risparmio

  • La Germania e le politiche energetiche

    Il governo della Germania ha deciso di adottare un taglio delle tasse sull’energia per oltre 12 miliardi di euro all’anno. Questa strategia nasce dalla volontà governativa di garantire alle imprese tedesche di poter contare su un costo di 70 euro a MWh (contro i 129 euro in Italia).

    In Italia le due ultime manovre sul presunto taglio del cuneo fiscale (governo Draghi 8.7 miliardi e governo Meloni 11 miliardi circa) hanno ottenuto un vantaggio netto in busta paga di circa 27 euro il primo e poco meno di 30 il secondo, in più a crescere in rapporto alle fasce di reddito (600 lordi), quasi 19 miliardi che otterranno per un vantaggio reale irrisorio, basti pensare come lo sconto sulle accise del governo Draghi costasse circa quattro (4) miliardi.

    La decisione tedesca avvia il processo di azzeramento della stessa Unione Europea azzerando l’applicazione del principio della “concorrenza come fattore di sviluppo economico” applicato a garanzia dell’utenza e contemporaneamente evapora lo stesso concetto istitutivo della stessa Unione Europea, sia economica che politica. Inoltre il concetto di aiuti di Stato diventa una leva politica valida solo se pensata in italiano.

    Nel frattempo in Italia Eni presenta la migliore trimestrale della propria storia grazie alla propria attività speculativa nella erogazione del proprio servizio e soprattutto come espressione di una volontà di garantire gli investimenti del proprio azionariato composto in maggioranza da fondi privati.

    La risultante di questo disastro strategico determinerà per il sistema manifatturiero italiano una ulteriore riduzione della propria competitività rispetto a quello tedesco ma anche rispetto a tutti gli altri europei in quanto l’Italia è l’unico Paese che già nella finanziaria in corso di approvazione eliminerà ogni sostegno agli esorbitanti costi energetici per imprese e famiglie: basti pensare all’azzeramento delle clausole del mercato energetico tutelato.

    La decisione tedesca dovrebbe determinare delle precise reazioni del mondo politico europeo anche in relazione al contraddittorio mantenimento in vita di una Istituzione Europea priva ormai degli stessi principi fondativi o quantomeno della semplice applicazione di principi liberali (gli aiuti di Stato) validi solo e sempre a scapito dall’Italia. Ma soprattutto dovrebbe suscitare ed avviare un dibattito nel nostro Paese nel quale il ceto politico italiano, che dovrebbe tutelare innanzitutto interessi nazionali, risulta ancora oggi troppo distratto dalle varie transizioni ecologiche ed ideologiche.

    Contemporaneamente la classe politica nazionale si preoccupa, ancora oggi, di bonus di ogni foggia come della sempre più difficile quadratura del sistema pensionistico invece di occuparsi del futuro del sistema economico ed Industriale attraverso l’adozione di una seria politica energetica.

    Un atteggiamento confermato dalla indifferenza con la quale Stellantis chiude e mette in vendita lo stabilimento Maserati voluto da Marchionne, mandando già i macchinari in Marocco, non suscitando alcuna reazione del ministro “delle imprese e del Made in Italy” e del governo.

  • Bruxelles rafforza la prevenzione rispetto ai rischi del sistema bancario ombra

    La Commissione europea ha adottato gli standard tecnici che gli enti creditizi dovranno utilizzare nel segnalare le proprie esposizioni verso soggetti del sistema bancario ombra (in inglese shadow banking system), ossia quel complesso di mercati, istituzioni e intermediari che erogano servizi bancari senza essere soggetti alla relativa regolamentazione in quanto posti al di fuori del perimetro di applicazione delle relative norme.

    Gli standard promosso dall’esecutivo comunitario stabiliscono i criteri per l’identificazione dei soggetti del sistema bancario ombra, garantendo l’armonizzazione e la comparabilità delle esposizioni segnalate dagli enti creditizi. Gli standard forniranno inoltre alle autorità di vigilanza dati affidabili per valutare i rischi delle banche in relazione ai non-banking financial intermediaries.

