Russia

  • Aspettare con gli interventi e gli aiuti significa aiutare Putin

    L’incontro di Volodymir Zelensky con Papa Leone XIV, le sentite e precise parole del presidente Sergio Mattarella, l’importante riunione che vede convenire a Roma così tanti esponenti di nazioni diverse per programmare la ricostruzione dell’Ucraina, distrutta da Vladimir Putin, e gli interventi necessari a risolvere i problemi della popolazione rimasta senza infrastrutture rappresentano solo una parte del problema se lo zar russo non sarà fermato nella sanguinosa escalation della sua follia.

    Il presidente Donald Trump nei mesi scorsi ha prima promesso, poi revocato, poi pare di nuovo autorizzato l’invio di materiale militare per la tutela dell’Ucraina e del suo popolo. La Russia intanto sta bombardando con sempre maggior intensità e ogni giorno muoiono civili, vengono distrutte abitazioni e rase al suolo strutture vitali per la popolazione.

    Anche i volenterosi di Germania, Regimo Unito e Francia, che pure rappresentano un forte segnale politico da parte del continente europeo, con la partecipazione della Polonia e dell’Italia, devono iniziare ad agire in modo più concreto. All’intera comunità internazionale spetterebbe poi muoversi in modo compatto per riportare a casa tutti i bambini rapiti e spariti in Ucraina.

    Vorremmo vedere nelle piazze italiane ed europee qualche segnale a sostegno dell’Ucraina, soprattutto da parte di quelle forze di centrosinistra e di sinistra che al momento, specie in Italia, continuano a mostrare la loro indifferenza.

  • Chi condanna Lavrov?

    Mentre bombe, missili e droni imperversano tra Israele ed Iran e non si ferma il martellamento russo contro i civili ucraini, diventa veramente suggestiva la dichiarazione del ministro degli Esteri russo, parole che suonano come una condanna proprio a Putin, “se il diritto all’autodifesa di ogni paese, sancito dalla carta delle Nazioni Unite, viene interpretato in modo tale che ognuno decida quando esercitare questo diritto senza guardare alla carta questo sarà il caos totale”.
    Non possiamo che condividere le parole di Lavrov che certo si è dimenticato di pensarle e pronunciarle più di tre anni fa quando il suo capo e padrone Putin ha iniziato la sua perfida guerra espansionistica invadendo l’Ucraina,  un paese sovrano e democratico che non aveva bombe atomiche ma solo il desiderio di vivere in pace insieme all’Unione europea ed in futuro alla Nato.
    Come sempre due pesi e due misure, due verità ma una realtà sola, Putin ha invaso l’Ucraina per smania di potere e di possesso e resta una minaccia per i paesi confinanti, Israele e poi gli Stati Uniti hanno attaccato i siti nucleari dell’Iran per impedire una prossima ecatombe non solo degli israeliani.
    L’Iran ha sovvenzionato ed armato Hamas che il 7 ottobre ha compiuto una delle più efferate stragi a freddo che il mondo ricordi, l’Iran ha armato gli Houthi, con i danni conseguenti, e finanzia terroristi in ogni paese, l’Iran, per meglio dire il governo iraniano, perseguita il suo popolo, mettendo ogni giorno in carcere cittadini inermi, esegue ad ogni piè sospinto sentenze di morte, senza neppure una parvenza di  processo, il governo iraniano comanda con  la paura ed il terrore ormai da decenni e condanna le donne a vite miserevoli, questo Iran è un pericolo per la stabilità mondiale.
    Il ministro Lavrov, ministro di un dittatore che è alleato dell’Iran e della Cina e specialmente di Kim Jong-un, paesi dai quali si rifornisce di armi, quando riascolterà le sue dichiarazioni forse si accorgerà di avere condannato non Israele o gli Stati Uniti ma il capo della Russia, del suo Paese

  • Politica lungimirante o masochismo?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta con alcune considerazioni finali di Cristiana Muscardini 

