Siria

  • Syria government says women must wear burkinis at public beaches

    Syria’s Islamist-led interim government has decreed that women must wear burkinis – a swimsuit that covers the body except for the face, hands and feet – or other “decent” clothes at public beaches and swimming pools.

    The regulations, issued by the tourism ministry, were “aimed at enhancing public safety standards and preserving public decency”, Syrian state news channel Al-Ikhbariyah al-Suriyah reported.

    Private beaches, clubs and pools, as well as hotels with more than four stars, are exempt, the directive said.

    Women often dress modestly on public beaches in Syria, but some women do opt for more Western styles of swimwear. The new government previously pledged to govern inclusively.

    Under the new directive, beachgoers and visitors to public pools must wear “more modest swimwear”, specifying “the burkini or swimming clothes that cover more of the body”.

    The decree added that women should wear a cover-up or loose clothing over their swimwear when they move between swimming areas.

    “Travelling in swimwear outside the beach without appropriate cover is prohibited,” it said.

    Men should also wear a shirt when they are not swimming, and are not allowed to be bare-chested outside swimming areas.

    The statement said “normal Western swimwear” was generally allowed in exempted places “within the limits of public taste”.

    More generally, people should wear loose clothing that covers the shoulders and knees and “avoid transparent and tight clothing”, the decree added.

    The directive did not say whether those who fail to follow the rules would be penalised or how the rules would be enforced. But it did say lifeguards and supervisors would be appointed to monitor compliance on beaches.

    It also included other safety regulations around pools and beaches.

    Reacting to the new rule, one woman from Idlib in the north-west of the country told the BBC’s World Service that, while she could see both sides of the argument, “I do think there is a positive to this, from a moral and respectful point of view.”

    Celine said: “Some people and families don’t feel comfortable seeing or wearing too much exposed skin and I believe that is a valid perspective.”

    But another woman, Rita, who lives in the capital, Damascus, said she was “not comfortable” with the new rule, “especially as we are not used to such laws”.

    “In the coastal area, different ladies from different religions all have been going there and until now, we wore what we wanted,” she said. “Religious people could avoid those in bikinis. But this law makes us scared of where to go.”

    She added: “We have no problem with the burkini itself, but it’s a problem with the concept that the government are controlling this.”

    In December last year, Islamist rebel forces led by Ahmed al-Sharaa toppled Bashar al-Assad’s regime, bringing years of civil war to an end.

    Since then, al-Sharaa, now the country’s interim president, has promised to run the country in an inclusive way.

    In an interview with the BBC shortly after he took power, he said he believed in education for women and denied that he wanted to turn Syria into a version of Afghanistan – which has severely curtailed women’s rights.

    In March, Sharaa signed a constitutional declaration covering a five-year transitional period.

    The document said Islam was the religion of the president, as the previous constitution did, and Islamic jurisprudence was “the main source of legislation”, rather than “a main source”.

    The declaration also guaranteed women’s rights, freedom of expression, and media freedom.

  • Gli Usa mollano la Siria: terranno una sola base militare. Bruxelles prepara aiuti per 175 milioni di euro

    Gli Stati Uniti stanno riducendo la loro presenza militare in Siria, chiudendo la maggior parte delle proprie basi nel Paese. “Da otto basi ne rimarrà una”, ha dichiarato l’inviato speciale degli Stati Uniti per la Siria e ambasciatore in Turchia, Tom Barrack, intervistato dall’emittente turca “Ntv”. Questa decisione si pone sulla scia della linea assunta dall’amministrazione Usa di Donald Trump nei confronti del nuovo governo siriano, guidato dal presidente ad interim Ahmed al Sharaa, in seguito alla destituzione di Bashar al Assad. “Il presidente Trump e il presidente (turco Recep Tayyip) Erdogan hanno fatto una cosa incredibile. Hanno detto che avrebbero dato una possibilità a questo nuovo regime. Nessuno l’aveva previsto”, ha aggiunto il diplomatico statunitense. Barrack ha poi illustrato la posizione di Washington riguardo alle Forze democratiche siriane (Fds, coalizione di milizie a maggioranza curda sostenute dagli Stati Uniti), spiegando l’importanza della loro integrazione all’interno del nuovo governo siriano.