    Tutto questo dovrebbe rafforzare il quadro prudenziale, consentendo una maggiore trasparenza dei collegamenti materiali tra il settore bancario tradizionale e il settore bancario ombra.

    “Le istituzioni finanziarie non bancarie sono cresciute negli ultimi anni – ha commentato Mairead McGuinness, Commissaria per i servizi finanziari – Alcuni hanno accumulato considerevoli disallineamenti di liquidità e di leva finanziaria e, come evidenziato dalle recenti perdite nel settore bancario che hanno coinvolto tali entità, la loro attività potrebbe rappresentare un rischio per il sistema finanziario. Le norme odierne forniscono alle banche attive nell’UE ulteriore chiarezza su quali entità rientrano nel sistema bancario ombra, garantendo coerenza di reporting tra le banche e migliorando la capacità delle autorità di vigilanza di individuare l’accumulo di grandi esposizioni verso istituzioni finanziarie non bancarie e gestire i rischi in modo efficace”.

  • Si spende di più e si compra meno, boom dei discount

    La crescita dei prezzi spinge in alto la spesa delle famiglie costrette però a comprare meno prodotti. Ad aprile infatti – secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat – le vendite al dettaglio sono cresciute del 3,2% in valore rispetto allo stesso mese del 2022, ma sono diminuite del 4,8% in volume. E gli italiani cercando di risparmiar e di difendersi dall’inflazione si rivolgono sempre più alla grande distribuzione e ai discount alimentari.

    Market e supermarket hanno registrato ad aprile un +7,2% tendenziale delle vendite in valore (a fronte del +3,2% generale), mentre le imprese operanti su piccole superfici hanno perso terreno anche in valore (-1,1%). I discount alimentari all’interno della grande distribuzione hanno segnato un aumento delle vendite tendenziale del 9,2% mentre i supermercati hanno registrato un +7,4%. Se si guarda ai primi 4 mesi dell’anno le vendite sono cresciute nel complesso del 5,2% con una grande differenza tra la grande distribuzione (+7,8%) e i piccoli negozi (+2,5%). I discount alimentari hanno registrato un +9,1%.

    Con le famiglie che tirano la cinghia fanno fatica soprattutto i piccoli negozi che non vendono alimentari che registrano un calo di vendite in valore nonostante l’aumento dei prezzi dell’1,9% ad aprile su base tendenziale e un aumento dell’1,9% nei primi quattro mesi sempre su base tendenziale. Per quanto riguarda i beni non alimentari, si registrano variazioni tendenziali eterogenee tra i gruppi di prodotti. L’aumento maggiore riguarda i prodotti di profumeria, cura della persona (+7,9%) mentre i prodotti farmaceutici registrano il calo più sostenuto (-3,2%).

    Se si guarda al dato congiunturale ad aprile 2023 si stima rispetto a marzo un aumento per le vendite al dettaglio in valore (+0,2%) e un calo in volume (-0,2%). Sono in crescita le vendite dei beni alimentari (+0,9% in valore e +0,6% in volume) mentre quelle dei beni non alimentari registrano una diminuzione (-0,4% in valore e -0,7% in volume).

    Le associazioni dei commercianti esprimono preoccupazione e chiedono al governo sostegni per favorire la ripresa dei consumi. “A soffrire – sottolinea Federdistribuzione – non è solo il comparto alimentare ma anche le categorie del non alimentare, in particolare l’abbigliamento, che più risentono dell’andamento meteorologico e di una stagione estiva in forte ritardo. In questa prospettiva di incertezza, occorre quindi il massimo impegno per favorire la ripresa dei consumi, attraverso il sostegno alle famiglie e alle imprese”.

  • Tra gli italiani è usato mania: è l’1,3% del pil

    E’ usato mania e lo è, sempre, più tra gli italiani e senza distinzione. Uno stile di vita che accomuna Millennials, GenZ, giovani famiglie e over 50 nel segno dell’economia circolare. Nel 2022 sono stati 24 milioni per un valore economico di 25 miliardi di euro, il più alto di sempre, e che rappresenta l’1,3% del Pil nazionale, secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio ”Second Hand Economy’ realizzato da BVA Doxa per Subito.

