Russia

  • La Torre di Pisa

    Qualcuno ricorda che, davanti a personaggi perlomeno controversi, un tempo si diceva “ma se tu fossi sulla Torre di Pisa e dovessi, per necessità di stabilità della torre, buttarne giù uno chi butteresti?”

    Era una specie di gioco ma che ci costringeva a pensare quali, tra quelli considerati avversari politici o pericolosi per la comunità, era meglio immaginare giù dalla torre.

    Sulla torre ora io penso ci siano Trump e Putin.

    Se dalla torre cadesse Trump negli Stati Uniti, un paese con una democrazia sempre più fragile, e secondo molti analisti vicino ad una crisi profonda e preoccupante per tutti, ci sarebbero delle elezioni che, anche sfalsate dall’orrido sistema per il quale per votare bisogna iscriversi alle liste elettorali, comunque darebbero la speranza di eleggere, in modo democratico, un presidente che non faziosamente di parte, che riveda l’Europa e l’occidente, nel suo complesso, come un insieme di Stati Uniti all’Americana dai valori della democrazia e della libertà, quella vera non quella urlata.

    Se dalla torre cadesse Putin presumibilmente si aprirebbero solo due scenari: o il popolo russo, al quale sempre rivolgiamo un pensiero ed una speranza, trova la forza di chiedere ed ottenere quei diritti alla libertà di espressione e di scelta di vita senza i quali nessuno è veramente libero, e si costruisce un processo democratico riportando la Russia ad essere un interlocutore affidabile, o un altro soggetto come Putin, della famigerata serie di oligarchi, ricchi da far paura e sempre più assetati di potere, anche se costa sangue innocente, sono già ora intorno a lui, prenderà il potere per diventare un nuovo Putin.

    Auguriamo ad entrambi lunga vita ma ci auguriamo anche che possano trovarsi in una situazione per la quale non possano ulteriormente nuocere e provocare ancora, con dichiarazioni o con ordini ai loro eserciti, morti e stragi.

    Non possiamo certo augurarci che cada la Torre, uno degli esempi al mondo della nostra cultura e di un’epoca che sapeva coltivare la cultura e la bellezza, ma se fossi sulla torre con loro non avrei paura a sacrificarmi per accompagnarli in un volo che darebbe ancora qualche speranza al genere umano.

  • Problema ‘sindrome afghana’ per Putin se smette di attaccare l’Ucraina

    Vladimir Putin in caso di cessate il fuoco in Ucraina potrebbe dover fare i conti col fatto che i veterani della guerra di Ucraina possano rappresentare una spina nel fianco e alimentare il dissenso nella società civile alla luce di quello che in Russia chiamano “la sindrome afghana”. Un altro effetto collaterale messo nel conto è un incremento della criminalità.

    Secondo il think tank Institute for the study of war «il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato una campagna coordinata tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 per impedire l’emergere di una società civile indipendente basata sui veterani in Russia, probabilmente per paura che i gruppi di veterani potessero minacciare la stabilità del suo regime al loro ritorno dall’Ucraina. Il Cremlino ha lanciato diverse iniziative per cooptare figure veterane lealiste e formare organizzazioni di veterani controllate dallo Stato a sostegno della militarizzazione permanente della società russa a livello federale, regionale e locale. Il Cremlino cerca di mettere a tacere le voci in grado di opporsi in modo significativo alla continuazione dell’aggressione russa in Ucraina o di mettere in discussione le decisioni del governo russo. Putin sta probabilmente cercando di evitare un moderno analogo alla società civile basata sui veterani nata dal ritiro sovietico dall’Afghanistan».

    In Russia potrebbe ripresentarsi lo spettro dell’instabilità politica come avvenne sul finire dell’Urss, dopo il ritiro dall’Afghanistan nel 1988-1989. «Il Cremlino sta falsamente presentando le sue attuali iniziative per cooptare la vita dei veterani come misure preventive contro la ricomparsa della “sindrome afghana”, un termine popolare russo usato per descrivere le conseguenze del fallimento del governo sovietico nel reintegrare i veterani sovietici psicologicamente traumatizzati nella società russa al loro ritorno dall’Afghanistan» spiega ancora l’Isw.

    Per controllare e governare i veterani, negli ultimi due anni il Cremlino ha lanciato delle iniziative chiamate Associazione per le operazioni militari speciali (SVO) e Fratellanza militare SVO. Spiega un’analisi di Newsweek: «Sergei Kiriyenko, un funzionario dell’amministrazione presidenziale russa, avrebbe dichiarato in una riunione di governo nel luglio 2024 che i veterani di Mosca “si adattano male” alla vita civile, esprimendo allarme per il modo in cui i crimini dei veterani potrebbero indurre i civili a considerarli con malcontento. Kiriyenko ha affermato che i veterani russi smobilitati provenienti dall’Ucraina si trovano ad affrontare una società diversa rispetto a quella delle truppe di ritorno dalla guerra in Afghanistan o dalla Seconda guerra mondiale, perché la società sovietica era maggiormente mobilitata e in una posizione migliore per sostenere o scatenare un conflitto».

    Konstatin Sonin, un economista di origine russa inviso al regime, ha detto a Newsweek: «Ci sarà un’ondata di criminalità più grande di quella dei primi anni ’90. Ci saranno molti più veterani, fino a 10 volte di più, rispetto a quelli dopo la guerra in Afghanistan. Saranno ben addestrati nell’uso delle armi e saranno facili reclute per qualsiasi gruppo criminale».

