La Cina, in risposta al divieto statunitense di esportatore tecnologia verso centoquaranta aziende operanti in Cina ed in particolare con azionariato cinese in vigore dal 31.12.2024, ha deciso di fermare le esportazioni di terre rare (gallio germanio ed antimonio) le quali soni fondamentali per la realizzazione di semiconduttori.
Questo ennesimo episodio di “rappresaglia commerciale” rappresenta l’ultimo atto di un conflitto politico e strategico che sta definendo lo scenario bellico che vedrà sempre più contrapposte le due vere superpotenze mondiali: Stati Uniti e Cina.
Proprio questo conflitto dalle dimensioni e ripercussioni simili ad un conflitto nucleare riduce ogni altro scenario di guerra in corso a semplici fattori strutturali e specifici ma soprattutto funzionali alla strategia bellica complessiva.
In particolare lo scenario del conflitto russo ucraino acquisisce all’interno della nuova strategia statunitense un valore strategico fondamentale. Le prime bozze del piano di pace che sembra l’amministrazione Trump proporrà ai due contendenti si potrebbero sintetizzare in un congelamento delle posizioni attuali, la nascita di una zona cuscinetto ed il divieto per l’Ucraina di aderire alla Nato valevole per i prossimi vent’anni. L’obiettivo dell’amministrazione americana, quindi, risulta quello di concedere a Putin, in considerazione anche dell’impossibilità dell’Ucraina di resistere a lungo, un parziale riconoscimento delle proprie ambizioni territoriali. Una concessione che ovviamente non terrebbe in alcuna considerazione le responsabilità dello stesso conflitto, ma avrebbe l’importante funzione di allontanare la Russa dall’alleanza dell’ultimo periodo imbastita con la Cina.
Sul fronte opposto, ma non meno importante, la scelta di rinominare il medesimo mediatore che riuscì a creare le condizioni per un incontro tra i leader della Corea del Nord ed il presidente Trump va intesa nella medesima ottica in quanto la sua nomina risulta funzionale ad una volontà di creare un progressivo, anche se solo parziale, isolamento della Cina sul versante coreano.
Nel sentiment statunitense, infatti, viene considerata molto probabile l’apertura di un nuovo scenario bellico, e non solo commerciale, che dovrebbe coinvolgere la Cina e Taiwan. Quest’ultima rappresenta una realtà fondamentale nell’economia mondiale per la propria produzione di microchip, molto spesso con capitali statunitensi.
Tornando al divieto di export delle terre rare, deciso appunto in risposta dalle autorità cinesi alla politica statunitense, sarebbe allora interessante capire se esista una minima percezione e consapevolezza da parte delle autorità istituzionali, politiche, strategiche ed economiche dell’Unione Europea in relazione alle conseguenze che si potrebbero determinare con il mantenimento delle posizioni europee in uno scenario strategico e politico nuovamente polarizzato da Stati Uniti e Cina. In altre parole, se sia “possibile e sostenibile” il mantenimento delle strategie ideologiche ambientaliste completamente svincolate dal contesto internazionale verso una elettrificazione della mobilità, e quindi una diretta dipendenza dall’export cinese, che sicuramente determinerà una riduzione dell’indipendenza politica ed economica, quindi democratica, dell’Unione europea.
I termini del nuovo confronto, o meglio del nuovo conflitto mondiale, non saranno più determinati, come in passato, da una divisione tra due blocchi, occidentale ed orientale, ma tra due complesse articolazioni economiche ed istituzionali: quella statunitense e la rivale cinese.
L’idea, quindi, di agevolare attraverso l’adozione di facilitazioni politiche e normative una “transumanza elettrica” made in China non solo rappresenta la condizione per il suicidio politico, economico ed occupazionale della stessa Unione Europea, in più potrebbe essere interpretata come una scellerata scelta di campo da parte di entrambi i contendenti.