    Un modo di vivere e consumare smart sia in termini di sostenibilità ambientale, sia di risparmio che viaggia soprattutto grazie l’online il cui volume d’affari cresce a 11,9 miliardi di euro. Un’esperienza sempre più simile all’e-commerce, a distanza e in sicurezza, scelta da 6 italiani su 10 perché più veloce (50%), disponibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 (48%) e con una scelta più ampia (44%). Ma torna a crescere, dopo due anni, anche l’offline, mettendo in soffitta le paure maturate con il covid. Rispetto all’acquisto i due canali raggiungono la parità mentre, rispetto alla vendita, il divario continua a crescere: se il 39% degli intervistati ha dichiarato di avere venduto offline, la percentuale sale al 73% per l’online.

    L’usato offre anche sempre di più una mano a far quadrare il bilancio con un guadagno medio che si attesta a 953 euro, che in un anno difficile e incerto come quello appena passato può essere di supporto all’economia familiare. E forse anche per questo cresce non solo il numero di persone che comprano e vendono usato (57% contro il 52% del 2021), ma anche la frequenza di utilizzo (la maggioranza ogni 2-3 mesi).

    Tra le Regioni che superano la media nazionale ci sono Campania (1.114 euro), Veneto (1.099 euro) e Lombardia (970 euro) che, invece, in termini di valore è in testa (4,2 miliardi di euro) seguita da Campania (3,1 miliardi) e Lazio (2,7 miliardi).

    Ma cosa comprano e vendono gli italiani? I veicoli si confermano la prima categoria per valore generato a totale (10,6 miliardi di euro), seppure in decrescita rispetto al balzo del 2021, in cui l’usato offriva una valida alternativa al nuovo, in crisi di disponibilità per la mancanza di chip. Nel 2022 non solo la crisi economica e l’incertezza politica sembrano aver ritardato una scelta di acquisto importante come quella dell’auto, ma anche la crescita dei prezzi dovuta alla domanda in aumento. A seguire casa&persona (6,7 miliardi di euro, elettronica (4,5 miliardi di euro), sports&hobby (3,4 miliardi di euro).

  • Il diverso destino di Italia e Francia

    Un qualsiasi paese europeo, ormai stremato da tre anni terribili segnati dalle conseguenze umane, sanitarie, sociali ed economiche della pandemia e della guerra in corso, dovrebbe ora dimostrarsi in grado di elaborare le scelte fondamentali per la propria rinascita. La stessa recessione della Germania dovrebbe allarmare i paesi come l’Italia, esportatrice di componenti della filiera industriale e di beni di consumo alto di gamma.

    Una corretta volontà politica potrebbe manifestarsi attraverso la elaborazione di strategie la cui attivazione possa accrescere, solo per cominciare, la propria capacità energetica in grado porla nelle condizioni di affrontare un’altra situazione imprevista. La logica conseguenza potrebbe delinearsi con l’attivazione di investimenti quasi interamente dirottati verso la realizzazione di infrastrutture di valenza nazionale.

    Le uniche in grado di esprimere il proprio apporto a favore dell’intero sistema economico industriale nazionale: di certo lontane anni luce rispetto alle scelte italiane caratterizzate invece da politiche settoriali (bonus 110%) e generatrici di inflazione.

    In questo senso, allora, da un semplice raffronto tra i due paesi limitrofi si delinea un acquarello inquietante.

    Nel nostro Paese si continua ad aumentare la spesa pubblica con bonus imbarazzanti (zanzariere, occhiali etc.) o finanziando ciclopiche infrastrutture come il ponte sullo stretto di Messina.

    Contemporaneamente la Francia, dopo l’assenso ottenuto dal tribunale, ha avviato la procedura di nazionalizzane di Edf (la società di produzione e distribuzione dell’energia elettrica). L’obiettivo ambizioso che ha determinato la realizzazione del progetto è quello di assicurare il minore costo possibile dell’energia elettrica all’utenza sia industriale che familiare. Questa scelta politica francese, in più, raggiungerà i propri obiettivi anche con investimenti persino inferiori del 33,3% rispetto a quelli necessari per la realizzazione del solo Ponte (*).