    Nella politica internazionale i rapporti amichevoli tra leader giocano sempre un qualche ruolo positivo ma, al momento del dunque, ciò che rimane è soltanto l’interesse del Paese che si rappresenta. Di là dalle dichiarazioni di prammatica, di là dai sentimenti espressi, siano essi sinceri o di pura cortesia o perfino bugiardi, di là dalle conferenze stampa congiunte o dagli editoriali di giornalisti compiacenti o nemici, tutte le potenze mondiali metteranno al primo posto i loro interessi e, se necessario, sacrificheranno gli interessi dei loro alleati. D’altra parte non molto tempo fa ci fu un cancelliere tedesco che disse: “I trattati sono solo dei pezzi di carta (chiffons de papier)”. Questa realtà non va mai dimenticata se si vogliono esprimere giudizi sugli avvenimenti mondiali e quando un politico deve prendere decisioni. Il comportamento di Trump verso gli altri leader mondiali non sfugge a questo schema: le sue azioni e ciò che fa rientrano in quello che lui crede essere l’interesse degli Stati Uniti e solo il loro. È quindi inutile criticarlo e sarebbe molto meglio prenderne atto e reagire usando le sue stesse armi. Inoltre, non è affatto detto che riesca a ottenere i risultati cui aspira e, anzi, potrebbe addirittura raggiungere il risultato opposto danneggiando irrimediabilmente il benessere dei suoi concittadini. Chi, purtroppo, ha già nuociuto agli interessi dei propri governati sono i capi di Stato europei che hanno deciso di assecondare le strategie statunitensi contro la Russia sacrificando i nostri stessi interessi per assecondare quelli americani, con la speranza che il servilismo politico potesse essere ripagato.  Al contrario, basterebbe conoscere un po’ di storia politica per vedere che, da sempre e in modo ancora più evidente dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la politica dei nostri alleati storici ha mirato ad impedire che potesse realizzarsi un vero riavvicinamento economico tra Mosca e l’Europa. Dal punto di vista di Washington tale intesa avrebbe consentito agli europei di avere un maggiore accesso alle materie prime russe, di approfittare di un grande mercato in via di sviluppo e di non sentire più l’esigenza della “protezione” americana contro quello che fu un sicuro nemico per tutta la guerra fredda. Inoltre, i grandi gruppi finanziari ed economici d’oltreoceano puntavano ad impadronirsi delle ricchezze offerte dall’immenso territorio della Federazione Russa, magari approfittando di una eventuale disgregazione di quello Stato in tante piccole e politicamente insignificanti repubbliche. In altre parole, occorreva garantire la supremazia americana nel mondo e l’avvicinamento dell’Europa alla Russia rappresentava per gli USA il pericolo che si costituisse un nuovo potente concorrente politico ed economico sulla scena mondiale. Dopo la semi-anarchia politica dell’era Eltsin i vertici europei si dimostrarono incapaci di cogliere le grandi novità geopolitiche che si aprivano con l’ascesa alla presidenza di Putin (solo Berlusconi lo capì) e rimasero inconsapevoli vittime e complici di tre fattori che ci hanno portato alle circostanze odierne: l’eredità non ragionata di una alleanza un tempo utile ma ora sempre meno necessaria, il desiderio di vendetta di alcuni Paesi già nel Patto di Varsavia e le loro patologie storicamente comprensibili (vedi Polonia e Baltici), la onnipresente e pervasiva lobby politica e spionistica americana.

    Il risultato ottenuto da questa politica è che oggi ci troviamo con un costo dell’energia quadruplicato, una crisi economica che avanza, soldi gettati nella voragine ucraina e la assurda prospettiva di doverci assorbire i costi enormi di un dopoguerra in quel Paese (magari addirittura assorbendolo nell’Unione) mentre i profitti saranno principalmente destinati proprio agli USA. Nonostante questo scenario, i soloni di Bruxelles e della NATO avrebbero deciso di dirottare i fondi necessari per affrontare la crisi economica e garantire lo stato sociale verso un enorme investimento a favore delle industrie belliche che, per ovvietà pratica (vedi compatibilità NATO), non potranno che principalmente essere americane.

    Come tutto ciò non bastasse, con Trump Washington ha gettato la maschera e sta pensando di organizzare una nuova Yalta dove noi non saremo nemmeno invitati al tavolo. Al nostro posto si sederanno dapprima la Russia e poi, probabilmente, anche la Cina. In barba ai trattati alle consuetudini e alla globalizzazione voluta proprio dagli americani, Trump pretende anche che noi si continui a “servirli” ma senza più nemmeno la contropartita di poter noi godere di qualche surplus commerciale.

    Purtroppo, non sono più vivi i Talleyrand, i Metternich, i Bismarck, i De Gaulle, i Brandt e sembra che più nessuno a Bruxelles e nelle nostre capitali abbia la capacità e il coraggio di guardare di là del proprio naso e pensare in termini strategici. È ben chiaro a chi scrive che in politica (e soprattutto in politica internazionale) occorre evitare i colpi di testa e ogni mossa deve essere intrapresa con cautela (ma Trump non lo sa?) e che ogni possibile nuova strategia vada sondata e resa palese solo dopo averne accertata la fattibilità e le sue conseguenze. Tuttavia, poiché proprio gli americani vogliono scaricare sulle nostre spalle solo i costi e toglierci anche i profitti che incassavamo fino ad ora, sarebbe bene che chi di dovere cominci a pensare alle alternative praticabili guardando al medio e lungo termine.

    Innanzitutto togliamoci dai piedi le stupide idiozie propagandistiche che i media e i nostri politici attuali continuano a ripeterci. Dapprima han cercato di spiegarci che con le sanzioni cominciate nel 2008, incrementate nel 2014, aumentate ancora nel 2022 e continuate ad estendersi fino ad oggi, la Russia sarebbe stata messa in ginocchio e ci avrebbe supplicato di perdonarla. Evidentemente si sono sbagliati, visto che l’economia russa non è mai stata buona e viva come oggi. In seguito ci hanno detto che aveva finito le armi ma, inspiegabilmente, missili e droni contro l’Ucraina non fanno che moltiplicarsi. Ora giornalisti servili e pseudo-analisti vogliono convincerci che a Mosca si preparino per invadere il resto d’Europa dopo aver sconfitta l’Ucraina. Chi lo sostiene non si rende nemmeno conto dell’assurdità di tali affermazioni oppure è in netta malafede. Tutti vediamo le difficoltà sul campo che i russi hanno incontrato dopo tre anni di guerra contro un Paese di 35 milioni di abitanti e con un PIL di 190 miliardi di dollari circa (2024). Ebbene, l’Unione Europea e la Gran Bretagna insieme vantano una popolazione di più di 500 milioni e un PIL di più di 24 trilioni di dollari (per inciso, i russi sono circa 130 milioni e il loro PIL è stimato attorno ai 2 trilioni di dollari), senza contare che è tuttora in vigore l’art. 5 dell’Accordo Transatlantico. Crediamo davvero che i russi siano dei pazzi irresponsabili? O non sono piuttosto dei bugiardi in malafede quelli che vogliono convincerci che esista per l’Europa un “pericolo russo”?