  • Non è tutto oro quello che luccica

    Gli Stati Uniti vinsero la guerra fredda perché il sistema economico del libero mercato si dimostrò molto più efficiente dell’antagonista comunista e anche le popolazioni di entrambi i blocchi percepivano come molto più attraente il primo sistema rispetto al secondo. Quando l’Unione Sovietica permise ai propri cittadini di vedere nelle loro televisioni programmi come Dallas immaginando che la spregiudicatezza dei rapporti umani dipinti nella serie americana suscitasse indignazione morale ottenne invece l’effetto opposto. La maggioranza dei telespettatori si convinse che in quel Paese tutti fossero ricchi, magari non esattamente come gli attori della serie, ma comunque più del cittadino sovietico medio.

    Dopo la firma dell’accordo di Helsinki gli Occidentali tutti si fecero forti di quanto concordato e sottoscritto in merito ai “diritti umani” e divennero più pesanti gli aiuti di vario genere ai gruppi per la democrazia in tutti i Paesi dell’est-Europa. Noi, analisti indipendenti sappiamo bene che la “diffusione della democrazia fu sempre una scusa per gli Stati Uniti per invadere, sovvertire o indebolire Paesi ed economie non di loro gradimento. Così come lo hanno sperimentato sulla propria pelle diversi Paesi del Centro e sud America, dell’Africa e del Medio oriente attraverso guerre dirette, battaglie per procura e operazioni più o meno segrete. Tuttavia, nonostante la praticata ipocrisia, la strategia si dimostrò vincente. Il sistema economico dominato dagli USA aveva facilitato il commercio di tutti i Paesi alleati e avvantaggiò Washington a spese di Mosca ottenendo anche un successo politico interno: i prezzi per i consumatori americani rimasero bassi grazie ai bassi costi dei beni importati e all’inflazione quasi assente per merito del dollaro onnipotente che dominava il mercato mondiale degli scambi.

    La supremazia americana era quindi evidente e, probabilmente, fu questa sensazione di superiorità che spinse i politici a stelle e strisce a commettere un errore dopo l’altro nella loro politica interna ed estera almeno dal 1999 in poi (di quali errori in politica estera scriverò in un prossimo articolo). Dopo il crollo sovietico, la Russia si trovò in grandi difficoltà e, poiché la logica del liberismo sembrava trionfare definitivamente in tutto il mondo, il russo medio cominciò a guardare proprio agli Stati uniti come un modello cui ispirarsi. Contemporaneamente, sia nelle grandi città che nelle lontane province, si stava perdendo ogni sentimento di identità nazionale. Fu in quel periodo che un intellettuale americano arrivò perfino a scrivere di “Fine della Storia” (salvo ricredersene pochi anni dopo). La Storia, però, non finì affatto e in Russia si fecero avanti gli “oligarchi” arraffoni: mentre i vari ministri che si succedettero applicavano, per quanto potevano, le logiche dettate dagli economisti americani, i più furbi e spregiudicati rubarono a man bassa nelle proprietà che erano state “pubbliche”. Ne derivò un vero disfacimento economico, sociale e politico: città inondate dalla delinquenza violenta, scarsità di prodotti indispensabili, cessione a società straniere di beni strategici, umiliazioni continue sul piano internazionale. Qualche oligarca cominciò allora a preoccuparsi perfino per la stabilità della sua personale ricchezza e pensò a un qualche uomo forte, purché controllabile, che mettesse un po’ di ordine. Eltsin, lui stesso sfiduciato e pure vittima di accuse di corruzione dovute ai malaffari della figlia e del di lei marito, fu convinto da quegli stessi oligarchi a chiamare un ex funzionario del KGB, raccomandatogli anche dall’amico riformatore Sobciak, sindaco di (allora) Leningrado. Il prescelto fu il suo vice-sindaco: Vladimir Vladimirovic Putin. Costui accettò ma fece ben presto capire che non aveva alcuna intenzione di essere la marionetta di alcuno e, man mano, eliminò dalla scena tutti gli oligarchi che non accettavano di assoggettarsi al potere politico ufficiale, cioè a lui stesso.

    Mentre con il nuovo “zar” la Russia recuperava poco per volta un sentimento di identità nazionale e cercava di riacquistare nella politica internazionale un peso pari alla sua dimensione e alla sua forza militare, gli Stati Uniti cominciarono invece a fare i conti con una situazione finanziaria ed economica non più ottimale.

