con la quale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è espresso e ci uniamo alle tante voci che hanno denunciato, anche per questa nuova morte “misteriosa”, Putin e  il sistema russo.

    Siamo  tra i molti che ritengono il presidente russo comunque colpevole, sia che abbia ordinato la soppressione di Navalny, sia che Navalny sia stato  ucciso da un solerte sostenitore dello zar, sia che sia morto per cosiddette cause naturali dopo essere stato avvelenato, detenuto in carcere, processato con fantomatiche accuse e poi recluso nel più duro carcere dell’Antartico dove sopravvivere diventa quasi impossibile.

    Putin si comporta come ai tempi di Stalin e dell’Unione Sovietica quando i dissidenti, e cioè quelli che chiedevano libertà e diritti civili, erano reclusi, e spesso soppressi, in Siberia o avvelenati o “suicidati”. Non dimentichiamo le molte morti “misteriose” anche in questi anni di guerra contro l’Ucraina.

    La dura repressione contro coloro che hanno avuto il coraggio di protestare, portando un fiore sotto il monumento delle vittime dei gulag per ricordare Navalny, e gli arresti violenti, quattro, cinque poliziotti contro una sola persona, testimoniano come, in vista delle elezioni e con una guerra che non sta vincendo e per la quale ha fatto morire centinaia di migliaia  russi, l’arroganza, la crudeltà ed il cinismo del nuovo zar non abbiano limiti.

    Quegli occidentali che ancora, in modo palese, o più o meno occulto, simpatizzano con Putin o trescano con lui esportando ed importando merci, direttamente o con il sistema della triangolazione, prendano atto che per il mondo civile, per la gente per bene qualsiasi tipo di silenzio sulle mala gestione di Putin, sui suoi delitti sarà considerato non solo acquiescenza ma connivenza.

    Non è più il momento di un silenzio pauroso o complice.

  • Risposte necessarie e condivise

    Sono passati più di 600 giorni dall’attacco di Putin all’Ucraina e la guerra continua con efferata crudeltà, da parte russa, con dispiego di mezzi ed uomini.

    Più di un terzo del territorio Ucraino è inagibile, devastato dalle bombe e minato dai soldati russi per rallentare l’avanzata dell’esercito di Kiev che con coraggio continua a difendere la propria terra.

    Non solo il grano ucraino non può liberamente partire verso quei paesi che ne hanno necessità per sopravvivere ma non può essere coltivato come un tempo, le terre coltivabili sono in parte distrutte e ci vorranno anni per bonificarle, mentre lo spettro della fame aleggia su gran parte del mondo e si moltiplicano le aree di conflitto.

    Lo zar ha cominciato una nuova chiamata alle armi indirizzata alle donne e trova fiato, alla stagnazione della sua campagna criminale, nella guerra che Hamas ha portato in Israele dichiarandosi mediatore per liberare gli ostaggi.

    Basta prendere la cartina geografica per capire da dove parte il grandioso progetto dello zar di ridare al mondo un nuovo ordine, politico, economico, militare, in sintesi un nuovo potere.

    La sempre più stretta amicizia con l’imperatore cinese, l’antico rapporto con il dittatore siriano, la nuova liaison con  Kim Jong-Un con l’arrivo in Russia di armi coreane, i buoni rapporti con Erdogan, che in modo funambolico cerca di giocare una sua partita di peso bilanciandosi tra Nato, Occidente ed il ruolo di mediatore e islamico apparentemente moderato, Libia, dove Putin  ha come riferimento il generale Haftar, vari stati africani, dove le milizie già di Prigozhin supportano vecchi dittatori e nuovi golpisti, e Iran dove il regime di Raisi gli fornisce droni a non finire. Né si devono dimenticare i rapporti con un certo numero di paesi dell’America Latina ed altre varie amicizie, più o meno palesi, in varie parti del mondo, compresi i paesi occidentali, lo stesso Orban mina la coesione europea a favore di Kiev.

    Nello stesso tempo il pericolo evidente di un allargamento del conflitto mediorientale può distrarre, in parte, l’attenzione occidentale dalla guerra in Ucraina e l’altrettanto grave pericolo del ritorno del terrorismo in Europa costringe ad un dispiego di mezzi e risorse per la sicurezza interna.

    Da queste brevi considerazioni dovrebbe nascere in tutti, specialmente nelle forze politiche e nei media, la necessità di concentrarsi su quanto è veramente preoccupante.