    Detto ciò e affermando senza ombra di dubbio che tale “pericolo” sia solo pura propaganda per giustificare (nel migliore dei casi) l’aumento delle spese verso le industrie belliche, cominciamo a pensare davvero a quali siano i nostri veri interessi e partiamo dalla costatazione che la Russia non ha alcun motivo nel XXI secolo di considerarci rivali strategici.

    Al contrario, sin che le è stato possibile, ha sempre cercato di avere rapporti ottimali con tutti noi. Il suo rivale strategico reale è quello che attualmente è il suo alleato indispensabile: la Cina. È con la Cina che ha da sempre una rivalità oggettiva nel centro-Asia, è con lei che ha da secoli problemi di confine, è con la cultura cinese che ha molti meno rapporti che con quella del resto d’Europa. Se dipendesse solo da Mosca, indipendentemente dalla propaganda di questo periodo di conflitto e da ciò che pochi sparuti intellettuali slavofili hanno scritto ogni tanto, i rapporti con le capitali europee sarebbero economici, culturali e anche politici. E lo stesso, reciprocamente, vale per noi: ci farebbe comodo una immensa riserva di materie prime a buon prezzo, un mercato che ha ampi margini di fronte a sé e necessita di capitali freschi e di know how. Inoltre sarebbe per noi un modo per tornare ad essere protagonisti su una dimensione mondiale, cosa che abbiamo perduto da tempo. E l’Ucraina? Se i nostri politici avessero avuto più sale in zucca e meno servilismo nel seguire interessi altrui e se gli oligarchi e i politici corrotti di quel Paese fossero stati un po’ meno delinquenziali un’Ucraina neutrale e indipendente avrebbe potuto prosperare proprio come ponte economico tra la Russia, cui era economicamente legata, e l’Europa.

    Forse è fin troppo tardi ma, se l’Europa oggi aprisse a oneste, e necessariamente riservate, negoziazioni dirette con Mosca nuovi scenari si potrebbero aprire e, se la strada si rivelasse percorribile, in tanti avremmo da guadagnarci. Purtroppo con l’Europa che ci troviamo e gli pseudo-leader oggi disponibili a Bruxelles è praticamente impossibile immaginare che le cose cambino da come si sono messe. È solo partendo con iniziative individuali da parte di qualche governo nazionale che si dovrebbero esplorare le nuove strade. D’altra parte se Trump lo sta facendo, perché noi non dovremmo sentirci autorizzati a farlo? Non si creda che chi scrive stia peccando di ingenuità: nessuno si nasconde che quando si gioca su più tavoli e si hanno più interlocutori contemporaneamente chiunque potrebbe fare il doppio gioco e usare gli uni contro gli altri per il proprio beneficio. Non è ciò che si fa negli affari ed esattamente quello che sta facendo Trump? Occorre, comunque, essere lungimiranti e realisti e considerare tutte le convenienze, anche a costo di pensare l’impensabile: a Mosca conviene di più avere rapporti ottimali con Pechino o con l’Europa? Per noi è davvero assurdo immaginare di avere qualche autonomia o dobbiamo sempre servire interessi americani? E anche volendo salvaguardare il nostro rapporto con gli USA, è un bene nemmeno fingere di metterlo in discussione e accettare solo ordini da oltreoceano oppure alzare la cresta potrebbe farci rispettare un poco di più? Come reagirebbe Washington se noi unilateralmente annunciassimo di voler disdire il nostro rapporto con la NATO e aprissimo a Mosca? Se temesse che noi si faccia sul serio, continuerebbe a minacciarci con la stessa supponenza? E già che ci siamo, invece di leccargli gli stivali (o peggio ancora, come Trump disse che avremmo fatto) e visto che la Cina affaccia sul Pacifico e non sul Mediterraneo perché non fargli sapere che noi vorremmo cominciare a negoziare con Pechino e senza pre-condizioni?

    Si badi bene: non si possono negligere i grandi interessi economici e finanziari che ci legano agli Stati Uniti né il fatto che l’Europa attuale è un ridicolo coacervo politico senza volontà. Tuttavia, poiché il mondo non è più quello né della guerra fredda né quello unipolare del dopo URSS, politici intelligenti dovrebbero cominciare a vagliare tutte le alternative nell’interesse dei nostri paesi. Di sicuro non, come fanno Macron, Starmer e la Germania di Merz, che minacciano di continuare da soli la guerra con l’Ucraina al solo scopo di poter avere uno sgabellino al possibile tavolo delle trattative di pace.

    Utopie? Fantasie irrealizzabili?  Forse. Ma se da noi ci fossero stati diplomatici e politici con una visione strategica non ci avrebbero trascinati verso una situazione come quella odierna che potrebbe diventare molto pericolosa per la pace mondiale e non soltanto per il nostro benessere economico.

    L’amico on. Dario Rivolta ha sempre la capacità di affrontare gli scenari internazionali con una visione ampia. Sulle sue considerazioni, comunque interessanti, varrebbe la pena di aprire un dibattito ampio, intanto vogliamo ricordare, per chiarezza verso i nostri lettori, che per mettersi ad un tavolo, per delle trattative serie e non utopiche, dovremmo avere politici in grado di farlo, capaci di visioni, consapevoli delle realtà geopolitiche e anche delle opportunità e minacce derivanti dalle nuove tecnologie. Non ci sono solo Trump, Putin l’Europa, il presidente cinese, i paesi arabi, l’India etc etc, ma anche Musk con i suoi satelliti che ci controllano e controllano lo spazio, insieme a quelle di alcune super potenze, per non parlare dell’intelligenza artificiale che sembra ormai molto più avanti di quella umana. 