    Rispondendo a una domanda riguardo alla tensione tra Israele e Turchia nel territorio siriano, Barrack ha usato parole di distensione. “Il dialogo tra Turchia e Israele coincide con quello tra le Unità di protezione popolare (Ypg) e la Turchia”, ha detto il diplomatico. Le Ypg sono una milizia presente nelle regioni a maggioranza curda nel nord della Siria, e durante la guerra civile la formazione è diventata una delle componenti delle forze armate dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est (nota anche come Rojava). La Turchia “è un elemento chiave che convincerà il resto della regione (mediorientale) che Israele non vuole accaparrarsi territori e non sta cercando di occupare la Siria. La Turchia, in ogni caso, non ha messo gli occhi sul territorio siriano”, ha aggiunto l’inviato speciale. L’ambasciatore ha poi lanciato una stoccata ai Paesi dell’Unione europea: “Credo che una delle cose che fa arrabbiare la Turchia sia l’Ue. È assolutamente ridicolo che il suo prezioso alleato per la difesa non venga accolto nell’Ue”, ha dichiarato Barrack.

    Intanto, a seguito della revoca delle sanzioni economiche europee contro la Siria, la Commissione europea ha proposto 175 milioni di euro per la ripresa sociale ed economica del Paese. Lo ha reso noto l’esecutivo europeo. Il finanziamento sosterrà “le istituzioni pubbliche siriane con l’aiuto di esperti provenienti dalla Siria e da altri Paesi, compresa la diaspora siriana, azioni dal basso e guidate dalle comunità nei settori dell’energia, dell’istruzione, della sanità, dei mezzi di sussistenza e dell’agricoltura”, “rivitalizzerà le economie rurali e urbane sostenendo i mezzi di sussistenza e la creazione di posti di lavoro nelle comunità di tutto il Paese aumenterà l’accesso ai finanziamenti per le popolazioni più vulnerabili, promuoverà la giustizia di transizione, la responsabilità e i diritti umani, compresi i mezzi per combattere l’impunità, in particolare nel sostegno ai diritti umani e alla gestione del fascicolo sulle persone scomparse”, si legge nella nota. La commissaria europea per il Mediterraneo, Dubravka Suica, si trova attualmente in Siria, “dove sta riaffermando il fermo impegno dell’Unione europea a sostenere un processo di transizione pacifico, inclusivo e guidato dal Paese stesso”, viene evidenziato.

  • Erdogan prova ad attrarre la Siria nell’orbita turca

    Le relazioni bilaterali e gli ultimi sviluppi regionali sono stati al centro dell’incontro che si è tenuto il 24 maggio a Istanbul tra i presidenti di Turchia e Siria, Recep Tayyip Erdogan e Ahmed al Sharaa. Lo ha reso noto la Direzione delle comunicazioni della Repubblica turca, spiegando che all’incontro, tenutosi a porte chiuse, hanno partecipato anche i ministri turchi degli Esteri e della Difesa, rispettivamente Hakan Fidan e Yasar Guler, il capo dell’agenzia di intelligence Mit, Ibrahim Kalin, il responsabile delle Industrie della difesa Haluk Gorgun, il consigliere capo del presidente, Sefer Turan, e il consigliere del presidente per la Politica estera e la sicurezza, Akif Cagatay Kilic. Come riporta il comunicato, nel corso delle discussioni Erdogan “ha dichiarato di ritenere che la Siria avrà giorni molto più luminosi e pacifici, e la Turchia continuerà a sostenerla come ha fatto fino ad oggi”.

    Il presidente turco ha inoltre accolto con favore la revoca delle sanzioni contro la Siria e ha sottolineato l’importanza di garantire l’integrità territoriale e l’unità del Paese. Nel corso dell’incontro, il capo dello Stato turco ha evidenziato che “l’occupazione e gli attacchi di Israele nel territorio siriano sono inaccettabili” e Ankara “continuerà a opporsi in qualsiasi piattaforma”. In merito alle relazioni bilaterali, Erdogan ha evidenziato che “la cooperazione tra Turchia e Siria continuerà a rafforzarsi in tutti i settori, in particolare quelli dell’energia, della difesa e dei trasporti”. Secondo quanto riporta il comunicato, Al Sharaa ha ringraziato il presidente turco per il “sostegno fondamentale” e per “gli sforzi orientati alla revoca delle sanzioni internazionali”.