    Il sistema della globalizzazione liberista degli scambi commerciali, promosso principalmente proprio dagli USA, aveva creato ricchezza in tutto il mondo occidentale e tra gli alleati ma aveva anche una faccia negativa della medaglia: il crescente indebolimento dell’industria produttiva americana, le basse quote di esportazione (solo l’11% del PIL) sintomo di una bilancia commerciale sempre più deficitaria, un mercato del lavoro elastico ma molto debole, la nascita di possibili concorrenti economici e politici. Inoltre, a partire dagli anni ’80 (così come in tutti i Paesi europei), la classe media che era numericamente esplosa nel dopoguerra iniziò a contrarsi mentre i più ricchi lo diventavano sempre di più e i poveri sempre più poveri. In tutti gli ultimi decenni furono tralasciati gli investimenti nelle infrastrutture nazionali, non si potenziò la sanità pubblica (tuttora irrisoria rispetto all’Europa) e si sottovalutò la necessità di poter contare su prodotti minerari autoctoni sempre più necessari per lo sviluppo tecnologico moderno. Come esempio di scarsa lungimiranza basta ricordare che gli USA dipendono oggi quasi totalmente dalla Cina per prodotti chimici di base, farmaci generici, terre rare e chip di fascia bassa; dal Cile e dal Canada per il rame (rispettivamente 6,21 miliardi e 4 miliardi/anno). Dipendono invece da Canada, Messico e Brasile per l’acciaio (7,14 – 3,5 – 2,99 miliardi di dollari/anno).  L’unico settore che ha avuto un importantissimo incremento interno garantendo l’autosufficienza è stato quello energetico grazie alla tecnica dello scisto. Da maggiore importatore di gas e petrolio sino al primo decennio del nostro secolo, gli USA dal 2018 hanno superato l’Arabia Saudita quale primo esportatore mondiale e, tra l’altro, sono con il 45% del totale il primo fornitore dell’Europa.

    A questo punto, solo come notizia curiosa, è bene sapere che nella prima metà del 2025 le importazioni USA dalla Russia sono aumentate del 32,7% mentre l’export verso quel paese è cresciuto del 20,7%. I prodotti russi coinvolti sono: fertilizzanti, uranio arricchito, platino, motori e turbine per jet, legno e derivati.

    Due gravi problemi per il bilancio economico degli Stati Uniti sono l’attrattiva mondiale del dollaro in costante ribasso che è passato dal 71% degli scambi mondiali nel 2000 all’attuale meno del 60%., e il livello del debito pubblico e privato. Quanto al dollaro, all’inizio degli anni 2000 la Cina era il maggior possessore di bond statunitensi seguita dal Giappone; da allora il possesso cinese di tali Buoni del Tesoro è sceso costantemente e oggi è solo terza dietro Giappone e Gran Bretagna (Giappone 1.147,6 miliardi di dollari, Cina poco più di 700 miliardi). La situazione debitoria generale è ancora peggiore: il debito pubblico ammonta oggi a trentasei virgola sei trilioni di dollari (36,6.000.000.000.000) cioè il 123% del PIL, cui si aggiunge il debito privato delle famiglie e delle imprese non finanziarie che porta a circa il 150% del PIL (dati IMF per il 2023). Se a ciò si aggiungono i debiti privati delle imprese finanziarie la cifra diventa spaventosa: 351% del PIL.

    Una situazione economica e finanziaria così malmessa spiega la politica commerciale e finanziaria di Trump nel secondo mandato. Lui ha sentito la necessità di rilanciare la capacità industriale del Paese, riequilibrare la bilancia commerciale aumentando in qualunque modo da lui giudicato possibile le esportazioni, ridurre il prime-rate sul dollaro per abbassare gli interessi sui debiti futuri (da qui la sua battaglia contro la FED), bluffare sul piano internazionale per riaffermare la percezione della supremazia americana, trovare un accordo con Russia dapprima e Cina poi per evitare uno scontro che giudica perdente perché prematuro, vista la situazione. Purtroppo per lui, i suoi modi prepotenti e anti-diplomatici non è affatto detto che gli consentiranno di raggiungere l’obiettivo che si è prefissato. Al contrario, i ricatti pesanti cui sottopone amici e nemici, forte del potere che il suo Paese ancora detiene, potrebbero diventare molto controproducenti nel medio termine e qualche segnale si è cominciato a intravedere. Ad esempio guardando chi ha partecipato alla SCO di Tientsin e alla parata di Pechino. Senza contare i BRICS.

  • La Bolivia potrebbe rescindere i contratti con Russia e Cina per le forniture di litio

    La Bolivia rischia di rimettere in discussione i contratti multimiliardari per l’estrazione del litio firmati con Russia e Cina. Il candidato presidenziale Jorge Quiroga, giunto al ballottaggio del 19 ottobre con il 26,7 per cento dei voti, ha annunciato che intende annullare gli accordi conclusi dal governo uscente di Luis Arce con la sussidiaria russa della holding russa dell’energia atomica Rosatom, Uranium One, e con la cinese Cbc (società del gruppo Catl), del valore complessivo di circa 2 miliardi di dollari. Gli accordi, siglati nel 2023-2024, prevedevano non solo l’estrazione di carbonato di litio nel Salar de Uyuni – la più grande distesa salata al mondo – ma anche la sua trasformazione industriale in batterie. La mossa rappresenterebbe un duro colpo per Mosca, che considera il progetto con la Bolivia strategico per ridurre la dipendenza dalle importazioni di batterie agli ioni di litio dalla Cina, pari oggi al 60%. Nonostante la Russia sia al quinto posto al mondo per riserve di litio, la produzione industriale interna è praticamente nulla e l’avvio di un impianto nella regione di Murmansk non è previsto prima del 2031. La cancellazione dei contratti lascerebbe quindi Mosca priva di alternative concrete nel medio periodo, oltre a segnare un arretramento della sua presenza economica e politica in America Latina.