    Inoltre a quel tavolo, che tutti vorremmo fosse realizzato, dovremmo puntualizzare che se Mosca vuole tornare ad essere interlocutore dell’Europa per prima cosa dovrebbe liberare i territori occupati, liberare i bambini rapiti, accettare l’indipendenza dell’Ucraina ed i politici che gli ucraini si scelgono, ovvia premessa, però, a qualunque trattativa è comunque un cessate il fuoco che Putin non vuole.

  • Parlare di pace è facile, costruirla mentre infuriano guerre e stragi è complesso

    Marciare, radunarsi, chiedere che i civili di Gaza abbiano cibo, acqua, medicine, è giusto e va fatto ed è stato fatto.

    Marciare, radunarsi in decine di migliaia per chiedere che Hamas si ritiri dal potere che esercita contro i civili di Gaza, usandoli come scudi umani, sottraendo il loro cibo, esponendoli ad ogni tragedia di morte e riconsegni ad Israele gli ostaggi che ancora detiene, sarebbe giusto fosse fatto e non è stato fatto.

    Ai pacifisti non sempre pacifici, e quasi sempre lontani dalla realtà ed immersi nelle loro utopie ed ideologie, non viene in mente, neppure dopo più di tre anni di morte e distruzione in Ucraina, di sfilare e chiedere alla Russia, a Putin di cessare il fuoco, di sedersi ad un tavolo di trattative serie, senza le ridicole telefonate con Trump nelle quali, probabilmente, parlano più di possibili affari che di decisioni necessarie a salvare la vita e la libertà di milioni di persone, russi compresi.

    Parlare di pace è facile, costruire la pace mentre infuriano guerre e stragi è complesso e richiede un impegno costante ed una conoscenza profonda delle realtà antiche e presenti e delle psicologie di coloro che per scelta o per destino sono diventati i protagonisti di questi anni sciagurati, doti che al momento non appaiono.

    Costruire la pace significa anche sapere quali sono i presupposti e necessari per poterla mantenere una volta raggiunta ed è certo che senza il rispetto del diritto internazionale, della libertà dei popoli, della sicurezza territoriale, dell’integrità nazionale qualunque pace diventa effimera.

    Certo non vi sarà nessuna pace tra Russia ed Ucraina fino a che Trump continuerà a porsi come mediatore e a comportarsi come un ondivago, inconcludente, supporter di Putin, quando il presidente degli Stati Uniti paragona  Putin  e Zelensky a due ragazzini che litigano nel parco mentre continua la strage di civili in Ucraina è ormai evidente quanto sia scoordinato dalla realtà e costretto ad accettare che non è in grado di imporre la pace promessa ed è incapace di aiutare l’Ucraina come sarebbe suo dovere.

  • La Ue constata che la Russia è sempre più presente in Libia

    L’Europa rischia di perdere definitivamente terreno in Libia. A Tripoli le istituzioni si sfaldano, Bengasi espone nuove armi avanzate in aperta violazione dell’embargo Onu, mentre Mosca consolida il proprio ruolo strategico sulla sponda sud della Nato. L’indiscrezione di “Agenzia Nova” secondo cui la Russia vorrebbe installare sistemi missilistici nella base aerea di Tamanhint, a nord-est di Sebha, capitale del Fezzan sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, non è passata inosservata nelle cancellerie occidentali, suscitando nuove preoccupazioni sulla crescente proiezione strategica russa nel Mediterraneo meridionale. “Seguiamo molto da vicino gli sviluppi in Libia – ha detto un portavoce dell’Ue ad ‘Agenzia Nova’ – La questione è stata discussa all’ultimo Consiglio Affari esteri e sarà ripresa anche nella prossima riunione di giugno”. Sebbene Bruxelles eviti di commentare notizie non confermate, la Commissione continua a interfacciarsi “con tutte le parti interessate, per tutelare gli interessi dell’Unione”.

    Secondo funzionari ed esperti intervenuti in un evento riservato organizzato da Ecfr, la crisi libica rappresenta oggi il sintomo avanzato di una fragilità multilivello – politica, energetica e di sicurezza – che l’Occidente non può più permettersi di ignorare. La caduta di Bashar al Assad a Damasco ha dimostrato quanto velocemente possa crollare un equilibrio solo apparente. In Libia, gli scontri armati esplosi di recente a Tripoli non sono che l’ennesima manifestazione di un sistema istituzionale in via di disgregazione e comunque figlio di un accordo politico vecchio di dieci anni. A confermarlo è anche il caso della compagnia petrolifera privata Akrenu, che ha rotto il monopolio della National Oil Corporation (Noc), vendendo greggio libico al di fuori dei circuiti ufficiali. “Cinque anni fa sarebbe stato inimmaginabile – ha spiegato un funzionario delle Nazioni Unite – oggi è la normalità”. Il potere delle istituzioni centrali, dalla Banca centrale alla Procura generale, è ridotto ai minimi storici, mentre attori non statali si rafforzano.

    Nel frattempo, la Russia consolida la propria presenza, parte di una strategia più ampia di penetrazione nel continente africano e di pressione sul fianco sud della Nato. Mosca è ormai un attore ineludibile per qualunque soluzione diplomatica, anche solo per via del diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Al contrario, la posizione statunitense è difficilmente inquadrabile. Il pensionamento dell’inviato speciale Richard Norland, non ancora sostituito, conferma l’impressione di un disimpegno: Washington sembra oggi concentrata principalmente sulla sicurezza, lasciando scoperti gli ambiti politico ed economico.