    Una scelta, quindi, con un grado di sostenibilità economica maggiore e che si delinea come un fattore strategico determinante ma anche come un importante elemento di sostegno sociale alle famiglie e alle piccole imprese. Diventa, in altre parole, il raggiungimento di questo obiettivo del minore costo energetico, non solo un fattore competitivo per un sistema economico industriale, ma anche un importante strumento di pacificazione sociale per i cittadini. Gli effetti di queste due diverse strategie di politica economica espresse dalla Francia e dall’Italia emergeranno evidenti in soli pochi anni.

    Il sistema industriale ed economico francese, usufruendo dei minori costi energetici, risulterà assolutamente più competitivo nello scenario internazionale ma soprattutto nei confronti del maggiore concorrente cioè quello italiano. Viceversa il mondo industriale italiano pagherà una crescente emarginazione dal contesto economico internazionale proprio a causa delle diverse strategie espresse dalle due classi politiche nazionali (risultato 1). Contemporaneamente il costo sociale pagato dalle famiglie italiane (2) diventerà sempre più gravoso e per due motivi. Va ricordato, infatti, come da giugno 2023 verranno mantenuti gli sconti sui costi impropri solo per i redditi inferiori ai 15.000 euro (il 21% del prezzo pagato dall’utenza) nelle bollette elettriche.

    Come se non bastasse, a partire dal 10 gennaio 2024 verrà annullato, nell’approvvigionamento energetico, il “mercato tutelato” per nove milioni di utenze familiari e di piccole imprese (2).  L’ennesima conseguenza di quelle fasulle “liberalizzazioni e privatizzazioni” le quali hanno determinato l’aumento negli ultimi dieci anni delle tariffe elettriche del 240% del gas del 65% dell’acqua del 57% (fonte Il Sole 24 Ore).

    Nella medesima logica speculativa la privatizzazione delle infrastrutture autostradali non merita alcuna menzione in relazione a quanto sta emergendo dalle carte processuali in relazione al crollo del Ponte Morandi.

    Il nostro Paese, quindi, continua nelle strategie adottate alle fine degli anni ‘90 in assoluta antitesi rispetto alla strategia francese privilegiando la logica speculativa privata a quella dell’interesse nazionale.

    Già da ora, quindi, si delinea chiaramente il diverso destino al quale sono indirizzati i due Paesi. Un quadro le cui tinte fosche esprimono, nel nostro italiano, la inadeguatezza delle strategie adottate.

    (*) La nazionalizzazione di Edf costerà allo stato francese dieci (10) miliardi di euro, il 33,3% in meno del ponte sullo Stretto di Messina il cui costo ai valori attuali è di quindici (15) miliardi

  • Chi mangia sano butta meno cibo

    Mangiare sano e bene, prima regola. Poi, fissare un menu dei 7 giorni, cuocere tutto una volta a settimana, fare la spesa con una lista per evitare di comprare cose inutili o doppioni, leggere attentamente le istruzioni riportate in etichetta, e se si mangia al ristorante chiedere senza esitazione la family bag, come ricorda il vademecum di federalimentare. Sono solo alcuni degli accorgimenti lanciati da organizzazioni e istituzioni con linee-guida, vademecum, appelli, indagini in vista della X Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare del 5 febbraio.

    Secondo una ricerca del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura), condotta su un campione di 2869 adulti, chi segue le linee-guida per una sana alimentazione butta via meno cibo e aiuta il pianeta, oltre a mangiare meglio. C’è da dire, però, che i consumatori sono diventati più oculati. Nelle case degli italiani lo spreco alimentare è sceso del 12% rispetto ad un anno fa, anche come risposta alla corsa dell’inflazione, per un valore complessivamente di 6,48 miliardi di euro. Una cifra, secondo il report ‘Il caso Italia’ 2023 di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability, che arriva a 9,3 miliardi considerando le perdite lungo la filiera, dal campo alla catena dell’industria alla distribuzione. E sulla base dei nuovi dati che si riferiscono al mese di gennaio 2023, gli italiani gettano in media 524,1 grammi pro capite a settimana di cibo contro i 595,3 grammi della scorsa indagine, o circa 75 grammi di cibo al giorno e 27,253 kg annui. Mentre secondo l’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market / Campagna Spreco Zero, nel report ‘Il caso Italia’ 2023, l’86% degli italiani si impegna a consumare tutto quello che cucina e a mangiare anche gli avanzi.