    Vi è ora, più che mai, la necessità di risposte condivise e ponderate, sembra invece che, come in altre occasioni, per altro di minor pericolo, troppi concentrino dichiarazioni ed azioni su presunti e pretestuosi interessi di parte, non si guardi, perciò, con stupore alla disaffezione al voto della maggioranza degli elettori.

  • Putin dà l’ordine di ricostruire la Wagner. Incarico a Troshev

    Il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto al colonnello in pensione Andrej Troshev di addestrare i volontari che si sono arruolati per combattere in Ucraina. Nel corso di un incontro al Cremlino, cui ha partecipato anche il viceministro della Difesa della Federazione Russa Yunus-Bek Yevkurov, Putin ha sottolineato che nell’ultimo incontro con Troshev, ad agosto, si era parlato del suo impegno “nella formazione di unità di volontari in grado di svolgere varie missioni di combattimento, principalmente, ovviamente, nella zona di un’operazione militare speciale”. Il presidente ha osservato che lo stesso Troshev ha preso parte alle battaglie per più di un anno e conosce quali siano i problemi da affrontare affinché le operazioni di combattimento procedano nel miglior modo possibile. “A questo proposito, vorrei parlarvi di questioni di natura sociale”, ha detto Putin, sottolineando che Troshev intrattiene rapporti con i compagni con i quali ha combattuto. Dopo quest’incontro, diversi media russi hanno indicato il colonnello Troshev è considerato il successore del fondatore del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin. L’addetto stampa presidenziale Dmitrij Peskov, commentando tali notizie lo scorso agosto, non ha fornito una risposta, affermando che la questione non è di sua competenza.

    Come ricostruisce Agenzia Nova, Andrej Troshev, detto “Sedoi” (capelli grigi in russo), è un colonnello in pensione. Nativo di San Pietroburgo, il 61enne ufficiale russo, oltre alla sua carriera nelle Forze armate è anche un ex agente del ministero dell’Interno e veterano della guerra sovietico-afgana, della Seconda guerra cecena e dell’intervento militare russo in Siria. La sua anzianità di servizio, oltre che i successi per cui si è distinto sul campo, gli hanno consentito di essere insignito come Eroe della Federazione Russa, il più alto titolo onorifico della Russia. Troshev ha iniziato a “collezionare” medaglie dalla guerra in Afghanistan, dove comandò una batteria di artiglieria semovente: in quell’occasione il coraggio dimostrato in battaglia gli valsero due Ordini della Stella Rossa. Dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica ha continuato a prestare servizio nelle Forze armate russe e ha partecipato alla Seconda guerra cecena, ricevendo per meriti militari due onorificenze dell’Ordine del coraggio e una medaglia dell’Ordine “Per il merito della Patria” di secondo grado. Successivamente ha prestato servizio nelle unità del Distretto militare di Pietrogrado. Dopo un periodo come riservista, Troshev ha continuato a prestare servizio presso il ministero dell’Interno, nell’Unità mobile per scopi speciali (Omon) e nell’Unità speciale di risposta rapida (Sobr), di cui è stato anche il comandante. Licenziato dalla Direzione principale del ministero dell’Interno per abuso di alcolici nel 2012 è andato in pensione con il grado di colonnello.

    All’inizio dell’intervento militare russo in Siria, Troshev decise di recarsi nel Paese mediorientale. Pur non partecipando direttamente alle ostilità, il colonnello ha lavorato fra le fila del gruppo paramilitare Wagner, un legame che mantiene tutt’ora, avendo coordinato sul campo per oltre un anno le operazioni della compagnia in Ucraina. Lo scorso luglio è stato proprio il presidente russo Vladimir Putin a indicarlo come potenziale successore di Prigozhin dopo l’ammutinamento del gruppo Wagner avvenuto fra il 23 e 24 giugno. In un’intervista al quotidiano “Kommersant”, Putin ha affermato che Troshev “è la persona sotto il cui comando i combattenti Wagner hanno prestato servizio negli ultimi 16 mesi” e, per questo motivo, questi uomini “potrebbero riunirsi e continuare a operare. E per loro non cambierebbe nulla. Sarebbero stati guidati dalla stessa persona che era stata il loro vero comandante sin dall’inizio”. Tale posizione sarebbe stata espressa dal presidente russo ai vertici del gruppo Wagner e al loro leader Evgenij Prigozhin nel corso di un incontro avvenuto il 29 giugno: in quell’occasione, secondo Putin, gli ufficiali della compagnia si sarebbero mostrati favorevoli alla scelta di Troshev, mentre sarebbe stato Prigozhin a opporre un categorico rifiuto. Con la morte di Prigozhin avvenuta il successivo 23 agosto in un incidente aereo le cui cause sono ancora da chiarire, tuttavia, non ci dovrebbe essere più alcuna opposizione a una potenziale nomina di Troshev alla guida del gruppo Wagner.