    Per la Bolivia, che possiede circa 21 milioni di tonnellate di riserve e fa parte con Cile e Argentina del cosiddetto “triangolo del litio” che concentra fino al 60% delle risorse mondiali, lo stop agli accordi potrebbe avere conseguenze reputazionali e legali, scoraggiando futuri investimenti e privando il Paese delle tecnologie necessarie per completare la filiera delle batterie. Allo stesso tempo, entrambi i candidati al ballottaggio – Quiroga e il centrista Rodrigo Paz – appaiono orientati a rafforzare i rapporti con Stati Uniti e Unione Europea, pur con approcci diversi, segnando una potenziale svolta geopolitica. Il presidente uscente Luis Arce ha già avvertito che gli accordi sul litio potrebbero non sopravvivere al cambio di governo. In gioco non c’è soltanto il futuro della cooperazione con Russia e Cina, ma la capacità della Bolivia di collocarsi come partner credibile nella corsa globale a una materia prima decisiva per la transizione energetica.

  • Rapporto GB: media russi sanzionati ancora raggiungibili nella UE. Aggirato blocco web

    I siti web dei media russi sanzionati e bloccati nell’Unione europea, dopo le accuse di spargere disinformazione attribuite a Mosca nell’ambito della guerra in Ucraina, risultano nella stragrande maggioranza dei casi ancora accessibili online. È quanto emerge dal rapporto pubblicato dall’Institute for Strategic Dialogue (Isd), un think tank con sede a Londra. “I media statali russi continuano a mantenere una forte presenza online, rappresentando una sfida persistente per le democrazie occidentali”, si legge nello studio. I blocchi introdotti dai fornitori di servizi Internet – dopo quanto stabilito dall’Ue nel 2022 – sono quindi “in gran parte inefficaci”.
    Le sanzioni di Bruxelles hanno colpito in particolare l’emittente RT, precedentemente nota come Russia Today, e i siti Sputnik, nonché altri media controllati da Mosca e accusati di condurre una “guerra dell’informazione”. Nel 76% dei test condotti su sei Paesi, Italia inclusa, i provider non sono riusciti a bloccare l’accesso degli utenti ai siti nella lista nera dell’Ue. Il rapporto ha anche criticato la Commissione europea per la sua “incapacità” nel mantenere un “elenco definitivo” degli indirizzi web associati ai diversi media, tale da permettere ai fornitori di servizi online di operare in modo efficace. (Fonte Rai News.it)

  • Bruxelles valuta sanzioni alla Cina per l’appoggio a Putin contro l’Ucraina

    L’Unione europea si prepara a fare pressione per l’introduzione di sanzioni contro la Cina in risposta al crescente coinvolgimento di Pechino nel sostegno alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Lo ha riferito una fonte diplomatica dell’Ue all’edizione europea del portale “Politico”. La decisione, secondo quanto riportato, potrebbe arrivare dopo agosto, in seguito a una serie di indagini su spedizioni sospette di componenti cinesi destinate all’industria russa dei droni militari, già note a Bruxelles da tempo. “Il rapporto è accurato e mostra che la Cina sta intensificando il suo ruolo, sia quantitativamente che qualitativamente”, ha affermato la fonte diplomatica. “È giusto dire che senza il sostegno cinese, la guerra avrebbe un aspetto molto diverso in questo momento”, ha proseguito la fonte di “Politico. L’inchiesta fa seguito a quanto rivelato il mese scorso: un rapporto rilanciato da diversi media internazionali, infatti, mostrerebbe che i motori per droni di fabbricazione cinese sarebbero stati spediti in Russia tramite società di comodo, etichettati falsamente come “unità di refrigerazione industriali”, al fine di eludere le sanzioni occidentali. Quindici Paesi membri dell’Ue hanno sollevato la questione con Pechino, che però ha negato ogni responsabilità o evitato di rispondere. “Vogliamo dialogo, ma anche azione”, ha dichiarato il diplomatico europeo, sottolineando che l’Ue non dovrebbe sottovalutare il proprio potere economico nel confronto con la Cina.

    Intanto, nel settore tecnologico e automobilistico si registrano nuove cooperazioni sino-occidentali. Baidu, gigante cinese dell’hi-tech, e Lyft, piattaforma statunitense di noleggio di auto con conducente, hanno annunciato l’intenzione di avviare operazioni con veicoli senza conducente di produzione cinese nel Regno Unito e in Germania a partire dal prossimo anno. Iniziative analoghe erano state avviate anche da Uber, popolare servizio di trasporto alternativo ai comuni taxi, e Momenta, azienda cinese attiva nello sviluppo di tecnologie per la guida intelligente. Secondo quanto rilevato dal “New York Times”, peraltro, nonostante le misure protezionistiche europee, i veicoli elettrici cinesi restano tra i più competitivi sul mercato in termini di prezzo.

    Intanto Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta operando per ridurre le tensioni tra Stati Uniti e Russia. Lo rivelano fonti vicine al premier all’emittente israeliana “Kan” dopo che, nella giornata di ieri, Netanyahu ha tenuto un colloquio telefonico con il presidente russo Vladimir Putin. Secondo le fonti, nel corso delle ultime settimane, attraverso una serie di colloqui — alcuni resi pubblici e altri no — l’ufficio del primo ministro ha lavorato intensamente con la Russia per affrontare diverse questioni e tentare di ridurre il livello di tensione tra i Mosca e Washington, aggravatosi a seguito della guerra in Ucraina e dell’insistenza del presidente russo Vladimir Putin a proseguire il conflitto. Due fonti vicine a Netanyahu hanno confermato a “Kan” che il presidente Trump è stato informato di questi colloqui.