    Anche gli chef fanno la loro parte. La Federcuochi ha lanciato l’appello “Chef Spreco Zero”, rinnovando l’appello a tutti i suoi chef verso lo ‘spreco zero’, attraverso un utilizzo consapevole delle risorse alimentari, incentivando ricette basate sul recupero del cibo avanzato, sull’ottimizzazione degli ingredienti e su una gestione più razionale degli acquisti. La lotta allo spreco alimentare è anche un obiettivo del Governo “per favorire la distribuzione degli eccessi a chi ne ha bisogno”, ha detto il Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida. “Sono necessarie un’attenta analisi scientifica alla base, una corretta informazione e una formazione ad hoc che parta dalle scuole”. E infine, fa sapere il fondatore Spreco Zero, l’agroeconomista Andrea Segrè, “non è lontano l’obiettivo Onu di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030”.

  • Le norme dell’Unione per le chiamate intra-UE proteggono efficacemente da prezzi eccessivi

    La relazione di valutazione della Commissione e i risultati di un’indagine Eurobarometro sull’impatto delle norme che garantiscono comunicazioni intra-UE a prezzi accessibili mostrano che le misure dell’UE si sono dimostrate efficaci: dal 2019 gli europei beneficiano di prezzi al dettaglio più bassi per le chiamate provenienti da uno Stato membro e dirette in altri paesi dell’UE.

    Queste misure, in vigore dal maggio 2019, consentono ai cittadini dell’UE di rimanere più facilmente in contatto con i loro familiari e amici in un altro Stato membro, contribuendo in tal modo alla realizzazione di un mercato unico europeo efficace. Secondo l’indagine, i consumatori beneficiano in media di una riduzione dei prezzi superiore al 60%. Il 27% dei consumatori comunica inoltre con persone di altri paesi dell’UE più volte al mese mediante telefono, SMS o Internet.

    La Commissione ha valutato l’impatto delle misure sulle chiamate intra-UE sulla base degli scambi con le parti interessate e del monitoraggio continuo dell’attuazione delle norme, nonché tenendo conto del parere del BEREC sulla regolamentazione delle comunicazioni intra-UE. La Commissione continuerà a raccogliere informazioni per analizzare l’uso e l’evoluzione delle misure.

  • La Commissione presenta nuove norme per ridurre i consumi dei dispositivi in “stand-by”

    La Commissione europea ha adottato le nuove norme per ridurre il consumo energetico di dispositivi come lavatrici, televisori e console portatili per videogiochi quando questi sono in modalità “stand-by”. Le norme rivedute apportano una serie di modifiche al regolamento sulla progettazione ecocompatibile del 2008 relativo al consumo di energia elettrica nei modi stand-by e spento, il cui ultimo aggiornamento risale al 2013. Le nuove norme fanno seguito a un’ampia consultazione e all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio. Le modifiche tengono conto degli sviluppi tecnologici e del mercato avvenuti negli ultimi anni e ampliano il campo di applicazione della normativa, includendo ora, ad esempio, i prodotti provvisti di un alimentatore esterno a bassa tensione, come piccole apparecchiature di rete (tra i quali router per il Wi-Fi e modem) o altoparlanti senza fili.

    Secondo le stime della Commissione, riducendo la quantità di energia elettrica consumata dai prodotti in modalità “risparmio energetico”, entro il 2030 si produrrà un risparmio energetico annuale di 4 TWh, corrispondente a un risparmio annuale di CO2 pari a 1,36 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Ciò apporterà anche benefici ai consumatori, riducendo i costi delle bollette e permettendo così un risparmio totale stimato di 530 milioni di € all’anno entro il 2030.

    Grazie alle norme rivedute, le informazioni sul consumo energetico dei dispositivi in modalità “stand-by”, “spento” e “stand-by in rete”, nonché sulla quantità di tempo necessaria ai prodotti per raggiungere automaticamente una di queste modalità, saranno più facilmente accessibili ai consumatori.