    Quella di Istanbul è stata la prima visita del presidente siriano in Turchia dopo la decisione di Stati Uniti e Unione europea di revocare le sanzioni. Come riportato dai media siriani, Al Sharaa è stato accompagnato da una delegazione composta dal ministro degli Esteri Asaad al Shaibani e dal ministro della Difesa Murhaf Abu Qasra. L’incontro a Istanbul ha fatto seguito ai colloqui svoltisi in Siria all’inizio della settimana tra il capo dell’intelligence turca Ibrahim Kalin e Al Sharaa. La Turchia è stata tra i primi Paesi a mostrare sostegno alla nuova amministrazione siriana dopo la caduta del regime di Bashar al Assad, avvenuta lo scorso dicembre, promettendo il suo appoggio per la ricostruzione della Siria.

    Secondo indiscrezioni diffuse recentemente dai media arabi e turchi, Ankara sarebbe intenzionata anche a stabilire delle basi militari per rafforzare la lotta contro il terrorismo, in particolare contro lo Stato islamico, le cui cellule residue sono ancora presenti in Siria come anche in Iraq. Il portale d’informazione “Middle East Eye” ha riferito nei mesi scorsi che la Turchia sarebbe pronta a dispiegare sistemi di difesa aerea nella zona centrale della Siria. In particolare, Ankara starebbe pianificando l’installazione del sistema missilistico Hisar di fabbricazione turca, nonché l’invio di droni da ricognizione e da attacco con l’obiettivo di rafforzare la copertura aerea e condurre operazioni contro lo Stato islamico.

  • Riflessioni dopo la caduta di un regime

    Non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.

    Albert Camus

    Era la fine dello scorso novembre quando in Siria cominciarono di nuovo gli scontri armati tra i diversi raggruppamenti ribelli e le forze armate del regime siriano. L’esercito cominciò a ritirarsi subito, lasciando mano libera ai ribelli. Sono bastati soltanto undici giorni agli oppositori del regime per entrare, domenica scorsa, a Damasco, la capitale del Paese. Non era servito a niente neanche il supporto russo e iraniano. Il regime siriano era caduto. Mentre il presidente Bashar al-Assad, il massimo rappresentante del regime, che lo aveva ereditato dopo la morte del padre nel luglio 2000, era fuggito lasciando la Siria. Proprio colui che solo pochi giorni fa aveva giurato di reprimere gli assalitori. In seguito si è saputo che era arrivato in Russia, avendo avuto il permesso d’asilo, per lui e la sua famiglia, dal suo simile, amico ed alleato, il presidente russo.

    Quanto accadeva in Siria in questi giorni di combattimenti ha attirato l’attenzione delle cancellerie e delle istituzioni internazionali, nonché dei media. L’autore di queste righe informava il nostro lettore la scorsa settimana che si trattava di una situazione che “…ha messo in movimento, oltre ai belligeranti locali, anche altri Paesi, quali la Russia e l’Iran, in sostegno del governo e, come sopra menzionato, la Turchia che appoggia in vari modi gli oppositori del governo. Da due giorni ormai è entrata in azione anche l’aviazione russa accanto ai reparti aerei dell’esercito siriano per contrastare l’avanzata dei ribelli e dei terroristi. E tutto ciò dopo tredici anni, tempo in cui cominciò il conflitto in Siria” (Diversi conflitti e scontri armati in corso; 2 dicembre 2024).

    Subito dopo la caduta del regime del presidente siriano sono state tante anche le reazioni arrivate sia dalle cancellerie che dalle più importanti istituzioni internazionali. Il presidente statunitense, riferendosi alla situazione in Siria dopo la caduta del regime, ha dichiarato domenica scorsa di essere “…. consapevoli del fatto che l’Isis cercherà di approfittare di qualsiasi vuoto per ristabilire le proprie capacità”. Ma “non lo permetteremo” ha aggiunto lui determinato. Mentre per la Russia “quello che è successo ha sorpreso il mondo intero e, in questo caso, non facciamo eccezione”. Lo ha affermato il portavoce del presidente russo. Ha reagito ufficialmente anche la Turchia, attiva nel conflitto in Siria. Il ministro degli Esteri turco ha detto che “…Nel prossimo periodo, vogliamo una Siria in cui i diversi gruppi etnici e religiosi vivano in una comprensione inclusiva della governance e in pace. Vogliamo vedere una nuova Siria che abbia legami con i suoi vicini e che aggiunga pace e stabilità alla regione”. Sempre domenica scorsa, subito dopo la fuga in Russia del presidente siriano, il presidente della Turchia, durante un incontro con un gruppo di studenti ha fatto una forte dichiarazione. Ha affermato che ormai “…sono rimasti soltanto due dirigenti mondiali: io e Putin. Sono stato per ventidue anni al potere. Putin si sta avvicinando. Tutti gli altri o sono neutralizzati, oppure sono scomparsi”. Della situazione in Siria si è espressa anche la Cina. Tramite il ministero degli Esteri, è stato confermato che si sta prestando “molta attenzione allo sviluppo della situazione in Siria e spera che il Paese ripristini la stabilità il prima possibile”.

