Il presidente siriano Bashar al Assad si appresta a essere confermato alla guida della Siria, martoriata da 10 anni di guerra e travolta da una crisi economica senza precedenti, per altri sette anni. Fino al 2028. on una decisione annunciata, il parlamento di Damasco ha ratificato quello che era stato già deciso dal potere incarnato da mezzo secolo dalla famiglia Assad: il prossimo 26 maggio si terranno le elezioni presidenziali. Ma la leadership formale del 55enne Bashar non sarà messa in discussione.
Che si tratti di una formalità è chiaro anche dalla procedura indicata dal presidente del parlamento, Hammuda Sabbagh: gli aspiranti candidati all’elezione avranno solo 10 giorni di tempo per presentare le domande di candidatura. Non è chiaro quale sia il meccanismo di selezione dei candidati. Si tratta delle seconde elezioni presidenziali dallo scoppio delle violenze armate nel 2011. Le elezioni del 2014 erano state le prime dopo decenni di referendum in cui il candidato unico – prima Hafez al Assad e poi il figlio Bashar – erano stati automaticamente riconfermati ogni 7 anni. Ma anche l’apertura formale ad altri candidati non aveva impedito ad Assad di assicurarsi il 92% delle preferenze nel 2014. Allora l’Unione Europea e gli Stati Uniti avevano definito una farsa le elezioni. Anche quest’anno si prevede uno scenario analogo, con alcuni candidati di facciata che serviranno a legittimare la “vittoria democratica” del raìs al potere dal 2000.
Assad è da più parti indicato come il “vincitore” della guerra che ha ucciso mezzo milione di persone e che ha lasciato il Paese in larga parte distrutto. La metà della popolazione siriana ha dovuto abbandonare le proprie case e circa l’80% dei siriani rimasti in patria oggi vive sotto la soglia di povertà. Il conflitto armato non si è però concluso ma da più di un anno è solo congelato da una tregua militare tra i vari attori stranieri e locali coinvolti nella spartizione territoriale del Paese. La Russia e l’Iran, alleati storici di Damasco, appoggiano le forze governative. Anche grazie a una pletora di milizie locali, irachene, afghane, libanesi e a una miriade di signori della guerra, le truppe governative controllano la maggioranza dei territori popolati, e dove si concentrano le principali città: è qui che si svolgeranno le elezioni del 26 maggio prossimo.
Dal canto loro, le forze curdo-siriane, appoggiate dagli Stati Uniti, controllano le regioni orientali più ricche di risorse energetiche. Mentre la Turchia e i suoi ascari locali si sono impadroniti della strategica striscia settentrionale, dal Mediterraneo all’Iraq. Questo mentre i negoziati politici mediati dall’Onu continuano a rimanere bloccati.