    “La Russia ci dipinge come ex colonizzatori decadenti – ha affermato un diplomatico europeo – e questo messaggio attecchisce tra i giovani africani. Dobbiamo parlare la loro lingua, contrastare la disinformazione e formarli ai valori della verità, della trasparenza e della governance”. Ma il tempo stringe. La proposta di creare in Libia un nuovo governo di transizione con mandato limitato a 120 giorni per portare il Paese al voto appare rischiosa e paradossale: si rischierebbe di aggiungere un terzo esecutivo all’attuale frammentazione. Altrettanto ambiziosa, ma ancora priva di consenso, è l’idea di un’Assemblea costituente dotata di poteri sovrani, da cui far derivare ogni legittimità.

    Senza un’iniziativa europea coesa e credibile – avvertono gli analisti – la Libia rischia di trasformarsi definitivamente, se non lo è già, in un laboratorio geopolitico dove si confrontano potenze rivali: dalla Russia alla Cina, fino agli attori del Golfo. Se Mosca avanza militarmente e strategicamente, Pechino si muove con una logica più economica e infrastrutturale. Dopo anni di investimenti “a debito” nelle grandi opere, la Cina sta ora orientando il suo approccio verso il controllo delle filiere dei minerali critici, l’accesso ai porti e la partecipazione a progetti energetici con ricadute anche per i mercati locali. “La Cina – ha osservato un dirigente occidentale del comparto energetico – sta trasformando alcune operazioni in opportunità economiche non solo per sé, ma anche per i Paesi africani, costruendo una rete d’influenza più silenziosa ma altrettanto efficace per posizionarsi in prima fila nel mercato africano del futuro”.

    Questa penetrazione economica si salda con una narrativa anti-occidentale che, al pari di quella russa, presenta Pechino come partner “non giudicante” e rispettoso della sovranità, in contrapposizione a un’Europa spesso vista come paternalista. Anche per questo, secondo diversi interlocutori, l’Ue dovrebbe costruire una presenza più pragmatica e strutturata, capace di offrire soluzioni win-win credibili, non solo nel breve termine ma anche sul piano dello sviluppo sostenibile e dell’integrazione regionale. Il Piano Mattei promosso dall’Italia rappresenta un primo passo utile, ma non sufficiente. “Serve un blocco europeo – ha ammonito un accademico africano – o le criticità della Libia (e dell’Africa, ndr) diventeranno un problema irrisolvibile per l’Europa stessa”.

  • Nulla di certo tra Russia e Ucraina

    L’unica notizia certa, riguardo ad un cessate il fuoco tra Russia ed Ucraina, è che non vi è nulla di certo salvo i continui attacchi, sempre più virulenti contro i civili, dell’esercito dello zar.

    Il presidente ucraino continua, nonostante gli attacchi e le giravolte di Putin, a dare la totale disponibilità ad un periodo di tregua che possa essere prodromo ad una pace giusta e duratura mentre Putin continua a negare la tregua sostenendo che prima bisogna trovare un accordo.

    L’accordo cioè, secondo Putin, andrebbe fatto mentre cadono bombe e missili e le persone, civili e soldati, continuano ad essere uccisi in mezzo a devastanti e devastate macerie.

    Difficile, per i comuni mortali, immaginare di poter parlare di pace in questa realtà, ma comunque, nonostante la lunga telefonata con Trump, lunga anche per via delle traduzioni reciproche, lo zar non ha indicato né possibili date né ipotetici luoghi, siamo sempre ad dialogo nebuloso.

    Ancora una volta Trump, di fronte a Putin, non ha la volontà di prendere una posizione decisa, tutto il resto sono parole e più o meno buone intenzioni, da parte europea, che al momento rimangono proprio indicazioni di principio e di buoni intenti.

    Papa Leone XIV ha riacceso nuove speranze ma il silenzio di Kirill, il socio d’affari e di guerra di Putin, la dice lunga e non vorremmo che le esternazioni trumpiane, i suoi spregiudicati azzardi e le sue estemporanee dichiarazioni, anche sulla Santa Sede, portassero a nuovi problemi o a sminuire la portata di quanto il Papa sta facendo, nei suoi primi giorni di pontificato, sia nei riguardi dell’Ucraina che di Gaza.

  • L’Ue studia vie legali per rescindere i contratti di gas russo senza penali

    La Commissione europea sta valutando opzioni legali che permettano alle aziende europee di recedere dai contratti di lungo termine con fornitori russi di gas senza dover pagare penali. Lo riporta il quotidiano britannico “Financial Times”, citando funzionari coinvolti nel dossier. Tra le ipotesi allo studio figura la possibilità di invocare la forza maggiore, basata sulla guerra in Ucraina, per annullare gli obblighi contrattuali. Tuttavia, fonti dell’Ue ammettono che potrebbe non essere giuridicamente sufficiente, data la natura riservata e diversificata dei contratti. L’obiettivo è ridurre a zero l’importazione di combustibili fossili dalla Russia entro il 2027. Nel periodo compreso fra febbraio 2024 e febbraio 2025, l’Ue ha pagato 21,9 miliardi di euro a Mosca per petrolio e gas, secondo il Centre for Research on Energy and Clean Air. Ad oggi, il gas russo rappresenta l’11% delle forniture via gasdotto dell’Ue (quasi due quinti nel 2022), ma l’import di gas naturale liquefatto (Gnl) dalla Russia è aumentato del 60% in 3 anni, con i principali snodi di importazione che si trovano in Francia, Spagna e Belgio.