  • Tutto è vero e nulla è vero

    In Russia tutto è vero e nulla è vero perché quello che appare non è quello che veramente accade e quello che accade non è quasi mai quello che si pensava sarebbe accaduto, quello che era stato annunciato.

    Così il giallo della morte di Prigožin, vera o presunta, continuerà ad alimentare le più fantastiche supposizioni: morto per vendetta di Putin, ucciso perché non rivelasse a Putin le dissidenze e le diaspore interne, eliminato per consentire a Putin di impossessarsi subito delle sue grandi ricchezze, vivo, sull’altro aereo, o addirittura mai partito, per proseguire nell’azione iniziata ed interrotta due mesi fa quando minacciava di marciare su Mosca, vivo ma fingendosi morto per sfuggire alla vendetta di Putin, sparire, cambiare connotati e vita come tanti fuorilegge hanno fatto e fanno. O ancora un’altra complessa attività di contro, contro informazione dello stesso Putin che ormai non sa neppure lui se può credere a se stesso e di chi di può fidare? Ancora una manovra diversiva o un’uccisione voluta dallo zar per dare un esempio al proprio cerchio magico?

    Tante le ipotesi, le congetture, mentre una cosa è assolutamente certa e cioè la menzogna degli organi di stampa del regime russo quando affermano che i corpi di Prigožin e del suo vice sono stati identificati tra i rottami dell’aereo perché, se le foto che abbiamo visto sono reali, dal rogo di quell’aereo non può essere rimasto nessun corpo identificabile con certezza, ed anche facendo il dna sui pochi resti chi di noi avrebbe la sicurezza che quanto comunicato dagli organi ufficiali russi corrisponda alla verità?

    Prigožin, l’uomo dai mille volti e travestimenti finito banalmente sotto il fuoco “amico“, l’uomo dalle cento furbizie vittima di una imprudenza, di un tradimento, della propria eccessiva sicurezza?

    Nessuno sembra stupirsi della sua morte, in tanti la consideravano una morte annunciata dopo il così detto fallito golpe, forse anche lui, come tanti, credeva nei propri super poteri, in una sorta di pericolosa onnipotenza.

    Resta certo che un altro inquinante dubbio si aggiunge agli altri confermando, dopo tante guerre passate e tanti errori recenti che gli occidentali non riescono a capire cosa muove il pensiero dei russi e questo resta un problema, come resta un grave problema l’annuncio di vari aiuti militari all’Ucraina mentre invece continuano gli sciagurati ritardi nella consegna degli armamenti necessari.

  • “Dure risposte”

    “La parte russa si riserva il diritto di adottare dure misure di risposta” per gli attacchi con droni su Mosca e sulla Crimea.

    Riesce difficile, se non si è Putin od uno dei suoi stretti collaboratori, capire la logica per la quale se i russi colpiscono Kiev, Odessa, tutto il territorio ucraino, ammazzano, seviziano, distruggono, in speciale modo abitazioni civili, chiese, ospedali, scuole, silos per il grano, luoghi per le derrate alimentari etc, gli ucraini e noi dovremmo trovarlo più o meno normale mentre se gli ucraini, od altri, mandano droni su Mosca o colpiscono la Crimea i russi hanno il diritto di adottare dure risposte.

    Diventa anche difficile capire cosa intendano i russi per dure risposte dopo avere fatto scempio di uno stato libero e sovrano distruggendo tutto quello che riuscivano, dopo aver deportato migliaia di bambini, distrutto gran parte delle riserve alimentari che servono a popoli affamati, impedito il traffico di navi che trasportano il grano causando altre tragedie in altri paesi, cosa devono fare ancora!

    Hanno già fatto, continuano a fare, non penseranno di stupirci con le loro minacce, ormai chi è in buona fede li conosce bene e chi è in mala fede continua come prima magari aspettandosi qualche rublo in premio.

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