    Le aziende produttrici hanno ora a disposizione un periodo di transizione di due anni prima che le nuove norme entrino in vigore.

  • La Ue taglia i consumi di energia, per Italia più sforzi

    Le istituzioni Ue fanno un altro passo verso la finalizzazione del pacchetto clima con un accordo su un nuovo ambizioso obiettivo di efficienza energetica che prevede una riduzione dei consumi dell’11,7% entro il 2030 a livello Ue. Per l’Italia, secondo Francesca Andreolli del think tank ECCO, significa raddoppiare gli sforzi di riduzione dei consumi in tutti i settori nei prossimi 6 anni.

    In base all’intesa raggiunta a Bruxelles, in media gli Stati membri dovranno assicurare una riduzione annua dell’1,49% di consumi finali di energia per ciascuno dei prossimi sei anni. Il contributo nazionale sarà calcolato secondo una formula che tiene conto dell’intensità energetica, del Pil pro capite, dello sviluppo delle rinnovabili e del potenziale risparmio energetico. Per l’Italia, ha spiegato Andreolli, ciò significherà risparmiare “quasi il doppio di quello, lo 0,8%, che prevede l’attuale Piano nazionale energia e clima” tarato sul target precedente. L’obiettivo Ue riguarda tutti i settori, ma particolare attenzione è rivolta agli edifici pubblici. Gli Stati sono chiamati a rinnovare ogni anno almeno il 3% della superficie totale degli immobili sotto il controllo della pubblica amministrazione.

    I singoli Paesi potranno conteggiare nel calcolo del contributo nazionale all’obiettivo europeo sia i risparmi energetici realizzati con misure derivanti dal nuovo sistema Ets per gli edifici e i trasporti – cui è collegato un fondo per il clima da quasi 90 miliardi – sia quelli che saranno realizzati con l’applicazione della nuova direttiva sulla performance energetica degli edifici. Un provvedimento, quest’ultimo, che in Italia ha suscitato molte reazioni negative.

  • Risparmio gestito più magro, lontano da record 2021

    Al risparmio gestito non basta un dicembre 2022 con oltre 11 miliardi di raccolta, grazie alla spinta dei mandati istituzionali (8,7 miliardi), per rimettere in sesto un anno che resta lontano dal record di 93 miliardi registrato a fine 2021 (segnato dal Covid) e che, peraltro, è stato il miglior risultato dal 2017.

    Il 2022, sferzato dalla volatilità, chiude – sulla base della consueta mappa stilata da Assogestioni- sfiorando i 20 miliardi di euro (19.7). A dicembre sul totale (11,15 miliardi) 1,58 miliardi sono gestioni collettive e 9,57 miliardi sono frutto delle gestioni in portafoglio. Quanto al patrimonio gestito scende a 2.215 miliardi euro, dai 2.260 miliardi di novembre.

    “Il dato sulla raccolta netta a dicembre è stato determinato quasi totalmente dai mandati istituzionali, i cui flussi seguono delle dinamiche su cui l’andamento dei mercati influisce in misura minore rispetto al mondo retail”, osserva Alessandro Rota, direttore Ufficio Studi di Assogestioni. “In attesa della lettura trimestrale definitiva, il segnale incoraggiante – aggiunge Rota – arriva a mio avviso dai fondi aperti, con gli azionari che continuano a catalizzare l’interesse degli investitori, consolidando un trend orientato al lungo periodo che prosegue ormai da tempo”.

    I numeri confermano infatti la resilienza dei fondi aperti, che nell’ultimo mese del 2022, hanno registrato 1,14 miliardi euro di afflussi e, in particolare, quella dei prodotti azionari, in positivo per 1,39 mld euro. Segno più anche per i fondi obbligazionari (+375 milioni), mentre restano in rosso quelli bilanciati (-342 milioni). Per i fondi chiusi invece la raccolta è stata di 444 milioni di euro. L’ammontare del patrimonio delle gestioni collettive si attesta così a 1.160 miliardi di euro, equivalenti al 52,4% del totale.

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