  • Il porto di Rotterdam si prepara all’attacco della Russia

    Il Financial Times riferice che il porto di Rotterdam, nei Paesi Bassi, avrebbe avviato i preparativi per affrontare una possibile guerra con la Russia, riservando spazio alle navi della NATO che trasportano carichi militari, e non solo. Lo scalo navale più grande d’Europa starebbe pure mappando rotte logistiche per i trasferimenti di armamenti dai diversi Paesi. Secondo il quotidiano britannico, le esercitazioni di sbarco anfibio si svolgeranno proprio nel porto olandese, il quale, in passato, ha già ricevuto spedizioni di armi, ma non ha mai avuto, neanche nelle fasi più tese della Guerra Fredda, un punto di attracco speciale interamente dedicato alla logistica militare.

    Il porto di Rotterdam si estende per 42 km lungo il fiume Mosa e smista ogni anno circa 436 milioni di tonnellate di merci, accogliendo 28 mila navi via mare e 91 mila via fiume, provenienti perlopiù dalla Germania e da diverse aree dell’Europa continentale. Il porto ha perso circa l’8% del suo traffico in seguito alle sanzioni internazionali contro Mosca, che hanno colpito le esportazioni russe.

    La decisione di prepararsi a un conflitto, arriva proprio mentre gli alleati della Nato vedono sempre meno remoto il rischio di un conflitto su larga scala con la Russia «entro cinque anni». Mosca, da mesi, ha intensificato i bombardamenti sull’Ucraina, respingendo ogni proposta americana di un cessate il fuoco. La Russia, di fatto, sta calcando la mano, attaccando duramente Kiev, tanto da aver spinto pure il presidente USA Donald Trump a criticare più volte il suo omologo Vladimir Putin.

    Parte del terminal container, scrive ancora il FT, sarà riqualificata per garantire il trasferimento sicuro di munizioni e altre attrezzature «sensibili», mentre la logistica dei rifornimenti militari sarà coordinata con il porto di Anversa, nel vicino Belgio.

    Boudewijn Siemons, amministratore delegato dell’Autorità portuale di Rotterdam, ha spiegato che non tutti i terminal sono attrezzati per gestire carichi di tipo militare, rendendo il coordinamento logistico fondamentale, in particolare per le spedizioni provenienti da Stati Uniti, Regno Unito e Canada.

    L’iniziativa militare, tra l’altro, rientrerebbe in un più ampio impegno degli alleati europei a ridurre la loro dipendenza dagli Stati Uniti per quanto concerne la difesa. Il porto, da anni, viene già utilizzato come sito di stoccaggio per la riserva strategica di petrolio.

    L’Unione europea ha infatti imposto ai suoi membri di mantenere una riserva di «oro nero» di 90 giorni in seguito alla crisi energetica del 1973, quando i Paesi arabi ridussero la produzione, con il conseguente aumento dei prezzi, per fare pressione sull’Occidente durante il conflitto con Israele.

    In questo contesto, i funzionari olandesi hanno dunque esortato i Paesi europei a concentrarsi anche sulla messa in sicurezza nel grande porto di altre risorse critiche, tra cui rame, litio, grafite e terre rare varie.

    Le misure preparatorie adottate allo scalo di Rotterdam fanno della corsa al riarmo in tutto il Vecchio continente, con l’UE che sta sviluppando un piano del valore di 800 miliardi di euro, per rafforzare le capacità di difesa in risposta all’aggressività della Russia e alle richieste degli Stati Uniti.

    La spesa militare di Mosca è invece aumentata vertiginosamente in seguito all’invasione dell’Ucraina. Secondo l’International Institute for Strategic Studies, il bilancio della difesa di Mosca per il 2024 è aumentato del 42% in termini reali, raggiungendo i 462 miliardi di dollari, ossia più del totale combinato di tutti i Paesi europei.

    Lo scorso 5 luglio, il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha espresso preoccupazione su una possibile azione militare cinese contro Taiwan, in quanto Pechino potrebbe incoraggiare la Russia ad aprire un secondo fronte in Europa, contro uno degli Stati dell’Alleanza atlantica.

    Pure il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha recentemente lanciato l’allarme: nei prossimi anni la Russia potrebbe attaccare un territorio della Nato

  • Aspettare con gli interventi e gli aiuti significa aiutare Putin

    L’incontro di Volodymir Zelensky con Papa Leone XIV, le sentite e precise parole del presidente Sergio Mattarella, l’importante riunione che vede convenire a Roma così tanti esponenti di nazioni diverse per programmare la ricostruzione dell’Ucraina, distrutta da Vladimir Putin, e gli interventi necessari a risolvere i problemi della popolazione rimasta senza infrastrutture rappresentano solo una parte del problema se lo zar russo non sarà fermato nella sanguinosa escalation della sua follia.

    Il presidente Donald Trump nei mesi scorsi ha prima promesso, poi revocato, poi pare di nuovo autorizzato l’invio di materiale militare per la tutela dell’Ucraina e del suo popolo. La Russia intanto sta bombardando con sempre maggior intensità e ogni giorno muoiono civili, vengono distrutte abitazioni e rase al suolo strutture vitali per la popolazione.