    Il piano europeo, inizialmente previsto per marzo, è stato rinviato per l’opposizione attesa da Ungheria e Slovacchia, Paesi ancora fortemente dipendenti dal gas russo via tubo, e per le incertezze sul futuro del gasdotto Nord Stream, tornato al centro dell’attenzione nei colloqui diplomatici fra Usa e Russia. Nel frattempo, gli Stati Uniti restano il primo fornitore di Gnl dell’Ue e potrebbero rafforzare il loro ruolo in cambio di concessioni commerciali, nel contesto dei negoziati per contrastare la politica tariffaria dell’amministrazione Trump. Un’alternativa sostenuta dal centro studi Bruegel è l’introduzione di dazi sulle importazioni di gas russo, che richiederebbero solo una maggioranza qualificata per essere approvati, a differenza delle sanzioni, che necessitano l’unanimità. Secondo un diplomatico Ue, la situazione resta fluida: “È un pasticcio. Come si inseriscono gli Usa in tutto questo? Come diversifichiamo?”. Intanto, secondo quanto dichiarato dalla presidente Ursula von der Leyen, la Commissione punta a pubblicare il piano entro “tre o quattro settimane”.

    In una conferenza stampa il primo ministro slovacco, Robert Fico, insieme alla ministra dell’Economia, Denisa Sakova ha ribadito che Bratislava riconosce l’obiettivo strategico di ridurre la dipendenza energetica dell’Ue dagli altri Paesi, ma è preoccupata per l’aumento dei prezzi del gas e ritiene che le conseguenze saranno maggiori per l’Ue che per la Russia. Interpellato sulle possibili conseguenze della risoluzione dell’accordo slovacco con il fornitore russo Gazprom, la cui validità è prevista fino al 2034, il premier slovacco ha risposto che attualmente non è possibile prevedere quello che accadrà. La Slovacchia pretende “che si tenga conto delle sue specificità, ed è in questo modo che ha dato istruzioni ai diplomatici slovacchi”, ha chiarito. La Commissione europea ha proposto di vietare nuovi contratti per la fornitura di gas russo e di sospendere i contratti spot esistenti entro la fine del 2025. Secondo la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, le misure garantiranno che entro la fine dell’anno le restanti forniture di gas russo all’Unione saranno ridotte di un terzo. Il piano prevede, inoltre, di bloccare tutte le importazioni di gas russo entro la fine del 2027. L’anno scorso l’Ue ha acquistato energia dalla Russia per un valore di 23 miliardi di euro, una cifra superiore agli aiuti destinati alla difesa dell’Ucraina.

  • Coalizione internazionale approva l’istituzione del tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina

    In occasione della Giornata dell’Europa, la Commissione, rappresentata dal Commissario Michael McGrath e dall’Alta rappresentante Kaja Kallas, il Consiglio d’Europa, il Primo Ministro ucraino Denys Shmyhal e i rappresentanti di una coalizione internazionale di Stati si sono riuniti a Leopoli per approvare formalmente l’istituzione di un tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Tutti i partecipanti, come riportato nella dichiarazione di Leopoli adottata, hanno accolto con favore il completamento dei lavori preparatori necessari per l’istituzione di un tribunale speciale in seno al Consiglio d’Europa, impegnandosi a istituire il tribunale speciale, ad avviarne rapidamente le attività e a sostenerlo nei suoi lavori.

    Il tribunale avrà il potere di indagare, perseguire e processare i leader politici e militari russi, che hanno la maggiore responsabilità per il crimine di aggressione contro l’Ucraina.

  • Guerra e inquinamento

    Su Putin e la sua sciagurata guerra contro l’Ucraina abbiamo scritto, come tanti, in più occasioni e l’intensificarsi degli attacchi contro i civili, con decine di morti e feriti, avvenuti negli ultimi giorni è l’ennesima riprova della sua spregiudicata crudeltà e del poco valore che dà alle richieste di tregua.

    C’è però un aspetto di questa guerra che è meno attenzionato anche se particolarmente grave per le conseguenze presenti e future.

    Nei primi tre anni di guerra bombe, missili ad alto potenziale, esplosivi di ogni tipo, milioni di proiettili, droni e quant’altro e lo spaventoso quantitativo di macerie, ci sono intere città distrutte, delle quali molte con componenti pericolosi, hanno, grazie a Putin, dato un’altra terribile spinta al progredire dell’inquinamento più tossico, per non parlare dei mezzi militari distrutti ed anch’essi da smaltire.

    Grandi, immense quantità di terreno, quello che prima era il granaio del mondo, è in gran parte ormai perso per anni all’agricoltura, e le foreste bruciate potrebbero anche influire sui cambiamenti, in alcune zone, del clima.

    Si parla ad esempio, e sempre per approssimazione in difetto, di 230 milioni di tonnellate di carbonio nei più di tre anni di guerra.

    Putin anche prima della guerra non aveva certo attenzione alla necessità mondiale di ridurre l’inquinamento infatti, durante il suo regime, le emissioni di gas serra sono aumentate del 23% mentre nell’Unione Europea erano diminuite del 30, ma ora la sua irrazionale e crudele fame di potere e conquista ha portato ad una situazione gravemente pericolosa per tutti perché i venti e le piogge non conoscono confini e portano ovunque i veleni che Putin ha disseminato in Ucraina.

    Putin è un pericolo per il mondo e anche questo aspetto Trump continua a non comprendere obnubilato da una sete di potere che lo accumuna ai dittatori come Putin e Xi Jinping, altro criminale ambientale, come ricordava Papa Francesco “nessuno si salva da solo” e noi ricordiamo che tutti paghiamo e pagheremo le conseguenze dei crimini altrui se non cerchiamo di impedirli.