    Dopo la fuga in Russia del presidente siriano e della caduta del suo regime hanno reagito anche i rappresentanti dell’Unione europea e di alcune importanti istituzioni internazionali. Il segretario generale della NATO ha dichiarato che “…Russia e Iran condividono la responsabilità delle sofferenze inflitte al popolo siriano dal regime di Assad”. Aggiungendo, altresì, che, essendo stati da anni sostenitori del presidente siriano, adesso, dopo la caduta del suo regime, la Russia e l’Iran “…hanno anche dimostrato di essere partner inaffidabili, abbandonando Assad quando ha smesso di risultare loro utile”. Mentre, riferendosi ai dirigenti dei raggruppamenti ribelli che, da domenica scorsa, hanno preso il potere in Siria, il segretario generale della NATO ha ribadito che sarà seguito il comportamento di quei dirigenti nel prossimo futuro. Perché loro “…devono  sostenere lo stato di diritto, proteggere i civili e rispettare le minoranze religiose”. Invece per l’Alto Rappresentate per la Politica Estera dell’Unione europea “la caduta del regime criminale di Assad segna un momento storico per il popolo siriano. Esortiamo tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale. Esortiamo in particolare a proteggere i membri di tutte le minoranze, comprese quelle cristiane e di altre confessioni non maggioritarie, nonché a garantire la sicurezza dei cittadini stranieri e il rispetto delle rappresentanze diplomatiche a Damasco”. Aggiungendo, tenendo presente i tanti valori storici ancora preservati nel territorio siriano, che è molto importante proteggere “il patrimonio culturale” siriano. In più la Commissione europea valuta ed afferma che per il momento tutti i rimpatri dei profughi siriani in Patria sono considerati insicuri. Per la Commissione europea “…Il rientro o meno nel Paese è una decisione individuale, per ora giudichiamo che non ci siano le condizioni per rimpatri sicuri e dignitosi in Siria”. Nel frattempo i rappresentanti dei governi della Germania, del Regno Unito, della Svezia e della Francia  hanno confermato che provvederanno per una sospensione delle attuali richieste di asilo dalla Siria dopo la caduta del regime siriano.

    Quello del presidente siriano però non è l’unico regime che è crollato durante questi ultimi decenni nei Paesi arabi e del Nord Africa. Durante le proteste note come la Primavera araba, tra il 2010 ed il 2011, sono caduti altri regimi totalitari e repressivi. Nel gennaio del 2011, dopo 23 anni, è crollato il regime in Tunisia, mentre il presidente tunisino fuggiva, insieme con la sua famiglia, in Arabia Saudita. Come ha fatto domenica scorsa il presidente siriano. Nel febbraio del 2011, sempre in seguito alle proteste continue, ha dato le dimissioni il presidente egiziano. Poi dopo, nell’ottobre del 2011, è stato prima catturato e poi ucciso il presidente della Libia, al potere da 42 anni. Si tratta di persone che hanno gestito il potere in modo autocratico e spesso anche sanguinario.

    La caduta del regime siriano è stato festeggiato massicciamente domenica scorsa nelle piazze di Damasco ed in altre città della Siria. I cittadini esprimevano la loro gioia e anche la speranza per una futuro diverso e migliore. Ed è stata una reazione molto comprensiva, tenendo presente che si è trattato di un regime della dinastia Assad, che durava da circa 53 anni. Un regime che ha generato tante sofferenze e altrettante vittime innocenti, prima diretto dal padre e poi, fino a domenica scorsa, dal suo figlio. Perciò la gioia dei siriani era ed è più che naturale. Bisogna però sperare ed auspicare che, in futuro, i nuovi governanti della Siria possano adempiere il loro dovere, rispettando i diritti dei cittadini e non generando più situazioni come quelle dell’appena caduto regime. Come purtroppo è accaduto anche in altri Paesi e non solo quelli arabi, ma anche in altre parti del mondo. Come purtroppo è accaduto anche in alcuni Paesi europei e balcanici, dopo la caduta dei regimi, in seguito al crollo del muro di Berlino e dello sgretolamento del raggruppamento dei Paesi comunisti dell’Europa orientale.