    Anche i volenterosi di Germania, Regimo Unito e Francia, che pure rappresentano un forte segnale politico da parte del continente europeo, con la partecipazione della Polonia e dell’Italia, devono iniziare ad agire in modo più concreto. All’intera comunità internazionale spetterebbe poi muoversi in modo compatto per riportare a casa tutti i bambini rapiti e spariti in Ucraina.

    Vorremmo vedere nelle piazze italiane ed europee qualche segnale a sostegno dell’Ucraina, soprattutto da parte di quelle forze di centrosinistra e di sinistra che al momento, specie in Italia, continuano a mostrare la loro indifferenza.

  • Chi condanna Lavrov?

    Mentre bombe, missili e droni imperversano tra Israele ed Iran e non si ferma il martellamento russo contro i civili ucraini, diventa veramente suggestiva la dichiarazione del ministro degli Esteri russo, parole che suonano come una condanna proprio a Putin, “se il diritto all’autodifesa di ogni paese, sancito dalla carta delle Nazioni Unite, viene interpretato in modo tale che ognuno decida quando esercitare questo diritto senza guardare alla carta questo sarà il caos totale”.
    Non possiamo che condividere le parole di Lavrov che certo si è dimenticato di pensarle e pronunciarle più di tre anni fa quando il suo capo e padrone Putin ha iniziato la sua perfida guerra espansionistica invadendo l’Ucraina,  un paese sovrano e democratico che non aveva bombe atomiche ma solo il desiderio di vivere in pace insieme all’Unione europea ed in futuro alla Nato.
    Come sempre due pesi e due misure, due verità ma una realtà sola, Putin ha invaso l’Ucraina per smania di potere e di possesso e resta una minaccia per i paesi confinanti, Israele e poi gli Stati Uniti hanno attaccato i siti nucleari dell’Iran per impedire una prossima ecatombe non solo degli israeliani.
    L’Iran ha sovvenzionato ed armato Hamas che il 7 ottobre ha compiuto una delle più efferate stragi a freddo che il mondo ricordi, l’Iran ha armato gli Houthi, con i danni conseguenti, e finanzia terroristi in ogni paese, l’Iran, per meglio dire il governo iraniano, perseguita il suo popolo, mettendo ogni giorno in carcere cittadini inermi, esegue ad ogni piè sospinto sentenze di morte, senza neppure una parvenza di  processo, il governo iraniano comanda con  la paura ed il terrore ormai da decenni e condanna le donne a vite miserevoli, questo Iran è un pericolo per la stabilità mondiale.
    Il ministro Lavrov, ministro di un dittatore che è alleato dell’Iran e della Cina e specialmente di Kim Jong-un, paesi dai quali si rifornisce di armi, quando riascolterà le sue dichiarazioni forse si accorgerà di avere condannato non Israele o gli Stati Uniti ma il capo della Russia, del suo Paese

  • Politica lungimirante o masochismo?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta con alcune considerazioni finali di Cristiana Muscardini 

    Nella politica internazionale i rapporti amichevoli tra leader giocano sempre un qualche ruolo positivo ma, al momento del dunque, ciò che rimane è soltanto l’interesse del Paese che si rappresenta. Di là dalle dichiarazioni di prammatica, di là dai sentimenti espressi, siano essi sinceri o di pura cortesia o perfino bugiardi, di là dalle conferenze stampa congiunte o dagli editoriali di giornalisti compiacenti o nemici, tutte le potenze mondiali metteranno al primo posto i loro interessi e, se necessario, sacrificheranno gli interessi dei loro alleati. D’altra parte non molto tempo fa ci fu un cancelliere tedesco che disse: “I trattati sono solo dei pezzi di carta (chiffons de papier)”. Questa realtà non va mai dimenticata se si vogliono esprimere giudizi sugli avvenimenti mondiali e quando un politico deve prendere decisioni. Il comportamento di Trump verso gli altri leader mondiali non sfugge a questo schema: le sue azioni e ciò che fa rientrano in quello che lui crede essere l’interesse degli Stati Uniti e solo il loro. È quindi inutile criticarlo e sarebbe molto meglio prenderne atto e reagire usando le sue stesse armi. Inoltre, non è affatto detto che riesca a ottenere i risultati cui aspira e, anzi, potrebbe addirittura raggiungere il risultato opposto danneggiando irrimediabilmente il benessere dei suoi concittadini. Chi, purtroppo, ha già nuociuto agli interessi dei propri governati sono i capi di Stato europei che hanno deciso di assecondare le strategie statunitensi contro la Russia sacrificando i nostri stessi interessi per assecondare quelli americani, con la speranza che il servilismo politico potesse essere ripagato.  Al contrario, basterebbe conoscere un po’ di storia politica per vedere che, da sempre e in modo ancora più evidente dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la politica dei nostri alleati storici ha mirato ad impedire che potesse realizzarsi un vero riavvicinamento economico tra Mosca e l’Europa. Dal punto di vista di Washington tale intesa avrebbe consentito agli europei di avere un maggiore accesso alle materie prime russe, di approfittare di un grande mercato in via di sviluppo e di non sentire più l’esigenza della “protezione” americana contro quello che fu un sicuro nemico per tutta la guerra fredda. Inoltre, i grandi gruppi finanziari ed economici d’oltreoceano puntavano ad impadronirsi delle ricchezze offerte dall’immenso territorio della Federazione Russa, magari approfittando di una eventuale disgregazione di quello Stato in tante piccole e politicamente insignificanti repubbliche. In altre parole, occorreva garantire la supremazia americana nel mondo e l’avvicinamento dell’Europa alla Russia rappresentava per gli USA il pericolo che si costituisse un nuovo potente concorrente politico ed economico sulla scena mondiale. Dopo la semi-anarchia politica dell’era Eltsin i vertici europei si dimostrarono incapaci di cogliere le grandi novità geopolitiche che si aprivano con l’ascesa alla presidenza di Putin (solo Berlusconi lo capì) e rimasero inconsapevoli vittime e complici di tre fattori che ci hanno portato alle circostanze odierne: l’eredità non ragionata di una alleanza un tempo utile ma ora sempre meno necessaria, il desiderio di vendetta di alcuni Paesi già nel Patto di Varsavia e le loro patologie storicamente comprensibili (vedi Polonia e Baltici), la onnipresente e pervasiva lobby politica e spionistica americana.