  • Variabili innumerevoli e imprevedibili

    Chi pensa di poter spiegare il comportamento di Trump definendolo un “pazzo”, criticandolo per la sua apparente impreparazione alla politica internazionale o accusandolo di essere “ondivago” nelle sue decisioni annunciate e poi modificate in poco tempo è del tutto fuori strada. Dimentica, chi lo fa, che Trump non ragiona come siamo abituati a veder fare dai politici ma è, e resta, un uomo d’affari (seppur con i fallimenti alle spalle) e ogni suo comportamento lo denota. Già nel suo primo mandato usò spesso i dazi come uno strumento per le negoziazioni e li modificò o li annullò a seconda delle convenienze. Per ottenere ciò che vuole alza continuamente la posta, finge di dimostrarsi disponibile a negoziare e poi rilancia. Il suo obiettivo è “spiazzare” gli interlocutori, disorientarli e poi, poiché parte dal presupposto di avere in mano le carte più forti vuole ottenere il massimo risultato possibile. I suoi modi sono quelli di un bullo ignorante e prepotente, ma anche mostrarsi così gli fa gioco. Col sembrare irragionevole e imprevedibile lui crede (e forse ha ragione) di obbligare gli altri sulla difensiva e di renderli più disponibili ad evitare il peggio per loro.

    Se con la sua tattica sembra fare passi in avanti e altri indietro, la sua strategia è abbastanza chiara e lui sa bene ciò a cui mira. Il suo (e il nostro) problema è che nella vita degli uomini e delle società umane le variabili sono sempre infinite e nemmeno il piano più elaborato e, sperabilmente, lungimirante offre tutte le garanzie di successo. Bastano, spesso, fatti imprevisti e non voluti a modificare ogni risultato auspicato. Negli scacchi le variabili sono tutte calcolabili e l’avversario è uno. In politica, e soprattutto nella politica internazionale, gli amici possono diventare nemici (e viceversa) e ogni piccolo sassolino può trasformarsi in valanga. Uno degli eventi che probabilmente non aveva previsto e che lo ha costretto a parzialmente correggersi strada facendo è stato il crollo di valore dei titoli del tesoro americani. È facile immaginare che rientrasse nei suoi piani il “periodo di grazia” riguardante i dazi doganali ma, forse, è stato costretto ad anticipare i tempi.

    Trump ha abbandonato le giustificazioni ideologiche dei suoi predecessori ma l’obiettivo, e cioè uno sguardo americano-centrico sul mondo, è rimasto lo stesso. Gli USA hanno sempre usato il classico liberismo e l’idea della democrazia come fondamenti ideologici utili ad espandere la loro influenza. È cambiato, tuttavia, il contorno: con l’emergere di nuove potenze economiche e politiche è definitivamente finito il progetto di un mondo unipolare con a capo gli Stati Uniti. Attualmente, l’America di Trump non è più interessata a propagandare la globalizzazione, l’autorità morale o risolvere i problemi del mondo. L’”America First” si focalizza sull’interesse nazionale aperto a trattative pragmatiche basate sull’interesse reciproco. Con realismo, ora cerca soltanto di ottenere il massimo beneficio da ogni interazione nell’economia, nella sicurezza, nella politica. Se trova ostacoli nel negoziare questi benefici è pronto a usare la forza, sia essa economica o politica, ben conscio di essere tuttora il Paese del mondo più ricco economicamente e più possente militarmente. Nei limiti del possibile Trump cercherà di evitare una qualunque guerra poiché la trova controproduttiva e distruttiva, ma ciò non significa che escluderà del tutto e per sempre anche questa opzione, almeno come minaccia.

    I suoi obiettivi economici sono di ridurre il debito pubblico e di rilanciare le capacità manifatturiere degli Stati Uniti andate diluendosi nel mondo globalizzato, quello da loro stessi costruito nel passato. Per ottenere questi risultati deve riuscire a modificare la bilancia commerciale oggi fortemente sfavorevole e i dazi sono un importante strumento di pressione. Chi attualmente vanta un saldo positivo verso gli Stati Uniti dovrà accettare di riequilibrare l’interscambio o ne pagherà le conseguenze. Naturalmente il livello delle tariffe doganali sarà tale da garantire l’equilibrio che Trump considera ottimale. Parallelamente, punterà a indebolire il dollaro, seppur con cautela, per rendere più costose le importazioni e più convenienti le esportazioni.

    Per quanto riguarda la sicurezza Trump è ben conscio che, paradossalmente, il bipolarismo precedente alla caduta dell’Unione Sovietica garantiva la pace molto di più dell’attuale semi-anarchia mondiale. Il punto d’arrivo cui mira ora potrebbe essere una nuova “Yalta” ma, per arrivarci da una posizione di forza, pensa di dover aver più carte in mano, in modo da poter dettare una buona parte delle future condizioni agli altri soggetti che si siederanno al tavolo. Rientra in questo calcolo la volontà di riprendere il controllo sulle principali vie di comunicazione (vedi Panama) e, conscio del ruolo futuro che giocherà l’Artico, poter mettere le mani sulla Groenlandia. Contemporaneamente, vuole garantirsi i confini a nord (Canada) e a sud (Messico) anche per controllare sia i commerci che le immigrazioni abusive. Non si creda che questa sua politica sia del tutto nuova: già nel 1867 Andrew Johnson comperò l’Alaska e avanzò l’ipotesi di farlo anche con la Groenlandia, così come nel 1803 la Louisiana fu comprata dalla Francia. Nel 1895 Grover Cleveland intervenne nella disputa di confini tra il Venezuela e la Guaiana sulla base della dottrina Monroe che dal 1890 aveva stabilito che tutto l’emisfero Occidentale fosse una “riserva” degli USA. Il segretario di Stato Richard Olney lo espresse in modo molto chiaro “Gli Stati Uniti sono praticamente sovrani su questo continente e il loro fiat è legge verso i soggetti cui si indirizzano”. Nel 1903 Theodor Roosevelt intervenne per garantire la secessione di Panama dalla Colombia in modo da garantirsi l’esclusività per la costruzione dell’istmo. Perfino Woodrow Wilson non rinunciò a intromettersi sulla sovranità altrui e nel 1915 mandò i marines a Haiti “per ristabilire l’ordine”, mentre nel 1916 inviò le truppe in Messico per catturare il “ribelle” Pancho Villa.  Si conoscono poi i numerosi interventi “intromissivi” americani in Guatemala, nella Repubblica Domenicana, in Cile, in El Salvador, in Nicaragua e a Grenada. La prima proposta alla Danimarca per la Groenlandia appartiene a Harry Truman che offrì ben 100 milioni in oro nel 1946. L’atteggiamento assertivo e prepotente di Trump è quindi una conferma della norma piuttosto che una rottura della tradizione.