    Chi scrive queste righe, riferendosi alla storia vissuta, dalla quale bisogna sempre imparare, pensa che i regimi dittatoriali si devono e si possono abbattere. Ma in alcuni casi però questo non basta. Bisogna, anzi è indispensabile, fare di tutto in seguito per non permettere che nuovi regimi totalitari si possano costituire­ E contro tutti quei regimi bisogna che i cittadini si ribellino per abbatterli. Bisogna che essi non siano condizionati da determinate connotazioni legate alla ribellione. Bisogna perciò, in simili casi, tenere presente, come scriveva Albert Camus, che forse non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.

  • Diversi conflitti e scontri armati in corso

    Mai pensare che la guerra, non importa quanto necessaria,

    non importa quanto sia giustificata, non sia un crimine.

    Ernest Hemingway

    Era il 18 dicembre 2022. Durante un’intervista ad una rete nazionale televisiva italiana alla vigilia di Natale, Papa Francesco ha, tra l’altro, detto: “Da tempo io ho parlato, stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzetti. Quella dell’Ucraina ci sveglia un po’ perché è vicina, ma la Siria da 11 anni che è in guerra terribile. Lo Yemen quanto? Myanmar? Dappertutto in Africa. Il mondo è in guerra”. Da anni ormai il Santo Padre sta parlando di “una terza guerra mondiale a pezzi”. Lo ha ribadito anche l’8 gennaio scorso durante il tradizionale incontro con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. “Il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito una terza guerra mondiale a pezzi in un vero e proprio conflitto globale”. ha detto allora papa Francesco. Un tema che il Santo Padre ha trattato anche durante la sua visita in Belgio, il 27 settembre scorso, ripetendo, accanto al Re e alla Regina del Paese, la sua grande preoccupazione per la situazione in diverse parti del pianeta. “Il mondo è malato a causa delle fratture e delle ostilità che impediscono la pace e generano distruzione”, ha detto il Pontefice. Ed ha aggiunto che “Siamo vicini a una guerra quasi mondiale. I governanti sappiano assumersi la responsabilità, il rischio e l’onore della pace”.

    La sua preoccupazione sulla drammatica situazione in diverse parti del mondo Papa Francesco la ha espressa anche domenica scorsa, 1° dicembre. Il Pontefice, come fa sempre ormai dopo ogni sua recita dell’Angelus dall’inizio della guerra in Ucraina, ha affermato: “…Esprimo la mia preoccupazione, il mio dolore, per il conflitto che continua a insanguinare la martoriata Ucraina. Assistiamo da quasi tre anni a una tremenda sequenza di morti, di feriti, di violenze, di distruzioni”. Poi ha sottolineato che “La guerra è un orrore, la guerra offende Dio e l’umanità, la guerra non risparmia nessuno, la guerra è sempre una sconfitta, una sconfitta per l’umanità intera!”. Ma il Santo Padre ha anche invitato tutti di pregare “…per la Siria, dove purtroppo la guerra si è riaccesa causando molte vittime”. Aggiungendo convinto che “…Se prevalgono l’assuefazione e l’indifferenza agli orrori della guerra, tutta, tutta la famiglia umana è sconfitta.”.

    Sì, in Siria da alcuni giorni ormai si sta combattendo. Combattono alcuni raggruppamenti ribelli e terroristi contro l’esercito regolare siriano. Uno di quei raggruppamenti rappresenta una delle frazioni jihadiste di Al Qaeda. Ma tra i gruppi combattenti ribelli ci sono anche coloro che hanno l’appoggio della Turchia che, come è ormai noto pubblicamente da anni, non ha smesso mai di contrastare i curdi, sia quelli turchi che siriani. Ebbene, dopo pochissimi giorni l’esercito siriano, ritirandosi, ha permesso agli oppositori del governo di entrare ed occupare alcune città nel nord del Paese e soprattutto Aleppo, la seconda città come grandezza ed importanza, dopo la capitale Damasco. E, guarda caso, tutto è cominciato proprio mentre è entrato in vigore il cessate il fuoco in Libano. Una situazione quella siriana che ha messo in movimento, oltre ai belligeranti locali, anche altri Paesi, quali la Russia e l’Iran, in sostegno del governo e, come sopra menzionato, la Turchia che appoggia in vari modi gli oppositori del governo. Da due giorni ormai è entrata in azione anche l’aviazione russa accanto ai reparti aerei dell’esercito siriano per contrastare l’avanzamento dei ribelli e i terroristi. E tutto ciò dopo tredici anni, tempo in cui cominciò il conflitto in Siria.