    Il risultato ottenuto da questa politica è che oggi ci troviamo con un costo dell’energia quadruplicato, una crisi economica che avanza, soldi gettati nella voragine ucraina e la assurda prospettiva di doverci assorbire i costi enormi di un dopoguerra in quel Paese (magari addirittura assorbendolo nell’Unione) mentre i profitti saranno principalmente destinati proprio agli USA. Nonostante questo scenario, i soloni di Bruxelles e della NATO avrebbero deciso di dirottare i fondi necessari per affrontare la crisi economica e garantire lo stato sociale verso un enorme investimento a favore delle industrie belliche che, per ovvietà pratica (vedi compatibilità NATO), non potranno che principalmente essere americane.

    Come tutto ciò non bastasse, con Trump Washington ha gettato la maschera e sta pensando di organizzare una nuova Yalta dove noi non saremo nemmeno invitati al tavolo. Al nostro posto si sederanno dapprima la Russia e poi, probabilmente, anche la Cina. In barba ai trattati alle consuetudini e alla globalizzazione voluta proprio dagli americani, Trump pretende anche che noi si continui a “servirli” ma senza più nemmeno la contropartita di poter noi godere di qualche surplus commerciale.

    Purtroppo, non sono più vivi i Talleyrand, i Metternich, i Bismarck, i De Gaulle, i Brandt e sembra che più nessuno a Bruxelles e nelle nostre capitali abbia la capacità e il coraggio di guardare di là del proprio naso e pensare in termini strategici. È ben chiaro a chi scrive che in politica (e soprattutto in politica internazionale) occorre evitare i colpi di testa e ogni mossa deve essere intrapresa con cautela (ma Trump non lo sa?) e che ogni possibile nuova strategia vada sondata e resa palese solo dopo averne accertata la fattibilità e le sue conseguenze. Tuttavia, poiché proprio gli americani vogliono scaricare sulle nostre spalle solo i costi e toglierci anche i profitti che incassavamo fino ad ora, sarebbe bene che chi di dovere cominci a pensare alle alternative praticabili guardando al medio e lungo termine.

    Innanzitutto togliamoci dai piedi le stupide idiozie propagandistiche che i media e i nostri politici attuali continuano a ripeterci. Dapprima han cercato di spiegarci che con le sanzioni cominciate nel 2008, incrementate nel 2014, aumentate ancora nel 2022 e continuate ad estendersi fino ad oggi, la Russia sarebbe stata messa in ginocchio e ci avrebbe supplicato di perdonarla. Evidentemente si sono sbagliati, visto che l’economia russa non è mai stata buona e viva come oggi. In seguito ci hanno detto che aveva finito le armi ma, inspiegabilmente, missili e droni contro l’Ucraina non fanno che moltiplicarsi. Ora giornalisti servili e pseudo-analisti vogliono convincerci che a Mosca si preparino per invadere il resto d’Europa dopo aver sconfitta l’Ucraina. Chi lo sostiene non si rende nemmeno conto dell’assurdità di tali affermazioni oppure è in netta malafede. Tutti vediamo le difficoltà sul campo che i russi hanno incontrato dopo tre anni di guerra contro un Paese di 35 milioni di abitanti e con un PIL di 190 miliardi di dollari circa (2024). Ebbene, l’Unione Europea e la Gran Bretagna insieme vantano una popolazione di più di 500 milioni e un PIL di più di 24 trilioni di dollari (per inciso, i russi sono circa 130 milioni e il loro PIL è stimato attorno ai 2 trilioni di dollari), senza contare che è tuttora in vigore l’art. 5 dell’Accordo Transatlantico. Crediamo davvero che i russi siano dei pazzi irresponsabili? O non sono piuttosto dei bugiardi in malafede quelli che vogliono convincerci che esista per l’Europa un “pericolo russo”?

    Detto ciò e affermando senza ombra di dubbio che tale “pericolo” sia solo pura propaganda per giustificare (nel migliore dei casi) l’aumento delle spese verso le industrie belliche, cominciamo a pensare davvero a quali siano i nostri veri interessi e partiamo dalla costatazione che la Russia non ha alcun motivo nel XXI secolo di considerarci rivali strategici.