    Oggi, a differenza dei recenti Presidenti che lo avevano preceduto, Trump ha capito essere soltanto la Cina, e non la Russia, il vero competitor del potere mondiale degli USA e quindi sta puntando ad un accordo diretto con Mosca non perché, come pensano alcuni superficiali, pensi di poter staccare la Russia dalla Cina, bensì perché attraverso l’accordo di Mosca si creino le premesse per la Yalta definitiva a cui punta.

    Evidentemente, in questa partita l’Europa non è che soltanto un piccolo pedone sia dal punto di vista politico sia militare e ci sarebbe da stupirsi del contrario, visto la incapacità di noi europei, dal dopoguerra ad oggi, di saper diventare un vero soggetto politico. Viene da sorridere sentire chi parla di una “difesa europea” che sarebbe sensata e possibile soltanto se l’Europa fosse capace (ma come potrebbe farlo con i politici che ci troviamo attualmente?) di trasformarsi in una Federazione di Stati. Chi farnetica di una “difesa” costruita esattamente come è la Nato dimentica che quest’ultima ha funzionato sempre e soltanto avendo un “capo in testa” che imponeva l’unanimità. Dovremmo noi oggi riconoscere questo ruolo ai francesi e/o ai britannici come auspicano Macron e Starmer? Dio ce ne scampi! Decisioni con il voto di maggioranza? Si potrebbe fare, come già avviene, per gli aspetti marginali ma non quando si tratta di politica estera o di difesa. Non è possibile nemmeno immaginare una Federazione europea composta da 27 Stati, magari addirittura con l’aggiunta della disastrata e disgraziata Ucraina! A parte che alcuni, vedi Polonia e i Baltici ad esempio, stanno già più con gli USA che con Bruxelles (salvo da quest’ultima incassare i generosi benefici economici), una futura, possibile e democratica Federazione dovrà partire dai Paesi che più pesano: Francia, Italia, Germania, Spagna, cui potranno eventualmente aggiungersi altri volenterosi con politici lungimiranti. È scontato che dell’Europa attuale Trump non se curi, salvo chiederle (imporle?) di pareggiare la bilancia commerciale e comprare più armi e prodotti agricoli geneticamente modificati (ogm).

    Nel suo intento di arrivare ad un primo accordo con la Russia è ben chiaro al tycoon che Mosca non arretrerà di un millimetro dai motivi che l’hanno spinta ad entrare in guerra. Tuttavia, visto che quelle in Ucraina è sempre stata una guerra per procura, accettare pari pari le condizioni russe significherebbe riconoscere la sconfitta degli Stati Uniti sul campo di battaglia ed è per evitare l’immagine negativa che ne scaturirebbe che Trump ha preso platealmente le distanze da Zelensky e chiede a Kiev di rimborsare, in qualche modo, gli aiuti ricevuti da Washington. In altre parole, deve disconoscere la paternità americana della situazione e porsi solo come terza parte. In più, in una ipotetica pace imporrà all’Ucraina di consentire a società americane di giocare la parte del leone nella futura ricostruzione. Con buona pace degli illusi europei. Un accordo con Putin, se le condizioni di Mosca saranno accettate, è possibilissimo e questo aprirà nel futuro non molto lontano (e proprio con l’intermediazione di Mosca) l’apertura di un tavolo economico-politico con Pechino. A quel tavolo dovranno poter sedere tutti e tre, Usa, Russia e Cina e saranno loro, insieme, a decidere come spartirsi le zone di influenza nel resto del mondo. Se si arriverà a questa fase, anche per vantare un maggiore potere negoziale Trump potrebbe coinvolgere anche l’India, storico nemico della Cina. Così il quadro sarà completo. Davanti ad un accordo tra tutti questi Grandi, il resto del mondo, compreso noi europei, non potrà che accettare e subire. Il vero rischio per Trump è che il suo atteggiamento così violento verso gli alleati tradizionali potrebbe creare le condizioni per costoro di cominciare a valutare le possibili alternative, magari guardando proprio alla Cina. Anche se una nuova Yalta farebbe comodo a tutti i Grandi, arrivarvi con una zona di influenza più ampia già acquisita farebbe comodo nel momento delle negoziazioni.

    Chi può affermare con assoluta certezza come andranno le cose nella realtà? All’inizio di questo articolo scrivevamo che le variabili sono così innumerevoli e imprevedibili che tutto potrebbe cambiare. Chissà se in meglio o in peggio per l’Europa.

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