    Ovviamente non si è trattato di un’iniziativa “a caso”. Dalle analisi fatte dagli specialisti durante questi ultimi giorni, risulterebbe molto probabile che tutto sia dovuto all’altro conflitto armato nel Medio Oriente, quello tra Israele e Hamas. Un conflitto che ha in seguito coinvolto anche i militari Hezbollah, i quali, in vistosa difficoltà, hanno accettato di firmare il cessate il fuoco tra Israele ed il Libano. Un accordo quello entrato in vigore alle ore 04.00 del 27 novembre scorso, il quale prevede che nell’arco di 60 giorni si garantirà la creazione di una zona sicura di 30 chilometri nel sud del Libano. E durante questo periodo di tempo Israele si impegnerà a rientrare entro i suoi confini nazionali. Come garante del rispetto di questo accordo ci sarà un comitato internazionale a guida statunitense. Ma, sempre secondo le analisi fatte durante questi ultimi giorni, risulterebbe altrettanto probabile che l’attacco dei raggruppamenti ribelli e terroristi contro l’esercito siriano sia dovuto anche ad altre realtà geopolitiche e non solo. Realtà legate, oltre all’indebolimento delle formazioni militari dei Hezbollah, anche all’impegno militare in Ucraina della Russia, un forte sostenitore del governo siriano, che perciò non può impegnarsi pienamente in Siria. Ma anche alla situazione interna dell’Iran, coinvolto, altresì, nel conflitto della Striscia di Gaza, avviato il 7 ottobre 2023. Un conflitto quello di alcuni giorni fa in Siria, che ha generato una nuova e molto preoccupante situazione nel Medio Oriente. Una regione quella, dove si sono schierati, per diversi motivi ed interessi anche altri Paesi come la Russia, l’Iran, gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Turchia ed altri.

    All’appena cominciato conflitto in Siria tra i raggruppamenti ribelli e terroristi, appoggiati dalla Turchia e l’esercito siriano, sostenuto dalla Russia e dall’Iran hanno subito reagito anche le potenze internazionali. Con una loro dichiarazione congiunta gli Stati Uniti d’America, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania hanno affermato che “…l’attuale escalation non fa che sottolineare l’urgente necessità di una soluzione politica guidata dalla Siria al conflitto, in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. Una Risoluzione adottata il 18 dicembre 2015 che stabilisce le linee guida per una soluzione politica del conflitto iniziato in Siria dal 15 marzo 2011. Alla sopracitata Risoluzione fanno riferimento anche le conclusioni del Consiglio europeo del 18 ottobre scorso. Conclusioni in cui, tra l’altro, si ribadisce che “Solo una soluzione politica in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza Onu permetterà a tutti i siriani di vivere in pace e sicurezza”.

    Anche nei Balcani, in questi ultimi giorni, la situazione non è tranquilla. E si tratta di nuovo di un conflitto tra la Serbia ed il Kosovo. Nella notte del 29 novembre scorso una forte esplosione ha gravemente danneggiato un importante acquedotto nel nord del Kosovo, a Zubin Potok. Si tratta di un acquedotto che oltre al rifornimento con acqua di vaste aree del Kosovo, fornisce anche le centrali elettriche del Paese. Il che ha generato gravi e multidimensionali problemi non solo per la popolazione. Tenendo presente anche altri atti simili nel passato, le massime autorità del Kosovo hanno accusato la Serbia. Il Consiglio di sicurezza del Kosovo, riunito nella mattinata del 30 novembre ha affermato che la Serbia “… ha la capacità per un simile attacco criminale e terroristico”. Immediate sono state anche le reazioni delle istituzioni internazionali e dei rappresentanti delle cancellerie dei Paesi occidentali. Tutti hanno condannato l’atto ed hanno espresso preoccupazioni per le probabili e pericolose conseguenze in un periodo come questo e tenendo presente le alleanze della Serbia con la Russia, ma non solo.