    Al contrario, sin che le è stato possibile, ha sempre cercato di avere rapporti ottimali con tutti noi. Il suo rivale strategico reale è quello che attualmente è il suo alleato indispensabile: la Cina. È con la Cina che ha da sempre una rivalità oggettiva nel centro-Asia, è con lei che ha da secoli problemi di confine, è con la cultura cinese che ha molti meno rapporti che con quella del resto d’Europa. Se dipendesse solo da Mosca, indipendentemente dalla propaganda di questo periodo di conflitto e da ciò che pochi sparuti intellettuali slavofili hanno scritto ogni tanto, i rapporti con le capitali europee sarebbero economici, culturali e anche politici. E lo stesso, reciprocamente, vale per noi: ci farebbe comodo una immensa riserva di materie prime a buon prezzo, un mercato che ha ampi margini di fronte a sé e necessita di capitali freschi e di know how. Inoltre sarebbe per noi un modo per tornare ad essere protagonisti su una dimensione mondiale, cosa che abbiamo perduto da tempo. E l’Ucraina? Se i nostri politici avessero avuto più sale in zucca e meno servilismo nel seguire interessi altrui e se gli oligarchi e i politici corrotti di quel Paese fossero stati un po’ meno delinquenziali un’Ucraina neutrale e indipendente avrebbe potuto prosperare proprio come ponte economico tra la Russia, cui era economicamente legata, e l’Europa.

    Forse è fin troppo tardi ma, se l’Europa oggi aprisse a oneste, e necessariamente riservate, negoziazioni dirette con Mosca nuovi scenari si potrebbero aprire e, se la strada si rivelasse percorribile, in tanti avremmo da guadagnarci. Purtroppo con l’Europa che ci troviamo e gli pseudo-leader oggi disponibili a Bruxelles è praticamente impossibile immaginare che le cose cambino da come si sono messe. È solo partendo con iniziative individuali da parte di qualche governo nazionale che si dovrebbero esplorare le nuove strade. D’altra parte se Trump lo sta facendo, perché noi non dovremmo sentirci autorizzati a farlo? Non si creda che chi scrive stia peccando di ingenuità: nessuno si nasconde che quando si gioca su più tavoli e si hanno più interlocutori contemporaneamente chiunque potrebbe fare il doppio gioco e usare gli uni contro gli altri per il proprio beneficio. Non è ciò che si fa negli affari ed esattamente quello che sta facendo Trump? Occorre, comunque, essere lungimiranti e realisti e considerare tutte le convenienze, anche a costo di pensare l’impensabile: a Mosca conviene di più avere rapporti ottimali con Pechino o con l’Europa? Per noi è davvero assurdo immaginare di avere qualche autonomia o dobbiamo sempre servire interessi americani? E anche volendo salvaguardare il nostro rapporto con gli USA, è un bene nemmeno fingere di metterlo in discussione e accettare solo ordini da oltreoceano oppure alzare la cresta potrebbe farci rispettare un poco di più? Come reagirebbe Washington se noi unilateralmente annunciassimo di voler disdire il nostro rapporto con la NATO e aprissimo a Mosca? Se temesse che noi si faccia sul serio, continuerebbe a minacciarci con la stessa supponenza? E già che ci siamo, invece di leccargli gli stivali (o peggio ancora, come Trump disse che avremmo fatto) e visto che la Cina affaccia sul Pacifico e non sul Mediterraneo perché non fargli sapere che noi vorremmo cominciare a negoziare con Pechino e senza pre-condizioni?

    Si badi bene: non si possono negligere i grandi interessi economici e finanziari che ci legano agli Stati Uniti né il fatto che l’Europa attuale è un ridicolo coacervo politico senza volontà. Tuttavia, poiché il mondo non è più quello né della guerra fredda né quello unipolare del dopo URSS, politici intelligenti dovrebbero cominciare a vagliare tutte le alternative nell’interesse dei nostri paesi. Di sicuro non, come fanno Macron, Starmer e la Germania di Merz, che minacciano di continuare da soli la guerra con l’Ucraina al solo scopo di poter avere uno sgabellino al possibile tavolo delle trattative di pace.

    Utopie? Fantasie irrealizzabili?  Forse. Ma se da noi ci fossero stati diplomatici e politici con una visione strategica non ci avrebbero trascinati verso una situazione come quella odierna che potrebbe diventare molto pericolosa per la pace mondiale e non soltanto per il nostro benessere economico.

    L’amico on. Dario Rivolta ha sempre la capacità di affrontare gli scenari internazionali con una visione ampia. Sulle sue considerazioni, comunque interessanti, varrebbe la pena di aprire un dibattito ampio, intanto vogliamo ricordare, per chiarezza verso i nostri lettori, che per mettersi ad un tavolo, per delle trattative serie e non utopiche, dovremmo avere politici in grado di farlo, capaci di visioni, consapevoli delle realtà geopolitiche e anche delle opportunità e minacce derivanti dalle nuove tecnologie. Non ci sono solo Trump, Putin l’Europa, il presidente cinese, i paesi arabi, l’India etc etc, ma anche Musk con i suoi satelliti che ci controllano e controllano lo spazio, insieme a quelle di alcune super potenze, per non parlare dell’intelligenza artificiale che sembra ormai molto più avanti di quella umana. 

    Inoltre a quel tavolo, che tutti vorremmo fosse realizzato, dovremmo puntualizzare che se Mosca vuole tornare ad essere interlocutore dell’Europa per prima cosa dovrebbe liberare i territori occupati, liberare i bambini rapiti, accettare l’indipendenza dell’Ucraina ed i politici che gli ucraini si scelgono, ovvia premessa, però, a qualunque trattativa è comunque un cessate il fuoco che Putin non vuole.

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