    Chi scrive queste righe seguirà questo nuovo conflitto nel nord del Kosovo ed informerà il nostro lettore. E nonostante le dimensioni si tratta sempre di un conflitto che si aggiunge ai diversi altri in corso nel mondo. Chi scrive queste righe pensa che i massimi rappresentanti delle cancellerie occidentali e delle istituzioni internazionali devono trarre sempre lezione anche dalla convinzione di Ernest Hemingway sulle guerre. E  cioè che non bisogna mai pensare che la guerra, non importa quanto necessaria, non importa quanto sia giustificata, non sia un crimine.

  • Il 26 maggio Assad chiede ai siriani di dargli un like alle urne

    Il presidente siriano Bashar al Assad si appresta a essere confermato alla guida della Siria, martoriata da 10 anni di guerra e travolta da una crisi economica senza precedenti, per altri sette anni. Fino al 2028. on una decisione annunciata, il parlamento di Damasco ha ratificato quello che era stato già deciso dal potere incarnato da mezzo secolo dalla famiglia Assad: il prossimo 26 maggio si terranno le elezioni presidenziali. Ma la leadership formale del 55enne Bashar non sarà messa in discussione.

    Che si tratti di una formalità è chiaro anche dalla procedura indicata dal presidente del parlamento, Hammuda Sabbagh: gli aspiranti candidati all’elezione avranno solo 10 giorni di tempo per presentare le domande di candidatura. Non è chiaro quale sia il meccanismo di selezione dei candidati. Si tratta delle seconde elezioni presidenziali dallo scoppio delle violenze armate nel 2011. Le elezioni del 2014 erano state le prime dopo decenni di referendum in cui il candidato unico – prima Hafez al Assad e poi il figlio Bashar – erano stati automaticamente riconfermati ogni 7 anni. Ma anche l’apertura formale ad altri candidati non aveva impedito ad Assad di assicurarsi il 92% delle preferenze nel 2014. Allora l’Unione Europea e gli Stati Uniti avevano definito una farsa le elezioni. Anche quest’anno si prevede uno scenario analogo, con alcuni candidati di facciata che serviranno a legittimare la “vittoria democratica” del raìs al potere dal 2000.

    Assad è da più parti indicato come il “vincitore” della guerra che ha ucciso mezzo milione di persone e che ha lasciato il Paese in larga parte distrutto. La metà della popolazione siriana ha dovuto abbandonare le proprie case e circa l’80% dei siriani rimasti in patria oggi vive sotto la soglia di povertà. Il conflitto armato non si è però concluso ma da più di un anno è solo congelato da una tregua militare tra i vari attori stranieri e locali coinvolti nella spartizione territoriale del Paese. La Russia e l’Iran, alleati storici di Damasco, appoggiano le forze governative. Anche grazie a una pletora di milizie locali, irachene, afghane, libanesi e a una miriade di signori della guerra, le truppe governative controllano la maggioranza dei territori popolati, e dove si concentrano le principali città: è qui che si svolgeranno le elezioni del 26 maggio prossimo.

    Dal canto loro, le forze curdo-siriane, appoggiate dagli Stati Uniti, controllano le regioni orientali più ricche di risorse energetiche. Mentre la Turchia e i suoi ascari locali si sono impadroniti della strategica striscia settentrionale, dal Mediterraneo all’Iraq. Questo mentre i negoziati politici mediati dall’Onu continuano a rimanere bloccati.

  • L’UE impone sanzioni a sette ministri siriani

    L’Unione europea imporrà sanzioni mirate a sette ministri siriani di recente nomina per il loro ruolo nella violenta repressione della popolazione civile.

    La decisione del Consiglio include un congelamento dei beni contro settanta strutture e sette ministri, insieme a un divieto di viaggio. Tra i sanzionati vi sono i ministri della giustizia, delle finanze, dei trasporti, dell’istruzione, del commercio interno e della tutela dei consumatori, nonché il ministro delle risorse idriche.

    La Siria ha espresso forte condanna per la decisione dell’UE sostenendo che si basa su informazioni fuorvianti e fa parte della campagna in corso contro lo Stato siriano.

    Le sanzioni dell’UE contro il regime di Damasco sono state introdotte per la prima volta nel 2011 e altre misure già in atto includono restrizioni su determinati investimenti ed esportazioni di apparecchiature e tecnologie di monitoraggio, un divieto di importazione di petrolio e un congelamento delle attività della banca centrale siriana detenute nel territorio europeo. I recenti divieti portano a 280 il numero di persone che sono soggette alle sanzioni economiche prese dai 27.

  • Russia e Cina pongono il veto alla risoluzione ONU per gli aiuti umanitari in Siria ma l’UE tira dritto

    L’UE contro Russia e Cina dopo che i due Paesi hanno ripetutamente posto il veto ad una risoluzione delle Nazioni Unite per la fornitura di aiuti umanitari in Siria. Il responsabile della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, non ha usato mezzi termini per commentare la decisione: “L’approccio non costruttivo di alcuni membri del Consiglio di sicurezza è tanto più deplorevole in un momento in cui i bisogni non sono mai stati così grandi e nel contesto della pandemia di coronavirus”.

    La risoluzione è stata infine approvata sabato scorso, dopo cinque tentativi, e solo dopo l’astensione di Russia e Cina. Alle Nazioni Unite è consentito solo un punto di attraversamento dalla Turchia, il cosiddetto Bab al-Hawa, rispetto ai due precedentemente disponibili. Il limitato accesso per la fornitura di assistenza umanitaria d’emergenza penalizzerà migliaia di persone bisognose nella Siria nordoccidentale poiché ostacolerà la consegna di forniture salvavita.

    L’UE continuerà comunque a sostenere la popolazione siriana in difficoltà, nonostante le circostanze sfavorevoli. Borrell ha anche sottolineato che il conflitto richiede una soluzione politica e non militare, citando i risultati di una conferenza sul futuro della Siria, tenutasi a giugno a Bruxelles.

     

  • L’UNICEF esorta i governi a rimpatriare i bambini stranieri bloccati in Siria

    Henrietta Fore, capo del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia – UNICEF, ha lanciato un appello lo scorso 4 novembre affinché i Paesi rimpatrino i bambini stranieri bloccati nel nord-est della Siria, in seguito dell’offensiva lanciata dalla Turchia il mese scorso. Secondo l’agenzia, quasi 28.000 bambini provenienti da oltre 60 paesi sono intrappolati nei campi di sfollamento nella regione, 20.000 dei quali provengono dall’Iraq. Molti di loro sono nati da estremisti dell’ISIS e oltre l’80% di loro ha meno di 12 anni. Circa 17 Paesi hanno rimpatriato più di 650 bambini, con un procedimento sostenuto dall’UNICEF. Tuttavia, l’agenzia è ancora molto preoccupata poiché circa 40.000 bambini siriani sono stati recentemente sfollati in tutta la regione e vivono in rifugi a causa della violenza. In questo contesto, le Nazioni Unite hanno nuovamente esortato tutte le parti in conflitto a garantire che gli operatori umanitari possano accedere in modo sicuro per aiutare i più bisognosi nella già disastrosa situazione umanitaria della regione.

  • La Svezia è restia a rimpatriare i bambini dell’ISIS

    Le autorità svedesi non possono portare a casa i figli dei membri svedesi dell’ISIS che si trovano nei campi profughi in Siria e che per tanto sono rimasti bloccati. E’ quanto ha stabilito il ministro degli Interni, Mikael Damberg, il 12 marzo. Si pensa che ci siano 30-40 bambini nati da genitori svedesi che si sono uniti all’ISIS e che attualmente vivono in campi profughi in aree controllate da forze governative fedeli al dittatore siriano Bashar al-Assad.

    La Svezia diventa così il secondo paese dell’UE a prendere una posizione dura contro il ritiro dei figli degli ex militanti dell’ISIS. Già il ministro degli Interni del Regno Unito, Sajid Javid, ha rifiutato di assumersi la responsabilità di rimpatriare Shamima Bagum, una ragazza di 19 anni che ha lasciato il Regno Unito a 15 anni per la Siria unendosi allo Stato islamico. Rispondendo a una domanda del ministro degli Interni ombra, Diane Abbott, Javid ha specificato che il Regno Unito non ha una presenza consolare in Siria e non è stato quindi in grado di aiutare Bagum.

    Un tribunale belga ha ordinato al governo di rimpatriare sei bambini i cui genitori si sono uniti all’ISIS, mentre allo stesso tempo il governo francese sta affrontando la questione del rimpatrio dei minori ISIS caso per caso.

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